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BRUNO LOCAT

Nel documento Liala, compagna d’ali e d’insolenze (pagine 137-140)

APPENDICE MARIA LETA

BRUNO LOCAT

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Figlio di Pino e Emilietta Locati. Cugino di Mirella.

[…]  Due  occhi grigi, fieri e belli. «Lei è Bruno, vero? Ha gli occhi tanto simili a quelli di Mirella che non è poi difficile capire che siete figli di fratelli.» (Maria a Bruno, p. 21)

Egli era alto e forte: con un paio di spallone da montanaro e con belle mani, lunghe e signorili, di razza pregiata. Il volto era decisamente bello: ma non di un bello da cherubino: un bello virile, asciutto, deciso: con il naso diritto, gli occhi grigi, la pelle bruna, i sopraccigli folti. E lunghi cigli scuri, uguali a quelli di Mirella. (p. 23) Quando Maria Leta disse a Bruno che la troupe voleva che lui facesse il fotoromanzo, lui si mostrò contrario della proposta. «Ma no! – rise Bruno. – Soddisfazione nel fare quelle cose là? Forse potrei pensare a una soddisfazione materiale, ammesso  che  paghino  bene.  Ma  morale  no  davvero…  Almeno  per  gente  come  me.»  (p.   23)

Mi sarebbe piaciuto immensamente scrivere. Soggetti per cinematografo, commedie, qualche cosa da vedere poi vivere  e  palpitare,  qualche  cosa  da  portare  davanti  al  pubblico  […] (Bruno a Maria, p. 24)

Del fotoromanzo, mi scusi, me ne infischio. Sono le cinquantamila lire che mi interessano. Lei ammette certo che cinquantamila lire per uno studente sono molte: e per uno studente povero come me sono follia, sogno, estasi, qualche cosa come la chimera. Poter mettere cinquantamila lire in mano al mio babbo e dirgli che le spenda, che ne usi come vuole, che... (Bruno a Maria, p. 26)

Io   qualche   volta   mi   sento   irritato   verso   certi   miei   compagni   che   vengono   all’università   in   automobile. Naturalmente sono ribellioni momentanee. E perdonabili. Perché non è bello essere poveri. (Bruno a Maria, p. 27)

[...] Resto molto a Pavia quando devo studiare e resto molto nel giardino quando ci sono le vacanze. Costa troppo il biglietto del treno. E non so mai che fare nel paese quando non devo andare a scuola. A Pavia divido una cameretta con un altro ragazzo povero come me.. Non è miseria certo, la nostra, è mancanza di danaro... Abbiamo tutto. Polli, uova, conigli, maiale, anche qualche vite che ci dà un poco di vino. Ma il salario del babbo è di ventimila lire il mese. Per buona fortuna il padrone paga la luce elettrica, legna ne abbiamo anche troppa e di affitto, naturalmente non se ne parla. Tuttavia, con ventimila lire il mese il babbo mi mantiene a Pavia. Toglie ogni mese qualche cosa da quel poco che ha alla Posta. E spera in Dio. In quel Dio che dovrebbe darmi presto una laurea, una condotta e molti clienti. (p. 31)

Si  sentì  infastidito  per  lo  sguardo  di  Agus.  Il  quale  lo  stava  misurando  dall’alto in basso. Quasi con dolore Bruno vide  che  tutti  gli  uomini  avevano  bellissimi  maglioni  da  montagna:  e  che  Agus,  quello  che  gli  era  vicino  e  l’altro   signore, quello con i capelli bianchi, avevano maglioni quali a Pavia soltanto i molto ricchi e i molto eleganti potevano avere. (Agus lo presenta al direttore come un giovanotto distinto)   […]   Bruno   si   sentì   avvampare.  

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Distinto! Con quel vestito lavato almeno quattro volte dalla mamma e stirato, dalla mamma, con cura immensa. Un povero vestito per tutti i giorni.  Che  all’università  non  era  certo  fra  i  migliori  (p.  38)  

Sono umiliato. Umiliato di essere apparso a lei chi sa quanto malvestito e quanto goffo a confronto di tutta quella gente. Una eleganza sicura, raffinata, hanno tutti quelli. Maria Leta. Lei era tanto graziosa. E tremavo continuamente che si chiedessero perché mai una ragazza tanto graziosa si fosse scelto uno scalcinato quale sono io…   Perché   quella   gente   è   certo   convinta   che   fra   noi   due   ci   sia   una   tenerezza,   un   amore,   un   fidanzamento.   (Bruno a Maria, p. 51)

È  un  bel  giovanotto.  Fine,  distinto  e  intelligente.  E  poiché  è  semplice  e  non  ha  l’aspetto  di  uno  che  conosca  la   vita, si adatta a quella parte che quei signori hanno in mente di fargli fare. Non è colpa di Bruno se è fatto così, cioè se è fine e semplice a un tempo, se è bello e intelligente: e se malgrado questi pregi ha conservato un aspetto di   ragazzo   schietto,   non   sciupato   dalla   vita   moderna…   Se   mai,   la   colpa   è   di   loro   due:   di   loro   due   che   hanno   messo al mondo un ragazzo così! Un ragazzo  raro…  (Maria ha provato a convincere i genitori di Bruno) Non  c’è  neppure  bisogno  di  ritoccarlo  questo  ragazzo!  Ha  certi  colori  naturali  che  renderanno  benissimo.  […]   Lei   è,   oltre   che   un   bel   giovane,   un   uomo   intelligente.   L’avessi   con   me,   scritturato   per me, sarei davvero invidiato. Perché quando una casa di posa ha due uomini come Agus e come lei, può lanciare tutti i fotoromanzi che vuole. (Il Commendatore, p. 67)

