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«In mezzo a tanta porcheria la scultura è ancora quella che porta la palma»*

L’impressione che Romolo Bazzoni riporta dalla visita alla Promotrice torinese del 1899 è piuttosto sintomatica dell’interesse che la Biennale manifesta verso la scultura, arte cui Fradeletto stesso è da sempre particolarmente attento95.

Il merito della cosa poteva essere equamente diviso tra Italiani e Belgi poiché, accanto alla comprensibile attenzione per la produzione di casa, era a questi ultimi che gli organizzatori si affidavano, investendoli del ruolo di rappresentanti, pressoché unici, della statuaria internazionale.

Già durante la seconda Biennale, segnata da un aumento complessivo della partecipazione estera, il Belgio si distingue per essere il solo paese capace di mantenere un giusto equilibrio nella suddivisione delle opere. In altri termini non c’è sproporzione quantitativa tra opere pittoriche e scultoree96.

Ma è la successiva esposizione del 1899 a decretare ufficialmente il trionfo veneziano dell’arte plastica belga e dei suoi artefici. Il successo è frutto di una somma di fattori.

*

Romolo Bazzoni ad Antonio Fradeletto, Torino 28 settembre 1899, in ASAC, Fs, Scatole

nere, b. 9, “Corrispondenza col Municipio e vari. A-G 1899”, fasc. “1899. Corrispondenza col

Municipio”. 95

Significativo, a tal proposito, è l’intervento di Fradeletto in favore dell’ammissione di Troubetzkoy all’esposizione artistica di Venezia del 1887; ammissione poi accordata. Al rifiuto della giuria verso opere che considerava “non scultura”, Fradeletto obbietta: «Se questa non è scultura allora è qualcosa di meglio». Leggiamo l’episodio in Anne Pingeot, La scultura italiana

vista da Parigi, in Italie 1880-1910. Arte alla prova della modernità, catalogo dell’esposizione, a

cura di Gianna Piantoni e Anne Pingeot, Umberto Allemandi, Torino 2000, p. 47. 96

Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia, Luigi Pierro editore, Napoli 1897, p. 268.

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CAPITOLO2. 1897-1899. ANSIE ED AMPLIAMENTI

Si è già rilevato in precedenza l’importante ruolo educativo esercitato dall’Académie des Beaux-Arts grazie all’insegnamento “progressista” di alcuni maestri. Ma se la scultura è così forte, come la Biennale e di seguito Ca’ Pesaro confermano, e il numero dei suoi artisti considerevole, le ragioni di un tale sviluppo vanno cercate anche altrove. In altri termini, la sua affermazione è frutto anche di una straordinaria produttività degli artisti belgi, favorita da una solida politica di interventi pubblici. Durante l’ultimo ventennio del secolo, si varano infatti vasti programmi di scultura monumentale: più enfatici ed ambiziosi di quanto si fosse già realizzato nei decenni precedenti, ma anche più consistenti e numerosi di quelli che si rivolgono alla pittura. Da questa azione non sono escluse le città di provincia, ma l’epicentro resta Bruxelles, luogo in cui le iniziative dall’amministrazione locale e dello stato si intersecano alla politica edilizia ed urbanistica di re Leopoldo II, sovrano per più di un quarantennio (1865-1909). Seppure non senza attriti, i contributi delle diverse forze in gioco portano a disegnare una nuova città, trasformata, secondo logiche “haussmanniane”, tanto da apparire «un nouveau Paris en miniature»97.

Sono questi gli anni della capitale “in cantiere” dove le grandi operazioni di voirie convertono in strade i corsi d’acqua creando piazze, slarghi e carrefour98; dove Leopoldo II realizza parchi, passeggiate e nuovi palazzi99 e dove anche le riflessioni del borgomastro Buls sull’estetica urbana si inscrivono tra le maglie del tessuto storico e negli edifici simbolo delle gloriose libertà comunali100.

97

La considerazione dello scrittore olendese Conrad Busken Huet è riportata da Claire Billen, Bruxelles 1870-1914, in Bruxelles carrefour de cultures, catalogue d’exposition sous la direction de Robert Hooze, Fonds Mercator, Anvers 2000, p. 87.

98

Cfr. Yvon Leblicq, L’évolution de la physionomie de Bruxelles au XIXe siècle, in

Bruxelles, construire et reconstruire. Architecture et aménagement urbain. 1780-1914, catalogue

d’exposition, Crédit Communal de Belgique, Bruxelles 1979, pp. 11-91; Thierry Demey,

Bruxelles. Chronique d’une capitale en chantier, t. I Du voûtement de la Senne à la jonction Nord- Midi, Paul Legrain Éditions C.F.C., Bruxelles 1990, pp. 247-274 e note alle pp. 316-320.

99

Cfr. Liane Ranieri, Léopold II urbaniste, Hayez, Bruxelles 1973; L. Ranieri, Léopold II.

Ses conceptions urbanistiques, ses constructions monumentales, in La dynastie et la culture en Belgique, sous la direction de Herman Balthazar, Jean Stengers, Fonds Mercator, Anvers 1990, pp.

