80 B RIQUEL C HATONNET , 2005:469.
2.2. La fonte melchita: Vaticano siriaco
Il codice pergamenaceo Vat. sir. 19, che contiene un lezionario melchita regolato secondo un ciclo annuale che va dalla domenica di Resurrezione al Sabato Santo, venne descritto per la prima volta nel catalogo di Stefano Evodio e Giuseppe Simone Assemani, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Codicum Manoscriptorum
Catalogus, II, Codices Chaldaicos sive Syriacos, Romae 1758, pagg. 70-103 e poi,
verso la fine del XVIII secolo, da J.G.C. Adler, Novi Testamenti Versiones Syriacae
Simplex, Philoxeniana et Hierosolimitana, Hafniae 1789, pp. 137-202. Nel secolo
successivo, il testo del lezionario conobbe una prima edizione assai lussuosa a cura di Francesco Miniscalchi Erizzo, Evangeliarium Hierosolymitanum, I-II, Verona
1861-1864 e, trent’anni dopo, una seconda di Paul de Lagarde, Evangeliarium
Hierosolymitanum, in Bibliothecae Syriacae a Paulo de Lagarde collectae quae ad Philologiam Sacram pertinent, Göttingen, 1892. L’edizione di Lagarde venne di lì a
poco ripresa nel volume curato da Agnes Smith Lewis e Margaret Dunlop Gibson,
The Palestinian Syriac Lectionary of the Gospels, London 1899, nel quale le autrici
l’affiancarono all’edizione di due altri manoscritti analoghi (che qui indicheremo come Sinai A, datato 1104, e Sinai B, datato 1118) ritrovati nel monastero di Santa Caterina del Sinai.
Datato al 1030 e scritto in lingua e in grafia dette cristiano-palestinesi,87 il lezionario melchita Vat. sir. 19 è stato per lungo tempo l’unico testimone noto di
87 Benché i testi evangelici e liturgici cristiano-palestinesi siano solitamente catalogati tra le
versioni siriache del Nuovo Testamento, la loro lingua (chiamata cristiano-palestinese, aramaico palestinese o siro-palestinese) è una varietà di aramaico occidentale che trova attestazioni in Palestina, Transgiordania ed Egitto dal V fino al XIII secolo. La scrittura di questi documenti, evidentemente legata alla grafia esrangelo, se ne differenzia tuttavia per
Il corpus
tale varietà occidentale di aramaico. Come si legge nel colofone garšūnī (f. 194b), il codice venne copiato in un monastero della città di Antiochia, nell'area o nel quartiere di ʾAdqūs o al-Dqūs,88 dal presbitero Elia di ‘Abūd89 di Samaria. Divenuto
in seguito abate del monastero di Kawkab90 che egli stesso aveva fondato, Elia
portò con sé nella nuova sede il codice insieme con altri manoscritti di sua proprietà, come attestavano due note garšūnī, l’una delle quali ora scomparsa, apposte da Elia sul primo folio del codice.91
In Europa, il codice compare ufficialmente nel 1584 quale parte dell’eredità lasciata dal banchiere bibliofilo Ulrich Fugger all’Elettore Palatino. Da Heidelberg, il volume giunse nel 1623 alla Biblioteca Vaticana in seguito all’accessione del fondo palatino.92
Al codice Vat. sir. 19 è stata ampiamente riconosciuta una notevole valenza storica e linguistica, poiché esso rappresenta una delle poche e preziose testimonianze della vitalità della cultura cristiano-palestinese in seno alle comunità orientali. Pur non essendo tramite di una letteratura originale, questa lingua venne impiegata per tradurre dal greco i testi liturgici in uso alle comunità melchite e, dal
la sua struttura, che DESREUMAUX, 1987:106 definisce geometrica e orizzontale,
nettamente diversa da quella lineare e verticale del siriaco. (Cfr. DESREUMAUX, 1987; DESREUMAUX, 1998a; MÜLLER-KESSLER, 1994; MÜLLER-KESSLER e SOKOLOFF, 1998).
88 ASSEMANI, 1758:101 interpreta il termine come errore o variante per al-quds, e traduce
“e regione Terrae Sanctae”. BURKITT, 1899:121 ritiene invece ʾadqūs < al-dqūs la resa
araba del termine al-dūqs, dal greco δούξ (lat., dux). Secondo Burkitt, con l’appellativo “Antiochia del dux” si sarebbero designati quei quartieri di Antiochia all’epoca sotto il dominio di un dux greco, in contrapposizione con i quartieri dell’‘Antiochia degli Arabi’, ossia della porzione di città sotto la dominazione musulmana. Sul ruolo e l’importanza di Antiochia nella produzione letteraria melkita medievale, cfr. anche DESREUMAUX, 2004.
89 Cfr. LE STRANGE, 1890:182.
90 Il monastero di S. Elia di Kawkab è stato identificato con le rovine di un sito, a circa 1,5
km a SE del villaggio di ‘Abūd, noto come Khirbet Sheikh Ibrahim. Cfr. BAGATTI, 1979: 119-120; PRINGLE, 1993:196.
91 Vedi annotazioni Vs19-1a e Vs19-1b. 92 LEVI DELLA VIDA, 1939:307.
Il corpus
momento che essa non trova attestazioni al di fuori di questa confessione, Alain Desreumaux ha proposto di chiamare questa lingua, e la sua resa grafica, “aramaico melchita” tout court.93 Questa varietà di aramaico fu la lingua liturgica e veicolare delle comunità melchite palestinesi fino almeno al XIII secolo e finì poi per
scomparire soppiantata dall’arabo.
Tra le prime testimonianze dell’arabizzazione relativamente tarda delle comunità melchite palestinesi occorre annoverare proprio le rubriche, il colofone e le annotazioni apposte nell’XI sec. al Vat. sir. 19, insieme con le rubriche e i
colofoni dei posteriori Sinai A e Sinai B94. Benché l’abbinamento di grafia
cristiano-palestinese e lingua araba non sia largamente testimoniato e possa sembrare inusuale anche agli studiosi, un sistema di scrittura che preveda l’impiego di una grafia affine all’esrangelo per scrivere la lingua araba rientra a pieno titolo
nella definizione di ‘sistema garšūnī’. Le tre annotazioni garšūnī al Vat. sir. 19, pur ormai parzialmente perdute, costituiscono una testimonianza importante per la storia e la diffusione di questo sistema di scrittura, sia dal punto di vista cronologico, poiché datano a un’epoca precedente a quella attestata in ambiente maronita, sia dal punto di vista geografico, perché dimostrano la diffusione di questo sistema in area egiziano-palestinese e in ambito melchita.
Foglio Data Luogo Contenuto
Vs19-1a post 1030 Kawkab Il monastero di Kawkab
Vs19-1b post 1030 Kawkab I doni al monastero
Vs19-194b-195a 1030 Antiochia Il colofone di Elia
SinaiA (LEWIS, 1899:297) 1104 Il colofone di Mufrīğ SinaiB (LEWIS, 1899:297) 1118 Il colofone di Pietro 93 DESREUMAUX, 1987:107. 94 LEWIS, 1899.
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