E aveva gli occhi grigi, grandi, ricchi di cigli neri. E la fronte alta, bruna e serena, e il naso diritto e la bocca bella, ridente, con denti candidi, con labbra giovani ombrate di scuro anche se era palese che la barba era stata fatta recentemente. (Maria guarda Bruno, p. 140)

I due magnifici occhi grigi di Bruno. Due grandi, cari, giovani occhi grigi, adorni di lunghi, infantili cigli scuri. Vide pure la bocca, dal disegno puro e bello. Vide anche il naso, diritto, severo, che compiva un profilo da statua greca. Pensò: «Accidenti, quella pazza ha scelto assai bene per sostituirmi! A confronto di questo ragazzo, valgo ben poco, io!» (Agus osservò Bruno, p. 173)

Agus cercò di convincere Bruno di tornare a studiare e diventare un medico e Bruno disse: «Medico di condotta! Con una casa un paese dove si devono ferrare le pecore perché non rotolino  dal  monte.  In  un  paese  dove  c’è  la   neve  per  quattro  mesi  dell’anno,  dove  l’estate  è  fatta  dal  canto  delle  cicale  e  dai  muggiti  delle  mucche.  Dove  non   c’è  un  cinematografo,  una  sala  di  ballo,  un  divertimento  qualsiasi…».

Bruno disse che non si fermava ai fumetti, ma andava in cinematografo. Agus cercò di portarlo alla realtà: «La strada  del  cinematografo  è  difficilissima.  Oggi,  ancora  più  difficile  che  prima,  poiché  lei  lo  sa  bene  che  l’anno   millenovecentocinquantacinque ha segnato una grande brutta data per il cinematografo italiano. E lei, quali numeri ha per riuscire? È un bel ragazzo, ne convengo. Ma crede basti? Badi, il suo viso è immobile. Può andare

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bene   per   i   fumetti,   non   dove   l’azione   è   ancora   parola…   E   dove   la   parola   che   si   dice   deve   essere anche nell’espressione  del  volto».

Quando  Mimì  sarà  stanca  di  me  tante  cose  saranno  cambiate.  E  comunque,  sia  tranquillo,  l’affetto  di  Maria  mi   resterà sempre. Perché lassù non ha poi troppo da scegliere. E io sono, lassù, il partito migliore nel raggio di cinquanta  chilometri…  E  non  creda  che  Maria  possa  distrarsi  ascoltando  lei,  Agus!  Maria  ha  paura  del  mondo  e   della vita. Maria non sceglierà mai un marito come lei. Le farebbe paura. Riprenderà me, quando io tornerò su: e inizierò quella vita che a Maria piace. Medico di condotta, la casa con i miei, la scuola, e tutte le piccole cose di quel  mondo  altrettanto  piccolo…(Bruno a Agus, p. 206)

Bruno   deve   essere   un   poco   suggestionato   dall’ambiente.   Critica   i   miei   vestiti,   le   mie   trecce,   il   mio   modo   di   vivere. Dice che infine potrei farmi qualche abito più moderno e più elegante. Giunge a consigliarmi di andare a Milano per acquistare gli abiti perché ve ne sono a poco prezzo e tuttavia molto belli. E le trecce potrei tagliarmele perché fanno molto ragazza di famiglia. E che potrei anche modernizzarmi, visto che sono rimasta, per  idee,  all’Ottocento…  (Maria scrive a Agus, p. 215)

Non   ha   un’idea   sua,   quel   giovane.   Bello   di   viso,   con   una   stupenda   figura,   con   due   occhi   da   fare   venire   le   vertigini a tutte le donne  dai  quindici  ai  settanta  anni,  si  comporta  da  salame.  Dove  lo  metti  sta  e  non  c’è  verso   che si sposti di un millimetro o  che  abbia  un  atteggiamento  diverso  da  quello  che  gli  suggerisce  il  registra…  (Il commendatore a Agus, p. 224)

Ma credi, Maria, che quando ci si abitua alle cose ben preparate e ben presentate, certi sistemi contadineschi irritano…  Io  non  posso  più  vedermi,  qui!  Io  amo  la  città,  le  cose  belle,  la  gente  elegante,  le  persone  che  sanno   parlare  bene,  che  sanno  stare  fra  gente  fine…  (pp. 231-232)

Voglio migliorare tutto. Anche te! Basta vederti vestita così, con le mani sciupate, con la faccia troppo naturale. Dovrai cambiare anche tu, Maria, perché se diventerò un medico di città non potrò certo presentare una moglie che mi faccia arrossire. (p. 233)

Ora ne ho tre vestiti, bellissimi... Li pago a rate. Mi serve il sarto che veste tutti quelli della troupe. (p. 234) Tu  sei  una  caro,  dolce,  umile  e  bel  ragazzo,  Bruno…  e  nulla  più.  Tu  non  hai  la  voce  calda  che  scende  al  cuore  e   lo  tocca… Tu  non  hai  la  facile  parola,  la  bella  intelligenza,  il  tratto  aristocratico,  l’atteggiamento  signorile  che   egli  ha.  Tu  sei  un  bellissimo  maschio,  Bruno.  E  nulla  più.  Un  bell’animale  buono,  sano  e  forte,  adatto  ai  monti  e   alla piccola gente di lassù. (Mimì pensa a Bruno, p. 320)

Nel documento Liala, compagna d’ali e d’insolenze (pagine 137-140)