Il lessico italiano delle opere preparatorie in una prospettiva europea
I. RUBENS E IL LESSICO «ITALIANO»
Rubens fu un attore fondamentale nella storia del bozzetto ma non l’unico, in un panorama artistico, all’inizio del XVII secolo, in profonda trasformazione: per usare l’espressione di Kubler, Rubens ebbe un «accesso favorevole alla linea storica»,112 sorretto da doti naturali indubbie. Esistono però delle ragioni per le
quali, spesso, gli storici dell’arte si sono rivolti solo al suo modo di preparare dipinti di grande formto ritenendo che queste modalità non avessero precedenti. È pur vero che al fiammingo si deve ascrivere il merito di aver preso possesso e portato al massimo sviluppo stimoli e innovazioni che in gran parte prendevano già corpo presso botteghe di altri artisti al suo arrivo nella Penisola: è stato, d’altronde, definito l’iniziatore della «skizzenmalerei».113 Non solo, la parabola
che disegnò lungo la sua vita ne fece anche un ambasciatore della lingua parlata dagli artisti e lo rese testimone della nascita e del riconoscimento del bozzetto come strumento preparatorio e come oggetto collezionabile. È però altresì vero che la sua maniera l’avrebbe reso il vessillo dei rubenistes nella querelle sur le coloris all’Académie Royale de Peinture et Sculpture, negli anni Sessanta e Settanta del Seicento.114
Le opere del pittore di Siegen, anche quelle preparatorie, inoltre, hanno riscosso un successo incondizionato e questo ha permesso la loro conservazione. Esse variano dal rapido appunto su carta al modello ben rifinito, dal formato molto piccolo a quello ben più grande. A tutta questa varietà corrisponde, ovviamente, una grande ricchezza terminologica, che oggi è sussunta sotto il lemma «bozzetto». La madrelingua di Rubens era il fiammingo e quindi dovevano risultargli
112 G. Kubler, La forma del tempo (1962), Torino 2002, p. 13.
La tesi di Ludwig Burchard, iniziatore del Corpus Rubenianum, negli anni ’20 del Novecento, era proprio questa: i bozzetti del periodo italiano di Rubens «non sono[…] schizzi appena svariati di colore, quasi “en camaïeu”, ma proprio piccole preparazioni a guisa di quadri, pienamente condotte nel colore, e perciò “modelli” che dovevano dare all’ordinatore la dimostrazione di ciò che sarebbe stato il quadro di maggior mole. Il fare degli abbozzi di Rubens maturo è certamente qualchecosa d’inedito Ma sugli inizi, prima di giungere a quel suo modo canonico di bozzettare, egli si tenne all’uso dei cinquecentisti italiani»; in L. Burchard, Alcuni dipinti del Rubens nel suo periodo italiano, in «Pinacotheca», 1.1928-29, p. 2. Il primo numero della rivista, fondata da Roberto Longhi con Emilio Cecchi, si apriva con l’articolo di Burchard; il passo compare in L. Freeman Bauer 1975, p. 197. Scriveva poi Burchard sull’onda della scoperta della Natività di Fermo da parte di Longhi: «Mi pare dunque che il passo avvertibile dal bozzetto del quadro, ci allontani alquanto dal Correggio, per avvicinarci “via Tintoretto”, nella direzione del Caravaggio».
113 P. Wescher, La prima idea. Die Entwicklung der Ölskizze von Tintoretto bis Picassso, München 1960, p. 34.
114 Si veda Le rubénisme en Europe aux XVIIe et XVIIIesiècles, atti del convegno [Lille, Université
familiari i termini «schets» e «boots».115 Il termine «schets» fu utilizzato per
descrivere i dipinti preparatori in volgare olandese nel XVII secolo: questo lemma andò progressivamente a sostituire le parole «teekeninge» o «crabbelinge» (disegno).116 La scelta di «schet», la cui parentela con l’italiano «schizzo» è evidente,
pone l’attenzione su un altro aspetto centrale nel disegno: la velocità, il furor, la facilità di delineazione sul supporto dell’idea iniziale. Giovan Pietro Bellori, non a caso, mostrava apprezzamento per la «furia del pennello» propria di Rubens: così lodava il pittore celebrando il suo furore inventivo che anticamente sarebbe stato riconosciuto come furor poeticus o furor divinus.117 È di una qualche rilevanza,
allora, che tra il 1612 e il 1615 Rubens si trovò a scrivere di suo pugno non adoperò la parola «bozza» ma una parola derivata da «schizzo».118 Infatti Rubens inviò due
disegni a un mecenate sconosciuto e su uno di essi annotò:
Si ha da avertire che l’opra riuscirebbe molto diversa / da questi scizzi, li quali sono fatti leggierissimamente da / primo colpo per dimostrar solo il pensiero […] mà poi si farebbono / li dissegni come anco la pittura con ogni studio e diligenza.119
Julius Held ha identificato gli «scizzi» di Rubens con bozzetti a olio.
