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Capitolo 3. Profili di espressione genica dei tumori colorettali con instabilità

3.1. Background e razionale

L’instabilità dei microsatelliti (MSI-H o MSI high) costituisce un marcatore fenotipico e molecolare del deficit del sistema di riparazione del DNA mismatch repair (MMR). I microsatelliti sono corte sequenze geniche ripetute in tandem 10-60 volte (STR, Short Tandem Repeat), costituite da 1 a 6 paia di basi e distribuite nel DNA sia in regioni codificanti che non codificanti; esse sono inoltre altamente polimorfiche tra gli individui. La loro natura ripetitiva le rende vulnerabili all’accumulo di mutazioni durante la replicazione del DNA, in particolare inserzioni e delezioni (mutazioni frame-shift) che, normalmente, vengono corrette dal sistema del MMR mantenendone la stabilità. La disfunzione di tale meccanismo di riparazione del DNA determina variazioni nel numero di ripetizione degli STR, configurando il fenomeno dell’instabilità microsatellitare. 211-15

Il MMR è costituito da 4 geni (MLH1, MSH2, MSH6 e PMS2) ed il suo deficit può verificarsi sia per la presenza di mutazioni germinali in uno di questi, come avviene nella Sindrome di Lynch, sia per alterazioni de-novo nelle cellule tumorali, quali la doppia mutazione somatica di uno o più dei geni sopra descritti o loro inattivazione epigenetica. Quest’ultima condizione è la più frequente nell’ambito dei tumori MSI- H colorettali e gastrici ed avviene generalmente a carico del gene MLH1.211

L’instabilità dei microsatelliti è una caratteristica molecolare condivisa da diversi tipi di tumori, soprattutto da quelli ginecologici e gastrointestinali. Tra i ginecologici i tumori endometriali di tipo I (con istotipo endometrioide e ormono-sensibili; il 70- 80% del totale) sono quelli che più frequentemente presentano instabilità dei microsatelliti e risultano essere circa il 9-45% tra i casi sporadici. I tumori ovarici MSI-H sono invece più rari, con frequenza del 7-22% tra i casi sporadici.212-213 Tra i

tumori gastrointestinali, oltre al CRC, anche i tumori gastrici ed epato-bilio- pancreatici sono talvolta instabili. Approssimativamente nei tumori gastrici la frequenza del fenotipo MSI-H varia dall’8-37% dei casi, nei tumori epato-biliari dallo 0 al 18% e in quelli pancreatici dallo 0 al 13%.

91 La prevalenza dei tumori del colon-retto con MSI-H è diversa a seconda dello stadio: 15% dei CRC nello stadio II-III, 4-5% nello stadio IV. 211

I tumori colorettali MSI-H hanno caratteristiche peculiari e specifiche da un punto di vista clinico, istologico e molecolare.

Complessivamente, per quanto riguarda gli aspetti clinici, essi sono più frequentemente diagnosticati in giovane età e ad uno stadio precoce rispetto ai CRC MSS; inoltre sono localizzati più frequentemente nel colon destro. L’età alla diagnosi delle forme sporadiche di CRC MSI è mediamente più avanzata (generalmente >50 anni) rispetto a quelli associati alla Sindrome di Lynch (generalmente <50 anni).211

Dal punto di vista cito-istologico i tumori colorettali MSI-H presentano più frequentemente un istotipo mucinoso e differenziazione cellulare ad anello con castone rispetto ai tumori MSS. I tumori MSI-H mostrano inoltre spesso scarsa differenziazione e una maggior frequenza dell’istotipo midollare, solitamente raro.211

Nei casi MSI high peculiare è l’elevata infiltrazione linfocitaria all’interno del tumore, talvolta con aspetto “Crohn like”. Una così elevata presenza di linfociti infiltranti il tumore (TILs) è direttamente dovuta al deficit del sistema MMR, poiché l’accumulo di mutazioni frame-shift a livello del DNA determina la formazione di peptidi con sequenze amminoacidiche alterate, che costituiscono neo-antigeni. Essi vengono presentati ai linfociti dal sistema HLA di classe I, attivando così una importante risposta immunitaria anti-tumorale. Nei tumori MSI-H, sia familiari che sporadici, l’elevata infiltrazione dei linfociti si trova più spesso a livello della membrana basale delle cellule tumorali, con il pattern definito ITCL (Intra-Tumor Cell infiltrating Lymphocytes), piuttosto che a livello dello stroma (SIL, Stroma Infiltrating Lymphocytes). Per quanto esista una restrizione antigene-dipendente per le cellule citotossiche CD8+, i neo-antigeni vengono presentati anche ai linfociti CD4+ dalle cellule presentanti l’antigene (APC), ovvero cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B, che a loro volta sostengono l’attivazione delle cellule citotossiche.211

