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La battaglia dei sessi: la cultura del self-help e la popolarizzazione della sessuologia nel contesto americano

C APITOLO T RE C ONTROSESSO : LE COMMEDIE A EPISODI E LA CRISI DELLA COPPIA , TRA ALIENAZIONE BORGHESE E PSICANALIS

3.2. La battaglia dei sessi: la cultura del self-help e la popolarizzazione della sessuologia nel contesto americano

Questo processo, come si diceva, era stato influenzato in Italia da forme discorsive già ampiamente diffuse nella cultura popolare americana. La cosiddetta “battaglia dei sessi” divenne negli anni Cinquanta una costruzione discorsiva ricorrente nei media americani.50 In sostanza, l’idea era che l’accresciuta capacità di consumo delle donne

avesse mutato i rapporti di forza tra uomo e donna all’interno della famiglia. Non solo, si riteneva che questo protagonismo avesse portato alla mascolinizzazione delle donne, che ambivano ormai a svolgere lavori salariati e ad avere una vita sessuale attiva, sganciata dalla procreazione. La donna emancipata costituiva soprattutto un problema per l’uomo e per la coppia. Da un lato, era proprio la cultura popolare a incoraggiare le donne a diventare consumatrici indipendenti, dall’altro era la stessa

50 Pur quanto si tratti di una espressione colloquiale, la “guerra dei sessi” è presente con

specifiche traiettorie nella cultura di massa. Per una ricostruzione delle dinamiche di diffusione di questo complesso discorsivo si vedano: Ehrenreich, 1983 e Jeffreys, 2011. Sul valore negoziale dei discorsi sulla “battaglia dei sessi” rispetto ai cambiamenti storici e sociali, in particolare nel cinema

cultura di massa a dare voce al punto di vista maschile, alla crisi del virilismo, proponendo, a suo modo, delle soluzioni a questa conflittualità. La diffusione di questo complesso discorsivo si era legato alla popolarizzazione della sessuologia, alla diffusione della cultura del makeover e del self-help, grazie all’enorme diffusione dei rotocalchi femminili e di quelli d’attualità (Buhle, 1998: 168). Più in generale, come ha scritto Anthony Giddens, la de-tradizionalizzazione della società neo-capitaliste ha portato a una complessiva riconfigurazione del sé, di cui la cultura del self-help e del make-over sono in qualche modo conseguenza (Giddens, 1991). Come poi avverrà in Italia, si trattava di temi e prodotti che richiedevano per lo meno l’accesso a forme di cultura “middle-brow”, come i rotocalchi di attualità politica e le edizioni paperback di inchieste giornalistiche che iniziavano in quel periodo ad essere sempre più popolari. Il culmine di questo processo si ebbe con l’uscita del best-seller Sex and the Single Girl di Harley Gurley Brown, che invitava le giovani americane a essere economicamente indipendenti e sessualmente intraprendenti.51 Intanto, mentre prendeva piede il

modello femminile della cosiddetta ragazza “Cosmopolitan” e nasceva “Playboy” (1953,) Hollywood dava vita a una serie di film che Steve Neale e Frank Krutnl hanno definito le comedies of sexes. I due studiosi inquadrano così il genere:

during the 1950s and 1960s [...] under pressure from the cultural impact of post-Kinsey sexology, with its mechanistic detailing of sexual response, sexual frequency, and so forth – the comedy becomes broader as the emphasis upon physical sexuality intensifies. This results in an increased level of innuendo, often with the males as bearers of sexualized jokes at the expense of women (Krutnik; Neale, 1990: 171-2).

Come avvenne poi in Italia, la commedia hollywoodiana subì un processo di sessualizzazione, a partire da film come The Tender Trap (t.i.: Il fidanzato di tutte, Charles Walters 1955), Pillow Talk (t.i.: Il letto racconta, Michael Gordon 1959) It Started with a

51 Il libro della Brown è uscito in Italia nel 1965 per Baldini e Castoldi con il titolo Come si seduce

Kiss (t.i.: Cominciò con un bacio, George Marshall 1959), How to Murder Your Wife (t.i.: Come uccidere vostra moglie, Richard Quine 1965) e What’s New Pussycat? (t.i.: Ciao Pussycat, Clive Donner 1965). Questi film, tutti incentrati sulla “battle of sexes” presentavano il matrimonio come la fine delle fantasie di libertà sessuale maschili, ed in molti casi l’uomo si trovava a combattere l’indisponibilità sessuale femminile. All’opposto rispetto alla pubblicistica femminile, l’insoddisfazione delle donne rispetto al matrimonio o all’unione eterosessuale erano difficilmente presentati in quanto tali, dato che i personaggi femminili venivano generalmente caratterizzati come patologici, perversi o repressi (Krutnik; Neale, 1990: 171-2). Ad esempio, il film tratto dal libro della Brown, Donne vi insegno come si seduce un uomo di Richard Quine (t.o.: Sex and the Single Girl, 1964) aveva come protagonista la tipica single girl, la giovane donna in carriera sessualmente attiva già prima del matrimonio. Tuttavia, il film proponeva come lieto fine la classica unione romantica eterosessuale. Lungo il film vi sono numerosi riferimenti alla sessuologia e alla psicanalisi, tanto che la storia d’amore si sviluppava attraverso il rapporto medico-paziente (la protagonista è, infatti, una psicologa). Inoltre, essendo il protagonista maschile un giornalista, si tematizzava nella trama il legame tra psicanalisi e media, e allo stesso tempo si proponeva il legame amoroso tradizionale come una possibile soluzione allo stravolgimento dei ruoli di genere. D’altronde, come ha notato Mary Jo Buhle, proprio in questi anni la psicanalisi beneficiava di ampia risonanza nella cultura di massa, tanto da raggiungere l’apice della sua popolarità:

