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Biopolitica come governo

Biopolitica e governamentalità

Foucault orientò il suo corso del 1978, Sicurezza, territorio, popolazione, verso un orizzonte ampio che implica la biopolitica: una storia della governamentalità. Nel secondo corso, Nascita della biopolitica, analizzò la governamentalità liberale. Il concetto di biopolitica si va ad intrecciare con quello antico di governo (inteso come modus di gestione del potere). Il potere, secondo Foucault, è una questione di governo, «governare significa strutturare il campo di azione possibile degli altri»148. Foucault ebbe l’intuizione di ritenere che le vite umane fossero gestite da una serie di pratiche, corrispondenti a precisi regimi di verità e risalenti nella storia occidentale149. Nel pensiero di Foucault, l’obiettivo è cogliere ciò che lega i regimi di verità con le pratiche di governo politico ed economico che gestiscono le vite. La biopolitica, attraverso i ‘discorsi di veridizione’ (quello della biologia e quello dell’economia), oggettivizza l’uomo sia come essere biologico-vivente sia come attore produttivo/consumante. La biopolitica elegge delle verità-potere (scientifiche) che sono indiscutibili e certe. Egli vuole analizzare proprio gli effetti politici dei discorsi con pretesa di verità150. Il potere, quando prende in carico la vita, acquisisce come modus la governamentalità e finisce per oggettivarla (la vita), avendo come scopo finale quello di una sua soggettivazione151. La governamentalità non possiede un dominio completo, la sua è un’influenza temporanea e concepisce una forma di indipendenza al governato (che è il suo oggetto di cura). Il governato ha un potere deuteragonista152. La governamentalità è la «giusta disposizione delle cose che prende in carico per condurle al fine loro

148 M. Foucault, Il soggetto e il potere, in H. Dreyfus, P. Rabinow (a cura di), La ricerca di Michel Foucault: Analitica

della verità e storia del presente”, Ponte delle Grazie, Firenze 1989, pp. 235-54.

149 Ivi, p. 33.

150 L. Bazzicalupo, Il governo delle vite. Biopolitica ed economia, cit., p. 35. 151 Ivi, p. 36.

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conveniente»153. Foucault sovrappone biopolitica e governamentalità, perché proprio nell’indagine del modus governamentale troviamo la giusta relazione tra potere e bios, tra vita condotta e vita che conduce, vita governata e vita che governa. Il governo, che è «arte precisamente di esercitare il potere nella forma e secondo il modello dell’economia»154, diventa paradigma di relazioni di potere; esclude lo status di dominio ed esprime temporaneità dell’influenza, reversibilità e una certa potenza e indipendenza dal governato. Quest’ultimo, nella relazione di potere, è l’oggetto di cura, di tutela e soggetto d’azione ‘libero’155. Per Foucault, l’economia è sia gestione finalizzata all’incremento, sia campo elettivo dell’azione di governo. La governamentalità è «l’insieme di istruzioni, procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa forma specifica e complessa di potere che ha, nella popolazione, il bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale»156.

La popolazione è «l’operatore della trasformazione che fa passare dalla storia naturale alla biologia, dall’analisi della ricchezza all’economia politica», la sua naturalità, la «rende continuamente accessibile ad agenti e tecniche di trasformazione, a condizione che questi siano illuminati, ragionati, guidati dall’analisi e dal calcolo»157. Il motore d’azione della naturalità è il desiderio, in base al quale ogni uomo agisce. Foucault si avvicina a Darwin, il primo a trattare gli esseri viventi non sul piano dell’individualità, ma su quello delle popolazioni e aggiunge che la popolazione non è solo bios, ma si costruisce tra la determinazione biologica (la specie) e una emergente dimensione psico-politica (il pubblico). Governare, quindi, significa orientare la popolazione verso determinazioni demografiche, statistiche, psicologiche, rimanendo ancorati al livello biologico, inteso come spazio di regolazione e scambio con l’ambiente. Per Foucault, il governo biopolitico mira a un fitness, ovvero ad adattare i comportamenti di un numero statisticamente

153 M.Foucault, Sécurité, territoire, population. Cours au Collége de France. 1977-78 , Gallimard-Seuil, Paris 2004, p.

99.

154

M. Foucault,Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France 1978-1979, tr. it., Feltrinelli, Milano 2005, p. 99.