A distanza di poco tempo, nel 1619, Rubens si riferì a quelli che oggi chiamiamo «bozzetti» con la locuzione «dissegni coloriti»,120 associando disegno e colore,
due concetti importanti per il loro valore artistico, ma afferenti a due fasi diverse dell’elaborazione di un’opera.
Nel contratto essi erano ancora chiamati «teekeninge» – che significa disegnare, delineare – secondo la dizione tradizionale. Sebbene, infatti, i valori chiaroscurali appartengano allo studio che va compiuto in vista di un dipinto, il colore è identificabile con l’ultima operazione pittorica dopo invenzione e disposizione, secondo uno schema tripartito proprio della retorica.
La locuzione «dissegno colorito» sarebbe riapparsa in una lettera inviata da Rubens all’Arciduca Alberto d’Austria, che fu chiamato a intercedere nell’impasse
115 Come si legge online nel Woordenboek der Nederlandsche Taal, c’è forse un antico rapporto tra il termine «boots» l’italiano «bozzo» e il francese «boche, boce», ma non sono fornite prove a favore dell’ipotesi; cfr. l’entrata «boots» all’indirizzo internet [gtb.inl.nl]. Si veda inoltre Motolese 2012, note 52 e 53 p.134.
116 Woodall in München 2003, p. 17 117 Si veda Ferrari 1990, p. 29.
118 J. S. Held, The oil sketches of Peter Paul Rubens. A Critical Catalogue, Princeton 1980, vol. I, p. 4. 119 Held 1980, vol. I, p. 7. Nella sua monografia sul pittore, Rudolf Oldenbourg supponeva si trattasse di cartoni, cfr. R. Oldenbourg, Peter Paul Rubens, Munich-Berlin 1922, p.124.
che si era creato tra il pittore e il Vescovo Carl Maes di Gand:
Ben si deve ricordar secondo l’estrema bontà della sua memoria el arciducca d’haver veduto duoi anni fa un dissegno colorito fatto di mia mano per servicio della tavola colle porte del altar maggior del duomo di Gandt, ad istanza del Riverendmo Masio.121
Ancora, nel 1627, un inventario della bottega di Faubourg Saint-Marcel menzionava i bozzetti per il ciclo di Costantino come:
Item douze petitz desseigns peintz en huille sur des planches de bois, de la main de Pierre Paul Rubens, répresentant l’Histoire de Constantin, prisé à raison de 100 ff pièce […] 1200 ff.122
Quindi, quelli che noi definiamo «bozzetti» o «modelli» esistevano nella sostanza, sia nella perifrasi che stava a sciogliere quella che sarebbe più tardi diventata un’entrata nel vocabolario, sia nella pratica degli artisti, sebbene il termine usato fosse quello di «scizzi». (Figg.6,7)
Le «schetsen» di Rubens restarono nel suo studio e furono probabilmente vendute all’asta solo nel 1642; nel 1656 erano rintracciabili come «esquisses».
Spontaneità e furor propri dello «schizzo» dell’artefice sarebbero rientrati nelle definizioni del lemma «esquisse» nei dizionari francesi di fine Seicento. Non a caso i redattori dei vocabolari ne avrebbero rilevato la dipendenza dal lemma «schizzo» che, come in Vasari o nelle lettere succitate di Rubens, conteneva in sé il seme della necessità di compimento in un rapido gesto della mano («una sola bozza del tutto» aveva scritto Vasari). Non solo, «schizzo» portava con sé, come si è visto, un bagaglio di considerazioni e conquiste nel campo dell’arte da parte degli artisti che gli altri vocaboli, legati più a lavoro, fatica e valore strumentale, non possedevano. «Schizzo» era maggiormente legato al momento inventivo che a quello esecutivo: è meno connesso alla fatica manuale che comporta disgrossare un blocco di marmo o abbozzare una tela.
121 La lettera recava la data del 19 marzo 1614. Si veda P. P. Rubens, Lettere Italiane, a cura di I. Cotta, Roma 1987, p. 78; cfr. anche G. Martin, Rubens’s ‘Dissegno Colorito’ for Bishop Maes Reconsidered, in «The Burlington Magazine», 110, 785.1968, pp. 434-437.
II. LA REAZIONE FRANCESE A VASARI