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I PROCESSI: analisi e comment

7.1. Brevi considerazioni iniziali

«...li delinquenti sono puniti a pena capitale di delitto chiamato di peculatus, ch'è colpa di chi ha robbato il danaro pubblico, et alla restitutione del tutto e del quarto di più, et sono esclusi dalla gratia di liberatione et assolutione come quelli che fossero condannati o banditi de crimine lesa maiestatis et de falso...»

Riprendiamo quanto scritto da Lorenzo Priori nella sua “Prattica Criminale” e confrontiamola con quanto indica Cesare Beccaria quasi tre secoli dopo198:

«...il contrabbando è un vero delitto che offende il sovrano e la nazione, ma la di lui

pena non dev'essere infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica opinione...questo delitto nasce dalla legge medesima poiché, crescendo la gabella, cresce sempre il vantaggio, e però la tentazione di fare il contrabbando e la facilità di commetterlo cresce colla circonferenza da custodirsi e colla diminuzione del volume della merce medesima. La pena di perdere e la merce bandita e la roba che l'accompagna è giustissima, ma sarà tanto più efficace quanto più piccola sarà la gabella, perché gli uomini non rischiano che a proporzione del vantaggio che l'esito felice dell'impresa produrrebbe...ma perché mai questo delitto non cagiona infamia al di lui autore, essendo un furto fatto al principe, e per conseguenza alla nazione medesima? Rispondo che le offese che gli uomini credono non poter essere loro fatte, non l'interessano tanto che basti a produrre la pubblica

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indignazione contro chi le commette. Tale è il contrabbando. Gli uomini su i quali le conseguenze rimote fanno debolissime impressioni, non veggono il danno che può loro accadere per il contrabbando, anzi sovente ne godono i vantaggi presenti...Essi non veggono che il danno fatto al principe; non sono dunque interessati a privare dei loro suffragi chi fa un contrabbando, quanto lo sono contro chi commette un furto privato, contro chi falsifica il carattere, ed altri mali che possono loro accadere...ma dovrassi lasciare impunito un tal delitto contro chi non ha roba da perdere? No: vi sono dei contrabbandi che interessano talmente la natura del tributo, parte così essenziale e così difficile in una buona legislazione, che un tal delitto merita una pena considerabile fino alla prigione medesima, fino alla servitù: ma prigione e servitù conforme alla natura del delitto medesimo...»

Si richiama ancora una parte della definizione fornita dal Priori intorno al reato di contrabbando, ma questa volta confrontandola con quella che fornisce Cesare Beccaria quasi tre secoli dopo nel suo libro “Dei delitti e delle pene”. Sempre riferendoci al commento citato, risulta stupefacente come vi si possano trovare importanti punti di contatto in due concezioni relative allo stesso reato ma distanti tra loro quasi tre secoli.

Il primo importante punto di convergenza è la considerazione che detta condotta criminosa agisce direttamente a danno del Principe ovvero dello Stato, unica, importante vittima dell'evasione fiscale che il contrabbando di merci comporta: è danno ritenuto di particolare gravità nella Repubblica Veneta aristocratica e plutocratica che basa la propria fortuna sulla mercatura e sui benefici che in termini fiscali essa produce per le casse statali; l'evasione dei dazi, importante posta attiva nel bilancio dello stato, può porre le premesse per una lenta ma costante dissoluzione dello stesso, dovuta all'azione combinata dell'evasione sui più importanti dazi (sale, tabacco, vino) e al lento ma costante mutamento dell'economia che lentamente, ma inesorabilmente, dal XVI secolo in avanti si rivolse all'investimento di natura fondiaria piuttosto che al tradizionale mercato mobiliare; cambiamento dovuto senz'altro ai mutamenti planetari delle rotte commerciali, basti pensare allo spostamento dei traffici da Oriente, tradizionale mercato veneziano, ad Occidente dove Inghilterra, Francia e Paesi Bassi dotati di navigli più veloci delle vecchie galere operavano con grave danno per l'economia veneziana. Ma altri fattori influirono a favore dell'investimento immobiliare, uno dei più importanti fra tanti, la necessità di mantenere intatto il patrimonio famigliare usando a tale scopo strumenti giuridici ad hoc quali il fedecommesso che assegnava alla

149 primogenitura maschile l'intero patrimonio lasciando ai figli cadetti la carriera militare o ecclesiastica ed alle figlie femmine l'istituto, escludente la partecipazione ereditaria, della “dote” -

Ecco allora perché la leva fiscale applicata al commercio diventava essenziale alla sopravvivenza della Repubblica, ma altri punti di contatto si possono individuare tra l'analisi dei due giuristi.