Da un punto di vista molecolare la mutazione di BRAF ha una caratteristica associazione con l’instabilità dei microsatelliti e la sua presenza esclude la Sindrome di Lynch, indirizzando quindi la diagnosi verso una forma sporadica. La mutazione di BRAF si trova inoltre frequentemente associata alla metilazione del promotore di MLH1 nelle forme sporadiche di CRC con MSI-H, mentre è raramente

92 presente nelle forme PMS2 mutate nella linea germinale. Le mutazioni di KRAS (codone 12 e 13) sono, invece, inversamente correlate con lo status MSI-H.211

Secondo la nuova classificazione dei CRC proposta da Guiney e colleghi118 che

divide i tumori del colon in 4 gruppi in base all’espressione genica, i tumori MSI-H rientrano per la maggior parte nel sottotipo molecolare CMS1 (consensus molecular subtype 1; 14% del totale), definito da caratteristiche quali uno spiccato infiltrato infiammatorio con correlata attivazione del sistema immunitario, maggiore frequenza di mutazioni di BRAF, oltre che una cattiva prognosi negli stadi avanzati. L’instabilità dei microsatelliti ha importanti correlazioni prognostiche e predittive. I tumori MSI-H hanno prognosi diversa rispetto ai tumori MSS e stadio-dipendente; in particolare, essa è migliore nei tumori instabili per quanto riguarda gli stadi precoci, e peggiore negli stadi avanzati. 211

A dimostrazione di quanto detto, in un’analisi retrospettiva dello studio QUASAR, che randomizzava pazienti operati radicalmente a ricevere o meno un trattamento adiuvante con 5-FU/LV, il valore prognostico positivo dello status di dMMR si manteneva indipendentemente dalla somministrazione del trattamento. Inoltre, nel braccio di controllo dello studio di fase III PETACC3, che valutava il ruolo dell’irinotecano aggiunto a 5-FU/LV nel trattamento adiuvante, il valore prognostico positivo di MSI-H rimaneva significativo.214-215

In questo stesso studio il ruolo prognostico di MSI high è stato valutato negli stadi precoci anche in associazione al ruolo dello stato mutazionale di BRAF. Ne è emerso che negli stadi II e III l’effetto prognostico negativo della mutazione V600E di BRAF è ristretto ai tumori MSS, mentre sembra influenzare poco la buona prognosi dei tumori MSI-H.216-217 Sulla base di dati provenienti da due grandi

database americani (Nurses’ Health Study e Health Professionals Follow-up Study) e dallo studio CALGB 89803, che valutava l’efficacia della terapia adiuvante con regime IFL (irinotecano, 5-fluorouracile e leucovorin) rispetto al 5-FU/LV, si è messo in luce come i pazienti con migliore sopravvivenza siano quelli con tumore MSI- H/BRAF wt, con sopravvivenza intermedia quelli con malattia MSI-H/BRAF mutata e MSS/BRAF wt, mentre hanno la peggiore prognosi i pazienti MSS/BRAF mutati.218-219

93 Riguardo il setting metastatico sono pochi i dati disponibili, soprattutto a causa della bassa prevalenza dei tumori MSI-H in stadio avanzato, elemento che supporta l’ipotesi che i CRC MSI-H abbiano un minor potenziale metastatico. Tuttavia, diverse osservazioni su CRC recidivati riportano una minore sopravvivenza sia dalla diagnosi di tumore colorettale sia dalla diagnosi di malattia metastatica nei pazienti con tumore MSI-H rispetto a quelli MSS, oltre ad una maggiore frequenza delle recidive a livello locale e delle localizzazioni peritoneali. Questi pazienti risultavano inoltre essere più difficilmente sottoponibili a resezione curativa (minor percentuale di resezioni R0) e beneficiavano in misura ridotta della chemioterapia di conversione, dimostrando una intrinseca chemioresistenza.220

