Michele Ainis
Componente del Collegio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Questa sessione conclude i lavori del nostro convegno; ma li conclu- de, si direbbe, parlando d’altro, rispetto al private enforcement al centro delle tre sessioni precedenti. Non è proprio così: il sistema di enforce-
ment del diritto antitrust, sia privato sia pubblico, dipende comunque da
fattori istituzionali. E le istituzioni, a loro volta, sono come un’onda pe- rennemente in movimento, per effetto di modifiche formali o di prassi informali, che rovesciano le prassi preesistenti. E per effetto inoltre della giurisprudenza, che in questo settore come altrove incarna il diritto vi- vente (e pulsante).
Insomma, da parte mia avrei fatto risparmio del punto interrogativo che chiude il titoletto attribuito alla nostra sessione. Però immagino che gli organizzatori l’abbiano aggiunto per rispettare la libertà di valutazione dei relatori, per non prefigurarla. O forse anche per un’altra ragione. «Non è cosa nova che non possa esser vecchia, e non è cosa vecchia che non sii stata nova», diceva Giordano Bruno. Sicché la domanda che ci è stata affidata può anche essere riformulata in questi termini: quanto è davvero nuovo ciò che si rinnova? O ancora: c’è nel nuovo un elemento di progresso oppure di regresso? Non spetta a chi vi parla la risposta: ma forse potrà essere d’aiuto un breve promemoria sulle riforme che, negli ultimi anni, hanno rimodellato il design istituzionale delle Autorità di concorrenza.
Gennaio 2013, Finlandia: una riforma ha disposto la fusione dell’Au- torità di concorrenza con l’Agenzia per la tutela dei consumatori (la
Competition and Consumer Authority). La Divisione Competition rimuo-
ve le barriere di mercato, garantendo che ai consumatori vengano offerte alternative competitive. La Divisione Consumer, d’altra parte, assicura
che i consumatori abbiano accesso a informazioni sufficienti, accurate e veritiere, che le pratiche aziendali siano appropriate e che le condizioni contrattuali siano ragionevoli per gli utenti.
Aprile 2013, Olanda, e ottobre 2013, Spagna: in entrambi i casi una riforma istituzionale orientata al super-regolator, spinta dal desiderio di integrare meglio la politica di regolamentazione e quella di concorrenza (sul modello della Commissione europea). L’Autorità garante della con- correnza viene praticamente accorpata con tutti i soggetti regolatori di settore (ad eccezione della regolazione in ambito finanziario). Nel caso specifico dell’Olanda la riforma è stata in parte condizionata dai vincoli economici imposti al governo nel periodo di crisi; però anche il governo spagnolo ha riconosciuto nella riforma una possibilità per riprendere la crescita.
Aprile 2014, Gran Bretagna: qui interviene una riforma finalizzata a incrementare l’effettività del diritto della concorrenza. Attraverso l’En-
terprise and Regulatory Reform Act viene istituita una nuova Autorità
(CMA)1 to make markets work well for consumers, business and the
economy. La riforma limita fortemente i poteri governativi di intervento
sia nella valutazione delle concentrazioni sia nella semplice indagine dei mercati. Di conseguenza le segnalazioni da parte degli utenti circa i casi di comportamenti anticoncorrenziali o di fusione o di acquisizione devo- no essere inviati direttamente alla CMA utilizzando un modulo standard, pubblicato sul sito. I singoli regolatori settoriali – Ofcom, Ofgem, ecc. – rimangono titolari di poteri concorrenti per avviare indagini nei loro ri- spettivi campi (comunicazioni, energia, ecc.).