Per primo la facilità con cui si poteva contrabbandare per le numerose vie di accesso dall'estero al territorio veneto che divennero sempre meno controllabili anche se, come già accennato, squadre di militari (spadaccini e Ferma del Tabacco) vennero istituite per prevenire e soprattutto reprimere il fenomeno; repressione che, come si vedrà più analiticamente nel prosieguo, avveniva non solo manu militari, ma anche attraverso l'opera di magistrature all'uopo preposte e la costituzione di un'apposita organizzazione di vendita assegnata in appalto ma controllata dallo stato, antesignana dei Monopoli otto e novecenteschi.

Ancora, significativo punto di contatto tra le due concezioni è che il fenomeno dell'evasione daziaria risulta tanto più importante e consistente quanto più pesante è l'aliquota di tassazione che colpisce il bene nel suo trasferimento e bene lo si legge questo concetto, valido anche oggi, quando il Beccaria afferma che «...gli uomini non rischiano che

a proporzione del vantaggio che l'esito felice dell'impresa produrrebbe...»; ed è vero sia per

i flussi più importanti dove l'evasione consente margini di guadagno non previsti che per il contrabbando, diciamo di natura famigliare, dove l'esercizio di questo tipo di attività, per quanto illegale, consentiva spesso alle famiglie di sopravvivere a livelli di indigenza intollerabili esercitando, in qualche modo, il ruolo di ammortizzatore sociale: ecco il perché delle rivolte contro le guardie incaricate dei controlli e la connivenza con i contrabbandieri.

Da questa considerazione ne possiamo far derivare un'altra che il Beccaria bene esplicita: «...il contrabbando è un vero delitto che offende il sovrano e la nazione, ma la di

lui pena non dev'essere infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica opinione...»: è un delitto che, almeno a livello di piccoli traffici locali e famigliari viene

commesso in quello che oggi definiremmo “stato di necessità” e che pertanto attira solidarietà verso il reo piuttosto che una valutazione infamante e qui, invece, occorre operare un distinguo tra le affermazioni dei due giuristi. Il Priori viveva in uno stato dove il danaro costituiva la spina dorsale dell'esistenza stessa della società e pertanto, come

150 accennato, ogni delitto contro il denaro pubblico era considerato delitto di lesa maestà mentre per il Beccaria, vissuto all'inizio dell'Era dei Lumi, altri valori erano preponderanti quali la vita e la dignità umana, ecco allora che i due divergono nella valutazione della pena da adottare contro i colpevoli: per il Priori pene severe, fino alla pena capitale, per tali delitti di lesa maestà, al contrario per il Beccaria «..la .prigionìa del contrabbandiere di

tabacco non deve essere comune con quella del sicario o del ladro...» e sono due

impostazioni che in questo caso riflettono la differenza cronologica, ma sopratutto ideologica tra i due.

151 7.2. E nello Stato Veneto...il sale e il tabacco …

Il confronto, tra due concezioni del medesimo reato distanti nel tempo ma sostanzialmente non divergenti ci consente di adire ora ad alcune riflessioni più puntuali su quanto in tale fattispecie avvenne tra XVI e XVIII secolo nella Repubblica di Venezia; si ritiene di far partire la serie di riflessioni dal 1500, salvo alcuni cenni ad epoche precedenti, in quanto è a partire da tale data che la Repubblica comincia a legiferare in maniera organica sull'evasione daziaria, si citano in nota le importanti leggi emesse al riguardo nel periodo interessato 199.

In effetti, però, fu dagli inizi del XVIII secolo che l'attività illegale si espanse incontrollata: le foci dei fiumi per le rotte marine come quella del sale diventarono i luoghi ideali per le massicce quantità di minerale che pervenivano dall'Istria, mentre lungo tutto l'arco alpino, si assisteva ad una processione continua di traffici illeciti che vedeva come protagoniste bande di contrabbandieri integrate da malviventi usuali frequentatori e conoscitori delle aree montane dove facilmente trovavano riparo e da ambulanti o emigranti stagionali (i cramars friulani), che integravano i guadagni acquisiti all'estero con l'offerta del ruolo di guide attraverso sentieri solo a loro conosciuti.

