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Sommario: 1. Il divieto di bis in idem sostanziale nella legislazione ordinaria. I riferimenti

codicistici degli artt. 68 ed 84. 2. Dal diritto positivo al terreno dei principi: le nuove suggestioni teoriche per la costruzione di un principio costituzionale di ne bis in idem sostanziale. 3. I motivi della comparazione. Uno sguardo all’esperienza tedesca: le coordinate dell’art. 103, abs. III GG. 3.1. I rapporti fra ne bis in idem, proporzionalità (Verhältnismäßigkeitsprinzip) e colpevolezza (Schuldprinzip) nella giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht. 3.2 La garanzia costituzionale dell’art. 103, abs. III GG fra divieto di doppio giudizio e divieto di doppia condanna. Le differenze fra Verbot der Doppelbestrafung e ne bis in idem. 4. Dal divieto costituzionale di Doppelbestrafung ai divieti di Doppelverwertung e di Doppelbewertung. Il § 46, comma 3 StGB. 4.1 Qualche considerazione in tema di divieto di doppia punizione e disciplina della commisurazione della pena. 5. La valorizzazione del principio sostanziale di ne bis in idem sul terreno del concorso formale di reati. Il § 52 StGB ed il cumulo giuridico intraedittale (Kombinationsprinzip). 6. Prime, preliminari, conclusioni: ne bis in idem, proporzionalità e colpevolezza fra dimensione nazionale, comparata e sovranazionale. 6.1. Il ne bis in idem sostanziale come precipitato del combinato disposto dei commi primo e terzo dell’art. 27 Cost.: la valorizzazione del divieto come argine alla violazione del principio di colpevolezza. 6.2. Il controllo di ragionevolezza quale limite all’applicazione del principio di proporzione fra fatto e sanzione. Il ne bis in idem come divieto che include ipotesi in re ipsa manifestamente irragionevoli. 7. Il ne bis in idem alla luce della collocazione sistematica del concorso apparente di norme. Chiarificazioni circa il ruolo della preclusione rispetto alle teorie della validità e dell’efficacia della norma. 7.1. Qualche necessaria puntualizzazione in tema di rapporti fra dottrina della validità e sottrazione del fatto concreto alla sfera di previsione della fattispecie generale. 7.2. Gli ambiti di validità ed efficacia delle norme come base di partenza per una corretta definizione del concetto di “idem”. Critica delle concezioni che identificano la preclusione come divieto di reiterare il medesimo giudizio di illecito. 7.3. L’accezione naturalistica del giudizio di medesimezza come divieto di molteplice valutazione penalistica dello stesso fatto. Il rapporto fra ne bis in idem sostanziale e concorso formale di reati. 8. Qualche nota in tema di concezioni naturalistiche dell’idem. 9. La valenza prescrittiva del divieto: vincoli ed obblighi per il legislatore e l’interprete.

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1. Il divieto di bis in idem sostanziale nella legislazione ordinaria. I riferimenti codicistici degli artt. 68 ed 84.

Riprendendo le parole di un’illustre giurista, deve ritenersi che «anche nel diritto penale, come in altri rami del diritto, i principii sono il frutto della constatazione di alcune costanti presenti in singole norme o in singoli istituti, sicché, pur non essendo rinvenibile per essi un’enunciazione espressa e fatta in forma generale, è tuttavia ricavabile una regola che, se pur ha le sue eccezioni, merita di assurgere a principio vero e proprio della materia, e non soltanto ad orientamento per il legislatore o per l’interprete, a regola di giudizio, a modulo interpretativo e così via»1.

Nel condividere questo pensiero, si ritiene necessario indugiare sulle coordinate normative che si atteggiano ad espressione di un superiore divieto sostanziale di bis in

idem, strutturando un’indagine che dovrà necessariamente essere compiuta su un

duplice piano, coinvolgendo tanto il tessuto positivo ordinario quanto quello costituzionale. Infatti, una ricognizione del solo dato codicistico, già da tempo effettuata da autorevole dottrina, non è risultata (da sola) sufficiente a scongiurare talune critiche, riguardanti in particolare il problema della cogenza del principio di ne bis in idem sostanziale2.

