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Petraglia arriva in questa località come prima tappa, ma per lui non sarà un campo di internamento vero e proprio, ma solo di transito: qui viene schedato e riceve il suo numero di prigioniero.

Stalag IX C era un campo di prigionia tedesco per i soldati alleati nella Seconda guerra mondiale. Sebbene il suo quartier generale fosse situato vicino a Bad Sulza, tra Erfurt e Lipsia in Turingia, i suoi sottocampi, Arbeitskommando, erano distribuiti su una vasta area, in particolare quelli che detenevano prigionieri che lavorava- no nelle miniere di potassio, a sud di Mühlhausen. Viene aperto nel febbraio del 1940 per contenere i prigionieri militari polacchi; successivamente arrivano francesi e belgi. Dal 1943 entrano inglesi e italiani.

Leopoli (L’viv) Stalag 328, il primo Lager

È una città dell’Ucraina occidentale che fu occupata dalla Wehr- macht dal 1941 al 1944.

La popolazione della città era composta da moltissimi ebrei e fu praticamente sterminata durante l’occupazione tedesca. Il territo- rio del complesso storico e architettonico soprannominato “Citta- della”, che si trova sulla collina a sud–est della città, viene occupato dalle forze naziste e trasformato in un campo di concentramento inizialmente per i prigionieri sovietici.

Stando alle testimonianze dei prigionieri di guerra sovietici, la torre n. 2 conteneva la stanza degli interrogatori e la cella del braccio della morte. Inoltre erano presenti 3 file di baracche al- loggio e conteneva anche la sede del comando e la prigione. Tutti questi edifici erano racchiusi e circondati da fossati e bastioni. Di fronte alla Cittadella c’era la piazza d’armi per le esercitazioni mi- litari.

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Una delle torri del campo, Wikimedia Commons.

La posizione delle strutture del campo di concentramento è prevalentemente pianeggiante tranne quella della torre sud che si trova su un terreno collinare. L’ex piazzale del campo è divenuto ora sede di garage e parcheggi coperto con uno strato di cemen- to, anche se sotto erano state localizzate numerose fosse comuni. Le strutture difensive sono circondate da fossati e tronchi di terra con muri di sostegno. Gli edifici sono stati costruiti in mattoni, sono presenti dei grandi portali, e anche elementi decorativi in pietra.

L’edificio principale aveva tre ingressi con portali in pietra e in origine erano previsti ponti metallici per accedere. All’interno c’erano due piazzali interni circondati da torri difensive simili a bastioni. Le finestre della struttura erano profonde, simili a ferito- ie. L’interno dei bastioni e delle torri aveva una scala in muratura che portava nei sotterranei dove, stando ai testimoni, avvenivano interrogatori e fucilazioni.

In questo campo oltre a prigionieri sovietici, vennero internati anche francesi, belgi e dall’8 settembre 1943 italiani. I documenti rimasti del campo, sono quelli che i tedeschi non sono riusciti a portare via dato che ci fu la controffensiva russa. Dopo la guerra sono stati ascoltati circa 750 ex prigionieri del campo e le loro te- stimonianze fanno da corredo alla documentazione storica e sono risultati particolarmente importanti ai fini della ricerca.

Il regime del campo era finalizzato alla distruzione fisica dei prigionieri di guerra. La dieta dei prigionieri consisteva in:

1. colazione: due bicchieri di caffè nero, 100 gr. di pane con farina di segatura e con filetti di timo;

2. pranzo: una porzione di zuppa di rifiuti vegetali; 3. cena: acqua bollita e 50 gr. pane.

Nonostante la debolezza fisica e l’esaurimento dei prigionieri, il comando militare tedesco li costringeva a lavorare. Coloro che non rispettavano gli obiettivi lavorativi stabiliti venivano sotto- posti a punizioni corporali. I soldati che cercavano rifiuti di cibo nelle discariche o ricorrevano anche al cannibalismo, venivano puniti secondo le indicazioni del comandante del campo o veni- vano fucilati.

Lo studio del materiale documentario ha mostrato che i pri- gionieri di guerra sovietici venivano tenuti all’aria aperta in gab-

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bie di 100 x 200 metri quadri circondate da filo spinato; gli altri stavano in baracche. La documentazione ritrovata e studiata regi- stra epidemie di tifo e dissenteria; inoltre ci sono testimonianze di fucilazioni di massa e di cremazioni dei prigionieri morti in punti del campo appositamente designati1.

