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1945-1990. La Banca fra ricostruzione e sviluppo economico

Nel documento banca di credito popolare (pagine 87-147)

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Facciata della prima sede della Banca di Credito Popolare. Torre del Greco, Archivio Banca di Credito Popolare

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Salone della prima sede della Banca di Credito Popolare. Torre del Greco, Archivio Banca di Credito Popolare

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d’Italia, Milano, 1991, pp. 428 e sgg.; F. Belli, Legislazione ban-caria, cit., p. 207.

322 F. Belli, Legislazione bancaria, cit., p. 209.

323 S. La Francesca, Storia del sistema bancario, cit., p. 215.

313 F. Belli, Legislazione bancaria, cit., pp. 204 e 205.

314 M. Messori, R. Tamborini e A. Zazzaro, Presentazione, in “Il sistema bancario italiano. Le occasioni degli anni Novanta e le sfide dell’Euro”, Roma, 2003, pp. 10 e 11.

315 R. De Bonis, Le concentrazioni bancarie: una sintesi, in “Il si-stema bancario italiano”, cit., pp. 155-158.

316 Ibidem, p. 155.

317 Banca d’Italia, Struttura funzionale, cit., pp. 7 e 255.

318 F. Bresolin, Le banche popolari, cit., pp. 169-181.

319 S. La Francesca, Storia del sistema bancario, cit., p. 208.

320 Ibidem, p. 213.

321 Ibidem, p. 213; F. Spinelli e M. Fratianni, Storia monetaria

lire, cioè si decuplicò e la quota di mercato di tale patrimonio balzò dal 13 al 19 per cento. Nella di-stribuzione per aree delle banche popolari, fra il 1946 e il 1953, quelle del Nord scesero da 92 a 88, mentre quelle del Sud crebbero da 73 a 78318. Le banche cooperative, co munque, mantennero un ruolo “capillare” nel sistema bancario italiano

“con operazioni di importo limitato e di rischio contenuto”319. Nel 1947, la politica di Einaudi per combattere l’inflazione comportò la restrizione della concessione dei crediti, un aumento del sag-gio ufficiale di sconto, dal 4 al 5,50 per cento, e l’introduzione della riserva obbligatoria sui depo-siti delle banche, intorno al 25 per cento. Questi provvedimenti portarono subito al contenimento dell’inflazione. Più importante fu l’introduzione della riserva obbligatoria che divenne, in seguito, uno strumento per regolare l’attività creditizia. In-fatti, essa scoraggiò l’eccessiva raccolta di depo-siti da parte delle banche e limitò la concessione di crediti dall’incerta restituzione. La costituzione delle riserve, inoltre, influendo sul costo del dena-ro, può considerarsi “un secondo passo fonda-mentale nella storia del controllo monetario in Italia dopo l’accentramento della emissione dei biglietti di banca nel 1926”320. Il controllo della moneta e del credito, attraverso la politica delle riserve, durerà fino alla riforma bancaria del 1993.

La stessa politica delle riserve consentì alla Ban-ca d’Italia di svolgere le funzioni di banBan-ca centra-le, in quanto custode delle riserve degli istituti di credito321.

Gli anni 1954-1963 si conclusero con il “miracolo economico”, essi furono caratterizzati dalla conte-nuta inflazione, dal basso costo del lavoro, dai buoni profitti delle imprese, dall’equilibrio della bilancia dei pagamenti. In quegli anni, la politica creditizia non ebbe un ruolo importante. La Banca d’Italia attuò solo un moderato controllo della ba-se monetaria tramite la gestione delle riba-serve ob-bligatorie322. La politica del governatore Menichel-la, a sostegno delle piccole imprese, ebbe suc-cesso in quelle aree dove più sensibile era la crescita economica323. Per conseguenza, si ebbe creditizio italiano fino al 1985, allorché esso

co-minciò a vacillare, inducendo alla realizzazione di varie misure che sfociarono nel Testo Unico del 1993313.

