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La storia è fatta dalle storie di vita delle persone, non solo di coloro che per importanza di ruoli l’hanno determinata, ma anche di tutti coloro che, essendosi trovati a vivere un preciso momento storico, hanno contribuito all’accadimento degli eventi, decidendo, suben- do, agendo.

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Le storie di vita delle persone sono sempre interessanti e, a scuo- la, studiare la storia anche attraverso la conoscenza delle storie di vita, risulta molto efficace, motivante e coinvolgente, contribuendo in modo positivo alla conoscenza della storia perché motivano allo studio, interessando gli studenti e potenziando il livello e i tempi di attenzione.

Le testimonianze, che siano scritte o orali, si configurano quin- di come strumento importante, anzi fondamentale, per l’appren- dimento della storia. Quando la testimonianza, invece di essere narrata o letta dal docente, viene raccontata direttamente dal testi- mone, allora l’attenzione, l’interesse, il coinvolgimento degli stu- denti si manifestano veramente ad altissimi livelli e la storia diventa materia viva, calda, interessante, non più disciplina da studiare ma incontro tra esperienze umane, trasmissione intergenerazionale di conoscenze e valori.

L’incontro col testimone, con la sua narrazione, con la sua sto- ria di vita, è di fatto un incontro tra persone: il testimone disposto a raccontare la sua esperienza, pur se dolorosa e traumatica, e una platea prevalentemente di giovani studenti che, appena il testimone inizia a parlare, assumono un atteggiamento di ascolto partecipato, un comportamento interessato e rispettoso che genera curiosità, produce domande, scuote le coscienze.

La narrazione delle storie di vita ha il potere di arrivare al cuore di chi ascolta, emozionando e coinvolgendo, permettendo l’imme- desimazione che è necessaria per comprendere. Solo chi racconta la propria esperienza collocata dentro eventi storici, può aiutare ad ampliare la prospettiva attraverso punti di vista personali, che per- mettono di rileggere gli eventi storico aggiungendovi una conno- tazione di umanità.

I diari in tal senso sono strumenti privilegiati del sapere, basti pensare all’utilizzo del Diario di Anna Frank, proposto molto spes- so nelle scuole. Molto meno usati testi come La notte di Elie Wie- sel, che invece è una testimonianza illuminante della deportazione degli ebrei e della marcia della morte vissuta dallo stesso autore, sopravvissuto ad Auschwitz.

In riferimento agli accadimenti della seconda guerra mondiale infatti, sono ancora in vita alcuni testimoni, potremmo dire gli ul- timi sopravvissuti, molti dei quali sono impegnati in modo attivo e con grande disponibilità proprio nel testimoniare la propria espe- rienza, consapevoli della necessità di raccontare per far conoscere

sensibilizzando, producendo effetti non solo sulla conoscenza ma sulle coscienze, permettendo di comprendere la storia con uno sguardo umano e critico–riflessivo, l’unico che può rendere vigili e attenti anche per leggere e comprendere la realtà attuale e impe- gnati per le scelte personali che avranno effetti sul futuro.

In alternativa ai testimoni o in aggiunta al loro contributo, la co- noscenza delle storie di vita, può essere attuata attraverso la lettura di testimonianze autobiografiche scritte o videoregistrate.