173-212; Piet Lombaerde, Léopold II Roi-bâtisseur, catalogue d’exposition, Pandora, Snoek- Ducaju & Zoon, Amsterdam - Gand 1995, anche se il testo riserva particolare attenzione ai lavori condotti nella Ostenda “ville de loisirs”.

100

Rimandiamo a Marcel Smet, Charles Buls. Les principes de l’art urbain, Pierre Mardaga éditeur, Liège 1995.

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CAPITOLO2. 1897-1899. ANSIE ED AMPLIAMENTI

Tanto la grandeur del nuovo, quanto la valorizzazione dell’esistente offrono importanti opportunità di impiego alla statuaria che, al pari dell’architettura, diventa strumento di ridefinizione dello spazio esterno.

Dopo le austere semplificazioni del neoclassicismo settecentesco e la nuda plasticità del Rinascimento “all’italiana”, le architetture tornano a riammettere la scultura, riconsegnando le facciate dei palazzi alla decorazione101. Parallelamente anche nei lavori di restauro e ricostruzione, come quelli che coinvolgono la Grand’Place, gli scultori sono chiamati a completare o sostituire gli imponenti cicli plastici incastonati nelle maglie dell’architettura di un tempo102.

Tuttavia, sono ancora e soprattutto i grandi spazi aperti ad offrire le occasioni di lavoro più numerose, così come era stato fin dai primi anni dopo l’indipendenza (1830), da quando cioè, per legge, la scultura era diventata “arte di Stato”103. Certo, da allora molte cose erano cambiate: la statuaria pubblica aveva assunto nuovi ruoli, si era diversificata nei contenuti e svincolata da programmi iconografici imposti, arrivando a godere di una maggiore libertà di sperimentazione stilistica ed espressiva104, ma continuando a restare arte

101

I palazzi pubblici mettono in mostra un nuovo linguaggio urbano cui lavorano di concerto architetti e scultori, anche se ciascuno all’interno dei propri confini disciplinari. Gli architetti chiedono aiuto alle allegorie per caratterizzare gli edifici e non saranno solo bassorilievi come quelli sui frontoni del nuovo Conservatorio reale di musica (architetto Jean-Pierre Cluysenaar, 1872-1876) ma busti, lavori a tutto tondo e gruppi monumentali come quelli del complesso programma iconografico concepito per il Palais des Beaux-Arts dell’architetto Alphonse Balat (1875-1888) o nel mastodontico palazzo di giustizia di Joseph Poelaert che per longevità costruttiva (1866-1883) riuscirà ad impegnare anche gli scultori della più giovane generazione, allievi di Van der Stappen. Cfr. Jos Vandenbreeden, A. Hoppenbrouwers, Défense et

illustration de la façade du XIXe siècle, in Bruxelles, construire et reconstruire…cit., pp. 94-239

(in partic. per l’architettura pp. 140-239). 102

I restauri e i completamenti della Maison du Roi e dell’Hôtel de Ville sulla Grand’Place sono i più noti. Quest’ultimo, per mole e per durata, è senz’altro il più rilevante. Iniziati nel 1843, i lavori hanno richiesto la realizzazione di circa trecento statue. L’ultima campagna di incarichi, chiusasi nel 1900, ha visto partecipare anche lo scultore “espressionista” George Minne le cui opere si vedranno a Venezia per la prima volta nel 1907.

103

Le arti, ma soprattutto la scultura diventano strumenti di costruzione dell’identità nazionale. La scultura era il medium più efficace per educare alla coscienza nazionale, promuovere il sentimento della patria e diffondere valori che si volevano comuni e condivisi. Perciò, fin dal 1835, una legge dello stato chiama a raccolta gli scultori affinché traducano in marmo e in bronzo le grandi figure della patria.

104

Alla funzione didascalica attribuita alla scultura corrispondeva un linguaggio convenzionale tanto nello stile che nelle allegorie; in genere anche il programma iconografico era rigidamente controllato. Già dagli anni Settanta, però, la statuaria pubblica si arricchisce di nuovi temi: al passato si affianca la contemporaneità. La prosperità e il progresso che si facevano strada in tutti i campi della società meritavano di essere pubblicamente onorati. Nasceva così l’“eroe

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privilegiata perché eminentemente “art du dehors”, arte pubblica e urbana. Al valore politico e ideologico, che pure un certo tipo di interventi conserva, si affiancano ora operazioni a finalità quasi esclusivamente decorativa, dedicate ad abbellire la città, “capitale” anche sul piano dell’immagine.

È questa la cornice nella quale, esemplarmente, si inserice la Boscaiola (La Bûcheronne, 1894-1897, fig. 5) di Pierre Braecke che, nella Biennale del 1899 suscita vera impressione. Pica la descrive come una statua «grande due volte il vero»105, Thovez la definisce «colossale»106, mentre Pilo parla di «grande statue en plâtre»107. Se la misura colpisce è perché si tratta di un’opera concepita per uno spazio aperto. Il bronzo, di cui esiste un unico esemplare108, fa parte della decorazione scultorea del Giardino Botanico di Bruxelles. Incaricati di redigerne il progetto, finanziato dallo Stato, sono Van der Stappen e Meunier che mettono a punto sia il programma iconografico sia i bozzetti per la maggior parte delle opere. La loro esecuzione è affidata ad allievi, amici e colleghi: la Boscaiola nasce, infatti, da un’idea di Meunier (fig. 6).

