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Dentro al contesto: la svolta antropologica

3.1 L’avvicinamento all’antropologia

Correva l’anno 1975 quando tra le pagine della celebre rivista americana The Fox venne pubblicato un saggio di Joseph Kosuth intitolato Arte concettuale: un fallimento; lo scritto, per le tesi contenute, sembra evidenziare un cambio di direzione nel percorso dell’artista. Kosuth, infatti, scrisse in riferimento all’Arte concettuale:

“Quel che iniziò nella metà degli anni Sessanta come un’analisi contestuale di specifici oggetti (o proposizioni) e, in maniera correlata, delle questioni relative alla loro funzione, ci ha obbligati adesso, dieci anni più tardi, a focalizzare la nostra attenzione sulla società e/o sulla cultura in cui lo specifico oggetto opera”160.

Queste parole colpiscono e segnalano un importante cambiamento nel percorso dell’artista che è necessario comprendere ai fini di una lettura più esaustiva del suo pensiero e della sua opera, anche se la ricerca kosutthiana sembra essere attraversata da alcuni aspetti importanti che tendono a ritornare sia nel primo che nel secondo periodo della carriera dell’artista. Infatti, in molti dei saggi teorici che seguirono Art after Philosophy, l’indagine attorno al ruolo dell’artista e dei significati dell’arte, tematiche affrontate sin dalle prime pagine del celebre testo d’esordio del 1969, continuarono ad essere approfondite. Inoltre, anche la critica a Greenberg e al formalismo si presenta come continua e costante nel percorso di Kosuth, così come è possibile notare, in particolare, nello scritto recente Intention, pubblicato nel 1996 all’interno di The Art Bulletin. “There is a tenacious formalism lurking in the art” sostenne Kosuth quasi per avvertire gli artisti di un pericolo che non si poteva sottovalutare, aggiungendo inoltre attraverso una ripresa di quanto visto nelle produzioni teoriche precedenti, come in Art after Philosophy:

“Conceptual art, simply put, had as its basic tenet an understanding that artists work with

meaning, not with shapes, colors, or materials. Thus, when you approach the work you are approaching the idea (and therefore the intention) of the artist directly. The ‘idea’, of course, can be a force that is as contingent as it is complex, and when I have said that anything can be used by (or as) a work of art, I mean just that: a play within the signifying

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process conceptually cannot be limited by the traditional constraints of morphology, media, or objecthood”161.

Se quindi è possibile rintracciare degli elementi comuni all’interno del percorso kosutthiano, è altresì fondamentale cercare di comprendere la trasformazione che si cela dietro a quanto l’artista scrisse tra le pagine di Arte concettuale: un fallimento. A partire dal 1972 la ricerca di Kosuth si indirizzò verso una maggiore attenzione nei confronti del contesto grazie allo studio di una disciplina, l’antropologia, che fino ad allora non aveva ancora influenzato le sue riflessioni162. La conoscenza di questa materia si rivelò per l’artista molto significativa per il suo modo di fare arte, come evidenziato dalle sue stesse parole:

“All’inizio lo studio dell’antropologia ha rappresentato per me un modo di guardare all’arte stessa come contesto”163.

Tra le pagine di altri celebri testi come L’arte antropologizzata del 1974 e l’Artista come antropologo del 1975 è possibile individuare ancora più da vicino le tracce del cambiamento kosutthiano. Le idee che stanno alla base di questi saggi non nascono dal nulla, ma da una serie di tappe che segnarono il suo percorso, come la frequentazione di alcuni corsi di antropologia presso la New School for Social Research di New York, un’esperienza sicuramente significativa per l’artista. In particolare furono le lezioni dei due antropologi radicali Bob Scholte e Stanley Diamond a plasmare in maniera più determinante il suo pensiero. Infatti, lo stampo marxista e l’impegno sul fronte sociale di questi due ricercatori colpirono il giovane artista che, sulla scia di quanto appreso dal loro insegnamento, maturò uno dei concetti portanti che accompagnarono questa seconda fase: l’idea dell’artista come antropologo164.