In riferimento alla seconda guerra mondiale, le storie testimo- niali sono fondamentali per comprendere gli eventi che vengono insegnati e studiati a scuola e riportati nei libri di testo, in modo più o meno ampio e dettagliato. Infatti, ampio spazio viene dato sui testi scolastici alle deportazioni, sia nei libri di storia che di italiano: non mancano nelle antologie, brani sui campi di concentramento e di sterminio. Meno spazio e minori riferimenti invece in genere si trovano sulle stragi nazifasciste avvenute in Italia come l’eccidio di Monte Sole (nei dintorni di Marzabotto) o di Sant’Anna di Stazze- ma: troppo spesso, citati per riportare il numero di persone uccise in quelle stragi (se citati), con scarso approfondimento di quanto sia avvenuto davvero sul nostro territorio per mano nazifascista. Se gli eccidi trovano spazio limitato, di fatto degli Internati Militari Italiani, deportati nei lager nazisti per essersi rifiutati di tornare ad essere alleati dei tedeschi, nell’immediatezza dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, non si parla quasi mai nei testi scolastici, igno- rando così la prima forma di resistenza senza armi combattuta da oltre 650 000 soldati e ufficiali italiani e che ha portato alla morte di circa 50–60 000 di loro. Si tratta di una storia troppo a lungo ta- ciuta ma che deve essere conosciuta, per la sua importanza storica e come esempio di chi, allora, seppe e volle scegliere la prigionia come primo passo necessario nella lotta per la libertà. A fianco della lotta partigiana armata della Resistenza, che nei testi viene riportata e che possiamo studiare e conoscere, deve trovare spazio la conoscenza della resistenza senza armi fatta dall’esercito italiano che, dopo l’8 settembre 1943, fu disarmato dai tedeschi, deportato nei campi di internamento, sfruttato nel lavoro coatto e sottoposto a violenze inaudite, che si aggiungevano alla fame, al freddo e alle malattie.

Abbiamo bisogno di diari che ci raccontino la storia, abbiamo bisogno dell’incontro con i testimoni che rinnovando il proprio in- cancellabile dolore si mettono a disposizione per portare, insieme

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alla propria sofferenza, messaggi di pace, esortazioni a scegliere in modo umano, pensieri europeistici e di fratellanza solidale. Abbia- mo bisogno di respirare valori, quei valori che sono stati e sono ancora ben saldi in chi ha lottato per ottenerli, mentre invece sono molto meno valorizzati da chi se li è ritrovati come bene scontato, ignorando che invece sono beni fondamentali e proprio per questo da salvaguardare.

Il diario di Gastone Petraglia è uno strumento straordinario per una serie infinita di motivi. Prima di tutto perché è un diario di un IMI, internato militare italiano, e quindi significativo come esempio di resistenza senza armi, che non può essere generalizzata ma deve essere considerata come esperienza sua personale di internato milita- re e di ufficiale internato, nella consapevolezza che sorti ben diverse ebbero gli ufficiali dai soldati semplici e sottufficiali e che l’esperienza di ognuno di loro è intima e personale, diversa da ogni altra.

Il diario di Petraglia è dettagliatissimo, riportando non solo la sua esperienza di ufficiale internato ma anche una documentazione ampia che è parte integrante del diario e che lui stesso ha copiato trascrivendo interi documenti affissi al campo, sfidando il gelo per poterli copiare, soffrendo con la precisa finalità da lui dichiarata di documentare quanto lì stava accadendo. Scrive Petraglia nel gen- naio del 1945:

Io sono fisicamente stremato di forze. Non ne posso più. Solo una grande volontà mi sorregge ancora. Penso alla Patria. Voglio resistere a tutti i co- sti… ma quanta fame, quanto freddo!» e ancora in gennaio: «Sempre fred- do intenso. Quasi tutti i giorni la temperatura si aggira sui quindici gradi sotto zero. Continua il tormento della propaganda e delle perquisizioni. Il giorno 15 viene esposta al Comando una lettera […] molto significativa e che rispecchia in pieno le condizioni di vita nel campo di Wietzendorf. La copio integralmente (ma quanta fatica: ho le mani gelate, ho freddo, sto in piedi per miracolo).

Già da questa breve citazione possiamo capire la differenza tra il raccontare gli eventi e avere la possibilità di sentirli da chi diret- tamente li ha vissuti, in questo caso attraverso la forma scritta del diario: dire del freddo sofferto nei campi è concetto comprensibile e chiaro, ma solo le parole di chi quel freddo l’ha sofferto, possono trasformare una nozione di conoscenza in un contenuto arricchito di empatia e di umanità.

E così gli esempi sarebbero infiniti, per far comprendere la diffe- renza enorme tra il conoscere studiando e il conoscere ascoltando storie di vita. Solo un diario o una narrazione personale può espri- mersi come segue:

A casa, quando racconterò ai miei la vita trascorsa nei campi di concentra- mento, non potranno assolutamente credere alle mie parole. Sono ridotto con le scarpe rotte e scucite. Sono sempre con i piedi bagnati. Posseggo soltanto un paio di scarpe. Ho pure i pantaloni ridotti a brandelli. Non so più come fare… fra poco rimarrò scalzo e senza pantaloni.

