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Il ruolo di Joseph Kosuth nel tempo presente: un’osservazione sulla sua posizione

Da Modus Operandi al lascito concettuale: un percorso in evoluzione

4.2 Il ruolo di Joseph Kosuth nel tempo presente: un’osservazione sulla sua posizione

Insegnare: una strategia wittgensteiniana

Per riuscire a comprendere la figura controversa di Joseph Kosuth è necessario osservare non soltanto le sue opere e la sua produzione teoria ma anche l’attività di insegnamento, che si rivelò per l’artista un’esperienza significativa. Egli iniziò a insegnare molto presto, quando ancora non aveva ultimato gli studi: il primo incarico gli venne assegnato nel 1967 da Silas Rhodes, Direttore della School of Visual Arts di New York, scuola nella quale l’artista concettuale stava studiando. Mantenne questa posizione per molti anni, fino al 1985, e la carriera da insegnante gli valse numerosi riconoscimenti in tutto il mondo. Fu invitato infatti come Visiting Professor in numerose altre istituzioni: dalla Yale alla Cornell University, fino ad Oxford, solo per citarne sono alcune285. Insegnò inoltre alla Staatliche Akademie der Bildende Kunste di Stoccarda tra il 1991 e il 1997, presso la Kunstakademie Munich, nonché all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia presso la Facoltà di Design286.

Tra le varie esperienze vissute dall’artista si ricorda in particolare un seminario che svolse a Como nel 1995 presso il Corso Superiore di Arte Visiva della Fondazione Antonio Ratti, intitolato Lavoro Localizzato. All’interno di questo seminario gli studenti furono chiamati a scrivere un progetto in modo anonimo, affidandone poi la realizzazione a un altro allievo. Attraverso questo tipo di attività i futuri artisti non avrebbero solamente dovuto realizzare i lavori degli altri compagni semplicemente eseguendoli ma avrebbero dovuto anche essere in grado di mostrare le proprie capacità al fine di trasformare e interpretare il lavoro pensato in un vero processo creativo. Questo tipo di scelta, spiegò Kosuth, mirava a smontare il pregiudizio per cui l’opera d’arte nasce semplicemente dalla magia dell’ispirazione di una singola persona. Secondo l’artista, infatti, saper agire creativamente sull’idea di un’altra persona riflettendo e generando nuove idee a partire da essa

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corrispondeva a creare arte attraverso un processo intersoggettivo. Tale procedura si indirizzava ben oltre all’attività pensata esclusivamente per gli studenti del corso di Como: essa infatti si inseriva all’interno di un modo di vedere, maturato dopo la svolta antropologica, per cui l’artista era colui che riusciva a creare un rapporto diretto con la propria società e con il contesto sociale di appartenenza, non quindi un genio romantico relegato ai confini della società287. Kosuth sostenne inoltre che l’obiettivo principale del lavoro svolto a Como era quello di mettere gli studenti in relazione con il processo del fare dell’arte, creando una specie di intuizione wittgensteiniana, un’esperienza per cui attraverso il gioco di relazioni e punti di vista differenti si riuscisse a costruire nuovi significati288.

Il lavoro si strutturava nel seguente mondo: ogni studente doveva scrivere un testo nel quale venivano inserite le istruzioni per la realizzazione dell’opera, ma esse dovevano lasciare il realizzatore del progetto libero di interpretare autenticamente e personalmente quanto era stato indicato. Ogni studente era inoltre invitato a discostarsi dai mezzi tradizionali che aveva sempre utilizzato, quelli con cui poteva avere più familiarità, allo scopo di scegliere una forma di presentazione del lavoro che fosse veramente appropriata a esprimere il significato della creazione artistica. In questo modo lo studente non avrebbe dovuto interpretare la scelta di un tipo particolare di materiale, bensì il concetto complessivo incluso nel progetto289. Attraverso questo approccio Kosuth voleva, come visto poco sopra, invitare gli studenti a prendere consapevolezza del loro ruolo futuro di artisti nella società. Tale aspetto veniva soddisfatto nella riflessione sulla paternità della loro opera e anche il titolo che venne dato al seminario Lavoro Localizzato si allineava con quanto pensato da Kosuth. Lo svolgimento di questo processo doveva rendere consapevoli gli allievi di quel sottile passaggio tra l’ideazione dell’opera e la sua contestualizzazione nella società. Se il futuro artista non doveva essere un genio romantico, egli doveva, secondo Kosuth, prendere consapevolezza fin da subito nella sua formazione del destino della sua opera. Questo aspetto viene analizzato attraverso quel sottile passaggio che avviene fin dall’inizio del laboratorio, quando gli studenti affidano la loro idea e quindi la loro opera a qualcun altro che si occuperà non solo di realizzarla ma di localizzarla, di porla in un certo contesto. Tale passaggio doveva incentivare gli quindi gli allievi a prendere consapevolezza del destino mutevole che può avere l’idea nello sviluppo dei

