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I RISCHI PSICOSOCIALI: LA LORO OSSERVAZIONE A LIVELLO EUROPEO

3.4 Un breve confronto tra il nord ed il sud Europa

Ribadiamo innanzitutto il fatto che a livello europeo non esistano leggi riguardanti i rischi psicosociali in particolare che accomunino tutti i Paesi membri. Esistono solamente dei principi generici, data la complessità nel trovare delle linee comuni attraverso le quali sviluppare delle politiche unitarie, ai quali gli Stati cercano di conformarsi, seguendo ognuno le prerogative del proprio ambiente. La prima norma a livello europeo a trattare questi temi, pur comunque da un punto di vista generale, fu la già nota direttiva quadro del 1989 n. 391. Le grandissime differenze tra i Paesi del sud e del nord Europa per quanto riguarda la concezione dei rischi psicosociali

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hanno fatto in modo che questa direttiva fosse vista in modo molto disomogeneo. Come noto, i Paesi del nord Europa hanno una tradizione molto lunga in termini di rischi psicosociali, come ad esempio in Svezia dove già un secolo prima del 1989 esisteva una legge per proteggersi dai rischi professionali. Proprio questa anticipazione e la effettiva presenza negli ordinamenti di questi Paesi di regole sugli Rps, li rendeva un po’ restii dall’accettare la direttiva, che venne nonostante ciò trasposta, modificando più o meno le leggi preesistenti, data la loro appartenenza all’Unione europea. I Paesi del sud dell’Europa, al contrario, prima dell’emanazione della direttiva n. 391 e della conseguente trasposizione nei singoli ordinamenti, non avevano mai considerato il problema dei rischi professionali; ecco che da questo momento si può osservare un avvicinamento tra nord e sud. Le differenze via via si accorciano, seppur in materia vi siano degli approcci molto diversi, sino a far dubitare che i Paesi scandinavi possano essere classificati ancora come dei modelli. Se prendiamo a riferimento la Svezia, capiamo come, nonostante la grande attenzione posta nei confronti dei rischi psicosociali, la situazione sia regredita rispetto agli anni ottanta. Oltre alla eliminazione del fondo per i finanziamenti volti alla salute e sicurezza sul lavoro, anche la chiusura del centro di ricerca sul tema, il

National Institute for Working Life, ne tolgono la qualifica di modello178. Come abbiamo accennato sopra l’approccio al tema dei rischi professionali è molto diverso tra i vari Paesi; considerando il nord Europa si presta attenzione all’ambiente di lavoro, senza distinguere varie categorie di rischio, ma cercando solamente di garantire un ambiente il più possibile sano e una tutela a 360° della salute e

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Vedi L. Lerouge, Il rischio psicosociale, un’analisi giuridica comparata tra il Nord e il Sud

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sicurezza. Al contrario il sud Europa si concentra sulla definizione dei singoli rischi, non considerando l’ambiente di lavoro nel suo complesso. Ogni Paese dà quindi una propria interpretazione e le modalità con cui vengono affrontati i problemi che si generano nell’ambiente di lavoro sono anch’esse diverse, con un incremento dei contenziosi al sud rispetto al nord, dove prima di riferirsi al giudice si cercano soluzioni all’interno dell’impresa stessa (come potrebbe essere la mediazione). Per quanto riguarda il ruolo dei sindacati e di conseguenza anche dei contratti collettivi, in tema di rischi psicosociali, troviamo, come abbiamo già visto anche dal lato normativo, una forte disuguaglianza tra nord e sud dell’Europa. Al nord si riscontra un maggior sviluppo dei sindacati rispetto al sud. Fondamentale a livello europeo l’Accordo quadro sullo stress lavoro-correlato del 2004, che è stato accolto con modalità molto differenti da Paese a Paese. Come è stato trasposto in Italia abbiamo già ampiamente visto, con una semplice traduzione dell’originale e con la sua introduzione direttamente nel decreto n. 81 del 2008. In Svezia ad esempio, l’Accordo quadro non risulta assolutamente giuridicamente vincolante, tanto che il giudice non verifica se viene o meno applicato, e gli imprenditori hanno sempre cercato di tenerne le distanze perché temevano delle conseguenze negative in termini di costi e di stipula di contratti collettivi. Esso non viene preso in considerazione per lo più, anche se si deve riconoscere l’importanza che i contratti collettivi hanno in questo Paese. Prendendo invece a riferimento la Spagna come Stato del sud, si riconosce la immediatezza con cui l’Accordo in questione è stato riconosciuto e assunto tramite degli Accordi che però non hanno alcun valore normativo, bensì contrattuale (ci riferiamo anche al successivo Accordo del 2007). Ed appunto