155 L. Bazzicalupo, Biopolitica. Una mappa concettuale, cit. p. 48. 156 M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 88. 157 Ivi, p. 62.

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significativo a nuove norme. La norma emerge dal comportamento globale di una popolazione; inoculando procedure e norme di vita (dietologiche, urbanistiche, territoriali), si controllano i comportamenti. La riconduzione della biopolitica alla governamentalità porta a un ripensamento del concetto di norma. La norma è immanente alla vita stessa. La norma è il modus in cui si organizza e diviene il vivente: modus di autogoverno delle forze vive sociali e modus del quale un efficace governo dei viventi tiene conto. La vita, essendo sempre normata, diventa sempre un discorso sulla vita con effetti di potere, un potere che è anche autonormante158.

Il filosofo francese, nel suo ripensamento critico della biopolitica, ne ricava un’apertura su una logica immanentistica, ma anche normativa: la vita produce norme nel suo incessante adattarsi. Il senso della norma e dell’istituzione biopolitica è quello inclusivo: il legame che assimila individui disordinati e devianti riconducendoli al processo produttivo, formativo.

Paradossi della sovranità

La trattazione della biopolitica, in Foucault, parte dal tema della sovranità. Lo schema figurale di tale concetto presuppone due elementi inseparabili: l’insieme degli individui da un lato, il potere dall’altro, che producono tra loro un risultato a somma zero: tanto più c’è diritto, tanto meno c’è potere e viceversa. Egli, in ogni caso, non analizza il rapporto tra soggetti e potere, ma l’assoggettamento dei primi a un determinato assetto che è giuridico e politico al contempo. Così, per il filosofo francese, il diritto è lo strumento usato dal sovrano per imporre la propria dominazione e, all’un tempo, il sovrano sarà tale solo in base al diritto che ne legittima l’operato. Nel secolo scorso, per Foucault, il potere è cambiato. Se prima conferiva la morte, poi ha cominciato a prendersi in carico la vita: «Si tratta, per così dire, di una presa di potere sull’uomo in quanto essere vivente, di una sorta di statalizzazione del biologico, o almeno di una tendenza che condurrà verso ciò che si

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potrebbe chiamare la statalizzazione del biologico»159. Per l’odierna società politica, l’interesse principale si situa nel biologico, nel somatico, nel corporale, diventando così il corpo stesso una realtà biopolitica. Ossia, prima della postmodernità, la relazione tra politica e vita era sempre stata mediata da una serie di categorie che l’avevano filtrata, mentre nell’era postmoderna il rapporto è diretto, senza più intermediari: la vita entra direttamente nei meccanismi e nei dispositivi del governo degli uomini. Il perché è evidente: tutte le pratiche politiche messe in atto dai rispettivi governi si rivolgono alla vita, mentre la vita stessa entra nel gioco del potere in tutta la sua estensione. Parliamo quindi di biopolitica perché, da un lato, la politica è determinata dalla vita e, dall’altro, la vita è afferrata e penetrata dalla politica. Storia e natura, vita e politica si intrecciano, fungendo a vicenda da matrice e da esito provvisorio. In ogni caso, la biopolitica produce soggettività o morte: «O rende il soggetto il proprio oggetto o lo oggettiva definitivamente. O è politica della vita o sulla vita»160, non riuscendo così a sfuggire dall’enigma. E vi si resta, nell’enigma, fino a che si considerano la politica e la vita come due termini che, anziché comporsi, si pongono in un rapporto di appropriazione e dominio l’una con l’altra.

La biopolitica sembra così altra rispetto alla sovranità. Il nuovo regime di potere che emerge nella postmodernità è, tuttavia, attraversato dal codice biopolitico lungo tre aspetti fondamentali: il potere pastorale, le arti di governo e le scienze di polizia. Il primo allude a un rapporto stretto e biunivoco contenuto nella metafora del pastore e del gregge: le pecore obbediscono incondizionatamente al potere del pastore, che è tenuto a badare alla vita di ciascuna di esse. Così, secondo Foucault, fa lo stato moderno nei confronti dei cittadini. Il potere, allora, è quello che soggettiva gli individui, sottomettendoli da un lato al controllo e alla dipendenza, ma consentendo loro di acquisire coscienza e identità. Il secondo ha a che fare con una condotta di governo teorizzata nella forma della Ragion di Stato, che sposta il potere dall’esterno all’interno dei confini su cui si esercita. Il fine di tale forma di potere non è la mera coazione all’obbedienza, ma anche il benessere dei governati. Per far

159 M. Foucault, Bisogna difendere la società, cit., p. 206. 160 R. Esposito, Bíos. Biopolitica e filosofia, cit., p. 25.

