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Breve esame delle norme in materia di retribuzione delle prestazioni svolte nella giornata di Ferragosto

In Italia il 15 agosto rappresenta una giornata festiva in cui si celebra l'evento religioso dell'Assunzione della B. V. Maria. È la legge italiana (Legge n. 260/1949) a ricomprendere espressamente nel calendario delle festività nazionali la giornata del c.d. "Ferragosto". Si tratta di una giornata che, nel caso in cui ricada nella settimana lavorativa, sarà assoggettata a una retribuzione in busta paga diversa rispetto agli altri giorni, come stabilito dalla Legge n. 90/1954, nonostante sia necessario comunque tenere in considerazione il CCNL delle singole categorie di lavoratori. Vanno inoltre puntualizzate le conseguenze nel caso in cui si lavori o meno durante questa giornata.

Trattamento retributivo di chi non lavora nella giornata di Ferragosto

Fatta salva la necessità di consultare il contratto collettivo del lavoratore per avere un quadro completo della retribuzione nel giorno di Ferragosto, è necessario operare una distinzione tra i lavoratori retribuiti ad ore (operai) e quelli retribuiti in misura fissa mensile (impiegati). La legge stabilisce che ai lavoratori non in servizio durante tale giornata festiva, che non siano retribuiti in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, va corrisposta la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio. La giornata retribuita in più, quindi, spetta solamente agli operai e dovrà essere determinata ragguagliandola a quella corrispondente a 1/6 dell'orario settimanale contrattuale o, in mancanza, a quello di legge. Per i lavoratori retribuiti a cottimo, a provvigione o con altre forme di compensi mobili, si calcolerà il valore delle quote mobili sulla media oraria delle ultime quattro settimane. Qualora la festività cada di domenica, spetterà ai lavoratori stessi, oltre la normare retribuzione giornaliera comprensiva di ogni elemento accessorio, anche un'ulteriore retribuzione corrispondente all'aliquota giornaliera.

Niente giorno in più in busta paga, dunque, per gli impiegati retribuiti in misura fissa, poiché si ritiene compresa nello stipendio nelle 26 o 30 giornate pagate per il mese di agosto. Ferragosto viene comunque riconosciuta giornata utile per la percezioni degli assegni per il nucleo familiare (ANF) così come per altre festività nei limiti di quanto disposto dalla legge e dall'INPS.

Trattamento retributivo di chi lavora nella giornata di Ferragosto

I lavoratori che, invece, siano in servizio a Ferragosto, hanno diritto, oltre alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, comprensiva di ogni elemento accessorio, anche della retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo come da CCNL applicato. Il medesimo trattamento spetta ai salariati retribuiti in misura fissa che sono a lavoro il giorno 15 di Agosto.

Per quanto riguarda il regime fiscale e previdenziale della retribuzione ottenuta a Ferragosto, si rammenta che vale il medesimo relativo al normale stipendio, quindi assoggettato sia a calcolo IRPEF e addizionali comunali e regionali, sia per le trattenute previdenziali.

Trattamento retributivo dei lavoratori in Cassa Integrazione

Per i lavori che, quando ricade la festività di Ferragosto in una giornata infrasettimanale, si trovino in Cassa Integrazione Guadagni, il compenso previsto non è ricompreso fra gli elementi che la Cassa può integrare, in quanto è a carico dell'azienda. Ciò vale per i lavoratori a orario ridotto, i

quali prestano attività per una parte della settimana e per coloro che sono sospesi a zero ore settimanali, laddove siano lavoratori retribuiti non in misura fissa mensile, bensì a ore, sospesi da non oltre due settimane. Il trattamento economico per la festività è, invece, erogato dalla Cassa dell'INPS sia per i lavoratori sospesi a zero ore settimanali, da oltre due settimane, laddove siano retribuiti in rapporto alle ore e non in misura fissa mensile (operai), sia per i retribuiti in misura fissa mensile (impiegati) se siano sospesi a zero ore settimanali da non più di due settimane.