Sulla base di numerose testimonianze oculari di sopravvissuti a questo campo di concentramento, raccolte in 6 volumi, si può tracciare un quadro generale abbastanza preciso di ciò che acca- deva lì.

All’arrivo nel campo i nuovi prigionieri, dopo gli interrogatori venivano suddivisi dal comandante a seconda della motivazione dell’internamento:

1. membri del partito antinazista; 2. i giovani comunisti;

3. nazionalità ebraica; 4. prigionieri di guerra;

5. dopo l’8 settembre 43, Internati Militari Italiani.

Immagine del campo https://www.lvivcenter.org.

1. La testimonianza più comune è che ci siano fosse comuni nella foresta di Lisinichi, poco distante dal campo.

La descrizione che accomuna tutte le testimonianze è la pre- senza di incendi in punti limitrofi al campo e l’odore persistente di carne bruciata.

Nella Federazione Russa sono state conservate negli Archivi Centrali del Ministero della Difesa le PersonalKarte che venivano assegnate ai prigionieri quando arrivavano al campo e subivano mo- difiche durante il trasferimento (alcune con una foto e un’impronta digitale). Fino a poco tempo fa, i materiali erano ancora inaccessi- bili e segretati, mentre ora si trovano all’Archivio di Stato della Fe- derazione Russa (SI della Federazione Russa) a Mosca. Quello che riguarda Leopoli nello specifico si trova nel fondo “Commissione di Stato straordinario per le indagini di crimini e invasori nazisti… (NIR) nella regione di Leopoli” e analizza in particolare le atrocità degli invasori nazisti fino a quando il campo è rimasto aperto, cioè settembre 1944.

Interessante è il fatto che per ordine del procuratore della regio- ne di Leopoli, I.P. Cornetova, fu avviato un procedimento penale sui «crimini degli occupanti nazisti effettuati a Leopoli, sulla morte di civili e prigionieri di guerra in campo di concentramento di Ya- niv, sulle fucilazioni nei boschi di Lysynytskomu e sui prigionieri dei campi presso la Cittadella».

In questo faldone si trova inoltre la documentazione dell’uc- cisione di più di 400 mila persone tramite tortura, fucilazioni di massa, impiccagioni e la successiva cremazione a cielo aperto. Il contenuto del faldone conservato in Archivio a Mosca è molto im- portante perché contiene informazioni sul trasferimento al campo di prigionieri francesi nel 1942 e degli italiani nel 1943. Dal proto- collo di interrogatorio di uno dei testimoni del caso, l’ebreo Edel, un operaio costretto a lavorare all’aeroporto di Leopoli, si è consta- tato che circa 7 mila prigionieri di guerra sovietici lavoravano co- attivamente in questo aeroporto e non ricevevano cibo lasciandoli quindi morire letteralmente di fame.

Nella stessa documentazione leggiamo la notizia che nel campo sono stati ritrovati scarpe e abbigliamento in gran quantità, abban- donati a quanto pare dopo la loro morte. Hanno trovato 400 paia di scarpe e 800 unità di vestiario, per lo più cappotti, uniformi militari, e tra questi le uniformi di 4 piloti militari francesi.

In tempi recenti nel 2001 e nuovamente nel 2010 sono stati ef- fettuati dei sopralluoghi sul sito di quello che era lo Stalag 328 che hanno confermato la presenza di resti umani nel piazzale dove av-

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Foto aerea dello Stalag nel 1944 https://www.lvivcenter.org.

venivano le esecuzioni di massa. Numerose fosse comuni si trovano praticamente all’interno di tutta l’area dell’ex campo di concentra- mento. Durante i lavori di costruzione dell’Hotel–Ristorante “Ci- tadel Inn” nel periodo 2007–2009, albergo situato proprio in quella che era la torre principale dello Stalag, sono state ritrovate grandi quantità di resti umani. Nonostante ciò è stato possibile costruire un albergo di lusso con strutture di intrattenimento nella zona, che è un chiaro sacrilegio. Soltanto nel 2009–2010 con la partecipazio- ne diretta e il sostegno di istituzioni scientifiche è stato creato un progetto di ricerca e conservazione di quello che era lo Stalag 328, in particolare per perpetuare la memoria delle vittime della guerra e della repressione.

All’ingresso dell’Hotel è apposta una targa con scritto: “In me- moria eterna del campo 328”, ma evidentemente non può conside- rarsi sufficiente.