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ciò, esso raccoglie e soddisfa tutte le richieste che gli arrivano dal corpo della popolazione. Il terzo (scienza di polizia) si costituisce intorno all’istituzione polizia, ordinata a favorire la vita in tutto il suo spessore, sviluppando gli elementi costitutivi della vita degli individui in maniera tale da rafforzare la potenza dello stato161.

Tanto basta per affermare che, in Foucault, la biopolitica non limita la vita, come fa invece il potere sovrano (sovranità), ma la espande proporzionalmente al suo sviluppo. Nonostante ciò nel ragionamento di Foucault c’è qualcosa che non quadra, se lo stesso autore si premura di dire che un potere della vita, tale è quello della biopolitica, si esercita contro la vita stessa, come ha dimostrato il totalitarismo del Novecento. Esiste allora una relazione diretta (rapporto direttamente proporzionale) tra sviluppo del biopotere e incremento della capacità omicida. Come se l’aspirazione della vita presupponesse un ordine di morte e la biopolitica degenerasse in tanatopolitica. Foucault, in Bisogna difendere

la società, scrive che il vecchio diritto di sovranità è stato, nel corso degli anni, completato

con un altro diritto, che non si è per questo sostituito al primo. Nel caso della Germania, ad esempio, il vecchio potere sovrano è stato integrato con le nuove teorie razziste, ma si potrebbe anche dire che il nuovo potere biopolitico abbia fatto uso del diritto sovrano di morte per dar vita al razzismo di stato. Foucault, insomma, cerca di sfuggire alle pastoie dell’enigma affermando che, una volta venuto meno il bilanciamento costituito dall’ordine sovrano, la vita è diventata l’unico campo di esercizio di un potere altrettanto sconfinato, che in parte si richiama al vecchio diritto del potere sovrano, in parte completa tale diritto

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Il termine “polizia” è stato utilizzato anche da Hegel, con il quale il filosofo tedesco intende l'organizzazione pubblica a carattere amministrativo, sorta all'interno dello stesso sistema economico su cui si fonda la stessa società civile. Per polizia, Hegel intende l'istituto che svolge, all'interno della società, una funzione difensivo-preventiva, d'intervento e di protezione. Usando una terminologia moderna, si tratta di quell'apparato pubblico destinato a svolgere funzioni di politica economica. La sua necessità nasce dalla complessità della società economica. La dialettica interna di essa distrae il singolo, immerso nelle sue attività particolari, dal perseguimento di fini che sono di interesse generale. Si rende allora necessario l'intervento di un potere pubblico che vigili su questi compiti generali e queste organizzazioni di comune utilità. Questo potere si blocca però nel momento in cui dovesse garantire la reale partecipazione del singolo alla ricchezza generale. Coerentemente al resto del sistema hegeliano, la polizia può solo garantire la possibilità di partecipazione e non la partecipazione effettiva. Comunque Hegel, a differenza degli economisti classici, riconosce che le leggi economiche debbano essere regolate perché altrimenti tendono a distruggere la stessa società che le ha rese possibili. Secondo una felice espressione di Pasquale Salvucci, Hegel «non è tanto ottimista da ritenere superflua l'amministrazione pubblica, ma non è neppure tanto pessimista da negare l'autonomia sostanziale della società civile», cfr. P. Venditti, Morale e politica, QuattroVenti, Urbino 1989, p. 53.

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con un altro. C’è quindi questo rapporto vischioso, ambiguo, che intercorre tra la sovranità e la biopolitica. Ma allora, totalitarismo e modernità tendono a essere al contempo simili e distinti, così come lo sono sovranità, biopolitica e totalitarismo. In tal modo, per quanto pregevoli, le riflessioni di Foucault sul nesso tra politica e vita rimangono incompiute e indefinite. È per questo motivo che Esposito cerca un nuovo orizzonte di senso, che chiarisca in primo luogo il significato della vita nella sua essenza. Per Foucault la politica è la produzione dei soggetti che può dar conto della complessità del rapporto di governo. Le tecnologie disciplinari e normalizzanti sono modi di esercizio di una nuova forma di potere/governo delle vite, che il potere sovrano non può esercitare totalmente. Queste due forme che si contrappongono, si articolano reciprocamente, fino alla fine della sovranità, quando esplode la biopolitica162.

