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Il male “biopolitico”

L’emergere del sociale

Oggi sembra che il sociale richieda il sacrificio della vita. Il sociale impone agli individui dei cambiamenti adattivi verso la specializzazione, un adattamento verso l’assuefazione o l’abitudine. Secondo la teoria dell’evoluzione classica, il sociale costituirebbe una tendenza selezionata recentemente sullo sfondo di possibili alternative. Ma non dobbiamo dimenticarci, e la storia ce lo insegna, che l’evoluzione presuppone anche l’estinzione delle specie. Evoluzione significa dinamismo, non necessariamente sopravvivenza. Il bíos lasciato a sé non ha l’urgenza né la necessità di riprodursi, è la società consistente – fondata sulla comunità mitopoietica – a determinare la spinta riproduttiva, cercando di mantenere intatta la qualità della vita. Qui, la borghesia favorisce nell’uomo, divenuto ‘valore individuale’ e quindi finalmente capace di scelte pseudoindividuali, la tendenza alla procreazione. Secondo la borghesia, non tutti sono in grado di incarnare i valori pieni della vita; raggiungere una qualità piena della vita è un premio ricevuto per la propria operosità. Poi, la borghesia si sgretola, portando con sé la consistenza della società e consentendo l’emergere del sociale. Il sociale, come la società consistente espressa dalla borghesia, s’interessa al prolungamento della vita individuale, ma il suo obiettivo non è più tanto la riproduzione del singolo individuo. L’obiettivo del sociale è di ottenere frammenti generici (le persone) disponibili a essere trattati come merce di scambio. La persona ideale, per il sociale, è quella clonata, cioè generica, cioè sostituibile, cioè non specifica.

Contemporaneamente, il sociale non ha alcun interesse che si costituisca una società solida perché questa, ad esempio le famiglie consistenti, potrebbe favorire una spinta alla specificità dalla quale il sociale si guarda bene. Il sociale ha dunque due fonti di perturbazione: il simbolico, prodotto dalla specificità individuale e il simbolico prodotto

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da un’appartenenza consistente. L’obiettivo del sociale è duplice: «estrarre molti frammenti d’informazione ed ottenere il massimo della sopravvivenza di una specie ove i componenti esprimano il livello biopsichico più generico possibile»372. Il sociale costituisce quindi un terreno poco adatto alla procreazione dato che, a oggi, un figlio non ammette un eccesso di rimandi a ulteriori possibilità. Quando il sociale parla di riproduzione, intende riferirsi a qualche cosa di simile a sé, a qualcosa che, progressivamente, si allontana dalla vita. Il sociale si propone di ottimizzare l’organizzazione riproduttiva, per la quale la riproduzione della vita, intesa come insieme di sequenze bio-chimiche, non ha interesse. Perciò l’evoluzione non è auspicabile di per sé, perché non è detto che essa tenda a riprodurre la vita. Il concetto di evoluzione, acquisito di peso dalla biologia, può essere facilmente manipolato dal sociale, tanto che, oggi, l’evoluzione – orientata a quella che Esposito chiama immunizzazione – è favorevole al sociale piuttosto che alla vita.

L’individuo postmoderno non ha più la natura come suo interlocutore, bensì il sociale. Ciò determina l’esigenza di ristrutturare i meccanismi adattivi dell’individuo alla nuova realtà. Se il fine al quale l’uomo vuole tendere è di preservare la vita nella sua massima salute, uno dei mezzi adeguati a questo scopo potrebbe essere il simbolico. È necessario un cambiamento simbolico di tipo catastrofico. Abbiamo detto che il fine ultimo del sociale è giungere a un perfetto adattamento dell’individuo a tutto ciò che è non-vita. Ma fino a che punto l’uomo può cedere alle richieste del sociale? Un tempo si leggeva la schizofrenia come l’esito di un non-adattamento alle richieste poste dalla realtà esterna; oggi questa lettura può essere rovesciata: «ora la schizofrenia sembra essersi trasformata nel riuscire dell’uomo nell’adattamento alla richiesta simbolica esterna»373.

Lo schizofrenico è prigioniero di un doppio vincolo (Bateson) che gli impedisce di cogliere la reale natura dei messaggi dai quali è raggiunto, tanto da non essere capace di reagire a essi in modo adeguato. Rispetto alle teorie elaborate fino al decennio scorso, il comportamento non-adattivo diventa oggi l’unica scelta non schizofrenica possibile, orientata cioè a difendere l’unitarietà della mente e la ricorsività della vita. La salvezza

372 G. Donini, Come si ascolta una conchiglia, cit., p. 116. 373 Ivi, p. 123.

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dell’individuo e della specie sembra essere riposta in una normatività di tipo biologico, che produce un non adattamento nei confronti delle richieste del sociale.