Negli anni della ricostruzione, che possiamo collo-care fra il 1945 e il 1953, allorquando, per volon-tà di Menichella, si cercò di contrastare le fusioni bancarie e si attuò una politica di contenimento dell’espansione delle grandi banche, vi era la con-vinzione che un sistema industriale, basato sulle piccole imprese, dovesse avere anche piccole e medie banche314. Contemporaneamente, come so-stiene Riccardo De Bonis, vi era interesse dei po-litici locali a mantenere frazionato il sistema per meglio controllare la distribuzione del risparmio nella propria circoscrizione politica315. Questo at-teggiamento favorevole alle piccole imprese dure-rà fino alla fine degli anni Ottanta, cioè fino all’ap-provazione della “legge Amato”, che consentirà la trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni. Nel quadro della politica di ricostruzio-ne, il consolidamento delle banche locali era lega-to alla crescita dei depositi bancari al fine di com-battere l’inflazione anche attraverso l’ampliamen-to degli sportelli e delle piazze bancabili316. Dal 1945 al 1953, infatti, il numero delle banche di-minuì da 1.378 a 1.229; mentre gli sportelli creb-bero, da 6.873 a 7.856, cioè circa 1.000 in più;

e le piazze bancabili da 3.864 a 4.093. Le banche popolari, nello stesso periodo, scesero da 233 a 211; mentre gli sportelli crebbero da 960 a 1.159317. Fra il 1946 e il 1953, il peso delle ban-che popolari sulla struttura del sistema bancario passò dal 16 al 17 per cento; il numero degli sportelli delle stesse banche salì dal 14 a circa il 15 per cento. I depositi raccolti crebbero da 80 a 406 milioni di lire, cioè si quintuplicarono, mentre il loro peso, rispetto ai depositi raccolti dalle altre banche, scese dall’11 al 10 per cento. Gli impie-ghi crebbero da 52 a 288 milioni di lire, cioè furo-no più che quintuplicati e il peso, rispetto ai depo-siti complessivi, passò dall’11 a meno del 10 per cento. Diversa fu la situazione del patrimonio del-le banche, che salì da 1.748 a 18.417 milioni di

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331 Ministero del Tesoro, Relazione del direttore generale, cit., p.

59; IPSOA, Annali dell’economia italiana, vol. XIII, 1959-1964, Milano, 1983, pp. 211-214; I. Musu, Il debito pubblico, Bologna, 1998, p. 87.

332 I. Musu, Il debito pubblico, cit., p. 87.

333 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., p. 71; M. Visaggio, Politiche di bilancio e debito pubblico, Roma, 1997, pp. 112-116; A. Calamanti, Il mercato mobiliare italiano. Aspetti strutturali ed evolutivi nel secondo dopoguerra, Milano, 1977, pp. 211-235.

334 Ministero del Tesoro, Relazione del direttore generale, cit., p. 67.

335 Ibidem, p. 67.

324 Banca d’Italia, Struttura funzionale, cit., pp. 6, 7, 254 e 255.

325 R. Bonci e M. Coletta, I conti finanziari dell’Italia dal 1950 ad oggi, in “Rivista di Storia Finanziaria”, n. 18, gennaio-giugno 2007, p. 58.

326 R. Bonci e M. Coletta, I conti finanziari dell’Italia, cit., p. 59.

327 F. Bresolin, Le banche popolari, cit., pp. 169-181.

328 S. La Francesca, Storia del sistema bancario, cit., p. 215.

329 Banca d’Italia, Adunanza generale ordinaria dei partecipanti, a. 1962, Roma, 1963, pp. 503 e 504.

330 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico in Italia nella seconda metà del Novecento, Napoli, 2004, p. 601;

Ministero del Tesoro, Relazione del direttore generale alla Com-missione Parlamentare di vigilanza. Il debito pubblico in Italia 1861-1987, vol. I, Roma, 1988, p. 59.

