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Sebbene fondato su una trama di pura invenzione, questo romanzo è intessuto di riferimenti politici, culturali e leggendari riguardanti il XIII secolo, ma soprattutto si nutre delle suggestioni che ho provato documentandomi sull’alchimia medievale, sui suoi aspetti simbolici e sulle sue ripercussioni sul fronte della religione, della filosofia e del folklore. Qualsiasi citazione bibliografica presente nell’opera, compreso il Turba philosophorum, corrisponde pertanto a verità storica. Anche la terminologia pseudo-scientifica (o meglio, pre-scientifica) menzionata in vari punti della narrazione proviene dalla traditio manoscritta, poiché ritenuta funzionale alla trama e coerente alla forma mentis medievale. In simili elementi risiede la genuina storicità del romanzo, qualora il lettore volesse rintracciarla tra pagine di fiction. A tale riguardo, la suddivisione quadripartita delle fasi alchemiche (Nigredo, Albedo, Citrinitas, Rubedo) che offro nel romanzo si discosta consapevolmente da quella ben più diffusa nel Medioevo, basata soltanto su tre colori base (nero, bianco e rosso). Il riferimento deriva dal cosiddetto Libro di Comario e Cleopatra appartenente al corpus alchemico greco-egizio di età ellenistica e forse interpolato da un monaco bizantino (si veda al riguardo la Collection des anciens alchimistes grecs edita a Parigi nel 1888 a cura di Marcellin Berthelot). Mia, invece, è l’idea di accostare i processi dell’alchimia alla filatura.

Le tematiche di alchimia, filosofia e antropologia culturale affidate alla trama si intrecciano nella struttura simbolica di Airagne, che diventa metasemia. Altrettanto si intenda per l’armata degli Archontes, il cui nome richiama le dottrine gnostiche di Pistis Sophia ed evoca il binomio Oscurità-Materia rintracciabile sia nella tradizione ermetica sia in quella manichea, formando una coralità insieme ai concetti di Demiurgo e di Nigredo.

Per quanto riguarda i personaggi storici citati nel romanzo, sono autentiche le notizie biografiche riguardanti Ferdinando III di Castiglia, Pedro Gonzalez de Palencia, Folco di Tolosa, Raymond de Péreille e Corba Hunaud de Lantar.

Le ricostruzioni urbanistico-architettoniche di Teruel, di Tolosa e di Acri rispettano la verosimiglianza storica, come pure le descrizioni dei seguenti edifici: il ponte e il castillo di Andújar, la rocca di Montségur e la Sacra Praedicatio di Prouille (ma non i loro sotterranei), l’abbazia di Fontfroide e quella di Conques.

Ho invece liberamente utilizzato il nome di Galib (Galippus), personaggio storico di cui si sa pochissimo, tranne che figurò tra i collaboratori mozarabi di Gherardo da Cremona.

Tutti gli eventi storici citati sono autentici e documentati, compresi gli accenni alla Georgia e alla regina Russunda.

Il concilio di Narbonne del 1227 si tenne realmente e in tale occasione fu scagliato l’anatema contro i signori della Linguadoca che appoggiavano i catari. Del resto, sulle inclinazioni separatiste – di natura politico-religiosa – dei conti di Tolosa e di Foix si era già discusso nel 1215, in occasione del concilio Laterano IV. Altrettanto reale fu la spedizione punitiva nota come “Terra bruciata” e bandita dal vescovo Folco, cacciato da Tolosa dal movimento filo-ereticale capeggiato dal conte Raimondo VII. È attestata pure l’esistenza delle confraternite “dei Bianchi” e “dei Neri”.

I comportamenti di monaci indisciplinati sono descritti in documenti dell’epoca.

L’esorcismo pronunciato dal vescovo Folco è stato tratto dal carme 54 dei Carmina Burana.

In seguito alla morte di Luigi VIII il Leone, la regina Bianca di Castiglia si ritrovò sola sul

trono di Francia e attraversò un momento di crisi politica, poiché osteggiata da una nutrita schiera di baroni ribelli alleati al duca di Bretagna, Pierre de Dreux detto “Mauclerc”. Romano Frangipane, legato pontificio, lavorò strenuamente al fianco della reggente per scongiurare il tracollo della monarchia; altrettanto si prodigò Humbert de Beaujeu.

Non è dato sapere se Bianca di Castiglia sia stata mai rapita, ma a rischi del genere fu certo esposto il delfino, suo figlio, il futuro san Luigi. Sempre riguardo la regina di Francia, sono ben note le testimonianze riguardanti il suo soprannome (Dame Hersent), il suo carattere combattivo e la sua osannata bellezza, cui certo non dovette restare indifferente lo stesso Frangipane. Incerti sono invece i rapporti intrattenuti da Bianca con Thibaut IV de Champagne, “il Principe trovatore”, sebbene il monaco cronista Matteo di Parigi (Historia maior, anno 1226) non esitò a tramandare che Luigi VIII fu avvelenato a morte dall’amante di Bianca, il conte di Champagne, che però negli annali porta il nome di Henricus, anziché di Thibaut.

I riferimenti all’Herba diaboli e i suoi effetti allucinogeni in relazione alla stregoneria sono autentici, come pure le manifestazioni patologiche attribuite al saturnismo (intossicazione da piombo).

