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PINO LOCAT

Nel documento Liala, compagna d’ali e d’insolenze (pagine 140-144)

APPENDICE MARIA LETA

PINO LOCAT

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Il padre di Bruno, custode della villa.

Il mio Bruno deve studiare se vuol diventare medico!

Il  medico  che  c’è  nel  paese  è  vecchio,  sta  per  andare  in  pensione.  E  non  c’è  nemmeno  una  richiesta  per  venire   quassù. Chi vuole ne abbia voglia? Niente villeggiatura d’estate,  gran  freddo  e  miseria  d’inverno.  Ma  per  bruno   andrà  bene  lo  stesso.  Perché  lui  la  sua  casa  ce  l’ha.  Il  padrone  mi  ha  già  scritto  che  qui  resterò  io,  poi  mio  figlio,   poi  i  suoi  figli…  Quindi,  anche  se  non la posso vendere, questa casa è come se fosse mia. E vedesse che belle camere ci sono al primo piano! Là ci potranno andare gli sposi. Camere rustiche, ma che si metteranno a posto. (Pino a Maria, p. 33)

Le pareva che quel cervello di uomo metà custode, metà giardiniere avesse una elasticità assai superiore a quella del proprio cervello. (Maria sta pensando a Pino)

Ci siamo convinti che si tratta di una cosa che non va. Perlomeno non va per Bruno. Deve studiare. Che sono queste stupidaggini di volersi far mettere nei giornali solo per guadagnare un poco di danaro? Gli manca qualche cosa qui? Grazie a Dio può mangiare, vivere e vestirsi. Non ha il superfluo. Ma qui, in questo paese, il superfluo non  l’ha  nessuno.  (p.  63)

Bruno  diede   l’assegno  a   Pino,   ma   Pino non si mostrò contento: «Il danaro guadagnato così vola via e magari lascia debiti. Chi guadagna così in fretta spende più di quanto guadagna e i debiti rimangono mentre il danaro non  c’è  più».  […]  Il  suo  Bruno  era  sempre  il  caro,  buon  ragazzo  che  gli aveva dato soltanto gioie e motivi di orgoglio. Il suo quasi medico! Il suo signor dottore! (p. 80)

Era da matti rinunciare a una lezione a Pavia per fare dei ritratti. Diventeremmo il ridicolo del paese per colpa tua! Gente onesta che ha sempre lavorato la  terra  si  mette  a  un  tratto  a  fare  ritratti  da  stampare  nei  giornali…  Io   figli  che  saltino  le  lezioni  per  fare  dei  ritratti  non  ne  voglio  e  se  Bruno  mi  fa  un’altra  volta  questo  brutto  scherzo,   lo  piglio  a  pedate  […]  (Pino a Maria, p. 89)

Mi pare che debbano insegnare a Bruno cose che lui non conosceva. Cose che disapprovo. Il lusso per esempio. I comodi.  Il  ristorante.  L’automobile.  E  la  saponetta  profumata!  Si  fa  presto  ad  abituarsi  ai  comodi  e  al  bello!  E   quando comodi e bello non ci sono più, è difficile disabituarsi. (p. 123)

Guardando  un  anellino  di  Maria,  pensò  Bruno  a  Mimì:  «Dio  mio…  Se  lo  vedesse  Mimì  questo  povero  anellino!   Lei  che  ha  brillanti  meravigliosi…  Lo  diceva  Geniva  che  Mimì  ha  brillanti  da  venti  grani…».  p.  146

Lo ammazzo. Ha rovinato tutti. Prima di tutto se stesso. Perché qui ormai sarà guardato come un cane idrofobo. Chi si fiderà più di un medico con un passato tanto vergognoso? Quale donna vorrà farsi visitare da lui? E quale uomo chiederà le cure di un tale che si è dato alla bella vita con donnacce? (p. 292)

142 EMILIETTA LOCATI, MADRE DI BRUNO

Legnate in testa darei io a certa gente! E sbrigati con i tuoi ritratti perché io ne ho già abbastanza! Non mi piace la gente che devi frequentare. È troppo diversa da noi. Ti esalta e ti fa sbagliare la strada. Già vieni fuori con l’odore  di  cipolla.  E  poi  con  le  mani  ruvide.  Credi  che  non  capisca?  Sono  una  donna,  anche  se  donna  di  quassù.   Le Mimì non vanno bene per gli uomini di qui. (Emilietta a Bruno, p. 113)

Da quando sono nata io adopero sapone da bucato! Ti pare possibile che un giovanotto adoperi saponette che lo fanno  sembrare  un  moscardino?  Se  osa  portare  un’altra  saponetta  del  genere  in  casa,  suo  padre,  l’ha  già  detto,  gli   mollerà una pedata.

