• Non ci sono risultati.

1 Una bestia irragionevole nei bandi e nelle costituzioni dello Stato Pontificio

Nello Stato Pontificio – e più in particolare nell’esperienza bolognese – l’omicidio senza causa o bestiale fu oggetto di una attenzione particolare, attestata anche dai bandi dei cardinali legati a latere che si susseguirono.

È in vero vergognoso, e biasimevole il doversi dire, che un uomo dotato da Dio di intelletto, ed anima ragionevoli, e molto più un cattolico purificato al lume della santa fede ed istruito da divini precetti, acciecato che sia da un’empia passione, si renda simile alle bestie irragionevoli, e con cause a quelle convenevoli, e nella brutalità, e nell’irragionevolezza, uccida il suo prossimo.118

Con queste parole di forte biasimo, il Cardinale Serbelloni (1695-1775)119 legato a latere della città di Bologna introduceva il capitolo XVII del bando dedicato all’omicidio per causa bestiale o irragionevole. Il legato ammetteva che si trattava di una fattispecie criminosa di difficile inquadramento e che intorno ad essa orbitavano opinioni spesso discordanti fra i giuristi che ne facevano oggetto di indagine e di studio. Il limite dell’uomo nella comprensione di tale fenomeno criminoso risiedeva, secondo il Serbelloni, nella limitatezza dell’intelletto umano, il quale, soltanto facendo appello alla sapienza divina regolatrice del mondo, può allontanare gli equivoci e le incertezze e farsi erudire da chi sovraintende a tali giudizi.

118 Fabrizio Serbelloni, Bando Generale della Legazione di Bologna e suo contado, Bologna, 1756,

[c. XVII] p. 29.

119 Sul cardinale si veda D. Squicciarini, Nunci apostolici a Vienna, Città del Vaticano, 1998, pp.

48 Al fine di giudicare se la causa dell’omicidio volontario sia bestiale ed irragionevole il Cardinale Serbelloni consigliava al giudice di focalizzarsi sugli aspetti oggettivi del fatto e sulle circostanze dalle quali esso è accompagnato, nella misura in cui esse risultino sufficientemente provate, diffidando dall’intrìco e dalle incertezze dell’elemento soggettivo del reato. In tale fase non deve invece «avere riguardo a ciò che il delinquente ha cervelloticamente creduto nella sua mente».

L’omicidio, anche commesso a sangue caldo, può essere qualificato come bestiale qualora l’ucciso in alcun modo abbia contribuito alla causa, né con azioni, né con parole, né in qualsiasi modo – consapevole o inconsapevole – idoneo ad offendere oppure a suscitare ira nell’uccisore. La causa dell’omicidio deve ricondursi alla cervellotica credenza dell’assassino, il quale senza ragionevole motivo e bestialmente sulla base di una sua falsa credenza, un errore supposto o altra sua ingiustificata idea, si sia mosso ad uccidere. Il bando chiarisce che tale delicata valutazione è riservata al pieno arbitrio del giudice, il quale, una volta formato il proprio convincimento in tal senso, comminerà la pena di morte all’omicida e a coloro che si saranno resi complici o partecipi del delitto.120

L’orientamento del cardinale Serbelloni, legato della città di Bologna, appare estremamente restrittivo e il suo bando recepiva tutte le norme più rigorose contenute nella Costituzione In supremo iustitiae solio121 di Clemente XII122 del 1735 e in quella Securitatem, atque tranquillitatem di Benedetto XIV in vigore in tutti i territori sottomessi allo Stato della Chiesa, comprese le quattro legazioni e le città di Bologna, Ferrara e Benevento. All’omicidio e alle circostanze in cui esso veniva perpetrato si guardava con particolare rigore soprattutto per la frequenza123 con cui tali crimini al tempo turbavano la quiete sociale.

120 Fabrizio Serbelloni, Bando Generale della Legazione di Bologna e suo contado, Bologna, 1756,

[c. XVII] p. 30.

121 Clemente XII, Constitutio contra Homicidas, CLI, an. V (1735), in Bullarium romanum seu

novissima, et accuratissima collectio apostolicarum constitutionum, XIV, Romae, 1744.

122 ‘Al secolo’ Lorenzo Corsini, nacque a Firenze il 16 aprile del 1652 e morì quasi completamente

cieco l’8 febbraio del 1740. Con il nome di Clemente XII fu eletto papa il 12 luglio del 1730 e rimase in carica fino a due giorni prima della sua morte. Fu seppellito dapprima in S. Pietro e successivamente la salma venne trasferita nella Basilica Lateranense. Sulla sua biografia si veda Angelo Fabroni, De vita et rebus gestis Clementis XII, Romae, 1760.

123 La larga diffusione dell’omicidio per causa bestiale nella città felsinea risulta confermata dal già

49 La novità introdotta dalla Bolla di Clemente XII concerneva in particolare l’omicidio rissoso, per meglio dire, l’ipotesi in cui da un diverbio potesse scaturire il ferimento grave o mortale di uno dei due litiganti. In passato gli omicidi rissosi venivano puniti concedendo le attenuanti della giovinezza, della provocazione ma soprattutto del temporaneo obnubilamento dovuto all’ira e all’ubriachezza.124 Nel 1735 con tale Costituzione papale invece venivano stabilite delle eccezioni a tale regola generale. Venne specificato che non avrebbe ricevuto la mitigazione della pena l’omicidio commesso in conseguenza di una lite se essa fosse scaturita in assenza di causa, e assente sarebbe stata considerata una causa futile, irrazionale o bestiale. Pertanto, in tali ipotesi non poteva essere invocata alcuna circostanza attenuante e si diveniva destinatari della severa pena prevista per l’omicidio bestiale, ossia la morte aggravata da supplizi. Tale orientamento si fondava sulla presunzione che in assenza di una causa apparente l’impulso a delinquere derivasse dalla malvagità del reo e si generasse nel foro interno della sua coscienza, escludendo l’incidenza di circostanze esterne sulla volontà di uccidere. Acquisiva altresì valore giuridico – relativamente alla sussistenza o meno di un nesso di causalità – l’intervallo di tempo intercorso fra la lite e l’esecuzione dell’assassinio. Se fra questi due eventi fossero trascorse almeno sei ore l’omicidio rissoso si sarebbe considerato sprovvisto di una causa e pertanto bestiale. Tale intervallo di tempo si presumeva sufficiente a sedare l’ira e a far dirigere le azioni del reo verso obiettivi diversi da quello criminoso.125