Per lo Stato Veneto il commercio del sale e del tabacco rappresentava la più importante posta attiva a bilancio con circa i tre quinti delle entrate totali, era pertanto ovvio che attorno ad esso fiorisse un ampio giro di malaffare costituito essenzialmente dall'evasione ai dazi delle due merci più commercializzate e colpite dal fisco: vediamole distintamente anche se l'attività dei contrabbandieri agiva indistintamente su tutti e due.

Il sale, dapprima, costituì a partire dal XII-XIII secolo e fino alla metà del XIX una merce rara, ma preziosa sia per l'alimentazione umana al fine di evitare malnutrizioni e malattie, come ad esempio patologie tiroidee causate dalla mancanza di iodio che normalmente conteneva, sia per la conservazione dei generi deperibili non conoscendo l'umanità, allora, altri efficaci metodi per mantenere a lungo le risorse alimentari200.

Come d'uso nello Stato Veneto nel caso di attività essenziale per la vita della Repubblica, anche per il sale vennero istituite numerose magistrature, ne citiamo nel 199 E. Zorzi, Il furto…, cita le seguenti leggi 1475, 17 maggio; 1502, 27 settembre; 1530, 20

agosto; 1550, 13 giugno; 1568, 8 febbraio e 28 luglio; 1572, 21 aprile; 1574, 15 luglio; 1577, 26 agosto; 1590, 14 luglio; 1592, 22 agosto; e nelle più tarde 1621, 13 marzo, 1625 11 agosto; 1745, 29 gennaio

152 prosieguo, alcune tra le più importanti, e previste pene severe per i trasgressori delle norme201

Funzionava in questo senso a pieno regime uno dei sistemi più efficaci che la Repubblica avesse mai adottato per controllare ogni sorta di delitto, ovvero quello delle

“denontie” incentivate anche dall'imposizione di taglie e offerta di ricompense oltre alla

possibilità di liberare da prigione un conoscente o amico detenuto per cause diverse dall'attentato all'integrità dello stato.

All'inizio era il Minor Consiglio che sovraintendeva alle questioni inerenti all'attività di contrabbando, esaminando le numerose denunce anche anonime202 ; alla fine

del XIII secolo due nuove magistrature sovraintesero al traffico del sale: i Provveditori sopra dazi col compito di verificare il corretto pagamento delle gabelle e gli Inquisitori sopra i dazi deputati alla verifica delle denunce e all'istruzione dei processi criminali relativi; la pletorica costruzione istituzionale veneziana alla fine, verso il XV secolo, diede vita ad un'unica magistratura comprendente le altre: il Magistrato al Sal, competente per le appellazioni in materia e per il controllo del contrabbando come si legge nei Capitolari . 203

Dal XIV al XVI secolo il minerale costituiva dal 30 al 50 per cento del tonnellaggio 201 Circolo Culturale il Colle, Ordo…, p. 12 «Le pene dovevano essere inflitte sulla base della gravità del reato, da un'ammenda pecuniaria per il possesso di una quantità di sale superiore, al previsto reato di contrabbando che doveva essere punito con l'impiccagione. I beni dei contrabbandieri avrebbero dovuto essere divisi in tre parti: una destinata al Provveditor al Sal, una destinata al Dominio della Serenissima e la terza a colui che aveva sporto denuncia. Chiunque avesse ucciso un contrabbandiere non avrebbe subito processo ne pena in quanto un regolamento dichiarava che “se questi percoteranno alcuno di questi contrabbandieri, non sia fatto di tal percossa ovvero morte, inquisizione, processo ovvero condananzon alcuna”.