Conferma a queste osservazioni emerge da un’analisi di 4 studi di fase III che valutavano il trattamento di prima linea della malattia metastatica (CAIRO, CAIRO2, COIN, FOCUS): sono state riscontrate una PFS e OS significativamente peggiori nei 153 pazienti con tumore MSI-H a confronto di quelle dei pazienti con MSS (PFS 6.2 mesi vs 7.6 mesi, HR 1.33; IC 95% 1.12-1.57; p=0.001).221 In un’altra analisi

retrospettiva è stato valutato l’impatto della mutazione di BRAF anche nel setting metastatico: i pazienti con tumore MSI-H/BRAF wt avevano una migliore OS rispetto ai pazienti con tumore MSI-H/BRAF mutato (17.3 mesi vs 10.1 mesi; p=0.029).222

Dunque, basandosi su questi risultati, sembra che nel setting metastatico l’instabilità dei microsatelliti possa avere un ruolo prognostico negativo e che le mutazioni di

BRAF possano guidare in parte l’esito di questi pazienti.

Come accennato l’instabilità dei microsatelliti ha anche un valore predittivo nei confronti del trattamento chemioterapico. Dati preclinici hanno mostrato che la presenza dello stato dMMR è associata a resistenza a 5-fluorouracile.223 Negli stadi

precoci di malattia sembra confermata l’assenza di beneficio dal trattamento con fluoropirimidine in monoterapia nei pazienti con CRC dMMR. In particolare una pooled analisi di 5 studi che valutavano l’efficacia del trattamento adiuvante con fluoropirimidina rispetto alla sola chirurgia ha evidenziato un effetto detrimentale della chemioterapia nello stadio II.224-225 Tuttavia, tale effetto negativo della

chemioterapia non è stato confermato nell’analisi retrospettiva dello studio QUASAR, che valutava l’efficacia della chemioterapia adiuvante con 5-FU/LV rispetto alla sola chirurgia nei pazienti in stadio II. Infatti, pur confermato l’effetto

94 prognostico positivo dell’instabilità microsatellitare con un tasso di ricorrenza per i tumori dMMR di circà la metà rispetto ai tumori pMMR, l’efficacia della chemioterapia adiuvante in termini di riduzione del rischio di recidiva non era influenzata significativamente dallo stato MMR.226 Una analisi dall’ACCENT

database ha confermato la migliore prognosi dei pazienti con CRC dMMR allo stadio II in termini di TTR (time to relapse) e OS rispetto ai pazienti pMMR allo stesso stadio, entrambi trattati con la sola chirurgia, vantaggio però attenuato nei pazienti trattati con 5-FU adiuvante (TTR HR=0.81; IC 95%, 0.55-1.19, p=0.29; OS HR 0.87; IC 95% 0.61-1.26; p=0.47).227

Relativamente allo stadio III, in questa stessa analisi dell’ACCENT database, oltre ad essere stato confermato il ruolo prognostico positivo dello stato MSI-H in pazienti che erano stati trattati con la sola chirurgia (tasso di sopravvivenza a 5 anni = 71% vs 54%), è emerso, al contrario dello stadio II, un beneficio significativo in termini di sopravvivenza dall’aggiunta della chemioterapia adiuvante, anche nei pazienti con CRC dMMR, oltre che nei pMMR (tasso di sopravvivenza a 5 anni = 77% vs 59%).227

Quello che emerge, in definitiva, è che la terapia adiuvante con 5-FU non sembra avere un impatto positivo nella prognosi, già di per sé buona, dei pazienti con CRC MSI-H stadio II, mentre il trattamento sistemico post-operatorio dovrebbe essere considerato nei pazienti allo stadio III.

