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Beni comuni e diritti di uso di comunità legate ad abbazie

Nel documento Abbazie e paesaggi medievali in Toscana (pagine 53-57)

I beni comuni nella Toscana medievale

6. Beni comuni e diritti di uso di comunità legate ad abbazie

Fra le signorie rurali quelle degli enti monastici furono, in genere, quelle che più cercarono di ottimizzare lo sfruttamento delle loro pro- prietà, sia sperimentando più moderne modalità di conduzione, sia ge-

stendo direttamente lo sfruttamento19.

Tuttavia, anche in presenza di signorie monastiche forti, in gran parte dei casi le comunità riuscivano ad avere dei beni o dei diritti di sfruttamento.

Vediamo ad esempio che, già sul finire del Duecento, il Comune di Abbadia San Salvatore e il potente monastero di San Salvatore sul Monte Amiata si erano accordati per una gestione dei boschi con queste modalità: sia il monastero sia gli abitanti del Comune potevano servirsi di tali boschi liberamente quando essi non fossero stati “banditi” dal Co- mune; i proventi delle aree “bandite”, il cui sfruttamento era concesso a pagamento (a locali o forestieri), dovevano andare per un terzo al mona- stero e per due terzi al Comune; sempre per un terzo al monastero e due terzi al Comune erano divisi i proventi dalla concessione d’uso di mulini

19 Un lavoro esemplare di analisi delle modalità di organizzazione economica e sfrut-

tamento delle risorse di una fra le più importanti realtà monastiche della Toscana, dal quale si ricavano anche indicazioni sul tema in generale, è Salvestrini 1998.

Marco Bicchierai 42

e gualchiere (la cui stessa proprietà veniva stabilita come indivisa per un

terzo e due terzi fra monastero e Comune)20.

Così dagli Statuti della comunità di Moggiona - a fine Trecento an- cora soggetta alla signoria monastica di Camaldoli - emerge che, pur in presenza di selve nel territorio gestite direttamente dai camaldolesi, il Co- mune aveva una propria selva per gli usi degli abitanti e anche del pascolo per il loro bestiame (separato dalle greggi di Camaldoli) dove era vietato l’accesso al bestiame forestiero. Alla servitù di pascolo erano soggette anche le terre private, dopo la mietitura, e così i prati dopo la falciatura. Allo stesso mo- do poteva essere liberamente raccolta l’erba sui margini degli appezzamenti coltivati. La pesca nel torrente del paese, viceversa, era consentita solo dietro

espressa licenza del priore di Camaldoli21.

Spostandoci, infine, in un’altra zona montana non molto lontana, San Godenzo, vediamo il caso di una comunità che aveva acquisito e mantene- va, ai primi del Quattrocento, diritti assai più ampi. In questo caso, però, l’abbazia nei cui pressi era sorto il paese aveva goduto di diritti e beni di gran lunga inferiori al caso di Camaldoli, e nella zona il potere signorile principale era stato quello dei conti Guidi. Nel territorio comunale vi erano ampie aree occupate da boschi e pasture comunali. Nei boschi del Comune era vietato o limitato il taglio. Per la concessione di taglio si pagava un censo al Comune. Le aree per il pascolo in parte erano concesse allo sfruttamento riservato, con aste per il miglior offerente, in parte erano riservate all’uso degli abitanti. Vi erano delle pasture del Comune ed altre proprie di singole frazioni - dette “vicinanze” - gestite direttamente da queste. Nei terreni (boschi o pasture) era consentito il pascolo, tranne che per i periodi in cui questi venivano “bandi- ti”: Settembre e Ottobre per quanto riguarda i castagneti e i boschi, da aprile all’estate per i prati. Come in molti casi, la proprietà dei mulini era passata

dai signori al Comune e, insieme ad essa, i diritti di molitura in esclusiva22.

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20 L’accordo è pubblicato in Redon 1982, 169-174. 21 Per l’analisi dello statuto v. Cherubini 1992a.

I beni comuni nella Toscana medievale 43 Bicchierai M. (1995 - a cura di), Beni comuni e usi civici nella Toscana tardo medieva-

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La distribuzione degli Enti regolari

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