202 Fatto piuttosto raro per le procedure veneziane che consentivano le denunce segrete ma non anonime, rivelatore della volontà di controllare a tutto campo l'attività illegale nello smercio dell'alimento

203 Primo aprile 1308 “I signori Salineri debbino investigar contra quelli che portano sal fuori della sua Camera contra la intention del Commun, sotto quelle pene, et condanne per le quali incorrano portando aver mettendo, over permettendo che sij condotto in qualche parte, havendo il denonciante il quarto, l'altre parte tre restino in Commun. Il punire li contrabbandi di sale, formando rigorosi processi che sono deliberati assieme coi Governatori all’Entrate, spetta alli provveditori al sal, a Rialto”. Da: La pratica del Foro Veneto, nella Stamperia Graziosi a Sant'Apollinare, 1736. Riguardo all'appellazione delle sentenze. Il 5 giugno 1513 il Maggior Consiglio dispose: Se solevano dedur al Consiglio nostro de Quaranta Civil per virtù delle Leze nostre le appellaiion delle sentenze, et atti dei Provveditori nostri al sal, quale erano con grande incommodo, si delli ditti Provveditori, come dei litiganti (…). l'anderà parte che per autorità di questo Consiglio le appellation delle sentenze sia fatte come d'esser fatte per i Provveditori antedetti, se devolvino al Consiglio dei XX Savij in Rialto, i quali habbiano autorità de adir et espedir a bossoli et ballotte essi Provveditori, et la parte appellante con i suoi advocati, non ostante parte alcuna in contrario disponente, quale se habbi per revocade.” ASV, Provveditori al Sal, b. 1

153 totale delle importazioni della Serenissima risultando alla fine del '500 scaricati nel porto di Venezia circa 17.000 moggi204, una quantità enorme trasportata persino come zavorra dalle

navi che rientravano dopo aver depositato le loro merci nei porti di destinazione all'andata, il tutto controllato e coordinato dall'ufficio dei Provveditori al Sal costituito nel 1428205

Ma quanto interesse aveva il contrabbandiere ad esercitare la propria attività criminale proprio attorno allo smercio di questo alimento? Per risponderci dovremo fare riferimento ad uno studio effettuato da Ferdinand Braudel sul consumo annuo pro capite e sul differenziale di prezzo che andava a concretizzarsi tra il prezzo ufficiale ed il prezzo sul mercato nero, più basso ovviamente, ma che garantiva comunque a chi contrabbandava lauti guadagni in funzione della vasta fetta di popolazione che accedeva alla vendita illegale del bene.

Secondo i calcoli dello studioso francese l'uomo europeo di Ancien Régime ne consumava circa sette chili annui che in misura veneziana equivaleva a circa quattordici libbre grosse, 206 e allora quanta parte del proprio salario annuo doveva destinare un

bracciante per pagarsi la quantità di alimento necessario alla sua sopravvivenza? Lo possiamo dedurre con un rapido calcolo sempre avvalendosi di quanto afferma Braudel: il contrabbandiere acquistava il sale a tre soldi alla libbra e lo rivendeva a circa 5, prezzo altamente remunerativo sia per il venditore che per l'acquirente in quanto totalmente esente da gabelle; si deduce pertanto che il nostro bracciante doveva spendere 70 soldi per garantirsi la quantità sufficiente alla sopravvivenza individuale; se consideriamo che un ducato equivaleva a 124 soldi e che il guadagno medio di un bracciante era di circa un ducato alla settimana, possiamo dedurne che il prezzo pagato per il sale era il corrispettivo di poco meno di una settimana di lavoro. Non sembrerebbe una cifra enorme ma se la confrontiamo con le tredici giornate che sarebbero occorse al nostro bracciante207 per pagare

allo stato l'intero carico fiscale individuale si può facilmente comprendere come l'accesso all'offerta illegale del bene costituisse una vera e propria forma di ammortizzatore sociale dando pieno sviluppo e sostegno all'attività dei contrabbandieri.

Per dare l'idea di quanto pesasse l'attività di evasione daziaria sull'intero comparto statale si consideri, ad esempio, che, solo per le navi alla fonda nel porto di Venezia, la stima 204 un moggio era costituito da 997,70 litri (circa una tonnellata) ed era la misura ufficiale di peso

del sale nella Repubblica Veneta

205 per legge un terzo del carico di ritorno doveva essere costituito dal sale 206 una libbra grossa equivaleva a mezzo chilo abbondante

154 era di trentamila ducati annui su un bilancio statale di circa 2.300.000 per l'anno 1602208;

anche qui la percentuale sembrerebbe irrilevante, ma si deve considerarla alla luce del fatto che nel periodo storico considerato la metà dei bilanci statali afferiva alle spese militari e cresceva sostanzialmente durante le frequentissime guerre, pertanto le minori entrare ledevano le risorse che avrebbero dovuto essere messe a disposizione del “benessere” dei cittadini (scuola, sanità, ecc.) che del resto quasi mai comparivano in detti bilanci.