In generale, per quanto riguarda la scelta del trattamento chemioterapico migliore nei pazienti con instabilità dei microsatelliti e stadio II-III, alcuni dati sono stati pubblicati in merito alla relazione tra lo status di MMR e l’efficacia dell’oxaliplatino in associazione alle fluoropirimidine.228-229 Nell’insieme i dati disponibili sembrano

suggerire la capacità dell’oxaliplatino di superare il possibile effetto detrimentale della monoterapia con fluoropirimidine nei CRC dMMR, con il massimo beneficio limitato ai sottogruppi con stadio III e stadio II ad alto rischio.230

Anche nella valutazione del ruolo predittivo dello stato MMR sono pochi gli studi relativi al setting metastatico, poiché solo il 4-5% dei tumori allo stadio IV sono MSI- H. In una meta-analisi pubblicata da Des Guetz e colleghi, nei 91 pazienti con tumore MSI-H sui 964 totali, non è stato trovato nessun miglioramento statisticamente significativo derivante dalla chemioterapia in termini di tasso di risposta rispetto ai pazienti MSS231 e quindi l’instabilità microsatellitare non sembra

95 essere un marcatore predittivo di chemiosensibilità. Per quanto riguarda i farmaci biologici, un’analisi retrospettiva dello studio CALGB/SWOG 80405 che confrontava una terapia con doppietta in aggiunta al bevacizumab o al cetuximab in prima linea nei pazienti RAS wild-type, ha evidenziato una peggiore sopravvivenza nei pazienti che ricevevano il trattamento contenente l’anti-EGFR rispetto ai pazienti che ricevevano l’anti-VEGF.232 Inoltre nello studio PRESSING, che valutava i

meccanismi di resistenza all’anti-EGFR confrontando pazienti RAS e BRAF wild- type resistenti e sensibili a tale trattamento, l’instabilità dei microsatelliti era presente soltanto nel gruppo dei resistenti.122. Quindi la conoscenza dello stato MMR insieme

a quello di RAS e BRAF potrebbe guidare la decisione terapeutica anche in questo setting. I pazienti con tumore colorettale dMMR/MSI-H in fase metastatica costituiscono quindi una popolazione ristretta di pazienti con prognosi peggiore e che sembra beneficiare poco del trattamento chemioterapico convenzionale e probabilmente sembra essere resistente agli anti-EGFR.

Come già precedentemente esposto, i tumori MSI-H sono caratterizzati dall’accumulo di neo-antigeni che determinano l’attivazione di una risposta immunitaria anti-tumorale con conseguente elevata infiltrazione linfocitaria. Questo ha posto le basi per la valutazione del potenziale ruolo dell’immunoterapia, che ad oggi sembra essere molto promettente e potrebbe costituire un‘importante rivoluzione del trattamento in questo contesto.

L’infiltrato infiammatorio linfocitario intratumorale è un fisiologico meccanismo antineoplastico, secondario alla secrezione di citochine quali ad esempio l’IFNγ, che vengono rilasciate normalmente nel microambiente tumorale, con attivazione della risposta immunitaria mediata dai linfociti CD4+ e CD8+. Le cellule neoplastiche, dunque, mettono in atto diverse strategie al fine di sfuggire al controllo immunitario tramite l’accumulo delle cellule T regolatrici, con lo scopo di modificare la risposta immunitaria verso la secrezione di molecole anti-infiammatorie quali TGFβ e IL10, e promuovono l’up-regolazione di molecole checkpoint con funzione inibitoria quali PD1 (Programmed Death protein 1), PDL1 (Programmed Death Ligand 1), CTLA4 (Cytotoxic t-lymphocite-associated protein 4), LAG3 (Lymphocyte-activation gene 3) e IDO (Indoleamine-pyrrole 2,3-dioxygenase) che, come le cellule T regolatorie, controbilanciano l’attivazione del sistema immune. Questo meccanismo comporta l’inabilità del sistema immunitario ad eradicare il tumore. 211

96 L’immunoterapia ha lo scopo di andare a superare questi ostacoli, in modo da aumentare la capacità del sistema immunitario nel distruggere le cellule tumorali. In generale, i tumori che presentano espressione di numerosi neo-antigeni, dipendenti dalla presenza di mutazioni somatiche nelle cellule tumorali sono definiti “ad alto carico mutazionale” o “ipermutati”.233 Il cosiddetto “carico mutazionale del

tumore”, o TMB (Tumor Mutational Burden), rappresenta una misura quantitativa del numero totale di mutazioni presenti rispetto alle regioni codificanti del genoma tumorale e può essere oggi facilmente determinato con tecniche di NSG (Next Generation Sequencing).234 I tumori che hanno più alti livelli di TMB sembrano

essere proprio quelli che esprimono più neo-antigeni e, come confermato in diversi studi, esso sarebbe correlato con la risposta all’immunoterapia. 233-235-236-237