A tale indagine si è infatti obiettata l’incapacità di elaborare un principio dotato di reale valenza precettiva, capace di vincolare tanto il legislatore quanto l’interprete: in grado, in definitiva, di regolare anche casi che non risultino espressamente disciplinati dalla legge. Siffatta constatazione non deve tuttavia essere intesa come un ripudio di tale impostazione: un’analisi, per così dire, positiva, s’impone in ogni caso necessaria, quale punto di partenza, dal momento che nessun principio generale inespresso può essere rinvenuto senza partire da un sistema normativo positivo che ne sottintenda l’esistenza, pena la costruzione di artifizi giuridici senza contatto alcuno con la realtà normativa ordinamentale3.

1 G.VASSALLI, I principi generali del diritto nell’esperienza penalistica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991,

702.

2 Cfr. M.MANTOVANI, op. cit., 239, secondo cui, ove il ne bis in idem rimanga relegato al mero dato

legislativo di una serie di disposizioni che logicamente lo precedono esso potrà sì essere considerato un criterio immanente al sistema, ma sfornito di qualsiasi valenza prescrittiva. In altri termini, «nulla toglierà e nulla aggiungerà rispetto alle concezioni del concorso (apparente) di norme», cit. 239-240.

3 Sotto questo punto di vista, non sembra potersi condividere l’autorevole critica di chi ritiene che la

141 In questo senso, punto di partenza non può che essere l’opera di Ferrando Mantovani, che costituisce senza dubbio l’indagine più approfondita sul tema e che in questa sede viene ripresa nei suoi tratti più essenziali4. L’Autore aggancia il ne bis in

idem sostanziale al corpo normativo costituito dagli artt. 15, 68 ed 84, nonché alle

clausole di riserva previste dalle singole fattispecie incriminatrici, identificandolo come principio logico ed inespresso dell’ordinamento5. La preclusione sostanziale viene poi

elevata a canone logico che informerebbe l’intero settore del concorso apparente, facendo leva sul ben noto disposto dell’art. 12 delle preleggi c.c., secondo le regole dell’analogia juris6.

Il pregevole lavoro dell’Autore ricostruisce pertanto la «fitta trama degli indici legislativi» che testimonia la presenza di un principio ispiratore superiore7. In questo

rimanere distinti ed autonomi, non risultando possibile valorizzare eccessivamente il peso degli indici di diritto positivo, affermando che «rispetto a tale principio la disciplina positiva (…) dovrebbe costituire non la premessa, ma piuttosto la successiva concretizzazione». In questo senso, cfr. M. PAPA, Le qualificazioni giuridiche multiple, op. cit., 41. Certamente, non si possono invertire i termini delle relazioni fra principi e norme. Tuttavia, così opinando, il risultato sarebbe quello di obliterare qualsiasi considerazione in tema di principi generali inespressi. Senza la possibilità di partire, induttivamente, dal dato normativo, mancano le condizioni minime per poter rintracciare la presenza di un principio non ancora positivizzato all’interno dell’ordinamento.

4 Cfr. F.MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, op. cit. Si specifica che l’obbiettivo è quello di

mettere in risalto non tanto la costruzione della teorica della c.d. “sottofattispecie”, quale elemento necessario per la risoluzione delle ipotesi di convergenza di norme, quanto piuttosto quella parte dell’imponente indagine dell’Autore volta a rinvenire le coordinate normative legittimanti il divieto di bis in idem sostanziale.

5 Invero, il richiamo a questi soli articoli appare senz’altro riduttivo dell’imponente ricerca dell’Autore,

che, se certamente li eleva a perno della propria teorica, tuttavia effettua un’indagine capillare coinvolgente un numero ben maggiore di disposizioni, fra le quali si ritiene doveroso citare, senza pretesa di completezza, anche: il primo comma degli artt. 61 e 62 c.p., che sanciscono che le circostanze aggravano o diminuiscono la pena quando non siano già elementi costitutivi o circostanze speciali; l’art. 138 c.p. il quale impone al giudice di tener conto della pena già scontata all’estero, nel caso di rinnovazione del giudizio nello stato italiano; gli artt. 170, 301 e 581 c.p. richiamati per l’esegesi della figura del reato complesso. L’elenco, lungi dall’essere esaustivo, vuole solo trasmettere l’idea tanto della minuziosità dell’indagine, quanto dell’elevato numero di norme che vengono ritenute, dall’Autore, espressive di un principio sostanziale di bis in idem Cfr. F.MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, op. cit., 428 ss.; nonché 510 ss. Su questo punto, si veda anche M.PAPA, Le qualificazioni giuridiche multiple, op. cit., 52, nt. 147.