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17) Suprema Corte di Cassazione - Sentenza n. 40706 del 7 settembre 2017: il datore di lavoro, in quanto del titolare della posizione di garanzia, ha il compito di evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati

Il caso da cui trae origine la sentenza della Suprema Corte di Cassazione in commento riguarda la responsabilità penale di un datore di lavoro, accusato di aver omesso di individuare, nel documento di valutazione dei rischi, misure di prevenzione e protezione da attuare per la gestione della viabilità all'interno dei capannoni. Dall’omissione della dovuta segnaletica, un dipendente del medesimo infatti riportava gravi lesioni mentre era intento al proprio lavoro e veniva investito, all'interno del capannone, da un carrello elevatore, che stava effettuando una manovra di retromarcia. Il datore di lavoro era stato assolto in primo grado, ma condannato in appello; ricorreva così in Cassazione lamentando si fosse trattato di un comportamento abnorme da parte del lavoratore che non avrebbe dovuto essere presente sul luogo di lavoro, poiché il suo turno non era ancora iniziato. Il datore di lavoro riteneva dunque insussistente il nesso di causalità, in quanto le lesioni subite dal lavoratore non sono conseguenza di una propria azione od omissione. Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. L'interruzione del nesso causale è ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia.

Viceversa, nel caso di specie, il giudice di merito ha posto in rilievo che l'ingresso del lavoratore nell'area dove stava lavorando il mulettista non può considerarsi atto abnorme, essendo del tutto probabile che qualsiasi lavoratore, anche esperto, ove non venga adeguatamente reso edotto dei rischi specifici di un'area, vi si rechi e si esponga ai pericoli derivanti da errate manovre.

Ulteriormente, compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative,

nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia. In sostanza, se pur è indubbia la sussistenza di profili di colpa a carico del lavoratore nell'avvicinarsi al carrello elevatore, ciò rileva solo ai fini del risarcimento del danno ma non vale ad elidere il nesso causale rispetto alla condotta del datore di lavoro. Infine, va negato qualunque rilievo alla questione relativa all'orario di inizio dell'attività lavorativa, da parte dell'infortunato. La violazione delle regole inerenti ai turni di lavoro è infatti del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni relative all'infortunio verificatosi.

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18) Suprema Corte di Cassazione – Sentenza n. 19103/2017: illegittimità del licenziamento per la genericità della contestazione disciplinare

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19103/2017, ha ritenuto di dover precisare quali siano gli elementi la cui presenza è necessaria nell’ambito della contestazione disciplinare in materia di provvedimenti espulsivi: la contestazione deve essere specifica, immediata ed immutabile, al fine di garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato.

Il caso da cui ha tratto origine la sentenza in commento è relativo al ricorso che è stato presentato in Appello dove è stata dichiarata l’illegittimità del provvedimento espulsivo disciplinare intimato ad una dipendente per avere comunicato all'esterno dell'azienda notizie riservate relative alla società ed ai suoi dipendenti. Nel contesto della comunicazione esterna erano stati espressi anche taluni giudizi a carattere denigratorio nei confronti dell’Azienda datrice. La Corte d’Appello ha considerato che la contestazione disciplinare risultava essere stata formulata in termini del tutto generici, recando riferimenti a fatti in merito ai quali risultava impossibile individuare una coerente collocazione temporale. Fatti che, tra l’altro, venivano riferiti da soggetti non meglio specificati, comportando la relativa lesione del diritto di difesa della lavoratrice incolpata. Ancora in Cassazione è stato rigettato il ricorso presentato dalla società datoriale, considerando che la contestazione degli addebiti in carico alla parte ricorrente riguardasse in merito a "fatti privi di collocazione temporale e riferiti a terzi non meglio specificati": dalle evidenze poste agli atti non risultava essere stato chiarito, infatti, il contesto nel quale sarebbero state fornite informazioni ad un ex dipendente successivamente assunto da un'azienda concorrente, né i tempi e i soggetti dai quali sarebbe stata ascoltata la conversazione telefonica nel corso della quale erano state usate dalla lavoratrice ricorrente, espressioni offensive riferite all'azienda. Sul rilievo che la potenzialità lesiva delle condotte che venivano contestate alla parte ricorrente ed in merito alla loro rilevanza esterna tali da produrre rilevanti riflessi sulla valutazione degli esatti contorni della condotta contestata e della loro dannosità per la società anche ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, la Corte di merito osservava che si palesava essenziale l'esercizio del diritto di difesa da parte della ricorrente, risultato inibito, in concreto, proprio da una contestazione connotata da evidenti profili di genericità.

