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B ROCKELMAN , 1927:830 72 L ENORMANT , 1872:40.

73 DEL RÍO SÁNCHEZ, 2004:187. 74 MENGOZZI, 2010:299.

Il sistema garšūnī

maronita in epoca ottomana, per quel che riguarda la nascita del garšūnī in sé occorre risalire almeno fino all’XI secolo, quando i melchiti si servirono per primi

della propria grafia siriaca per scrivere l’arabo. Ciò solleva alcuni dubbi sulla reale valenza di una così ‘moderna’ presa di coscienza identitaria in seno a comunità di cui quasi nulla possiamo affermare con certezza per quanto attiene al loro ruolo culturale, sociale ed economico nel Vicino Oriente medievale.

1.3.3. Il Collegio Maronita romano e la promozione maronita

Anche dopo la caduta politica dei regni cristiani d’Oltremare e la conquista turca ottomana del Levante, i contatti tra la Chiesa romana e i cristiani orientali non terminarono. A partire dal XVI secolo, anzi, il Vicino Oriente fu meta ambita degli

ordini predicatori e missionari, i cui esponenti si installarono presto nelle principali città. Anche nelle corti e nelle accademie europee il rimpianto per i regni perduti si era andato trasformando in curiosità culturale e in moda intellettuale. Nel 1530 Francesco I aveva fondato il Collège Royal per l’insegnamento in Francia delle

lingue orientali e, dieci anni dopo, Guillaume Postel aveva dato alle stampe la prima grammatica araba in latino. Nel 1565 ad Anversa, in terra di Riforma, aveva avuto inizio la prima edizione di una Bibbia poliglotta ebraica, aramaica, greca e latina. Nel 1584, la Chiesa romana replicò agli interessi orientalistici d’Oltralpe con la creazione del Pontificio Collegio Maronita. I contatti privilegiati instaurati in epoca franca tra la Chiesa di Roma e le comunità maronite libanesi non erano venuti meno con la fine dei regni latini, e alcuni esponenti ecclesiastici maroniti di rilievo avevano compiuto i loro studi a Roma ben prima della nascita del Collegio. Come si è ricordato in precedenza, lo storico e vescovo di Cipro Ibn al-Qilā‘ī, per esempio, aveva soggiornato in Italia per più di vent’anni già nella seconda metà del XV

secolo. Nel corso di tutto il XVI secolo, missionari cattolici, francescani prima,

gesuiti e carmelitani poi, si recarono in Libano per stringere contatti con le comunità locali. Nel 1578, papa Gregorio XII inviò due gesuiti, Giovan Battista

Eliano e Tommaso Raggio, con l’incarico di organizzare più saldamente le gerarchie maronite nelle mani del patriarca (a questo scopo si tenne nel 1580 un concilio a Qannūbīn) e di stilare un elenco dei libri ecclesiastici autorizzati (con

Il sistema garšūnī

conseguente rimozione e distruzione dei non autorizzati, come afferma qualche fonte).75 Ma fu proprio la fondazione del Collegio Maronita a lanciare un ponte stabile tra l’Europa e il clero maronita libanese.

Dalla lista degli allievi contenuta nei documenti della Santa Sede indagati da Nasser Gemayel, si evince che il reclutamento delle giovani leve ecclesiastiche maronite aveva come principale ‘serbatoio’ le province del Libano settentrionale, dalle quali provenivano i due terzi degli studenti, seguite poi da Cipro e dalla regione di Aleppo.76 Questi dati sono facilmente ricavabili dai nomi degli studenti registrati, dal momento che i giovani libanesi venivano ‘ribattezzati’ a seconda del luogo di provenienza, per sopperire burocraticamente alla mancanza di un ‘cognome’ secondo l’uso occidentale dell’epoca. Giunti a Roma poco più che bambini, gli aspiranti vertici della chiesa maronita venivano sottoposti a una full

immersion scolastica che avrebbe dovuto garantir loro un’ottima preparazione

culturale, nonché gli strumenti atti a intraprendere la loro missione educativa in Oriente. Tra le materie di studio figurava anche il garšūnī, grafia nella quale gli allievi dovevano saper leggere le Scritture. In pratica, tuttavia, il regolamento del Collegio, stabilito dal cardinale Carafa, imponeva agli allievi l’uso del latino o dell’italiano sia a lezione, sia durante la ricreazione, e permetteva di ricorrere all’arabo soltanto nei giorni di festa. Sembra piuttosto scontato sottolineare che, così facendo, un bambino finisce presto per dimenticare la lingua natia. Nel 1630 se ne accorsero anche al Collegio e nel nuovo regolamento cercarono di porre rimedio al fatto che gli studenti, tornati in patria, venivano a trovarsi privi del principale sussidio della predicazione, ossia la conoscenza del loro vernacolo.77 La marcata italianizzazione dell’arabo colloquiale utilizzato dagli allievi del Collegio è evidentissima, per esempio, nella nota redatta nel 1666 da Niʿmeh al-Hasrūnī, zio di Giuseppe Simone Assemani e, all’epoca, studente a Roma. Nel suo scritto, Niʿmeh

75 GEMAYEL, 1984a:20. 76 GEMAYEL, 1984a:41. 77 GEMAYEL, 1984a:46-50.

Il sistema garšūnī

si serve dell’alfabeto siriaco, del lessico arabo e della sintassi italiana, creando un suggestivo iper-garšūnī estremamente pittoresco.78

Il Collegio Maronita ebbe un ruolo molto importante nella formazione del clero maronita e nella configurazione dell’orientalistica occidentale. Quasi tutti i ‘mediatori culturali’ con il mondo arabo, nelle corti e nelle accademie europee dei secoli XV-XVIII furono maroniti provenienti dal Libano settentrionale. La maggior

parte dei testi orientali copiati in Europa fu opera di scribi maroniti libanesi. Lo stesso catalogo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana acquisiti fino alla metà del XVII secolo è opera di due letterati ed ecclesiastici maroniti libanesi.

La naturale predilezione dell’ambiente maronita nord-libanese per il garšūnī - ben comprovata dalle note del patriarca Pietro già nella prima metà del XII secolo -

dovette trovare in Europa un terreno particolarmente fecondo, forse perché l’uso delle lettere siriache per la composizione di testi arabi poteva facilitare la composizione tipografica di testi bilingui.

Anche in Oriente l’impiego del garšūnī trova slancio a partire dal XVI secolo e i

cataloghi dei fondi manoscritti ne registrano infatti un progressivo aumento,79 prima presso le comunità più prossime alle regioni a predominanza maronita (siro- occidentali libanesi e siriani, melchiti di cultura siriaca) e poi presso i siri-orientali. In ambito siro-orientale, il fatto che le fonti a nostra disposizione siano di provenienza caldea e siro-cattolica ha portato Briquel Chatonnet a ipotizzare che in Oriente il fenomeno sia stato non soltanto più marginale, ma quasi del tutto circoscritto a un contesto di unione con Roma, tanto da far pensare che l’uso del garšūnī sia stato introdotto in Iraq grazie a qualche membro della chiesa siriaca cattolica,.80 già di per sé tradizionalmente legata alla stessa cultura siriaca occidentale dei siro-ortodossi e dei maroniti.

78 Cfr. annotazione W114b.

79 In ambito maronita, la preferenza accordata al garšūnī sembra anzi trasformarsi col tempo

in vero e proprio obbligo, tanto che il Concilio di Qannūbīn del 1755 ne impone l'impiego, vietando l'uso dell'alfabeto arabo agli scribi maroniti. Cfr. KALLAS, 2008:255.

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