6 F.MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, op. cit., 581; nonché C.SILVA, Sistema punitivo, op. cit.,

181, la quale evidenzia che l’Autore procede, per induzione, ad enucleare il ne bis in idem sostanziale quale principio generale dell’ordinamento, pur senza mai definirlo espressamente come tale, seguendo pertanto quell’impostazione di matrice positivistica in tema di principi generali inaugurata da Vezio Crisafulli. Cfr. V.CRISAFULLI, A proposito dei principi generali del diritto e di una loro enunciazione legislativa, in Jus, 1/1940, 193 ss.; ID, Per la determinazione del concetto dei principi generali del diritto, in Riv. int. fil. dir., 1941, 41 ss.

7 F.MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, op. cit., 577. In questo senso, il ne bis in idem, più che

vero e proprio principio costituzionale, assume la conformazione di un canone logico che informerebbe l’intero ordinamento. Ciò è testimoniato dalle particolari modalità con cui si procede a descriverlo in dottrina. Cfr., a titolo d’esempio, S.VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, op. cit., 553, secondo cui il

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senso, se certamente il riferimento all’analogia juris (con contestuale impossibilità, secondo l’Autore, di poter procedere ad analogia legis, stante la mancanza di una norma che regoli casi simili) porta a valorizzare il ne bis in idem sostanziale sul piano dei principi, ciò che tutt’ora manca, come già evidenziato, è un vero e proprio referente costituzionale, che sia in grado di dotare il ne bis in idem di una sicura cittadinanza nel panorama dei principi8.

A questa assenza di forza cogente si aggiunge poi un altro inequivocabile dato, ossia la circostanza che, almeno in un’ipotesi, il nostro ordinamento ammette la presenza di un sostanziale bis in idem sanzionatorio: il concorso formale di reati9.

Simili critiche, ritenute insuperabili, devono invece essere oggi rilette, come si cercherà di dimostrare nelle prossime pagine, alla luce delle più recenti posizioni interpretative in tema di ne bis in idem convenzionale, valorizzando lo stretto rapporto fra divieto sostanziale di doppia punizione e principio di proporzionalità fra fatto e sanzione.

Ma procediamo con ordine.

Senza la pretesa di riportare l’imponente numero di disposizioni che Mantovani propone nella sua indagine, l’attenzione si soffermerà in questa sede sui riferimenti normativi degli artt. 68 ed 84 c.p., prima di procedere sullo scivoloso terreno dei principi10.

principio sostanziale «esprime il principio basilare della civiltà giuridica che fa divieto di punire due volte lo stesso fatto».

8 Ciò, è bene specificare, muovendo da quell’approccio metodologico che vede la Costituzione non come

mero limite, bensì quale fondamento del diritto penale e della pena. Sul tema cfr. su tutti F.BRICOLA, voce Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., XIX, Torino, 1973, 7 ss. Cfr. inoltre M.DONINI, Ragioni e limiti della fondazione del diritto penale sulla Carta costituzionale. L’insegnamento dell’esperienza italiana, in Foro it., 2001, V, 29, che, riprendendo le parole di Bricola, si chiede se «non sia possibile e anzi doveroso trovare nella Carta costituzionale una sorta di sintesi a priori, un modello di intervento penale che si impone per così dire dall’esterno, o dall’alto, al Parlamento. Un programma (più o meno dettagliato) che vincoli il legislatore sia in quanto ai fini che quanto agli strumenti di tutela. Da tale programma, o modello, poi, sarà possibile desumere anche i limiti negativi all’intervento penale», cit. 30. Approccio metodologico che, su altro versante, guarda anche alla possibilità di una ricostruzione della teoria generale del reato partendo dai fini costituzionali della pena. Cfr. in quest’ultimo senso S.MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, passim.

9 Cfr. ex multis, M.PAPA, Le qualificazioni giuridiche multiple, op. cit., 45-46. Sul punto si rimanda al

Cap. I, nt. 13 per gli opportuni riferimenti bibliografici.

10 Per quanto concerne invece l’art. 15 c.p., se da un lato si rimanda a quanto già esposto nel Cap. I,

dall’altro ci si riserva di riprendere il discorso più avanti, nell’ottica di delinearne i rapporti con il principio (costituzionale) di ne bis in idem sostanziale. Lo stesso si farà con riferimento al primo comma degli artt. 61 e 62 c.p., che costituiscono una particolare applicazione, sul terreno delle circostanze, dell’art. 15 c.p. Sul punto, più diffusamente, Cap. IV, Sez. II.