rì la fase espansiva dell’economia, senza, tutta-via, entrare in crisi. Le ragioni furono due: la cre-scita del disavanzo della bilancia dei pagamenti, per un aumento delle importazioni superiore a quello delle esportazioni, e la crescita dell’infla-zione, causata dal disavanzo del bilancio dello Stato. Alla Banca d’Italia, dal 1963 guidata da Guido Carli, toccò il compito di gestire i due feno-meni329. Nel 1963, il governatore, per favorire la concessione di prestiti alle imprese, ridusse l’ob-bligo delle riserve delle banche dal 25 al 22 per cento; inoltre autorizzò le banche ad assumere posizioni debitorie nette verso l’estero al fine di finanziare le attività interne al paese330. Per porre un freno all’inflazione, nel 1963, il governatore Carli fu costretto a prendere due importanti prov-vedimenti: il prestito di un miliardo di dollari con la Federal Riserve degli USA e l’aumento del saggio ufficiale di sconto331. Intanto, crescevano le spese dello Stato per l’attuazione di una politica di inter-vento nell’economia, diretta alla nazionalizzazione delle imprese di servizi e per la previdenza e l’as-sistenza332. Nel biennio 1966-1968, la Banca d’Italia effettuò una politica di stabilizzazione dei saggi di interesse, al fine di frenare l’esodo dei capitali all’estero, dove venivano meglio remune-rati. Tale politica fu attuata mantenendo il rendi-mento dei titoli di Stato al 6,5 per cento, attraver-so un attraver-sostegno alla crescita delle quotazioni. Nel 1967, per l’aumento delle spese dello Stato fu, definitivamente, abbandonata la politica dei bilan-ci “neutrali” – dal punto di vista della redistribuzio-ne della ricchezza fra geredistribuzio-nerazioni – e si attuò una politica di disavanzo di bilanci non più corrente, ma strutturale333. Fra il 1969 e il 1970, crescendo i disavanzi dello Stato, la Banca d’Italia fu costret-ta ad abbandonare la politica di scostret-tabilizzazione ed effettuare larghi acquisti di titoli pubblici per so-stenere le spese dello Stato. Ciò significò allinea-re il costo del denaro italiano a quello praticato all’estero334, riconoscendo alla Banca d’Italia un migliore controllo della base monetaria335.

una modesta crescita del numero di banche: da 1.237, nel 1954, a 1.225 nel 1963; le banche popolari passarono da 211 a 217. Più consisten-te fu la crescita degli sporconsisten-telli, che, per l’inconsisten-tero sistema, passarono da 7.896 a 9.945 e le piazze bancabili da 4.105 a 4.897; gli sportelli delle ban-che popolari passarono da 1.174 a 1.664324. La quota di mercato riservata alle banche popolari, fra il 1954 e il 1963, rimase quasi invariata, poi-ché scese dal 17 al 16,9 per cento dell’intero si-stema; mentre crebbe la presenza degli sportelli, che salirono dal 15 al 17 per cento. Le passività finanziarie complessive delle banche italiane, fra il 1954 e il 1963, salirono da 6 mila a 29 mila miliardi, cioè quasi quintuplicarono325; i depositi raccolti dalle banche popolari passarono da 469 a 1.857 miliardi di lire, cioè quadruplicarono, men-tre la quota di mercato si mantenne invariata in-torno all’11 per cento. Le attività finanziarie com-plessive delle banche italiane crebbero da 7 a 29 mila miliardi, cioè si quadruplicarono326; gli impie-ghi delle banche popolari crebbero da 341 a 1.283 miliardi di lire, cioè crebbero meno di quattro volte e la quota di mercato si mantenne intorno al 10 per cento. Il patrimonio delle banche popolari qua-druplicò, salendo da 18 a 71 miliardi di lire, men-tre la quota di mercato scese dal 19 al 14 per cento. Nella distribuzione regionale delle banche popolari, fra il 1956 e il 1961, quelle del Nord scesero da 88 ad 86 e quelle del Sud crebbero da 74 a 79327. “Lo spazio lasciato al sistema banca-rio minore – rileva La Francesca – assicura coper-ture capillari a costi più bassi con l’affermarsi di utili localismi, tempera l’oligopolio bancario che non viene più intaccato nelle linee strategiche, considerato il formarsi di un mercato interbanca-rio che vede le piccole aziende datrici e le grandi prenditrici di fondi. Che ciò trent’anni dopo si ma-nifesta in termini di frammentazione da riaccorpa-re, non inficia di per sé la funzionalità delle linee di quel tempo”328.

Negli anni compresi fra il 1963 e il 1970, si

esau-90

I membri del Consiglio di Amministrazione della Banca di Credito Popolare in occasione dell’inaugurazione della prima sede della Banca.