Per Agamben, il reale significato della biopolitica è l’implicazione della vita nel potere sovrano. Tema centrale del pensiero del filosofo italiano è il passaggio da zoé (vita dell’essere vivente, vita naturale) a bios (modo di vita politico, vita qualificata politicamente), il rapporto nuda vita-esistenza politica (zoé-bios), esclusione-inclusione è centrale all’interno della politica occidentale. L’uomo è il vivente che, nel linguaggio, separa e oppone a se stesso la propria nuda vita e insieme si mantiene in rapporto con essa in un’esclusione inclusiva: ciò permette che vi sia politica163. A fondamento della politica c’è la costituzione di una vita nuda, una vita che oltre a essere naturale è anche presa fuori, in un rapporto con il potere, sotto il quale si mantiene. Potere sovrano e nuda vita si trovano in questa relazione di eccezione (presa fuori), la nuda vita àncora il potere e ne rende possibile l’esercizio164; l’eccezione è una cattura: «chiamiamo relazione d’eccezione questa forma estrema della relazione che include qualcosa unicamente attraverso la sua esclusione»165. L’eccezione, come inclusione alla vita attraverso la sua esclusione, è l’atto che rivela la struttura della sovranità166. Per Agamben, il biopotere si radica nella sovranità che è strutturata sull’eccezione della vita nuova; lo Stato moderno, con la vita biologica al

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Ivi, p. 81.

163 G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la vita nuda, cit., p. 11. 164 L. Bazzicalupo, Biopolitica. Una mappa concettuale, cit., p. 83. 165 G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, cit., p. 22.

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centro, fa luce sul collegamento fra potere e vita, che diventa lo spazio politico stesso. Per il fatto di collocarsi contemporaneamente all’interno e all’esterno dell’ordinamento giuridico, il sovrano si trova in una situazione paradossale. In che cosa consiste il paradosso? Agamben spiega che il sovrano, avendo il potere legale di sospendere la validità della legge, si pone legalmente al di fuori di essa. Si tratta di una paradossale ‘esclusione inclusiva’, come quella implicita nel potere di proclamare lo stato di eccezione. Secondo Carl Schmitt, il potere sovrano è ‘monopolio della decisione ultima’, ossia della decisione intorno alla sospensione dell’ordinamento giuridico normale attraverso la proclamazione dello stato di eccezione. Il sovrano segna il limite dell’ordinamento giuridico, essendo, come detto, contemporaneamente, fuori e dentro l’ordinamento giuridico (in altre parole, la legge è fuori di se stessa, in quanto l’ordinamento giuridico riconosce al sovrano il potere di sospendere l’ordinamento giuridico stesso). In questo senso l’eccezione (un caso singolo escluso dalla norma generale) è la forma originaria del diritto, il presupposto delle coordinate giuridiche fondamentali: ordinamento e localizzazione. L’ ‘ordinamento dello spazio’, in cui per Schmitt consiste il Nomos sovrano, non è solo «presa della terra, fissazione di un ordine giuridico e territoriale, ma, innanzi tutto, “presa del fuori”, eccezione»167.

Dal momento che la norma si applica all’eccezione disapplicandosi, la relazione di eccezione è la forma estrema della relazione che include qualcosa unicamente attraverso la sua esclusione. Da ciò deriva che «la situazione, che viene creata nell’eccezione, ha pertanto questo di particolare, che non può essere definita né come una situazione di fatto, né come una situazione di diritto, ma istituisce fra queste una paradossale soglia di indifferenza»168. La norma giuridica, essendo generale, deve valere indipendentemente dal caso singolo. Se il linguistico, per esistere, presuppone il non-linguistico, la legge acquista senso solo riferendosi a un non-giuridico, che è lo stato di eccezione. Scrive Agamben: «L’eccezione sovrana (come zona d’indifferenza fra natura e diritto) è la presupposizione

167 G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, cit., p. 23. 168 Ibid.

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della referenza giuridica nella forma della sua sospensione»169. In ogni norma è implicito il riferimento alla trasgressione (come stato d’eccezione). Tra eccezione ed esempio, continua Agamben, potrebbe anche ravvisarsi qualche affinità, ma mentre la norma è esclusione

inclusiva; l’esempio, al contrario, funziona come inclusione esclusiva.