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vengono scarsamente assunti dalle imprese ; “appena un 5% del totale dei contratti collettivi (in Spagna oggi si possono contare circa 6000 contratti collettivi in vigore) contengono, infatti, riferimenti espliciti a questo tipo di rischio”179. È noto comunque come la situazione stia lentamente modificandosi, e sempre più sono i casi in cui i contratti collettivi fanno anche riferimento ai rischi psicosociali, ma purtroppo soprattutto per le imprese di piccole dimensioni, la prevenzione effettiva risulta scarsa o nulla. Gli Accordi europei di cui sopra sono semplicemente stati trascritti, senza che potessero essere adottati in maniera efficace. Manca quindi un sistema con delle regole ben precise da perseguire in tema di rischi psicosociali e di prevenzione di questi, ma non si può dire altrettanto degli interventi della giurisprudenza. Per alcuni l’assenza di politiche di prevenzione era accettata, per altri invece risultano indispensabili, pena la responsabilità del datore. Più favorevole a questo secondo parere anche la Corte Costituzionale. In Spagna regna comunque ancora un forte clima di incertezza, ed in particolare non si riscontra un unico modo con il quale attuare la valutazione dei rischi (non c’è una Guida Tecnica Ufficiale), per cui ogni azienda è libera di scegliere come agire, ma soprattutto la valutazione avviene per lo più in seguito a campagne informative. Lo stesso Ispettorato del lavoro che dovrebbe agire per la prevenzione dei rischi psicosociali, in realtà aspetta che il lavoratore denunci il fatto per intervenire. Oltre che a livello giurisprudenziale, l’incertezza si riscontra anche nell’assenza di norme, di leggi precise sulla valutazione dei Rps. Esistono quindi delle norme generiche di prevenzione, derivanti dalla direttiva n. 391 del 1989, ma anche delle norme più

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C. Molina Navarrete (traduzione a cura di M. Bogoni), Organizzazione del lavoro, salute e sicurezza e

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specifiche contro le molestie o a livello sanzionatorio, non comunque sufficienti per una completa prevenzione. È stato siglato “un accordo tra governo, i sindacati e le associazioni datoriali, mirato ad apportare una modifica alla legislazione in materia di salute e sicurezza. L’emendamento concerne l’introduzione di una clausola specifica che prevede a carico del datore di lavoro l’obbligo di garantire i lavoratori da tutti i rischi correlati al lavoro”180. “I modelli di gestione dei rischi psicosociali sono più numerosi e dispersi che in qualsiasi altro Paese europeo”181

. Contrariamente in Svezia esiste un preciso riferimento normativo, basato principalmente sul Work Environmental Act (We Act) attivo dal 1977, ma anche una forte presenza di accordi collettivi proposti dalle parti sociali. Essendo questa legge di carattere generale, è previsto che venga sviluppata nei particolari tramite l’intervento, appunto, delle parti sociali. All’inizio degli anni novanta, una rilevante modifica venne apportata al We Act, che comportò l’obbligo di valutazione di tutti i rischi, anche psicosociali; si confermò anche l’importanza che i lavoratori partecipassero all’organizzazione del loro ambiente di lavoro, alla sua programmazione e che i loro pareri fossero ascoltati. Tutto ciò quando ancora la Svezia era estranea all’Unione europea, ossia prima del 1995; poi, ovviamente, dovendosi conformare alla normativa comunitaria, furono previste nuove trattazioni del tema. Ancora assenti risultavano leggi più specifiche sulla questione. È previsto che la We Authority possa assumere delle decisioni e sanzionare o diffidare coloro che hanno commesso delle azioni contro la salute e la sicurezza dei lavoratori, anche

180 M. R. Gheido, A. Casotti, Valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato, in Diritto e pratica del

lavoro n. 25/2010, p. 1417

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da un punto di vista psicosociale, anche se, come è stato rilevato, l’impegno nell’affrontare questo tipo di problemi è ancora esiguo, contando infatti in questo ambito solamente un 10% del totale delle sanzioni e diffide182. Ovviamente nel caso di contrarietà alla sanzione sussiste la possibilità di ricorrere per via giudiziaria. Nonostante l’importanza data al tema dei rischi psicosociali in particolar modo dal

We Act, in particolare dopo le avvenute modifiche, ancora risulta scarso l’intervento

della We Authority ma anche dei giudici in riferimento all’ambiente di lavoro. Già comunque osservando, seppur velocemente, alcune caratteristiche di questi due Stati presi in considerazione, seppur come la Spagna rappresentando casi estremi, si possono notare delle forti differenze, che vanno a delineare alcune delle particolarità presenti nei Paesi del nord rispetto a quelle invece presenti nel sud dell’Europa. Purtroppo ancora oggi non è possibile individuare a livello europeo un comune minimo grado di tutela per la salute e sicurezza dei lavoratori.