Il cambiamento non si fece sentire soltanto nelle riflessioni teoriche dell’artista ma si rispecchiò anche nella sua produzione artistica; nel gennaio del 1975, infatti, si svolse presso la Galleria Leo Castelli di New York l’ultima esposizione della serie dedicata alle celebri Investigazioni. Proprio in quest’occasione l’artista ammise di voler concludere quel tipo di progetto poiché non credeva più con così grande convinzione al paradigma

161 Kosuth J., 1996, s.n.p. 162 Kosuth J., 1987d, p. 74. 163 Kosuth J., 1987e, pp. 80-81. 164 Kosuth J., 1987d, p. 74.

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analitico-scientifico che aveva dato sostegno alle sue prime opere. Quel tipo di impostazione era divenuta, a suo avviso, priva di senso critico per i suoi lavori e, per tale ragione, egli incominciò ad avvicinarsi alla sfera dell’antropologia165, così come testimoniano le sue parole:

“Negli ultimi anni, il mio studio dell’antropologia è stato intrapreso con il desiderio di acquisire strumenti che potessero rendere possibile quella supervisione dell’arte e della cultura di cui le mie prime opere avevano in fin dei conti bisogno”166.

Arrivò pertanto a sostenere che l’aspetto wittgensteiniano e (qui Kosuth fa riferimento al filosofo del Tractatus) scientifico delle sue Investigazioni costituivano una conseguenza strutturale di un precedente periodo di rigoroso etnocentrismo che non poteva più adattarsi alla visione della sua attività presente167. Kosuth, che precedentemente considerò l’indagine sui fondamenti del concetto di arte come qualcosa di puro e lontano dall’esperienza168, in questa seconda fase arrivò invece a sottolineare che

“l’ideologia, sia espressa, agita o osservata, è sempre soggettiva; il significato dipende dall’intersoggettività di una comunità”169.

Inoltre l’artista aggiunse che l’arte, l’antropologia e la storia sono sia creative che costitutive e perciò queste tre discipline devono dialogare tra loro, poiché soltanto dall’interazione tra campi di studio diversi potrebbe nascere e consolidarsi qualcosa di nuovo e importante170.

Secondo gli studi dei due antropologi George E. Marcus e Fred R. Myers il confine tra l’arte e l’antropologia non è mai stato molto netto. Le due discipline, affini in quanto luoghi di discussione per la comprensione e la valutazione dell’attività culturale, dovrebbero collocarsi entrambe in una posizione critica rispetto alla modernità. In aggiunta a ciò, i due studiosi hanno sostenuto che è possibile considerare l’arte come un terreno valido per discutere i valori culturali della nostra società, uno spazio nel quale la diversità e l’identità vengono prodotti e contestati. Allo stesso modo, l’antropologia, ponendo al centro della sua attenzione l’uomo e la sua cultura, dovrebbe cercare di svelare i molteplici significati della realtà oltrepassando i rigorosi pregiudizi e insistendo sul fatto che nessuna

165 Kosuth J., 1987d, pp. 74-75. 166 Ibidem. 167 Ibidem. 168 Kosuth J., 1987b, pp. 19-40. 169 Kosuth J., 1987d, p. 75. 170 Kosuth J., 1987f, pp. 95-111.

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dimensione della nostra vita possa essere considerata isolata dalle altre171. Ciò sembra seguire la traccia lasciata da Edward Burnett Tylor nella sua opera Primitive culture del 1871, in cui l’antropologo britannico formulò il suo concetto di cultura che fu per il tempo rivoluzionario. La cultura era per lo studioso una fitta rete creata “dall’insieme di conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e qualsiasi altro prodotto e modo di vivere dell’uomo che vive in società”172; quindi quanto promosso da Tylor radunava insieme tutte le attività umane poiché nulla poteva essere considerato in una dimensione separata dal complesso173.

Tuttavia, è bene ricordare che nel corso del tempo gli studi antropologici subirono svariate modifiche, cambiamenti, contestazioni e che non sempre questa disciplina si dimostrò neutra rispetto alle circostanze politiche del mondo occidentale: “l’antropologia è stata oggetto della civiltà imperiale contemporanea”174 affermò Stanley Diamond nei suoi studi. Fu così che, dal bisogno di rivedere la disciplina, nacque negli anni Sessanta del Novecento un filone critico che mise in discussione alcuni fondamenti basilari della materia175 e fu proprio da questo indirizzo specifico che Joseph Kosuth attinse per lo sviluppo delle sue ricerche.

171 Marcus G. E., Myers F. R., 2008, pp. 155, 164.

172 http://www.treccani.it/enciclopedia/sir-edward-burnett-tylor/ (ultimo accesso ottobre 2018). 173 Ibidem.

174 Diamond S., 1979, p. 379. 175 Galli Callari M.,1979, p. 10.

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3.2 L’importanza dell’impegno: la New School for Social Research e le prospettive