Bisogna aggiungere che questo tema ha assunto rilevanza anche a li- vello internazionale. Nei mesi di dicembre 2014 e giugno 2015 l’OCSE ha organizzato ben due tavole rotonde sui “Cambiamenti nella progetta- zione istituzionale delle Autorità garanti della concorrenza”, per fare il punto sia sulle esperienze già esistenti sia sulle prospettive di riforma. Sempre più Paesi si sono, infatti, dotati di un diritto della concorrenza e hanno previsto l’istituzione di nuove Autorità di garanzia, consapevoli dell’importanza di assicurarne l’efficacia e l’effettività dei compiti svolti. È evidente che, tra tutti, i Paesi in via di sviluppo si sono maggiormente
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esposti al dibattito sul tipo di assetto istituzionale che le nuove Autorità avrebbero dovuto adottare.
A livello comunitario lo sguardo non può che essere d’insieme. Del resto, la disciplina della concorrenza costituisce materia di competenza esclusiva dell’ordinamento UE. Il dato da cui partire è che non esiste una norma che imponga un determinato assetto istituzionale. È noto, infatti, che l’art. 35, Reg. CE 1/2003, stabilisce che siano gli Stati membri a de- signare l’Autorità o le Autorità garanti della concorrenza, amministrative e/o giurisdizionali, alle quali attribuire competenze e funzioni antitrust. Eppure le esperienze di molti Paesi europei convergono verso un modello omogeneo di Authority: indipendente dal Governo, che agisce secondo schemi processuali, garante del diritto di difesa e soggetta al sindacato giurisdizionale. La svolta più emblematica di questa progressiva armo- nizzazione istituzionale è stata segnata dal Reg. CE n. 1/2003 e dalla con- testuale entrata in vigore del c.d. “pacchetto di modernizzazione”. L’ap- plicazione del diritto antitrust sulla base di una rete europea (European
Competition Network - ECN), incentrata sulla “leale collaborazione” tra
Commissione e Autorità nazionali, ha instaurato infatti un rapporto di confronto e scambio sia di principi sia di istituti giuridici2. Poi, però, c’è il “diritto vivente”, di cui dicevo poc’anzi. Sicché appaiono altrettanto rilevanti le pronunce di Corte EDU e Corte di giustizia UE (penso ad es. a Menarini 2011 e Kone 2013), nella misura in cui hanno fissato gli standard minimi dell’equo procedimento che deve essere assicurato dal- l’Autorità, attesa la “natura penale” delle sanzioni antitrust.
Le recenti modifiche apportate alla struttura delle Autorità di concor- renza in Europa e la proposta di Direttiva presentata il 22 marzo 2017 dalla Commissione UE dimostrano che l’attenzione si è polarizzata su tre aspetti in grado di alterare l’architettura istituzionale delle Autorità anti- trust: a) obiettivi; b) modello di intervento; c) organizzazione (micro e macro).
a) Quanto agli obiettivi, ci si avvia sempre di più verso Autorità multi- function che, oltre alla tradizionale applicazione del diritto antitrust,
diventano titolari di compiti e attività ulteriori quali, ad es., la tutela dei consumatori o la regolamentazione di settore, solo per citarne al-
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Dal 2004 al 2014 le Autorità nazionali hanno adottato più dell’85% di tutte le de- cisioni di applicazione delle norme antitrust dell’UE.
cune. Tali cambiamenti istituzionali derivano spesso dalla fusione con Autorità che svolgono differenti attività di policy (in Spagna e in Olanda è stato promosso il modello del super-regulator o super-
Authority, in Italia è stato presentato il d.d.l. s. 2388 finalizzato allo
stesso accorpamento)3; oppure derivano, più di rado, dalla combina- zione di poteri in materia di concorrenza e attribuzioni in aree diverse (ad es. gli appalti pubblici). Nell’esperienza italiana l’Autorità ha ri- cevuto sempre più competenze in tema di difesa diretta dei consuma- tori, al punto che tale attività oggi costituisce una missione di impor- tanza pari a quella antitrust, contribuendo, per certi versi, a orientarla finalisticamente. Parimenti accresciute sono le competenze di advo-
cacy, specie per effetto del potere di intervento di cui all’art. 21bis.