Questo scrive Petraglia il 2 ottobre 1944, dopo un anno di inter- namento, di fame, di freddo, di sofferenze, di inaspettati compor- tamenti ostili da parte di altri ufficiali e di inimmaginati atti di soli- darietà dalla popolazione locale, che “pagava” con violenze subite i propri atti di solidarietà e di aiuto verso gli IMI. Scrive sempre in ottobre:

Si doveva poi assistere ad uno spettacolo disgustoso: gli ufficiali optanti che stavano nello stesso campo, mangiare abbondantemente carne, pa- sta, uova, marmellata eccetera. Costoro, dopo essersi ben rimpinzati, si mettevano a cantare […]. Appena uscivano dalle baracche però, […] si veniva spesso alle mani, perché provocavano in tutti i modi. Avevano il coraggio questi ufficiali di vendere un uovo a trecento lire. […] E, sopra ogni umano egoismo, sopra ogni umana bassezza, il freddo e la fame re- gnano sovrani.

Inaspettatamente invece, possiamo leggere la solidarietà della popolazione di Leopoli, quando vede passare i soldati internati: una solidarietà che Petraglia riporta descrivendo gli sguardi e i gesti del- le persone che cercano di incentivare a resistere, che fanno emer- gere la compassione e la solidarietà, ma anche azioni di aiuto come comprare il pane per lanciarlo agli internati, anche se questo signi- fica, anche per le donne, essere schiaffeggiate o colpite in faccia col calcio del fucile. Si legge nel diario: «Uomini, donne e bambini piangono, ci lanciano occhiate che vogliono dire tutto, ci incorag- giano, stringono i denti, fanno gesti che stanno a significare che vorrebbero far tanto, ma non lo possono fare. Siamo commossi. Un brivido mi corre per la schiena». Ma la solidarietà non si interrompe a causa della violenza, ed infatti si legge ancora:

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Un ufficiale scivola a terra a causa del ghiaccio. A stento riesce a rialzarsi e sta per raccogliere lo zaino che gli è caduto, quando un soldato tedesco con rabbia glielo prende e glielo scaraventa in mezzo alla strada. Una po- vera donna vede, lo raccoglie, e per circa due chilometri segue a distanza la colonna portando lo zaino. Si avvicina poi, in un istante in cui non è vista, e consegna lo zaino all’ufficiale. Gli regala per di più una pagnotta.

Per quanto chi conosce approfonditamente la storia, sia impe- gnato nella formazione a farla conoscere attraverso un linguaggio ampiamente argomentato e ricco di particolari, difficilmente riu- scirà a farla comprendere in modo efficace e autentico, senza l’u- tilizzo delle testimonianze che, come si può capire dai precedenti passaggi riportati, riescono a portare virtualmente chi ascolta, in quel contesto, riescono a farlo immaginare e aiutano così a com- prendere la storia. Ma c’è di più. Le testimonianze permettono di fermarci a riflettere sull’impossibilità di generalizzare, sui compor- tamenti delle persone, sulle scelte personali: egoistiche anche dai compagni di sventura, altruiste e umane da persone sconosciute, che non parlano la stessa lingua, con cui però la comunicazione avviene forte, attraverso i gesti e le azioni che passano oltre la con- divisione di un codice linguistico: l’umanità passa dalle azioni, dagli sguardi, dai comportamenti. In questo senso i diari sono continui esempi dell’importanza di scegliere, e possono essere modello ed invito a scegliere in modo consapevole ed umano.

Molti sarebbero i passaggi del diario su cui vorrei soffermarmi, anche perché quando il lettore arriverà al momento della libera- zione e forse penserà di essere giunto alla fine della narrazione, si accorgerà che invece ancora molte pagine ci saranno da leggere, perché dalla liberazione del campo al rientro in Italia e poi a casa, accade ancora moltissimo, di positivo e di negativo, in un “viaggio” fisico, conoscitivo ed esistenziale che porta a conoscere gli orrori della guerra oltre gli orrori dell’esperienza personale.