143 Per quanto concerne il reato complesso, si concorda con quegli Autori che rifiutano di “ridurre” la disposizione dell’art. 84 c.p. ad un mero doppione dell’art. 15 c.p., limitandosi a ribadirne i concetti “ad abundantiam”11. Detta impostazione finirebbe per confliggere con la regola della non superfluità della interpretazione, senza contare che, come emerge dai lavori preparatori del codice Rocco, il reato complesso non si limiterebbe a ricomprendere figure criminose composte da più reati, bensì anche quelle composte da un solo reato ed un quid pluris non costituente reato. In questo senso, l’art. 84 c.p. escluderebbe l’applicabilità delle regole in tema di convergenza reale in situazioni anche non riconducibili al principio di specialità, sulla scorta della necessità di non valutare due volte lo stesso fatto in capo al soggetto agente12. Ancora, la preferenza nei confronti della posizione che vede nell’art. 84 c.p. la possibilità di una valutazione in concreto del reato complesso, mediante la valorizzazione del reato complesso in senso lato, si basa anche sul fatto che altre norme relative ad esso, quali gli artt. 131 e 170, secondo comma, c.p., risultano applicabili ad entrambe le figure sopra menzionate13.

11 In quest’ultimo senso F.ANTOLISEI, Manuale, op. cit., 533.

12 Sottolineano la necessità di una interpretazione che non renda superfluo il disposto dell’art. 84 c.p. F.

MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, op. cit., 524 ss., il quale evidenzia, accanto alle ipotesi di reato complesso in senso stretto (ossia costituite da due o più reati) anche ipotesi in senso lato, ossia di illeciti penali caratterizzati da elementi ulteriori, di per sé non costituenti reato, 519-520; S. VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, op. cit., 556. Ritiene che l’art. 84 c.p. regoli, oltre alle ipotesi di reato complesso in senso stretto, anche quelle in senso lato S.PROSDOCIMI, voce Reato complesso, in Dig. pen., XI, Torino, 1996, 213. Cfr. inoltre il Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli On. Alfredo Rocco, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Vol. 5, parte I, Roma, 1929, 132 s., nella quale si identifica il reato progressivo come una specie del reato complesso, figura, la prima, non riconducibile al principio di stretta specialità. La letteratura in tema di reato complesso è imponente, per maggiori approfondimenti si rimanda, ex multis, a C.LOSANA, Reato complesso, in Riv. it. dir. proc. pen, 2/1963, 1189 ss.; G.NEPPI MODONA, Inscindibilità del reato complesso e ne bis in idem sostanziale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 200 ss.; ID, Reato complesso, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1996, 200 ss. La figura del reato complesso in senso lato non è tuttavia priva di controversie in dottrina, stante la presenza di molti Autori che ne negano la riconducibilità all’art. 84 c.p. In questo senso cfr. G.DE FRANCESCO, Lex specialis, op. cit., 83, nt. 33; B.ROMANO, Il rapporto tra norme penali, op. cit., 236-237; M.ROMANO, Art.84, in Commentario sistematico del codice penale, Vol. I, Milano, 2004, 792 ss. Da sottolinearsi in ogni caso che, anche fra chi nega la possibilità di ricomprendere nell’art. 84 c.p. la figura del reato complesso in senso lato, vi è chi, come Bartolomeo Romano, sottolinea in ogni caso l’esistenza quantomeno dei reati solo eventualmente complessi, ossia quelli in cui una fattispecie penale sia contenuta in altra solo come elemento particolare, non costitutivo, sicché sarebbe ipotizzabile la realizzazione della secondaanche in assenza della prima, sottolineando che l’unificazione data dall’art. 84 c.p. non sempre ricalca relazioni strutturali, ma anche ipotesi non risolvibili secondo i crismi della proporzionalità. In questo senso, la figura del reato solo eventualmente complesso comporterebbe la necessità di spostare in ogni caso l’indagine sull’accadimento concreto. Cfr. B.ROMANO, Ibid., 239 ss.