Ercolani Ernesto, stazione di Leopoli2 (Polo culturale Sant’Agostino – indirizzo:

c.so G. Mazzini, 190 – Galleria d’Arte Contemporanea O. Licini).

Citadel Inn Hotel, trasformazione di una fortezza dello Stalag 328 in un Hotel di lusso Wikimedia Commons.

2. L’opera fa parte di una collezione di 278 disegni conservati presso la Galleria Licini realizzati dal maestro Ercolani dal luglio 1940 al giugno 1944, cioè durante la Seconda guerra mondiale quando, ufficiale dell’esercito italiano, egli si trovò al fronte e successivamente prigioniero nei campi di concentramento nazisti.

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In un articolo sulla Repubblica di Vladimiro Odinzov del 1987 si legge questa testimonianza:

Erano molti, non so forse alcune centinaia, camminavano lentamente, non a passo di marcia, lungo la Lyciakovskaja che oggi è la Uliza Lenin. Erano tutti disarmati. Alcuni a capo scoperto altri avevano la bustina. Te- nevano i cappotti aperti per il bavero. Qualcuno cantava e alla gente che chiedeva rispondevano Badoglio internit. Davanti e dietro la colonna e lungo i fianchi c’erano molti tedeschi, tutti armati, con i cani. Non faceva- no avvicinare nessuno. Sono scomparsi per la Lyciakovskaja, la strada che porta alla Pieskovnia del bosco di Lissniki. Semion Borisovich Gruzberg aveva allora 25 anni, un ebreo sfuggito miracolosamente ai rastrellamen- ti tedeschi dopo essere stato rinchiuso in un campo di concentramento. Oggi fa il pittore, ostenta sulla giacca l’Ordine della guerra patriottica. Anche mia moglie è stata decorata dal governo polacco, aggiunge con una punta di orgoglio. Avevo 25 anni e ricordo bene quella scena. Sarà stata la fine di settembre perché le giornate erano ancora calde. So che erano italiani perché conoscevo le loro divise ed erano soldati e ufficiali. E cam- minavano per la strada che porta alla cava di sabbia di Lissniki. Pieskovnia vuol dire appunto sabbiosa.

Signor Gruzberg, che cosa è successo dopo? Non so, ho visto solo la co- lonna degli italiani. Ma poi ha saputo, ha sentito nulla? No, ma qui tutti sapevano quello che succedeva.

Roman Mikhailovich Krichkowski aveva 12 anni. Oggi guida un filobus di Lvov. “Ero uscito con mio padre e due amici per raccogliere i lamponi alla Pogulianka. Era una bella giornata e mio padre dopo un po’ si è messo a prendere il sole. I lamponi crescono lungo i fossati che una volta erano le trincee della Prima guerra mondiale. Ho sentito gli spari e sono andato a vedere. C’erano dei prigionieri italiani, alcuni vestiti altri senza vestiti. I tedeschi li prendevano uno per uno, li portavano dietro i cespugli, poi si sentivano i colpi. Tornavano a prendere gli altri, ma io sono scappato e siamo riusciti a evitare il cordone di soldati che c’era attorno alla Pogulian- ka”. Le testimonianze che ho raccolto a Lvov sul massacro dei soldati ita- liani non sono forse sufficienti per confermare il numero delle vittime, né vi sono archivi che possono confermare i nomi di soldati e ufficiali che avrebbero perso la vita tra l’agosto e il settembre del 1943. Non ci sono viceversa dubbi sul fatto che dei militari italiani provenienti da unità di- sperse dell’Armir o addirittura di contingenti dislocati in altri teatri opera- tivi, come ad esempio la Grecia e i Balcani, siano stati radunati a Lvov e poi passati per le armi. Un primo mistero è stato comunque già chiarito.