Una sola osservazione: i vantaggi di un’Autorità multifunction sono palesi in termini di riduzione dei costi e maggiore expertise del perso- nale, ma vanno sottolineate anche le possibili difficoltà nel coordina- mento delle diverse competenze e, soprattutto, nell’utilizzo delle ri- sorse a disposizione.
b) I modelli. Il perseguimento di uno o più obiettivi in possibile trade-off
tra loro (antitrust, tutela del consumatore, regolazione) da parte delle Autorità di concorrenza ne condiziona, evidentemente, i modelli di in- tervento. Come recentemente ricordato dall’ECN (Working Group 2012), essi possono essere ricondotti a tre categorie: (a) il modello amministrativo monistico, dove un’unica Autorità amministrativa esamina i casi e adotta le decisioni di esecuzione. In alcune giurisdi- zioni l’Autorità può non avere il potere di infliggere decisioni relative alle ammende; (b) il modello amministrativo dualistico, dove l’indagine e il potere decisionale sono ripartiti tra due enti. Uno solo tra i due è incaricato di effettuare le indagini che verranno poi rinviate all’altro, responsabile della decisione; (c) il modello giurisdizionale, in cui tradizionalmente è il giudice ad adottare la decisione sia nel me- rito sia sulle ammende oppure, in casi meno frequenti, si esprime solo su quest’ultima, mentre l’Autorità di concorrenza rimane titolare della decisione di merito.
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Recante “Disposizioni in materia di accorpamento e riordino delle autorità ammi- nistrative indipendenti”, presentato in data 13 maggio 2016 (le Commissioni non hanno ancora iniziato l’esame).
c) L’organizzazione. La governance delle Autorità di concorrenza ne
condiziona l’incisività. Dal miglioramento degli aspetti organizzativi può infatti dipendere un più efficace funzionamento della procedura di enforcement in ogni fase in cui quest’ultima si articola (dalla scelta del caso, all’istruttoria, alla decisione), incidendo così sulla capacità complessiva dell’Autorità Antitrust. A livello macro-organizzativo, risulta essenziale garantirne l’indipendenza dal mercato e dalla politi- ca, per il tramite di adeguate formule sia sul piano economico (penso al finanziamento: risorse fornite dagli Stati e/o contributi delle impre- se vigilate) che operativo (penso alle procedure di nomina dei vertici delle Autorità). Tutto ciò è necessario affinché le Autorità di concor- renza conservino un potere discrezionale nel determinare le priorità di intervento e piena imparzialità di giudizio in fase di conclusione di un’istruttoria. Questo è stato recentemente ribadito dalla Commissio- ne UE nella proposta di direttiva (strumento che consente di rispettare le specificità dei regimi nazionali), formulata il 21 marzo 2017, volta a consentire alle Autorità nazionali di applicare più efficacemente le norme antitrust, garantendo alle stesse più autonomia, risorse, poteri e strumenti adeguati.
Un’ultima battuta. L’assetto istituzionale non è un abito a taglia unica che possa adattarsi indistintamente a tutte le Autorità, e non è nemmeno un abito perenne. In molti Paesi, sviluppati o in via di sviluppo, il design istituzionale può evolversi nel tempo. Dato il numero e la complessità di
trade-off coinvolti, è naturale che ci sia bisogno di un periodo di speri-
mentazione delle caratteristiche istituzionali prescelte; in questa prospet- tiva, sarebbe utile stabilire un periodico processo di riesame dell’opportu- nità della scelta compiuta. Infine dovrebbe essere ormai chiaro che l’as- setto influisce sulla modalità stessa con cui l’Autorità assolve i propri compiti, in quanto il successo delle best practices non dipende solo dalla qualità sostanziale delle analisi ma anche dall’adeguatezza dei sistemi istituzionali in cui verranno applicate. E dipende, in ultimo, dall’ambiente normativo nel quale agisce ciascuna Autorità Antitrust, dalla sua stabilità, dal grado di certezza che quest’ultimo è in grado di trasmettere. Ma al- meno questa, in Italia, resta una nota dolente.