Tumori che tipicamente presentano un alto carico mutazionale, oltre ai CRC MSI- H, sono il melanoma e il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), nei quali, prima di tutti, sono stati infatti riscontrati anche i migliori tassi di risposta al trattamento immunoterapico e nei quali il TMB si è dimostrato un fattore in grado di correlare con la risposta ai farmaci anti PD-1/PDL-1. 238 Anche nei CRC è stato

dimostrato il ruolo predittivo di risposta all’immunoterapia del TMB, superiore rispetto all’analisi dello stato MSI.239-240

I farmaci immunoterapici più studiati nel tumore del colon-retto metastatico sono nivolumab, pembrolizumab e ipilimumab, anticorpi monoclonali che vanno ad ostacolare il legame tra le molecole inibitrici up-regolate dal tumore e quelle presenti sui linfociti, impedendo così l’esaurimento della risposta immunitaria. Nivolumab e pembrolizumab sono inibitori di un recettore di membrana denominato PD-1, espresso dai linfociti T, che ha la funzione di causarne una down-regolazione quando interagisce con i ligandi PD-L1 o PD-L2, espressi sul tumore e su alcune cellule dendritiche; l’interazione PD-1/PD-L1 ha quindi lo scopo di inibire l’attività immunitaria anti-tumorale soprattutto a livello periferico nel microambiente tumorale. Ipilimumab è un anticorpo monoclonale anti-CTLA-4, molecola espressa fisiologicamente sui linfociti CD4+ e CD8+ attivati, che legandosi ai ligandi B7-1 (o CD80) e B7-2 (o CD86), espressi dal tumore e fisiologicamente dalle cellule APC, determina inibizione delle cellule linfocitarie; CTLA-4 ha quindi lo scopo di inibire l’attività immunitaria anti-tumorale soprattutto a livello linfonodale inibendo

97 l’attivazione linfocitaria.

Uno studio di fase I ha valutato la terapia con anticorpi anti-PD-1 in 39 pazienti con tumore solido metastatico refrattario ai trattamenti standard. Solo in un caso tra i 3 con CRC si è verificata una risposta completa e duratura; successivamente si è visto che questo paziente era MSI-H.241 Su questa base sono stati avviati altri studi

per valutare l’efficacia dei farmaci anti-PD-1 nei tumori dMMR.

Nel 2015 Le et al. hanno pubblicato su NEJM i risultati di uno studio di fase II che valutava l’attività clinica del pembrolizumab in 41 pazienti con carcinoma metastatico in progressione ai regimi chemioterapici standard, comprendendo CRC dMMR (coorte A), CRC pMMR (coorte B) e tumori dMMR non colo-rettali (coorte C). I due end-point primari erano il tasso di risposta obiettiva immuno-correlata e il tasso di sopravvivenza libera da progressione immuno-correlata a 20 settimane; questi sono stati entrambi raggiunti in modo statisticamente significativo e con risultati simili nelle coorti A e C, rispetto alla coorte B. Le principali reazioni avverse correlate al trattamento con pembrolizumab sono state tipiche reazioni autoimmuni quali rash o prurito (24%), tiroiditi, ipotiroidismo o ipofisiti (10%) e pancreatiti asintomatiche (15%). Analisi di sequenziamento hanno inoltre rilevato un carico di mutazioni somatiche maggiore nelle coorti dMMR, associato ad una maggiore sopravvivenza.242

Successivamente questo studio è stato ampliato per valutare l’efficacia del blocco di PD-1 in pazienti con 12 diversi tipi di tumore dMMR in stadio avanzato. Lo studio ha coinvolto 86 pazienti che avevano ricevuto almeno una precedente linea di terapia per malattia metastatica e in progressione prima dell’arruolamento. Nel 53% dei pazienti è stata osservata una risposta radiologica obiettiva (46 di 86 pazienti; IC 95%, 42-64%) e nel 21% (18 pazienti) si è registrata una risposta completa; le risposte erano durature con mPFS e mOS che non sono state raggiunte ad un follow up mediano di 12,5 mesi. Il controllo di malattia (misurato come sommatoria di risposte parziali, risposte complete e stabilità di malattia) è stato raggiunto nel 77% dei casi (66 pazienti, IC 95%, 66-85%). Gli eventi avversi verificatisi in relazione al trattamento sono stati maneggevoli ed erano simili a quelli già noti per pembrolizumab. Analisi funzionali in uno dei pazienti in cui si è registrata una risposta hanno dimostrato una rapida espansione in vivo di cloni di cellule T