Il fantomatico ritrovo italiano indicato in precedenza come una divisione, è semplicemente l’antico palazzo dei conti Bielski della Uliza Copernico oggi trasformata in Domucitelija, una specie di club che si occupa di cul- tura, belle arti, rappresentazioni teatrali. Durante la guerra era il ritrovo degli ufficiali italiani. La guerra non ha lasciato il segno su Lvov, e la città ha conservato tutto il suo fascino nell’antica fortezza, nelle chiese, nel grande verde in cui è immersa, nelle architetture che si sono sovrapposte in settecento anni di storia fino all’impero austroungarico e ai pochi edifi- ci del periodo staliniano. Ma ha vissuto la guerra, gli stermini e gli olocau- sti nei tre campi di concentramento che tra il 30 giugno 1941 e il 27 luglio 1944 i tedeschi vi avevano istituito quando poi fu definitivamente liberata dall’Armata rossa. Sentiamo lo storico Vitali Ivanovich Maslovski. “A Lvov c’erano tre campi. Nella cittadella lo Stalag 328 dove sono passati circa 280 mila prigionieri di cui non meno di 142 mila sono stati trucidati nella valle della morte di Janowski, una cava di argilla e sabbia dove vennero trucida- ti anche molti italiani. L’Arbeit Konzlager di Janowski, è quello che noi chiamiamo il ghetto (il julag), dove stavano solo gli ebrei. Complessiva- mente nell’intera regione che fa capo a Lvov dovrebbero essere state ucci- se circa 862 mila persone tra ebrei e prigionieri. Questi ultimi, dovrebbero essere oltre 328 mila. Si tratta di italiani, francesi, belgi, cecoslovacchi, so- vietici e anche piloti inglesi e americani. Erano militari catturati non solo sul fronte sovietico, ma su tutti i teatri di guerra, perfino in Algeria. Per quanto riguarda gli ebrei ne vennero massacrati 136 mila. Da lunghi anni mi sono occupato delle ricerche su questi massacri, ma naturalmente la Gestapo non ha lasciato molti testimoni. Siamo riusciti a risalire alle na- zionalità dei soldati uccisi con grande difficoltà. I nazisti uccidevano le loro vittime, poi le cospargevano di benzina facendone bruciare i resti. Quello che restava veniva raccolto e fatto passare in una macchina che ri- duceva in polvere anche le ossa. Per molti anni abbiamo avuto a Lvov questa macchina, oggi è stata trasferita a Kiev. Questa macchina non fran- tumava tuttavia i bottoni metallici delle divise che sono stati raccolti e in- dicano con precisione la nazionalità dei militari. Fino a questo punto si può affermare con certezza che un certo numero di soldati italiani venne- ro massacrati alla periferia di Lvov (la città si è naturalmente ingrandita e la cava di sabbia nel bosco di Lissniki che una volta era a cinque chilometri dal centro della città oggi è alla sua immediata periferia) durante il perio- do dell’occupazione tedesca. Il particolare della raccolta di lamponi a cui si riferisce Krichkowski restringe l’epoca tra la fine di agosto e la metà di settembre. Non è chiaro che cosa significhi esattamente Badoglio internirt pronunciato dai soldati italiani ma con una frase di derivazione evidente-

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mente tedesca. Il pittore Gruzberg sostiene che i militari avrebbero voluto significare che Badoglio è stato internato. Resta infine l’enigma dei nomi, circa 50, citati a sostegno delle esecuzioni italiane eseguite nella zona di Lvov. Qui vi sono due fonti di riferimento: la prima è quella di Nina Petru- shkova, un personaggio ambiguo che ha collaborato con i tedeschi e che ha testimoniato alla Commissione straordinaria di Norimberga elencando questi nomi in modo storpiato ma chiaramente di origine italiana. La se- conda è quella del polacco Jacek Wilczur che in un libro elenca qualche migliaio di questi ufficiali e soldati per alcuni dei quali precisa anche l’età, la provenienza o la presenza a Lvov. Bisognerebbe a questo punto poter prendere visione degli atti integrali della Commissione d’ inchiesta sovie- tica di cui la Pravda del 9 dicembre 1945 ha pubblicato solo le conclusioni. La documentazione su cui si sarebbe basata la commissione è conservata negli archivi di Stato di Lvov e, in copia, presso la sezione regionale del Pcus. Il grosso della documentazione è probabilmente conservato però a Mosca. Nel volume La regione di Lvov durante la seconda guerra mon- diale Raccolta di documenti è compreso sotto il numero 80 il documento della commissione straordinaria di indagine sui crimini nazisti relativo proprio alle vicende che riguardano il destino dei soldati italiani. Il comu- ne di Lvov, la Tass, la Novosti, esponenti del Pcus della Repubblica Ucrai- na hanno fatto a gara ieri per facilitare alcune ricerche. Vi sarebbero fino ad oggi una decina di testimoni oculari che, in prima persona sono pronti a raccontare le vicende degli anni di guerra. La stampa locale, dopo i primi trafiletti riportati in questi ultimi giorni sulla scia delle prime rivelazioni dell’agenzia Tass e del clamore suscitato in Italia, appare disposta a lancia- re un appello a quanti possono aggiungere nuove testimonianze. Si richie- de in particolare la testimonianza diretta e non quella raccolta per sentito dire o da terze persone. Risalire a quanto è avvenuto più di quarant’anni fa non sembra tuttavia facile. Lvov è una città che si trova a circa settanta chilometri dal confine polacco e nell’immediato dopoguerra molte perso- ne hanno preferito trasferirsi in Polonia. Le stesse autorità del Lvov consi- gliano pertanto di allargare ogni indagine alla Polonia e di ricercare in primo luogo la Petrushkowa che fu il testimone–chiave chiamato a depor- re dalla Commissione d’ indagine istituita a Norimberga subito dopo e sulla scia del grande processo ai criminali nazisti. Qui in città, il gruppo dei pionieri appartenenti a sei scuole si è messo d’impegno a ricercare chiun- que sia in grado di ricordare quanto è avvenuto nel periodo che va dall’a- gosto alla fine di settembre del 1943. Questi ragazzi si sono messi con grande impegno setacciando strade e quartieri per risalire ai primi nomi dei testimoni. Bisogna dire che anche le autorità cittadine stanno spulcian-