Silvia Pascale, ancora una volta è riuscita, grazie alla disponi- bilità della famiglia di Gastone Petraglia e alle sue attente ricerche ad offrire un nuovo ed importante documento storico ma anche un fondamentale strumento educativo e conoscitivo, ampliando il Diario di Petraglia con informazioni su molti campi e con docu- menti di grande importanza.

L’invito per il lettore è a leggere con attenzione e con sguardo riflessivo, a fermarsi a pensare, a tentare l’avvicinamento a quelle

esperienze, perché l’immedesimazione più volte evocata, di fatto non può che essere un invito all’empatia, ma nella consapevolezza che la distanza tra chi ha vissuto quelle esperienze così drammati- che e traumatiche e chi le ascolta è e rimane incolmabile.

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Desidero sinceramente ringraziare Maria Trionfi dell’ANEI per avermi messo in contatto con il prof. Giorgio Petraglia e avermi quindi permesso di studiare questa importante testimonianza.

Quando per la prima volta ho letto il diario di Gastone Petraglia sono rimasta profondamente colpita da 3 fattori:

1. La precisione e la fluidità della narrazione contemporanea alla prigionia;

2. La ricchezza di descrizioni e di particolari della deportazio- ne;

3. Gli interessanti documenti storici che ha allegato al diario stesso.

È ovvio che il primo punto aiuta notevolmente il lavoro storico di ricerca e studio, perché non dovendo decifrare la calligrafia, o ricostruire i discorsi o intuire le località, lo studio procede più ve- locemente.

Il secondo punto risulta interessante perché anche se ho già pubblicato uno studio su di un diario quotidiano molto ricco di par- ticolari, le descrizioni di Petraglia sono fortemente attente ai fatti storici, sono rivolte alla guerra e alla prigionia, rilevano una do- cumentazione importante per chi vuole conoscere gli avvenimenti della deportazione in questi Lager.

Il terzo punto, ultimo, ma non meno importante, è la presenza di documenti che circolavano per il Lager, che venivano affissi alle baracche, che si potevano ascoltare sulle radio clandestine, ripro- dotti puntualmente e tradotti in italiano.

Nel mio percorso di studi e ricerche ho letto e trascritto molti diari e molta documentazione epistolare: ritengo che Petraglia ci abbia volutamente lasciato queste descrizioni e testimonianze pre- cise con la volontà forse inconscia di vederle un domani pubblicate. Come dice il figlio, il rientro non è stato facile, gli Internati Militari Italiani sono stati dimenticati anche dallo Stato Italiano che non

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ha riconosciuto il notevole sacrificio della prigionia. Forse anche questa può essere una tra le cause del suo silenzio e il motivo per cui questa preziosa fonte di informazioni è rimasta per moltissimi anni chiusa dentro un cassetto. Mi auguro, come ogni mio libro sull’argomento, che questo testo possa restituire dignità a chi ha sofferto, sia a coloro che sono tornati, sia a coloro che sono morti nei Lager come IMI; ma mi auguro soprattutto che possa servire a passare un testimone ai giovani per studiare e non dimenticare questa pagina di storia.

Un ringraziamento al figlio, il prof. Giorgio Petraglia, che ho conosciuto telefonicamente e che mi ha affidato le memorie di suo padre e mi è stato vicino nel lavoro di studio.

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Gastone Petraglia, primogenito di quattro figli, nasce a Roma il 22 ottobre 1910, da Giorgio e Assunta Ceccarelli, anch’essi romani di antica generazione.

Nel 1914 la famiglia si trasferisce a Ferrara a causa del lavoro del padre direttore della “Singer” per l’Emilia Romagna. Nel 1928 un nuovo trasferimento a Parma, città nella quale conseguirà, al liceo ginnasio “Romagnosi” la maturità classica. Conosce in quegli stessi anni Argentina Vernizzi che sposerà sempre a Parma nel 1935.

Nel 1930 torna con la famiglia definitivamente a Roma. Nel 1932 presta servizio militare di leva col grado di caporal maggiore, nel 51° Reggimento Fanteria di stanza a Perugia. Terminato il ser- vizio militare si impiega per breve tempo nell’Istituto Centrale di Statistica poi al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni.

