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La fortuna del bozzetto dipinto in Francia

I. LA BATTAGLIA DEI GUST

I

n Francia, nel secolo XVIII, si può rinvenire – per lo meno – una doppia articolazione nel gusto: per un verso si auspicava il ritorno all’antico e si diffuse il «goût à la grecque», dall’altro si promosse una feconda e liberatrice attività artistica che, in una lettera che Pierre-Jean Mariette inviò al collezionista fiorentino Francesco Maria Niccolò Gabburri nel 1731, venne definita «maniéré». Durante periodo della Reggenza del duca d’Orléans (1715 – 1723) a Parigi fiorì infatti il «petit goût»: fu un periodo breve ma nel quale la pratica di confezionare bozzetti si diffuse in accordo col gusto «gracieux» della decorazione degli ambienti privati. Il bozzetto francese divenne oggetto da collezionare e apprezzare per il pubblico colto ma non copiosissimo degli amateurs: rimase piena espressione della corrente dell’arte francese che in principio, in modo un po’ dispregiativo, si identificava con lo stile «rocaille». Questo stile, figlio della suprema scienza dell’ornamento, fu vittima della damnatio che sarebbe stata comminata, durante il regno di Luigi XV, dai difensori dello stile all’antica: la rocaille è stato tuttavia identificata, in seguito, con il modello di vita e l’espressione dello spirito francese per eccellenza, primo stile laico moderno, il primo votato totalmente alla piacevolezza, al divertimento, al diletto e al lusso, al confort e al godimento profano.250 Questo stile contagiò, come si è visto, anche il decoro delle chiese e

delle biblioteche conventuali dei piccoli regni della Germania cattolica e quindi si configurava come un fenomeno europeo che però aveva il suo centro propulsore di prim’ordine a Parigi.

La corrente del gusto e della moda definita «rocaille» fu quella che dominò il campo a Parigi almeno fino agli anni Settanta del Settecento: ci fu dunque spazio

250   Fumaroli in Paris 2010, p. 45.

anche per la fantasia sfrenata al potere, per le tinte pastello, per il culto dell’oggetto prezioso e per una certa licenziosità dei costumi. (Figg.23, 24)

Il cambiamento del gusto e il «ritorno all’ordine» apparve evidente quando, nel 1772, Mme Du Barry rimpiazzò, nel pavillon de Louviciennes, le tele con la serie Les Progrès de l’amour dipinte dal pittore campione della rocaille francese, Jean-Honoré Fragonard, con quelle, con lo stesso soggetto, di Joseph-Marie Vien, maestro dallo stile più «severo» e controllato. Quando la nuova politica culturale, promossa durante il regno di Luigi XV da punte di diamante quali il conte di Caylus e Mariette, segnò il cambio di passo, si iniziò ad auspicare un ritorno all’antico declinato come «goût à la grecque». Lo stile che genericamente definiamo rocaille iniziò a tramontare.251

La compresenza simultanea degli stili e dei gusti caratterizzò tutto lo sviluppo delle arti nel Settecento: Marc Fumaroli ha messo in luce come, non appena si vogliano abbandonare le vette dell’arte, della poesia e del gusto – artisti del calibro di Boucher e Fragonard, David e Canova, Clodion e Houdon, Piranesi e Füssli, teorici come sensibili e reattivi come Caylus e Winckelmann – si cammini, a valle, in un labirinto variazioni sugli stessi temi e le stesse forme.252 In studi

recenti, è stato per esempio dimostrato che neanche il promotore del ritorno allo stile all’antica, il conte di Caylus, amico di Vien e autore del Recueil d’antiquités eguptiennes, étrusques, romaines et gauloises (1752-67), fosse del tutto estraneo all’apprezzamento per l’inachevé, tratto tipico della fattura di alcuni bozzetti.253

La pittura di François Boucher (1703 – 1770) non era affatto debitrice all’antico o alla Grecia, eppure né Caylus né Mariette si scagliarono mai contro questo pittore, al contrario di quanto fece Diderot, perché capirono che era l’interprete ufficiale e originale del tratto più singolare e gradevole del gusto della monarchia francese, insieme a Jean-Baptiste Oudry. (Fig.25) Oudry fu, peraltro, tra i protagonisti della stagione rocaille e il suo legame con la pratica del bozzetto emergeva nell’attenzione alla pratica della pittura che dimostrò nella conférence pronunciata in Académie nel 1752: è stato detto che, in quell’occasione, l’atelier entrò in accademia.254

Fu dunque un fenomeno carsico quello della produzione del bozzetto francese nel secolo XVIII: promosso in Accademia, quando la vittoria dei coloristes era ormai

251   Anche se, come dimostra Christian Michel, le invenzioni di François Boucher continuarono a essere incise anche negli anni Ottanta del Settecento, financo a essere riprodotte in un servizio in porcellana fabbricato a Berlino nel 1782; si veda C. Michel, Le mythe de la régénération de l’art au XVIIIe siècle, in Paris 2010, pp. 57-63: 58.