287 Pietrantonio G., 1997, pp. 10-13. 288 Daneri A., 1997, pp. 44-51. 289 Pietrantonio G., 1997, pp. 10-13.

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processi. Nel complesso mercato dell’arte, infatti, spesso l’artista perde il controllo della sua opera nelle dinamiche commerciali. Come visto in precedenza290, questo si rivela essere un grosso rischio per il ruolo dell’artista che, perdendosi nel multiforme e articolato sistema dell’arte, rischia di alienarsi dalla realtà concreta entro cui invece dovrebbe agire291.

Nella realizzazione del progetto artistico e quindi nello scambio tra diverse intersoggettività, quello a cui mirava Kosuth era altresì invitare gli studenti a cogliere la specificità della loro esistenza, ossia quelle qualità che facevano di loro degli individui parte di un contesto storico e sociale. Soltanto attraverso questo passaggio essi sarebbero poi riusciti a cambiare l’idea di arte ed entrare quindi nei processi che definiscono i significati della nostra realtà. L’artista, infatti, dovrebbe essere colui che riesce a espandere il concetto di arte e a elaborare personalmente e socialmente un’esperienza più significativa292.

Premi e riconoscimenti nel sistema dell’arte

La posizione di Kosuth in relazione al sistema dell’arte è piuttosto ambigua poiché mostra nel complesso aderenze e discontinuità. Si rivela perciò utile osservare i premi e i riconoscimenti che arrivano dal sistema che lui spesso tende a criticare.

L’artista, infatti, ha affermato di entrare in contatto con i galleristi soltanto perché vede in loro degli agenti commerciali; inoltre si è schierato anche contro gli storici dell’arte e i critici i quali, a suo avviso, sono spesso fermi nelle loro austere posizioni dalle quali esprimono giudizi troppo facili e prendendosi meriti che invece spetterebbero agli artisti; essi infatti spesso si spacciano come i proprietari della creazione solo perché si sentono come dei custodi di un potere consolidato dalla storia e dal tempo293. Nel recente saggio Intention l’artista espresse chiaramente la diffidenza nei loro confronti attraverso le seguenti parole: 290 Supra, cap. 3. 291 Poli F., 2011, pp. 175, 182. 292 Pietrantonio G., 1997, pp. 10-13.. 293 Daneri A., 1997, pp. 44-51.

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“I felt again the distance between the art historian's approach and mine. What this suggests

is that the art-historical process is a kind of conspiracy, even if unwittingly so, to politically disenfranchise my activity as an artist”294.

Tuttavia, sono molteplici i riconoscimenti che Kosuth ha ricevuto nel tempo da istituzioni culturali appartenenti al sistema artistico. Il primo premio gli fu dato dalla Cassandra Foundation nel 1968, successivamente ricevette il Frederick Weisman Award nel 1991 e la Menzione d’Onore alla Biennale nel 1993, nonché il Chevalier de l’Ordre des Art set des Lettres dal governo francese, per citarne solo alcuni.

È inoltre significativo notare come fin dagli inizi della sua carriera Kosuth si sia sempre appoggiato a mercanti e galleristi: dal noto Leo Castelli, che lo seguì da quando l’artista aveva ventiquattro anni fino al 1999, al mercante newyorkese Sean Kelly, che lo rappresenta a partire dai primi anni Novanta; tra le collaborazioni storiche è inoltre opportuno ricordare anche la gallerista napoletana Lia Rumma, che sostiene l’artista da circa trent’anni295. Un ulteriore dettaglio curioso è il matrimonio dell’artista con la storica dell’arte Cornelia Lauf, da cui si separò ma con cui continuò nel tempo a collaborare: di recente infatti l’ex moglie ha curato per l’artista l’installazione Colour In Contextual Play, esposta lo scorso anno presso la galleria Mazzoleni di Torino296.

294 Kosuth J., 1996, passim. 295 Biggiero F., 2003, pp. 32-35.

296https://www.artribune.com/mostre-evento-arte/joseph-kosuth-colour-in-contextual-play-neon-in-

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4.3 L’eredità concettuale sull’arte postmoderna: dal linguaggio privato a una rete