do ogni tipo di documentazione in cui si fa cenno a reparti italiani presen- ti nella città, anche se appare quanto mai difficile accertare in quale delle quarantacinque fossi comuni contenenti i resti dei prigionieri fucilati dai tedeschi, vi siano anche quelli dei soldati italiani. Le stesse autorità non nascondano d’altra parte la loro sorpresa per le notizie che giungono da Roma su commissioni d’indagine e procedimenti giudiziari che sono quanto mai tardivi rispetto a notizie e rivelazioni che erano note fin dagli anni Sessanta non solo per le prime inchieste pubblicate sulla stampa na- zionale, ma anche per le segnalazioni che erano giunte ad esempio, dalla Polonia sulla scia di alcune testimonianze rese dai polacchi rientrati da questi territori. Il procuratore generale di Lvov ha dal canto suo annuncia- to che è pronto a collaborare con le autorità italiane, mettendo a disposi- zione documenti ed anche aprendo le fosse in cui dovrebbero trovarsi i resti dei prigionieri.

Wietzendorf Stalag XD/310 Oflag 83

L’ultimo Lager di Petraglia, dove verrà trasferito fino alla liberazio- ne, ha una storia un po’ articolata. Si trovava a circa 50 km a Nord di Hannover, più o meno alla stessa distanza da Brema e Ambur- go, nel Kreis, distretto di Soltau, ossia nel cuore della brughiera di Lüneburg, 20 km a Nord del campo di Bergen Belsen. Il campo di Wietzendorf, che si estendeva per più di 40.000 m², esisteva già nella Prima guerra mondiale e faceva parte di quelli compresi sotto il nome di “campi di Celle” (W 11). Celle è una cittadina pochi chi- lometri a Nord di Hannover.

Il Lager Stalag XD/310 di Wietzendorf3 fu predisposto a parti- re dall’estate del 1941, inizialmente solo per prigionieri di guerra provenienti dall’Unione Sovietica, e fu il più grande concepito a questo scopo. Il 22 giugno 1941, infatti, le truppe tedesche invasero l’Unione Sovietica nella cosiddetta “Operazione Barbarossa” e de-

3. Su Wietzendorf si farà riferimento ai seguenti testi oltre che al diario che si va a presentare: Testa, Wietzendorf, Roma 1947; P. Desana, La via dei Lager, (a cura di Sommaruga) Alessandria 1994; L. Frigerio, Noi dei Lager. Testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti 1943–1945, Milano 2008; A. Bartolo Colaleo, Matite sbriciolate, Torino 2017; M. Wagemann, M. Bargfrede (a cura di), Catalogo della mostra Internati Militari Italiani (IMI) 65 anni fa a Wietzendorf – Ricordi al municipio di Wietzendorf 15 aprile – 25 giugno 2010; S. Pascale, Una candela illumi- na il Lager, Ciessedizioni 2018.

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portarono migliaia di soldati. Per i prigionieri sovietici non esisteva- no alloggi, pertanto essi cercarono, in condizioni miserabili, riparo in tane sotterranee.

Morirono di fame, freddo e per un’epidemia di tifo petecchiale circa 16.000 prigionieri sovietici tra il luglio del 1941 e il marzo del 1942. I loro corpi furono sepolti in fosse comuni nei pressi del cam-

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