Emerge con evidenza l’intento pontificio di punire con durezza ogni forma di violenza contro la persona soprattutto laddove l’efferatezza nel crimine non trovasse altra causa se non nel desiderio di uccidere. Certamente la Consitutio in supremo iustitiae solio di Clemente XII si colloca in linea di continuità con la politica criminale di stampo repressivo perseguita nei precedenti pontificati, in un quadro di inasprimento delle misure punitive rispetto ai crimini che suscitavano maggiore allarme sociale. Infatti, pur non rinunciando al principio della

124 G. Angelozzi, C. Casanova, La giustizia criminale a Bologna nel XVIII secolo e le riforme di

Benedetto XIV, Bologna, 2010, p. 271.

125 Clemente XII, Constitutio contra Homicidas, CLI, an. V (1735), in Bullarium romanum, cit., p.

50 graduazione della pena modulata sulla base di circostanze attenuanti già il suo predecessore Innocenzo XII126 aveva perseguito una politica criminale altrettanto rigida ed intransigente nei confronti dei cosiddetti ‘viros sanguinum’ «qui in humana saevitia nedum corporibus mortem dare», la cui anima malvagia non temeva di procurarsi la perdizione eterna. Fossero essi autori principali o mandanti di tali crimini, inquisiti, processati, condannati o messi al bando: in nessun tempo ed in nessun modo avrebbero dovuto ricevere il perdono, essere riabilitati o dispensati dalla pena.127

Il taglio severo della disposizione di papa Innocenzo XII valeva per qualunque governatore delle città dello Stato della Chiesa, per i rettori delle province, per i vicari della Chiesa Romana nelle faccende temporali, per gli ufficiali di giustizia e per gli stessi cardinali legati a latere.

Il Legato Serbelloni nel capitolo dedicato all’omicidio bestiale e irrazionale riportava alla memoria di ciascun cittadino l’osservanza delle disposizioni contro simili crimini efferati contenute nelle Bolle dei Sommi Pontefici Sisto V, Innocenzo XII, Clemente XII e Benedetto XIV nelle quali in sostanza si disponeva, che simili assassini non si potessero perdonare in alcun luogo dello Stato Ecclesiastico, anzi si dovessero discacciare e perseguitare come nemici della umana società, come ribelli dello Stato Pontificio.

Una questione interessante, per comprendere la preoccupazione che nelle istituzioni ecclesiastiche destava tale tipologia criminale, concerneva il diritto di asilo. Ogniqualvolta un reo di qualche delitto cercava rifugio in una chiesa sembrò che la commiserazione – a cui non andava disgiunta la rivendicazione del potere ecclesiastico – dovesse prevalere sulla giustizia punitiva. La protezione della Chiesa non veniva invece riservata a rei di crimini atroci e per atroci si dichiarò intendersi il parricidio, il fratricidio, l’uxoricidio, l’omicidio proditorio, premeditato,

126 ‘Al secolo’ Antonio Pignatelli, figlio del duca Minervino, di origini napoletane. Cardinale

presbitero titolare di San Pancrazio, vescovo di Calitri, poi arcivescovo di Napoli. Fu eletto papa il 16 luglio del 1691 e rimase porporato fino alla sua morte nel giorno 27 settembre del 1700 e fu sepolto nella Basilica Vaticana. Sulla sua biografia si veda Innocenzo XII, Constitutio XXIII, an. I, in Bullarium romanum seu novissima et accuratissima collectio apostolicarum constitutionum, IX, Romae, 1734, p. 247.

51 ‘appensato’ e quello commesso per causa affatto irragionevole e bestiale.128 Le anime disonorate di tali efferati criminali neppure al cospetto di Dio avrebbero ricevuto protezione. In esse albergava la volontà diabolica di corruzione della purezza offerta da Dio alle sue creature.

Nella seconda metà del XVIII secolo nello Stato Pontificio in materia penale l’unico intervento di qualche rilievo fu il bando generale di Benedetto XIV129 dell’8 novembre 1754, che sia formalmente sia sostanzialmente non rappresentava una novità, visto che si trattava soltanto di un nuovo bando generale che ridisciplinava la materia penale «in modo forse compendioso, ma certo terribilmente crudele»130. La necessità di un qualche intervento riformatore fu riconosciuta da Pio VI131, che con un chirografo dell’8 novembre 1785 «istruì una commissione per predisporre una riforma penale in cui si facesse omaggio alla proporzione delle pene» peraltro senza giungere ad alcun risultato concreto.132 Nel proemio del progetto di legge l’autorità papale procedeva ad una dichiarazione di intenti con cui venivano dichiarate le precipue finalità dell’intervento normativo, ovverosia finalità punitive ed esemplari a cui si pretendeva dovessero ambire le leggi penali e che la punizione fosse proporzionata alla malizia intrinseca del reato.