252   Fumaroli in Paris 2010, p. 24. 253   Démoris 2003, pp. 31-43.

254   J. Delaplanche, Un tableau n’est pas qu’une image. La reconnaissance de la matière de la peinture en France au XVIIIe siècle, Rennes 2016, p. 76.

assodata, diventò una tappa dell’educazione dei giovani allievi e si declinò in varie forme. Riscosse successo presso un pubblico selezionato, presso gli ambienti privati e in contesti intimi e raccolti. Si ravvisa quindi una compresenza di stili, perché la componente rocaille non mise mai in discussione i canoni di bellezza improntati alla grazia e all’eleganza classiche, canoni cui gli artisti dell’epoca d’oro del regno di Luigi XIV non avevano mai smesso di obbedire.

La linea sinuosa celebrata da Hogarth nella sua Analysis of beauty diventò cardine di questo stile di frivolezze e di una gamma di piaceri variegati per la vista: in pittura, scultura, nelle gallerie ornate di specchi, in architettura, tutto era pensato e progettato per suscitare sorpresa e sollecitare l’occhio nel labirinto della visione. L’insaziabile «appétit de visibilité»,255 che caratterizzò il XVIII secolo trovò uno dei

propri modi di appagamento nello stile in voga alla corte di Philippe d’Orléans prima, e poi a Versailles, con Luigi XV.

Tra il 1750 e il 1770, tuttavia, Parigi, capitale della vita mondana, dei guizzi e delle trovate rocaille che informavano anche lo stile di vita della corte, e di cui François Boucher era uno dei massimi esponenti, già iniziava a interrogarsi sull’opportunità di tale frivolezza. In corrispondenza con gli scavi di Ercolano, in un momento in cui gli inglesi posero per primi l’attenzione sulle antichità greche, si iniziò ad auspicare anche in Francia una maggiore morigeratezza dei costumi, un’adesione ideale e materiale allo stile «severo». Il mondo muliebre e grazioso che aveva preso piede nella capitale francese iniziò a essere criticato.

Sul crinale della metà del secolo, il gusto dominante durante il periodo della Reggenza iniziò a essere considerato deplorevole dalla Direction des Bâtiments

255   Fumaroli in Paris 2010, p. 40.

23 Jean-Baptiste Oudry, Les divertissements champêtres, 1720-1723, cinque di nove pannelli decorativi dipinti per il castello di Voré (Orne), Paris, Musée du Louvre

24. Jean-Baptiste Oudry, Les divertissements champêtres, 1720-1723, Paris, Musée du Louvre

e dall’Académie. Il fine era quello di restaurare l’equivalente del gusto «classico» del Gran Secolo, del Seicento, in cui il ruolo di Roma ancora era protagonista.256 Va

detto che il riferimento a Roma e alla scuola pittorica romana guidata per tutto il XVII da Carlo Maratti, rimase saldo assieme a quello per l’antico:257 il soggiorno

in Italia per gli artisti francesi, rimase dunque una tappa cruciale per la carriera, non tanto e non solo per la formazione dell’artista, quanto per il valore simbolico che assumeva. Attraverso il viaggio un pittore o uno scultore si trasformavano in artisti veri e propri; Roma e Venezia, inoltre, erano luoghi in cui gli artisti imparavano a «stare al mondo», anche dal punto di vista sociale.258

256   Ibidem, p. 26. Si veda L’Idea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, catalogo della mostra [Roma, Palazzo delle Esposizioni, 29 marzo-26 giugno 2000] a cura di E. Borea, C. Gasparri, L. Arcangeli, Roma 2000.

257   C. Goldstein, Observation on the role of Rome in the formation of the French Rococò, in «Art Quarterly», 33, 1. 1970, pp. 227-245: 227.

258   C. Michel, Les relations artistiques entre l’Italie et la France (1680-1750): la contradiction des discours et de la pratique, in «Studiolo», 1.2002, pp. 11-19: 16.