Vita/Non vita

Se vogliamo sostenere la legittima possibilità di una scelta non-adattiva, dobbiamo presupporre l’esistenza di modalità alternative rispetto a quelle proposte dalla selezione naturale e considerare il rapporto tra individuo e contesto in modo non vincolante. Soprattutto questo secondo punto dev’essere approfondito: sistema psichico e sistema organico (cioè l’individuo) non possono essere considerati come ambiente del sistema sociale (come invece il sociale vorrebbe). Nel caso della vita, quindi, l’ambiente non è dato dal sociale con le sue organizzazioni, dato che questi rappresentano la non-vita. Il sociale diventa sempre più strutturato in sé e per sé, autoreferenza pura che vuole ridurre la vita a proprio ambiente. In tale prospettiva, il nuovo paradigma proposto da Piazzi, vita/non- vita, non pone come postulato la differenza tra sistema (vita) e ambiente (sociale), ma considera la vita nella sua autonomia, come un Tutto. La vita, in quanto differenza rispetto alla non-vita, mantiene le proprie caratteristiche a prescindere dai cambiamenti che intervengono nel sociale. La vita esisterebbe anche se il sociale sparisse. Il sociale, infatti, non è necessità, ma contingenza, possibile altrimenti: c’è, ma potrebbe non esserci, o essere diverso. L’individuo può scegliere di rispondere adattivamente alle esigenze del sociale, ma potrebbe anche scegliere di non farlo. Tutto ciò significa che, nel campo di valore della distinzione vita/non-vita, il paradigma sistema/ambiente è depistante. La vita biologica non ha un ambiente perturbante, o perlomeno, potrebbe non averlo. La vita biologica può essere vita senza un ambiente. È il sociale a imporre alla vita la distinzione sistema/ambiente, cercando di mettere da parte la distinzione che invece informa di sé la vita: identità/non-senso. Questo paradigma consente di pensare all’auto-organizzazione della vita biologica come risorsa, staccando la vita stessa dalla sua dipendenza o co- appartenenza a qualcosa di più esteso che trascenda il biologico. La concretezza vita/non-

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vita è tale da non poter parlare di sistema, quanto di un tutto totalmente autonomo e autoreferente. Al contrario, l’informazione emergente sponsorizza una dipendenza della vita dal sociale che annulla l’autonomia del biologico. Soltanto quando il simbolico della mente rifiuta l’ingerenza, la colonizzazione del sociale, è possibile far emergere il Tutto- Idea374 quale espressione concretamente svincolata dal sociale. Solo a questo punto è possibile raggiungere il benessere psicofisico.

L’etica possibile

Karl Popper elabora un’interessante ripartizione di ciò che esiste, e dunque delle esperienze relative alla realtà, in tre mondi: il mondo 1 raccoglie gli stati fisici, comprendendo tanto l’inorganico quanto il biologico. Esso contiene in sé quella realtà emergente che ha condotto la materia inorganica all’auto-organizzazione che ha reso possibile la vita; il mondo 2 include invece gli stati di coscienza e rimanda dunque ad una dimensione soggettiva; il mondo 3 concerne invece la conoscenza in tutte le sue espressioni: è il mondo delle teorie. È importante osservare che l’informazione immagazzinata nel mondo 3 non può essere protetta da un uso illecito, dato che ogni teoria può essere facilmente manipolata. Contrariamente, il mondo 1 è depositario di un’informazione assolutamente oggettiva. A questo punto ci si trova di fronte all’esigenza di elaborare un’etica che sia oggettiva e al contempo capace di salvaguardare la libertà individuale. Un’etica di questo tipo, quindi, non può derivare da postulati in qualche modo inferiori rispetto alla logica della vita, e sappiamo che il mondo sociale non ha nessun interesse nei suoi confronti, tanto da essere anche soggetto manipolatore nei confronti delle teorie elaborate nel mondo 3. È senz’altro vero che il mondo 2 è in grado di elaborare una propria etica, ma si tratta di un’etica squisitamente soggettiva, non comunicabile, e incapace di essere trattata a livello oggettivo. L’unica forma di etica possibile, oggettiva e attenta alla vita del singolo, potrà essere elaborata dal mondo 1. Sarà

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un’etica di specie, capace di favorire la persistenza della vita nelle migliori condizioni psico-fisiche possibili, un’etica della salute. La scelta oggettivamente etica è quella del non- adattamento, che richiede di far coincidere con il centro simbolico la dimensione biologica del mondo 1 popperiano, o del paradigma vita/non-vita proposto da Piazzi.

Vita/non-vita nel ciclo vitale

Il neonato ha un’unica esigenza: la definizione di un utero mentale materno che lo protegga e lo isoli dal mondo esterno, così da evitare un’ulteriore frattura dopo quella della separazione fisica dal corpo della madre. Donald Winnicott ha elaborato il concetto di madre devota allo scopo di spiegare il comportamento di quella madre che è in grado di fornire protezione al bambino, elaborando un contesto rassicurante che, probabilmente, rappresenta l’unico contesto relazionale favorevole al benessere psico-fisico anche nell’età adulta: «un contesto cioè non giudicante o impositivo di regole e progetti ma semplicemente affettivo»375.

Il bambino, infatti, non acquisisce informazioni dall’esterno, ma si crea un mondo esterno a sé, definendo un ‘sistema chiuso’ che comprende sé e la madre. Il bambino piccolo, una volta soddisfatte le sue esigenze primarie imposte dall’interno (cioè dalla sua dimensione biologica) è sereno e autonomo, è soddisfatto. Il logos in via di formazione è solo parzialmente colonizzato e tale colonizzazione è di derivazione totalmente biologica. Sarà all’ottavo mese che il bambino comincerà a raccogliere gli stimoli provenienti dal mondo esterno, mettendo a punto i presupposti che consentiranno di elaborare le informazioni provenienti dall’altro-da-sé. Sembrerebbe che il bambino, originariamente, percepisca la pericolosità delle relazioni con l’esterno e se ne protegga. Soltanto più tardi il suo equilibrio comincerà a essere messo in crisi dalla società e dal sociale. Il bambino, infatti, inizia a percepire le informazioni provenienti dal mondo esterno, ma le valorizza in modo completamente individuale, fornendo loro una dimensione sacrale inviolabile.

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