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CAPITOLO I INTRODUZIONE AL CONTESTO STORICO E LETTERARIO

2.2 Il valore dell’azione

2.2.3 L’azione finale

Yukio Mishima, come coronamento dell’azione finale, scelse la via del suicidio ovvero tramite seppuku (o chiamato anche harakiri) un rituale consistente nello sventramento. Inoltre è anche uno dei metodi più dolorosi che si possa scegliere per mettere fine alla propria vita, poiché avviene letteralmente attraverso lo squarciamento del proprio ventre. Nella tradizionale cultura giapponese si pensa che l’anima risieda proprio all’interno dello stomaco; quindi così facendo, il pensiero che si vuole trasmettere è proprio quello di vedere nel seppuku un’azione che ti permetta di pugnalare direttamente il cuore della propria anima.

Per secoli è stata una forma tradizionale di suicidio onorata principalmente dalla classe samuraica.

La persona che lo commette è in accordo anche con un secondo individuo che ha il compito di decapitarlo con un solo colpo di spada; questo per far in modo di porre fine il più velocemente possibile alle sofferenze del compagno che commette il suicidio spirituale.

Nel caso di Mishima ad esempio il suicidio venne poi inteso come uno degli atti più romantici commessi insieme all’amico Morita, opponendosi in maniera completa ai fenomeni politici o ideologici, possiamo intenderlo come un supremo atto sessuale. 99 L’aver sacrificato se stessi per il bene del proprio paese e dell’Imperatore, oltre all’aver messo fine alla propria vita per un ideale, che sia estetico, sessuale o politico, significa dover soffocare il proprio ego.

Cosa che non è accaduta con Mishima, che al contrario così facendo è cascato in un terribile paradosso: la sua morte infatti ha semplicemente amplificato il suo personaggio e la sua individualità accrescendo sempre più la sua notorietà; ed è precisamente per le sue azioni compiute quel novembre del 1970 che lo scrittore viene maggiormente ricordato.

Per spiegare e insieme comprendere la morte di Mishima è importante focalizzare maggiore attenzione verso due sfaccettature differenti: personale e sociale, estetico e politico, entrambi inseparabili gli uni dagli altri.100

Ci si può ovviamente domandare se Mishima credesse fermamente sulla positiva riuscita del suo colpo di stato. Di fatto, era sicuro che l’attacco sarebbe effettivamente avvenuto nel quartier generale delle Forze di Autodifesa, ma è improbabile che un uomo così lungimirante come Mishima potrebbe aver immaginato in date circostanze, riguardo l’ottima riuscita del colpo di stato stesso. Ed è oltremodo difficoltoso provare a ipotizzare

99 Ibidem…

che cosa e in che modo avrebbe potuto agire nella circostanza in cui avrebbe davvero avuto la meglio, per quanto riguarda la sua “missione”. Oltretutto all’interno della stessa era prevista e inclusa la cerimonia del seppuku, si potrebbe anche supporre quindi che Mishima avesse volutamente sperato di fallire nel suo tentativo di colpo di stato proprio perché aveva progettato con piena determinazione il piano di porre fine alla sua vita. Per esprimersi in altri termini, la sua determinazione a togliersi la vita era maggiore rispetto a quella di portare a termine positivamente il colpo di stato.

In ogni caso vi sono numerose prove che darebbero validità a questa affermazione. Mishima tenne un’esposizione d’arte un po’ inusuale ai grandi magazzini di Tōkyō, mettendo in mostra non soltanto le sue opere letterarie ma anche una serie di manoscritti che risalerebbero al suo periodo scolastico; infatti oltre le foto dello stesso scrittore le quali lo ritraevano durante il periodo della sua infanzia, vi erano vere e proprie immagini di compiti ed esercizi.