Torre del Greco, Archivio Banca di Credito Popolare

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L’esecutivo della Banca di Credito Popolare

all’inaugurazione della prima sede della Banca. Torre del Greco, Archivio Banca di Credito Popolare

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rio, in “Storia economica d’Italia”, vol. 3; Roma-Bari, 2004, p.

438; A. Volpi, Breve storia del mercato finanziario italiano dal 1861 ad oggi, Roma, 2002, pp. 139 e 140.

343 Ministero del Tesoro, Relazione del direttore generale, cit., p. 71.

336 Banca d’Italia, Adunanza generale ordinaria dei partecipanti, a. 1970, Roma, 1971, pp. 408 e 409.

337 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., p. 74.

338 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., p. 74.

339 Banca d’Italia, Struttura funzionale, cit., pp. 6, 7, 254 e 255;

F. Bresolin, Le banche popolari, cit., pp. 169-173.

340 F. Bresolin, Le banche popolari, cit., pp. 169-181.

341 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., p. 87.

342 M. Onado, La lunga rincorsa: costruzione del sistema

finanzia-lo Stato; nelfinanzia-lo stesso periodo, a livelfinanzia-lo internazio-nale, si ebbero due eventi che stravolsero le rela-zioni finanziarie internazionali: nel 1971, il gover-no degli Stati Uniti dichiarò la inconvertibilità del dollaro ed attuò una più rigida politica protezioni-stica; il secondo evento, nel 1973, riguardò l’au-mento del prezzo del petrolio con ripercussioni sui prezzi di tutti i prodotti e principalmente sui cam-bi341. La maggior parte dei paesi occidentali, per difendersi dalle oscillazioni dei cambi delle loro monete, aderì al “serpente monetario”, che con-sentiva l’oscillazione dei cambi nei limiti del 2,5 per cento, qualora tale limite non fosse stato ri-spettato, le banche centrali avrebbero dovuto ac-quistare oppure vendere moneta estera. Poiché la Banca d’Italia non riuscì a sopportare il peso di tali oscillazioni, nel 1973, uscì dal “serpente mo-netario” e il cambio della lira con altre monete subì frequenti oscillazioni, con conseguenze nega-tive sull’inflazione e sugli scambi internazionali342. Per fronteggiare la crisi finanziaria, fra il 1972 e il 1975, il governo prese diversi provvedimenti che riuscirono, solo in parte, a contenere la crisi: sva-lutò la moneta del 9 per cento; accrebbe l’indebi-tamento con l’estero; pose freni all’esodo di capi-tali verso l’estero; impose la riduzione dei consu-mi di prodotti energetici; stabilì il blocco dei prezzi dei beni di largo consumo; introdusse l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), con l’intento di frenare la crescita dei prezzi. Tali interventi, d’altra parte, favorirono l’inflazione, che, nel 1973, superò il 20 per cento, un livello mai raggiunto dall’unità d’Ita-lia343. All’inflazione si aggiunse la disoccupazione;

ciò significò la presenza della stagflazione. Il go-vernatore della Banca d’Italia, Carli, fu costretto ad adottare altri provvedimenti: aumentò il saggio ufficiale di sconto dal 3,5 all’8 per cento; adottò il

“vincolo di portafoglio”, cioè obbligò le banche ad investire il 6 per cento dei loro depositi in titoli dello Stato; fu stabilito un massimale – prima del 12 e poi del 15 per cento – nella concessione di prestiti alle grandi imprese; accrebbe l’acquisto di titoli dello Stato. I risultati di tali provvedimenti non riuscirono a ridurre la circolazione monetaria, Nel periodo 1963-1970, sul mercato finanziario

entrarono, oltre ai titoli pubblici dello Stato, i tito-li obbtito-ligazionari degtito-li istituti di credito speciatito-li emes si per il Mezzogiorno, per l’edilizia scolasti-ca, per il Piano Verde e per le opere pubbliche336. Le banche, grazie alla politica di crescita dei tassi di interesse sui titoli pubblici e grazie alla cono-scenza che avevano del mercato finanziario, furo-no invogliate ad effettuare larghi investimenti nel settore337.