Its celebrity […] not only accompanied but nourished the rapid expansion of commercialized mass media. […] Psychoanalysis had become common currency among Americans as a medium of diverse social commentary (Buhle, 1998: 168).

La psicanalisi, in sostanza, divenne parte del lessico della cultura popolare, trasformandosi in un veicolo d’interpretazione della società contemporanea. Proprio in questo contesto si diffondeva una “vulgata” freudiana che mirava a risolvere il

“mistero” del piacere femminile, la cui mancanza rappresentava una spiegazione plausibile alla “battaglia dei sessi”. Infatti, in quella cornice discorsiva, l’accresciuta agency femminile, dovuta al suo rapporto privilegiato con i consumi, era responsabile di aver prodotto una tensione tra la cultura dell’autogratificazione promossa dai consumi, e l’ideale tradizionale dell’auto-sacrificio e della passività della moglie e della madre (Ehrenreich; English, 2005: 227). Questo portava le donne a forme di nevrosi che si ripercuotevano sulla loro intimità. Presero piede, anche nella cultura popolare, distinzioni allora ritenute scientifiche come quella tra la “donna clitoridea” e la “donna vaginale”, che si proponevano come due tipologie sociali fondate su tipi fisio- psicologici. Nella loro diffusione mediatica s’insisteva non tanto sull’orgasmo in sé, ma sulla sua assenza, ovvero sulla patologizzazione della donna incapace di raggiungerlo. La preoccupazione per il piacere femminile, o meglio per la sua assenza, si basava appunto su una vulgata freudiana che considerava la clitoride come una versione più piccola e inadeguata dell’organo sessuale maschile. La donna clitoridea, dunque, era colei che soffriva d’invidia del pene e cercava, senza mai riuscirci completamente, di prendere il posto dell’uomo. Questa interpretazione diveniva la metafora della progressiva mascolinizzazione della donna e quindi del suo tentativo di soppiantare l’uomo nelle sue prerogative tradizionali. La soluzione proposta alle donne dagli esperti era quindi quella di “educarsi” all’orgasmo vaginale, in modo che non solo sul piano simbolico, la donna lasciasse da parte tutte le sue rivendicazioni maschili e accettasse il suo ruolo passivo, ricompensata dal dono dell’orgasmo vaginale, l’unico raggiungibile attraverso l’unione eterosessuale (Ehrenreich; English, 2005: 229). La scoperta negli stessi anni secondo cui la produzione ormonale era regolata dall’ipotalamo portò ginecologi, psichiatri e psicanalisti a elaborare strategie congiunte di “cura” alla frigidità, forti della prova scientifica del legame tra utero e cervello. Da qui lo sviluppo di un approccio psico-genetico alla ginecologia, che sostanzialmente trasformava il ginecologo in un analista che prescriveva alla donna un lavoro di sorveglianza sul proprio corpo e sulla sua psiche, secondo un percorso masochistico di rinuncia che avrebbe dovuto portarla alla felicità del completo

abbandono nell’unione coniugale.52 Tuttavia, il modello di donna vaginale appariva

un’ambizione quasi impossibile, tanto che le donne vaginali risultavano pochissime. Questa discrepanza numerica non faceva altro che provare la crisi della femminilità come causa e fenomeno complementare alla crisi della mascolinità che stava ormai imperversando negli Stati Uniti (Ehrenreich; English, 2005: 230). Nei discorsi degli esperti, la retorica della parità di genere non veniva affatto scalfita, ma diveniva un elemento complementare all’enfasi sulla differenza sessuale, che prescriveva, ancora una volta, ruoli definiti per uomini e donne. Solo il rispetto di questi ruoli era in grado di riequilibrare il caos portato dalla modernizzazione, senza intaccarne i benefici (Jeffreys, 2011: 12). Questo interesse per il piacere sessuale femminile da un lato lo rendeva oggetto di discussione pubblica, in quanto chiave di lettura delle tensioni nella società contemporanea, dall’altro spostava nell’intimità, anche in senso fisiologico, il fulcro delle ansie connesse alla modernizzazione.