Nasce a Roma nel 1937 il figlio Giorgio.

Nel 1941 è richiamato presso l’82° Reggimento Fanteria a Ci- vitavecchia, quindi presso il 347° Battaglione Costiero in Calabria.

Nasce a Roma, nello stesso anno, la secondogenita Maria Vitto- ria. Nel 1942 è in Montenegro col grado di sottotenente di fanteria. Catturato dai tedeschi a Podgorica (Montenegro) dopo l’8 settem- bre 1943, è internato nei campi di Leopoli (Polonia) e di Wietzen- dorf (Germania).

Liberato dalle truppe inglesi il 19 aprile del 1945, tornerà in Pa- tria il 2 settembre dello stesso anno. Molto provato dalla durissima esperienza riprende il lavoro nel Ministero delle Poste e Telecomu- nicazioni e contemporaneamente pubblica articoli e testimonianze sulle vicende della guerra e redige definitivamente il diario scritto durante la prigionia.

Muore nella sua città il 2 ottobre 1976.

Il diario, appuntato su carte di fortuna, è stato in seguito dattilo- grafato senza correzioni, aggiunte o tagli. Errori di ortografia sono da attribuirsi a sviste nella battitura a macchina, altri all’immedia- tezza stessa della scrittura.

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Il diario inizia con una premessa dell’autore dove declina gli avve- nimenti successivi alla notizia dell’armistizio. Petraglia si trova a Podgorica1 in Montenegro quando viene annunciato via radio la firma dell’8 settembre ‘43 e successivamente Radio Roma invita i soldati ad impugnare le armi contro i tedeschi2.

Il 10 settembre passano in cielo aeroplani tedeschi, gli stukas, da cui vengono lanciati dei volantini: sono scritti in duplice lingua, serbo e albanese, e riportano la scritta “Montenegrini! Cacciate via gli

italiani, uccideteli, vi hanno tradito!

La reazione della popolazione sarà invece di solidarietà nei con- fronti dei nostri militari.

Dall’11 al 14 settembre i rapporti tra italiani e tedeschi si fanno sempre più tesi: i tedeschi assaltano i depositi, si fanno consegnare cannoni e mitragliatrici.

Il 15 settembre viene arrestato il Generale Roncaglia, Coman- dante del XIV Corpo d’Armata e viene sostituito dal Generale Franceschini della Divisione Ferrara.

La situazione descritta nel diario è di notevole confusione: i sol- dati italiani non rispondono più agli ordini dei superiori, alcuni si rifugiano in montagna con i partigiani, gran parte delle provviste viene distribuita alla popolazione per evitare che cada in mano te- desca.

Contemporaneamente arriva l’ordine di trasferimento verso nord–est firmato dal Generale Renzo Dalmazzo, che viene inserito integralmente nella documentazione.

Sempre dagli aeroplani arrivano altri manifesti sulla città dove si trova scritto: «Italiani! State calmi! Ritornerete alle vostre case,

1. Per le vicende specifiche vedi Luciano Viazzi, La resistenza dei militari ita- liani all’estero. Montenegro, Sangiaccato, Bocche di Cattaro, «Rivista Militare», 1994.

2. Ufficiali e soldati vissero in maniera diversa la notizia: i soldati reagiscono con entusiasmo perché la guerra era terminata e quindi si ritornava a casa; gli ufficiali invece hanno delle perplessità, sono disorientati in particolare per l’arrivo di direttive contraddittorie e ambigue.

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alle vostre famiglie. Non combattete, non fate causa comune con i ribelli, non spargete inutilmente sangue! Vi promettiamo il rientro in Patria!».

Giorno dopo giorno i tedeschi occupano tutti i posti di coman- do e si fanno consegnare le armi, mentre le comunicazioni sono azzerate. Le legioni 72 e 86 della Milizia Volontaria Sicurezza Na- zionale passano al completo ai tedeschi e una parte di ufficiali e di soldati del Btg. Carristi Carri Lanciafiamme.

Il modus operandi tedesco verso l’esercito italiano segue quello

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