Fra il 1964 e il 1970, le difficoltà dovute alla poli-tica monetaria e la maggiore concorrenza sul mer-cato degli intermediari finanziari influirono sulla struttura del sistema bancario, le cui maglie subi-rono una dilatazione, cioè il numero delle aziende scese da 1.283 a 1.152; gli sportelli passarono da 9.995 a 10.892 e le piazze bancabili crebbero da 4.930 a 5.320; una crescita, dunque, più len-ta rispetto al periodo del miracolo economico. Le banche popolari, oltre ad essere influenzate dalle difficoltà monetarie e finanziarie, risentirono della morsa di “un pur redditizio localismo e di una pe-sante aggressività delle banche maggiori”338; per-tanto il loro numero passò da 214, nel 1964, a 194 nel 1970; gli sportelli crebbero da 1.668 a 1.912339. Nella struttura complessiva del sistema bancario italiano, la quota occupata dalle banche popolari, dal 1964 al 1970, si mantenne intorno al 16 per cento, mentre gli sportelli crebbero dal 17 al 18 per cento. I depositi raccolti da tali ban-che, nello stesso periodo, crebbero da 2.006 a 4.505 miliardi di lire, cioè raddoppiarono, e il loro peso sulla raccolta complessiva oscillò intorno all’11 per cento; anche gli impieghi raddoppiaro-no, passando da 1.315 a 2.683 miliardi di lire e il loro peso, rispetto agli impieghi complessivi, fu del 10 per cento; il patrimonio raddoppiò, passan-do da 77 a 160 miliardi di lire. Nella distribuzione regionale delle banche popolari, fra il 1966 e il 1971, quelle del Nord scesero da 85 a 80 e quel-le del Sud da 80 a 72340.

Nel quinquennio 1971-1975, la politica monetaria italiana e quella internazionale portarono alla stagflazione e alla crescita dell’indebitamento

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347 L. Desiderio, Le norme di recepimento della Direttiva Comuni-taria, n. 780/77, in “Quaderni di ricerca giuridica delle consulte legali”, Roma, 1986, p. 12.

348 R. Adamo, La vigilanza sull’attività bancaria. Profili evolutivi, Napoli, 2003, pp. 24 e 25.

349 R. Ruozi, Economia e gestione della banca, Milano, 2004, p.

18; R. Adamo, La vigilanza, cit., p. 43; F. Belli, Legislazione, cit., p. 219.

350 F. Giordano, Storia del sistema bancario italiano, Roma, 2007, pp. 121 e 122.

351 Banca d’Italia, Struttura funzionale, cit., pp. 6, 7, 254 e 255.

344 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., pp. 91 e 92; Ministero del Tesoro, Relazione del direttore generale, cit., p. 77; T. Salvemini, Il Tesoro e il mercato moneta-rio. Le nuove responsabilità dopo il divorzio, in “Economia italia-na”, febbraio 1983.

345 A. Volpi, Breve storia, cit., p. 152; Ministero del Tesoro, Rela-zione del direttore generale, cit., p. 79; Banca d’Italia, Adunanza generale dei partecipanti, a. 1979, p. 236; IPSOA, Annali dell’eco-nomia italiana, vol. XIV, t. 1, cit., pp. 269-273.

346 M. Onado, La lunga rincorsa, cit., pp. 438 e sgg.; S. Rossi, La politica economica italiana 1968-1998, Roma-Bari, 1998, pp. 20 e sgg.

fine di realizzare una migliore efficienza, cioè at-tuare una gestione prudenziale diretta al conteni-mento dei rischi. La garanzia doveva essere il patrimonio delle banche, riconosciuto come la variabile principale per la gestione dei rischi as-sunti dalle stesse. In tale modo la Comunità Eu-ropea, fin dal 1977, emanò direttive per stabilire il coordinamento fra gli stati della Comunità delle leggi e dei regolamenti riguardanti l’accesso e la gestione del credito. Tale disposizione fu recepi-ta dall’Irecepi-talia con la legge n. 74 del 1985 e modi-ficata con D.P.R. n. 350 dello stesso anno349. La spinta ad avviare la vigilanza verso criteri pruden-ziali, oltre che del l’adeguamento alla Comunità Europea, derivò dai numerosi scandali finanziari che si ebbero in Italia e all’estero, negli anni Set-tanta350.