19) Suprema Corte di Cassazione – Sentenza n. 2064 del 31 agosto 2017: contratto a termine per sostituzione e “ius variandi” in capo all'imprenditore

L'imprenditore, nell'esercizio del potere auto-organizzatorio, ha la facoltà di utilizzare (in conseguenza dell'assenza di un dipendente) il personale, incluso il lavoratore assunto con contratto a termine, mediante quelli che ritiene essere i più opportuni spostamenti interni e successive sostituzioni per scorrimento a catena. Esprimendosi in questo senso con la sentenza n. 2064 del 31 agosto scorso la Suprema Corte di Cassazione ha mostrato di aderire ad un orientamento oramai consolidato in materia di assunzione a termine per la sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.

Nel caso da ci ha tratto origine la sentenza di specie, la Corte Suprema aveva ricevuto un ricorso avanzato da parte un Istituto di credito, il quale richiedeva che fosse cassata la decisione presa da parte della Corte d’Appello, la quale, riformando la sentenza emanata dal Tribunale di primo grado, aveva dichiarato la nullità del termine apposto ad un contratto stipulato con una lavoratrice chiamata a sostituire un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto e la conseguente esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Il giudice di appello aveva ritenuto che la causale giustificativa del termine, così come era stata esplicitata nell’ambito del contratto di assunzione, e cioè l'essere l'assunzione avvenuta per sostituire la lavoratrice assente dal servizio per maternità, era stata elusa dal datore di lavoro in quanto era emerso che la lavoratrice aveva sostituito oltre a quello che veniva indicato nel contratto stesso anche altri lavoratori. Da ciò il giudice d’Appello aveva dedotto che l'assunzione non era risultata essere del tutto correlata all'esigenza transitoria di sostituire un dipendente avente diritto alla conservazione del posto quanto, piuttosto, alla necessità di far fronte alla fisiologica vacanza di posti presso la filiale di destinazione o addirittura di sopperire a carenze di organico dell'Istituto di credito. Da parte sua la Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso dell’istituto di credito/datore di lavoro sulla base della considerazione che l'esercizio del legittimo “ius variandi”

da parte del datore di lavoro non fa venir meno l’effettiva consistenza delle esigenze sostitutive alla base dell'assunzione a termine. Invero, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il lavoratore assunto con contratto a termine per la sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, non deve essere necessariamente destinato alle medesime mansioni e/o allo stesso posto del lavoratore assente, atteso che la sostituzione ipotizzata dalla norma va intesa nel senso più confacente alle esigenze organizzative dell'impresa. Di conseguenza, non può essere disconosciuta all'imprenditore - nell'esercizio del suo legittimo potere autorganizzatorio - la facoltà di disporre (in conseguenza dell'assenza di un dipendente) l'utilizzazione del personale, incluso il lavoratore assunto a termine a copertura del lavoratore assente, mediante le più opportune modifiche dell’organigramma interno, con conseguente realizzazione di un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena, sempre che vi sia una correlazione, di tipo causale tra l'attività

20) Suprema Corte di Cassazione - sezione III civile- Ordinanza 11 luglio 2017, n. 17070:

cessione del credito

In tema di cessione del credito se le parti espressamente prevedono nel contratto di cessione che questa comprenda determinate garanzie del credito ceduto, in particolare la garanzia ipotecaria, fatta oggetto di trasferimento ex articolo 1263 cc, e il cedente garantisca l’attuale esistenza sua delle ragioni del credito che delle garanzie che le assistono, si deve intendere che si estenda a queste ultime l’obbligo di garanzia del cedente ex articolo 1266 del Codice civile sia quanto all’esistenza dell’iscrizione ipotecaria che quanto all’ammontare del credito da questa garantito.

18 settembre 2017 Massimo Pipino

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