In una lettera che Mishima scrisse a una sua insegnate di scuola, datata circa la settimana antecedente l’incidente del 25 novembre, Mishima facendo riferimento al quarto volume della sua tetralogia affermò:

the end of this work will mean the end of my world.101

Riportando le parole di Mishima del suo ultimo capolavoro, afferma:

While I am engaged in writing this long novel, my life comprises two kinds of reality. As exemplified by the episode that Balzac on his death-bed called the doctor whom he created in his work, writers very often confuse the two

kinds of reality. But it has been my essential principle of life and art never to confuse the two…

So long as I do not commit myself ultimately to either of the two kinds of reality but seek the source of the impulses for creation in the tension between the two, the act of writing does not mean to be always under the spell of the inspiration inherent in the created world, but on the contrary to confirm the basis of my own freedom at every moment. This freedom is not the so-called freedom of a writer: it is the freedom to choose at any moment either of the two kinds of reality. I cannot keep on writing without this sense of freedom. Briefly, the alternative for my choice is to dismiss either literature or life. I keep on writing in the extremity of suspending the choice. A confirmation of freedom at a certain moment warrants this suspension, which is equivalent to the act writing.

A writer can never express adequately his painful feeling when he becomes confined to the created world of his own work.

I still have a volume, the last volume, to write. I forbid myself to ask “What will become of me when I complete this novel?”. I cannot conceive of the world after I finish this novel.102

Dalle parole dell’autore risulta semplice evincere la sua decisione finale di mettere un punto alla sua esistenza attraverso la pratica del seppuku, non appena terminata la sua ultima opera.

Eppure questo passaggio del testo sfuggì all’attenzione dell’occhio del lettore, la prima volta che esso venne pubblicato. Sembrava proprio il voler anticipare la sua imminente morte.

Teoria successivamente approvata dalla seguente citazione adoperata dallo stesso Mishima, la quale venne estrapolata da una lettera di Yoshida Sōin, un patriota di fine periodo Tokugawa che morì in prigione proprio il 25 novembre dell’anno 1860:103

Some perish in body but live in soul; it is useless to live with a dead soul; one loses nothing by dying so long as one’s soul us alive.104

È ormai risaputo che prima del fatale incidente di quella mattina del 25 novembre 1980, Mishima consegnò l’ultima parte del quarto manoscritto della sua tetralogia “Il mare della fertilità”.

Il completamento della sua ultima opera segnò il punto di rottura tra il delicato equilibrio del mondo creato dal suo stesso lavoro e dell’impegno per la vita. Così dovette affrontare la libertà di dover scegliere. In questo senso la morte di Mishima non fu una semplice sconfitta passiva. Al contrario egli ebbe l’onere di controllare la sua stessa vita.

Proprio questa situazione si dimostrò essere come uno dei paradossi. Nel senso che, se Mishima fosse stato uno di quegli scrittori che, come accadde nei suoi primi anni lavorativi, pur sentendosi ostacolato dalla debolezza di un corpo che la vita gli aveva donato, avrebbe comunque compensato il suo senso di inadeguatezza attraverso la stesura dei suoi lavori. Così facendo avrebbe scelto di continuare a vivere.

Invece, come successivamente accadde, acquisendo forza fisica riuscì in un certo senso a superare quel grande ostacolo psicologico che la sua debolezza fisica in passato gli aveva creato,

103 Non vi sono dubbi che Mishima utilizzò la stessa data per commettere il suo suicidio spirituale, in commemorazione a Yoshida Shōin.

permettendo così alla sua anima di divenire eterna continuando a vivere.105

In conclusione il vero paradosso fu quello che Mishima riuscì a raggiungere la vera pienezza della vita, solo attraverso la scelta di morire.

La morte di Mishima potrebbe ricordarci anche quella di altri due scrittori giapponesi molto noti, ovvero Akutagawa e Dazai. Ma il significato della morte di Mishima differisce da quella degli altri scrittori, perché Akutagawa e Dazai furono quel genere di fragili intellettuali cui Mishima riteneva necessario trascendere. Il loro suicidio infatti non era finalizzato alla presa di potere della propria vita quanto a quello della pura sconfitta. Il colpo di stato intrapreso da Mishima non fu la causa, bensì la giusta occasione per suicidarsi: la forza trainante riguardò un motivo personale ed estetico, la pura speranza di ottenere l’integrità e la completezza della vita, solo attraverso la morte.

Il suicidio di Mishima non fu il risultato dell’antitesi tra la vita e la morte: lo scrittore così agendo riuscì a raggiungere la massima completezza di entrambe.106