TECLA RASINA

La madre di Mirella, proprietaria del locale di Biagio Rasina.

La mamma di Mirella ha rifiutato di dare la bambina. Volevano anche Mirella, la pagavano bene. Ma zia Rasina ha  detto  no.  Credo  stia  ancora  facendosi  segni  della  santa  croce…  (Bruno a Maria, p. 26)

Rasina  era  l’unico  nel  paese  ad  avere  un  forno,  l’antico  forno  a  legna  dei  Rasina,  l’unica  panetteria  era  quella.  In   occasioni eccezionali, la madre di Mirella poteva preparare per i suoi clienti panini croccanti imbottiti di salame e prosciutto casalinghi. Qualche emancipato aveva suggerito alla Tecla di creare un ristorante, di tenere qualche liquore fine. Ma la donna non andava al di là della birra, del vino, del Fernet. Quelli sapeva di smerciarli, il resto per lei diventava capitale immobilizzato e ne aveva paura. (p. 37)

Fotografie? E perché? Fanno anche gli uomini i concorsi di bellezza? Non ne hanno abbastanza di quelli che fanno  le  donne?  Già  ve  ne  è  una  barba  con  quelli  delle  donne…  (p.  42)  

Perché amare è bene, essere fedeli è dovere, votarsi a un uomo solo è religione. Ma essere idioti non è né bene né dovere  né  religione.  E  Bruno  ha  agito  troppo  da  mascalzone…  Nemmeno  ha  pensato  alle  chiacchiere  del  paese,  a   ciò che si dirà di lui e della sua vita. E neppure ha pensato al dolore che darà ai suoi genitori che erano tanto felici  di  aver  la  signorina  Maria  quale  figlia…  (p.  284)  

Dovevate rompergli la testa quando cominciò a fare i fumetti. I fumetti devono farli gli uomini come il suo signor Agus, che sono abituati al mondo e alle belle donne, non baggiani come Bruno che è sempre vissuto quassù  e  che  all’università  non  incontra  certo  donne  come  Mimì.  I  ragazzi  come  Bruno,  impreparati  e  semplici,   devono  vivere  con  persone  oneste  e  semplici.  Invece,  l’avete  lasciato  fare  e  ora  raccogliete  i  frutti.  (p.  286)

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Se fossi  in  lei,  signorina,  agirei  diversamente…  Oh,  non  starei  a  tenermi  nel  caldo  del  cuore  quel  bel  farabutto,   no!  Mi  guarderei  attorno,  cercherei  e  forse,  senza  andare  lontano,  troverei  subito  chi  potrebbe  darmi  l’amore  che   Bruno non ha saputo e non saprò mai  dare…  (p.  289)

Quello da me non avrà mai più il permesso di chiamarmi zia, glielo giuro! Perché se mia figlia dovesse comportarsi male, non le darei più il permesso di chiamarmi mamma! Io non posso sopportare chi si comporta male. (Tecla a Agus, p. 289)

Perché io ho sempre saputo districarmi da certe pene che mi impedivano di andare avanti. Crede che non mi disperassi quando morì il mio uomo? Ero fatta di lacrime. Ma disperandomi che risolvevo? Vi era la casa da mandare avanti e la bottega che andava a   rotoli…   Ma   vi   era   Mirella   da   allevare.   E   allora   puntai   su   la   mia   bambina. E oggi non ci manca nulla. Lei non ha una bambina alla quale aggrapparsi, ma ha la sua giovinezza, la sua vita e il suo orgoglio. Faccia vedere a quel cretino che lei ha qualche cosa di meglio da contrapporgli. Gli faccia ingoiare un rospo. Se lo merita. (Tecla a Maria, p. 307)

VANNI GENIVA

attore di fotoromanzi, amico di Agus

Geniva   aveva   molti   sogni:   ma   quello   che   più   gli   era   nell’anima   sfociava   dall’ambiente   fumetti   e   finiva   su un palcoscenico di prosa. «Ho bella voce, chiara dizione, ottima pronuncia, non sono scemo. Perché non mi accettano  in  prosa?  Io  preferisco  saltare  qualche  pasto  ed  essere  attore  di  prosa  piuttosto  che  aveva  l’automobile   ed essere qui, a fare fumetti. Il cinematografo  fermo  non  mi  piace…  E  tanto  farò,  che in prosa vincerò io». (p. 149)

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Nel documento Liala, compagna d’ali e d’insolenze (pagine 140-144)