13 Cfr. sul punto F. MANTOVANI, Diritto penale, op. cit., 484. Del resto, sono numerosi i casi,

tradizionalmente ricondotti alla figura del reato complesso, in cui tuttavia va esclusa la possibilità di individuarne la natura su di un piano rigorosamente astratto. Nello specifico, in dottrina si sono portate,

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Infine, si ritiene significativa anche la collocazione sistematica stessa della fattispecie, in chiusura della disciplina del concorso di reati, sicché si può ritenere che, al di fuori delle ipotesi di reato complesso strutturalmente intese, il legislatore abbia proceduto ad un’unificazione legislativa degli illeciti contenuti nel reato complesso che si esplica in punto sanzionatorio.

In secondo luogo, l’art. 68 c.p., in tema di circostanze sancisce l’applicabilità della sola circostanza che ne comprenda in sé un’altra, la quale rimane consunta nella prima.

Anche per questa norma si evidenzia la necessità di fornirne una interpretazione che non la riduca a mero doppione dell’art. 15 c.p.14. Ma v’è dell’altro: anche volendo

prendere in considerazione il solo dato letterale, risulta significativo che il meccanismo dell’art. 68 c.p. sia destinato ad operare nei casi in cui una circostanza “ne comprende” un’altra. Detto inciso non fa riferimento ad alcun tipo di relazione di genere a specie e tale aspetto è, di per sé, significativo, apparendo come un riferimento ad altro tipo di relazione. Se l’art. 68 c.p. non può ridursi ad una mera applicazione del principio di stretta specialità in tema di circostanze, ne consegue che il meccanismo per cui una circostanza ne ricomprende un’altra sia da imputare ad una regola differente, ovvero il

ne bis in idem sostanziale15.

Infine, sempre l’art. 68 c.p., nel prevedere l’applicazione del solo maggiore aumento o maggiore diminuzione evidenzia che il disvalore del fatto, in queste ipotesi, si desume dal trattamento sanzionatorio16. Circostanza che se in primo luogo evidenzia la necessità di applicare il trattamento sanzionatorio più severo (tranne nella speculare, ma particolare, ipotesi di concorso di circostanze attenuanti, per le quali, logicamente,

come esempio, le fattispecie in cui il legislatore ha considerato la violenza come circostanza aggravante, ovvero elemento costitutivo. In questo frangente, ben potendo il comportamento violento esplicarsi in un quid non costituente reato, che si aggiunge al reato principale, ci si trova dinanzi ad un reato complesso in senso lato. Cfr. sul punto G.NEPPI MODONA, Sulla posizione della «violenza» e della «minaccia» nella struttura delle fattispecie criminose, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, 530.

14 Così sempre F.MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, op. cit., 555 ss.; S.VINCIGUERRA, Diritto

penale italiano, op. cit., 557. Sottolinea che proprio in virtù della clausola di riserva che l’art. 68 c.p. pone in favore dell’art. 15 c.p. si può dedurre che solo quest’ultima disposizione disciplini il criterio di specialità B.ROMANO, Il rapporto tra norme penali, op. cit., 228. Per una panoramica generale sul tema si rinvia a R.GUERRINI, L’art. 68 C.P. e la disciplina del concorso apparente di norme, in Studi senesi, 1986, 1 ss.

15 Riconduce al ne bis in idem sostanziale l’art. 68 c.p., dopo aver escluso che esso possa essere “ridotto”

ad espressione dei criteri di sussidiarietà e consunzione, ovvero a letture estensive del principio di specialità, B.ROMANO, Il rapporto tra norme penali, op. cit., 227.

145 vale il principio inverso), in secondo luogo pone l’ennesimo collegamento con la dimensione del principio di proporzionalità fra fatto e sanzione17.

Pertanto, enucleato un ambito di validità diverso ed ulteriore rispetto a quello dell’art. 15 c.p., deve ritenersi che, laddove si ritenesse operante il principio di ne bis in

idem sostanziale, esso esisterebbe autonomamente, ossia prescindendo dal richiamo e,

pertanto, dalla operatività, dell’art. 15 c.p.

2. Dal diritto positivo al terreno dei principi: le nuove suggestioni teoriche per la costruzione di un principio costituzionale di ne bis in idem sostanziale.

Quanto affermato in chiusura del precedente paragrafo è tuttavia sostenibile solo se ed in quanto sia possibile enucleare un autonomo principio di carattere costituzionale, in assenza del quale le disposizioni sopracitate si ridurrebbero a mero “temperamento” del regime sanzionatorio del concorso di reati e di circostanze. In questi termini, proprio le ultime novità in tema di ne bis in idem convenzionale hanno tratteggiato un nuovo

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