Riferimenti duecenteschi alla fata Melusina, la donna-serpente, si trovano nella leggenda di Henno dai grandi denti riportata da Walter Map ( De nugis curialium, IX, 2). Interessante al riguardo è il racconto perduto di Hélinand de Froidmont, cui si rifà Vincent de Beauvais (Speculum naturale, II, 27). Al secolo successivo appartiene l’opera di Jean d’Arras tramandata con diversi titoli, tra cui La noble histoire de Lusignan o Le roman de Melusine en prose, ove si accenna alla discendenza della casata di Lusignano da questa creatura fantastica, a metà strada fra la strega e la sirena.

Si è cercato di ricostruire nei limiti del verosimile i rituali dei catari (in Linguadoca detti texerant, oltre che albigenses) e pure la vita comunitaria delle beghine, che proprio nella prima metà del XIII secolo iniziarono ad attecchire timidamente nel Sud della Francia.

È difficile stabilire cosa si nascondesse all’interno di Montségur, che fu assediata e travolta tra il 1243 e il 1244 dalla violenza dei crociati francesi: un esercito di almeno seimila uomini capeggiati da Hugues d’Arcis, comandante di Carcassonne, e da Pierre Amiel, arcivescovo di Narbonne. Si trattò di un evento drammatico, in cui gli ideali religiosi divennero un pretesto per dare sfogo all’intolleranza e alla brutalità umana. All’epoca la rocca ospitava una comunità di circa cinquecento persone, alcune delle quali insediate presso le grotte localizzate vicino alle fondamenta del castello.

Prima che gli abitanti di Montségur venissero catturati e arsi sul rogo (compreso Raymond de Péreille, il castellano, e la sua famiglia), si narra che grazie all’aiuto di Pierre-Roger de Mirepoix un gruppo di catari fuggiaschi riuscì a eludere la sorveglianza dei crociati e a portare via dalla rocca un prezioso quanto misterioso tesoro, sottraendolo dalle grinfie dell’arcivescovo Amiel ma facendolo anche sparire per sempre dalla storia. Ecco perché i catari sono stati spesso considerati, tra l’altro, gli ultimi depositari del Graal. La leggenda della Pietra di Luce è quindi autentica, sebbene allo stato attuale degli studi medievistici sia impossibile stabilire cosa fosse esattamente. E forse non si saprà mai.

RINGRAZIAMENTI

Il mio primo ringraziamento va a Ignazio da Toledo. L’ho incontrato una volta sola, di sfuggita, tra le pagine di un saggio storico o forse tra quelle di un romanzo d’avventura.

Imbattersi in questo genere di personaggi comporta sempre conseguenze imprevedibili. Un grazie particolare va poi a Leo Simoni, senza i cui consigli, probabilmente, avrei perso la forza e l’entusiasmo di scrivere prima di compiere vent’anni. Nel ringraziarlo, gli chiedo perdono per non averlo mai capito fino in fondo. Del resto, ho spesso la sensazione di ricevere dalle persone care molto più di quello che sono disposto a dare. Ciò vale soprattutto per i miei genitori, che si sono sempre sforzati di indicarmi una via da seguire. Non sono sicuro di avere imboccato la direzione giusta, o quella che si aspettavano da me, ma spero apprezzino comunque i miei sforzi. E naturalmente un ringraziamento speciale è per Giorgia, che sa starmi vicino, consigliarmi e a volte sopportarmi con pazienza nei momenti in cui la fantasia mi porta altrove, facendomi dimenticare il mondo reale.

Ci sono altri ringraziamenti importanti da fare. Prima di tutto a Roberta Oliva e a Silvia Arienti, grandi professioniste e amiche fidate, e poi a Newton Compton. Trovare l’editore giusto non è soltanto una questione di contratti e di copie vendute, prima ancora significa instaurare un feeling con qualcuno che capisca e apprezzi la tua creatività. Perciò sarò sempre grato a Raffaello Avanzini e alla mia editor Alessandra Penna, nei quali riconosco la passione e l’entusiasmo di chi si batte ogni giorno per dare il meglio di sé. E non posso dimenticare Fiammetta Biancatelli, Maria Galeano, Carmen Prestia, Giovanna Iuliano e tutti gli altri componenti di questa fantastica squadra.

Indice

Prologo

PARTE PRIMA. IL CONTE DI NIGREDO

Capitolo uno Capitolo due Capitolo tre Capitolo quattro Capitolo cinque

PARTE SECONDA. L’OSSESSO DI PROUILLE

Capitolo sei Capitolo sette Capitolo otto Capitolo nove Capitolo dieci Capitolo undici Capitolo dodici Capitolo tredici Capitolo quattordici

PARTE TERZA. LE TRE FATE

Capitolo quindici Capitolo sedici Capitolo diciassette

Capitolo diciotto Capitolo diciannove Capitolo venti

Capitolo ventuno Capitolo ventidue Capitolo ventitré Capitolo ventiquattro Capitolo venticinque Capitolo ventisei

PARTE QUARTA. SPIRALI DI TENEBRA

Capitolo ventisette Capitolo ventotto Capitolo ventinove Capitolo trenta Capitolo trentuno Capitolo trentadue Capitolo trentatré Capitolo trentaquattro Capitolo trentacinque

PARTE QUINTA. LA CODA DEL PAVONE

Capitolo trentasei Capitolo trentasette Capitolo trentotto Capitolo trentanove Epilogo

Nota dell’autore Ringraziamenti

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