Fra il 1970 e il 1980, la struttura delle banche di credito popolare migliorò dal punto di vista degli sportelli, ma si ridusse il numero delle banche;

positivo fu anche l’andamento delle operazioni di raccolta ed impiego, poiché crebbe il peso relativo all’intero sistema creditizio. Il numero delle ban-che popolari scese da 188 a 158, passando dal 16 al 14 per cento delle banche esistenti in Italia.

Gli sportelli delle stesse crebbero da 1.932 (pari al 17 per cento della rete complessiva degli spor-telli italiani) a 2.232 (pari al 18 per cento della rete complessiva). I depositi raccolti passarono da 5.327 miliardi di lire, nel 1971, a 38.325 mi-liardi, cioè crebbero di otto volte, e la quota di mercato coperta crebbe dall’11 al 15 per cento.

Gli impieghi salirono da 3.073 a 17.773 miliardi di lire, con una crescita della quota di mercato dal 10 al 14 per cento. La crescita maggiore si ebbe nel patrimonio delle banche popolari, che passò da 181 a 2.299 miliardi, cioè si moltiplicò per 13 e la quota di mercato salì dal 13 a circa il 19 per cento351.

Nel periodo 1981-1990, la politica sociale del go-verno, instaurata negli anni ’70, fu continuata, fa-cendo ulteriormente crescere il disavanzo del bi-lancio dello Stato e rinunciando a contenere la lievitazione del debito pubblico e con essa gli inte-inoltre, il disavanzo del bilancio dello Stato

au-mentò e si accrebbe ulteriormente l’indebitamen-to pubblico344.

Fra il 1976 e il 1980, l’inflazione subì una ulterio-re lievitazione al 21 per cento e culterio-rebbe il fabbiso-gno finanziario dello Stato, ma l’indebitamento, rispetto al quinquennio precedente, fu contenuto.

Alla fine del 1978, poiché l’Italia entrò nello SME (Sistema Monetario Europeo), fu costretta a por-tare il saggio di sconto al 15 per cento al fine di contenere le oscillazioni dei cambi sempre più ampi per la crescita del disavanzo della bilancia dei pagamenti345. Nonostante le difficoltà finanzia-rie del quinquennio 1976-1980, si ebbe un miglio-ramento dell’economia reale, poiché aumentò la produttività delle imprese italiane in misura supe-riore rispetto a quelle degli altri paesi industrializ-zati; gli effetti dell’aumento del costo del lavoro furono ammortizzati dalla fiscalizzazione degli oneri sociali346.

Nel primo trentennio di applicazione della legge bancaria del 1936, nonostante le difficoltà mone-tarie interne, aggravate dalle difficoltà finanziarie internazionali, l’attività delle banche fu caratteriz-zata da una buona stabilità, grazie alla flessibilità delle leggi che si adattavano facilmente agli umo-ri del mercato e grazie all’operato del CICR, della Banca d’Italia e del Comitato dei ministri. La sta-bilità del sistema fu mantenuta grazie alla vigilan-za strutturale (composta da tre forme di control-lo: informativo, ispettivo e regolamentare), che, sebbene perseguì l’obiettivo della tutela dei de-positanti, sarebbe andata, poi, a scapito dell’effi-cienza del sistema se si fosse lasciato più spazio all’iniziativa privata347. Negli anni ’70, la stabilità del sistema cominciò a vacillare per l’innovazio-ne dei prodotti finanziari (nuovi tipi di titoli dello Stato, obbligazioni private e azioni con caratteri-stiche nuove) e per l’ampliamento dei mercati. A subire mutamenti era la vigilanza regolamentare, mentre quella informativa ed ispettiva rimase so-stanzialmente invariata348. Con l’integrazione dell’Italia nella Comunità Europea fu necessario cambiare i regolamenti degli istituti di credito al

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356 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., pp. 138-140; M.T. Salvemini, Le politiche del debito pubblico,

356 F. Balletta, Mercato finanziario, istituzioni e debito pubblico, cit., pp. 138-140; M.T. Salvemini, Le politiche del debito pubblico,

Nel documento banca di credito popolare (pagine 87-147)

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