Ecco allora perché si rinsaldano le alleanze sempre spontanee tra villici e delinquenti in funzione “anti sbirro”; gli sbirri erano percepiti come la longa manus dello stato aristocratico che spremeva la popolazione a vantaggio della oligarchica classe dirigente ben lontano dalle necessità vitali della massa: è un continuo alternarsi di scontri spesso cruenti e letali tra le due parti, del resto documentati negli allegati estratti processuali, dove spesso lo scenario assume tinte granguignolesche per la ferocia espressa dai contendenti spinti gli uni dall'esercizio di un mestiere da loro stessi definito “infame” (sbirri), gli altri dal sostegno a chi, pur nell'illegalità, offriva i necessari mezzi per la sopravvivenza-

Il sale, però, esercitava anche un vera e propria funzione sostituiva della moneta in perfetta comunione al sostantivo “salario” dallo stesso derivato: in effetti con decreto del Senato 1710, si ordinò agli impresari appaltatori del servizio di vendita di devolvere una quota parte dell'alimento quale pubblica elemosina a conventi, monasteri, arti di pistori e degli osti, università degli ebrei e quant'altro; lo si desume dai “Capitoli stabili

degl'illustrissimi e eccellentissimi signori Provveditori sopra li hospitali, luochi pii e riscatto de' schiavi”209 dove si ordina che il dieci per cento dell'intera massa

commercializzata fosse devoluta agli “hospitali della pietà, convertide e Accademia dei

Nobili”.

L'uso del Tabacco si diffuse invece, assieme a quello del cioccolato, come forma diversificata di edonismo, nel corso del XVIII secolo in maniera trasversale ad ogni classe sociale, allargando cosi la base imponibile derivante dalla vendita del bene in forti quantità e incentivando una tassazione via via crescente, tanto che alla metà del secolo in questione si decise di sottoporre il commercio ad un regime di monopolio statale che tutt'ora sopravvive nella nostra Repubblica.

A Venezia, nel 1657, si istituì la Ferma Generale del Tabacco che concedeva

208 Ibidem

155 l'esercizio della vendita a privati con il sistema dell'appalto o “condotta”, un sistema che all'inizio fruttava poco più di 9.000 ducati annui, ma che dopo appena sessant'anni salirono a circa 116.000 per pervenire a quasi 600.000 ducati annui con l'ultima condotta attribuita a Girolamo Manfrin a fine secolo210.

Era un’attività fiorente, in costante crescita e ben remunerativa che fatalmente attirò l'attenzione e lo sviluppo dell’azione di contrabbando nonostante le squadre di “spadaccini” assunti dagli appaltatori per contrastarne la diffusione. E' doveroso a questo punto affermare che questi “tutori dell'ordine”, spesso venivano arruolati tra i personaggi più facinorosi e temuti, si cita a titolo di esempio il caso di tale Bartolomeo Accorsi211, bandito dalla

Repubblica nel 1751 e successivamente perdonato, che tra gli anni '50 e '70 operò agli ordini degli appaltatori di sale e tabacco in funzione anti contrabbando. In definitiva, però, il lavoro di queste squadre era privo di effetti e gravido di rischi; spesso accerchiati dal popolo, disarmati o annientati come avvenne nel 1763 in Friuli per una squadra di stanza a Cividale i in perlustrazione nella così detta Schiavonia Veneta, massacrata dagli abitanti del luogo212.

A differenza del sale che veniva contrabbandato con modalità commerciali non dissimili da altre merci (linee di trasporto, punti vendita, ecc.) nel caso del tabacco le bande si strutturavano in forme riferentesi a quanto oggi definiremmo “criminalità organizzata”: all'apice della piramide un “capitalista” che forniva i mezzi finanziari necessari all'organizzazione, in mezzo gli organizzatori, in basso gli “spalloni”, facchini e trasportatori, fortemente attratti quest'ultimi almeno da due fattori:

- il consistente guadagno: l'attività garantiva loro, circa 20 soldi giornalieri contro i circa 14 di un manovale;

- l'esiguità delle pene che spesso consistevano in semplici ammonizioni, diverso il discorso per i capi.

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