In Schmitt, la sovranità si presenta nella forma di una decisione sull’eccezione. Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. Questa definizione può essere appropriata al concetto di sovranità, solo in quanto questo si assuma come concetto limite. Infatti concetto limite non significa un concetto confuso, come nella terminologia spuria della letteratura popolare, bensì un concetto relativo alla sfera più esterna. A ciò corrisponde il fatto che la sua definizione non può applicarsi al caso normale, ma a un caso limite. Risulterà dal seguito che qui con stato d’eccezione va inteso un concetto generale della dottrina dello Stato, e non qualsiasi ordinanza d’emergenza o stato d’assedio. Il fatto che lo stato d’eccezione sia eminentemente appropriato alla definizione giuridica della sovranità ha una ragione sistematica, di logica giuridica. Infatti, la decisione intorno alla eccezione è decisione in senso eminente, poiché una norma generale, contenuta nell’articolo di legge normalmente vigente, non può mai comprendere un’eccezione assoluta e non può perciò neppure dare fondamento pacificamente alla decisione che ci si trova di fronte a un vero e proprio caso d’eccezione170.

In altri termini, in Schmitt la struttura ‘sovrana’ della legge ha forma di uno stato di eccezione in cui fatto e diritto sono indistinguibili e in cui la vita, implicata nella sfera del diritto, esiste solo presupponendo un’eccezione alla sua stessa natura. L’eccezione è così la struttura della sovranità, la quale è a sua volta la struttura originaria in cui il diritto si riferisce alla vita e la include in sé attraverso la propria sospensione. L’esclusione dalla comunità è il bando (nella definizione di Jean-Luc Nancy), sotto forma di potenza della legge di mantenersi nella propria privazione, di applicarsi disapplicandosi. Colui che viene messo al bando non è solo fuori dalla legge, ma è abbandonato, cioè «esposto e

169 Ivi, p. 25.

170 K. Schmitt, Teologia politica, in G. Miglio – P. Schiera, Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972, pp. 33-

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rischiato nella soglia in cui vita e diritto, esterno e interno si confondono»171. Il paradosso della sovranità sta tutto dunque in questo abbandono del rapporto originario della legge con la vita, tanto che «la potenza insuperabile del nomos, la sua originaria ‘forza di legge’, è che esso tiene la vita nel suo bando abbandonandola»172.

Agamben, del resto, aveva già dedicato ampio spazio alla trattazione dello stato d’eccezione. Nell’omonimo testo173, egli l’aveva definito uno spazio vuoto di diritto, una zona in cui tutte le determinazioni giuridiche sono destituite. Per affermarlo e sciogliere così le aporie da cui la teoria moderna dello stato di eccezione non riesce a venir fuori, il filosofo italiano era ricorso a un architetto scovato tra gli istituti del diritto romano: il

iustitium. Il termine, costruito come ‘sol-stitium’, significa letteralmente «arresto,

sospensione del diritto». Proclamato dal Senato in caso di tumulto, questo provvedimento instaurava un paradossale istituto giuridico che aveva come unica funzione la produzione di vuoto giuridico. Il paradosso di una situazione, promuovente provvedimenti giuridici che non possono essere compresi sul piano del diritto, sembra costituire l'oggetto ibrido dello stato di eccezione. Una realtà che «ha continuato a funzionare quasi senza interruzione a partire dalla prima guerra mondiale, attraverso fascismo e nazionalsocialismo, fino ai nostri giorni», sostiene Agamben, dopo aver passato in rassegna le innumerevoli difficoltà incontrate dalla tradizione giuridica di fronte al tentativo di fornirne una definizione concettuale e terminologica certa. Lo stato di eccezione non è un ritorno al potere assoluto, né tantomeno un modello dittatoriale, non è pienezza bensì vuoto, vuoto del diritto come l'esempio del ‘iustitium’ insegna. Lo stato di eccezione, prosegue l'autore, «ha anzi assunto oggi il suo massimo dispiegamento

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