98 specifiche per neo-antigeni che erano reattive a neo-peptidi ritrovati nel tumore; questi dati supportano l’ipotesi che la grande proporzione di neo-antigeni mutati nei tumori dMMR li rendano sensibili ai checkpoint-inibitori, indipendentemente dall’origine del tumore.243

Sull’evidenza della buona risposta dei tumori con questo assetto molecolare all’immunoterapia sono stati avviati diversi studi nei pazienti con mCRC MSI-H volti a valutare l’efficacia in primis di nivolumab e pembrolizumab.

Nello studio di fase II multicentrico CheckMate 142244 sono stati arruolati in 2 coorti

separate, pazienti con CRC recidivato o metastatico dMMR/MSI-H provenienti da 8 Paesi che avevano ricevuto in precedenza almeno un trattamento per malattia metastatica con fluoropirimidine e oxaliplatino o irinotecano. Nella prima coorte, i pazienti arruolati hanno ricevuto nivolumab alla dose standard di 3 mg/kg ogni due settimane fino a progressione, tossicità inaccettabile o morte. Tra marzo 2014 e marzo 2016, 74 pazienti sono stati inclusi e di questi, ad un follow-up di 12 mesi, 23 (31.1%) avevano raggiunto una risposta obiettiva valutata secondo i criteri RECIST, end-point primario dello studio, e 51 (69%) avevano mostrato un controllo di malattia per 12 mesi o più. La PFS ad un follow-up di 12 mesi era del 50% (IC 95%, 38-61) e la OS del 73% (IC 95%, 62-82). Inoltre, le risposte ottenute sono indipendenti dall’espressione del PD-L1 nel tumore, suggerendo che questo non è un marker predittivo per la risposta al trattamento, e anche dalla presenza della mutazione di

BRAF V600E e dalla diagnosi di sindrome di Lynch. Le reazioni avverse più comuni

di grado 3 e 4 correlate al trattamento sono state l’aumento di lipasi (8%) e amilasi (3%). Questi risultati suggeriscono che nivolumab sia un’opzione terapeutica promettente e che possa permettere risposte anche durature per i pazienti con dMMR/MSI-H mCRC precedentemente trattato.

La seconda coorte dello studio CheckMate 142 ha valutato l’associazione di nivolumab con ipilimumab dato il meccanismo di azione complementare dei due farmaci, che in modo sinergico promuovono l’attività anti-tumorale delle cellule T. In studi preclinici e clinici la combinazione di nivolumab e ipilumumab ha mostrato maggiore attività rispetto alla monoterapia con nivolumab, ma anche un notevole aumento delle tossicità immuno-correlate. L’ipilimumab è stato somministrato alla dose di 1 mg/kg (ridotta rispetto alla dose standard di 3 mg/kg) in associazione al

99 nivolumab alla dose di 3 mg/kg ogni 3 settimane per 4 somministrazioni; successivamente i pazienti ricevevano nivolumab ogni due settimane fino a progressione, tossicità inaccettabile o morte. Nel gennaio 2018 sono stati pubblicati su JCO i risultati relativi a 119 pazienti, dei quali il 76% aveva ricevuto almeno due precedenti trattamenti sistemici; a un follow-up mediano di 13,4 mesi l’ORR registrata era del 54,6% (IC 95%, 45.2-63.8) e il tasso di controllo di malattia per almeno 12 settimane era del’80%. La DCR (Disease Control Rate) per almeno 12 settimane è stata osservata nel 79% dei pazienti (IC 95%, 70.6-85.9). La durata media della risposta non era stata raggiunta. I tassi di PFS erano del 76% (a 9 mesi) e del 71% (a 12 mesi), e i corrispondenti tassi di OS erano dell’87% e 85%. Inoltre,

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