Complessivamente quarantatré artisti si sono impegnati nella realizzazione di cinquantadue sculture, tra animali, piante e figure umane, scelti a simbolizzare le virtù. Come è stato evidenziato, si tratta di un vero “laboratorio” di scultura simbolista, dove per la prima volta si concretizza un progetto unitario e di ampio

borghese”, artefice dello sviluppo dello stato e del risveglio culturale, economico, politico e amministrativo. Successivamente piazze e giardini si rivelano luoghi privilegiati dove ospitare, non solo i “grandi” ma anche dove poter mettere il popolo “sul piedistallo”, liberando lo scultore e la sua opera dalle costrizioni dell’arte ufficiale. Per un’analisi più dettagliata si veda Richard Kerremans, Les monuments publics à Bruxelles et en Wallonie, in La sculpture belge au 19ème

siècle, catalogue d’exposition, sous la direction de Jacques Van Lennep, t. I, Général de Banque,

Bruxelles 1990, pp.149-168. 105

Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia nel 1899, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1899, p. 161.

106

Enrico Thovez, L’arte a Venezia alla III Esposizione internazionale. VIII. La scoltura.

Pietro Canonica. Gli altri scultori italiani e stranieri, in “La Stampa”, 28 luglio 1899. 107

Mario Pilo, Chronique artistique. La IIIe Exposition internationale d’art à Venise, in “L’Humanité nouvelle”, 1899, p. 492.

108

«Le plâtre qui se trouve a votre exposition est l’originale et il n’en existe pas de moule >…@ je vous prie de fixer la somme en envisageant >…@ que je sacrifie ainsi les reproductions que je promis en faire», lettera di Pierre Braecke ad Antonio Fradeletto, Bruxelles 23 mai 1899, in ASAC, Fs, Scatole nere, b. 9 “Corrispondenza col Municipio e vari. A-G 1899”, fasc. “B 1898- 1899”.

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respiro, capace di essere compreso dal grande pubblico109. Realizzato tra il 1894 e il 1897, l’intervento chiude il secolo della cosiddetta “ville sculptée”, durante il quale l’arte plastica si è affermata come originale e moderna anche nella sua dimensione urbana. Quest’aspetto, colto nel lavoro di Braecke, è destinato a restare tutt’altro che secondario negli anni a venire e anzi, a padiglione realizzato, si consoliderà come cifra caratteristica della partecipazione belga alla Biennale.

Il successo del 1899, di cui si diceva, è certamente favorito anche da contingenze esterne che determinano una drastica diminuzione della statuaria straniera. Ad incidere sono sia l’incremento del contributo italiano, sia la riduzione dello spazio a disposizione, destinato parzialmente alla nuova sezione di arte decorativa. Così, dei diciassette pezzi cui si riduce il contributo internazionale, ben quindici provengono dal Belgio. Inutile dire che non c’è resoconto dell’epoca che non sottolinei il fatto110.

Anche l’istituzione delle mostre individuali gioca un ruolo importante, benché l’impatto finale sia inferiore alle premesse. Di queste quindici opere, nove appartengono a Van der Stappen111.

Non è chiaro se l’ipotesi della personale spetti a Fradeletto o se, avvisato della novità, sia il Belga a proporla. Certo è che la mostra che si realizza mantiene poche delle iniziali assicurazioni, centrate sulla disponibilità di un’intera sala di

109

Cfr. François Loyer, Paul Hankar. La naissance de l’Art Nouveau, Archives d’Architecture Moderne, Bruxelles 1986, pp. 81-82. Il progetto è reso pubblico nel 1893 con l’esposizione della maquette. Van der Stappen e Meunier incaricano Paul Hankar del disegno delle fontane. Attualmente parte delle sculture sono state trasferite al nuovo Giardino Botanico nazionale di Meise, istituito negli anni Trenta, all’epoca in cui le trasformazioni urbanistiche della città avevano solo cominciato a mettere in pericolo l’esistenza stessa del vecchio giardino ottocentesco. Oggi, ciò che resta è un parco cittadino di superficie notevolmente ridotta rispetto all’originaria. Resta l’edificio neoclassico dell’Orangerie, costruito dall’architetto Tilman François Suys tra il 1826 e il 1829, contestualmente al giardino.

110

Per Mario Morasso solo la scultura belga merita di essere menzionata, accanto, beninteso, a quella italiana: cfr. Id., L’arte moderna alla III Esposizione di Venezia. IV, in “Nuova Antologia”, vol. 168, fasc. 669, 1 novembre 1899, p. 172. Per Vittorio Pica «la scoltura straniera può dirsi che quest’anno non sia rappresentata all’esposizione di Venezia che dai Belgi», Id.,

L’arte mondiale a Venezia…cit., p. 160. I toni di Pica sono anche quelli di Enrico Thovez, L’arte a Venezia alla III Esposizione…cit.

111

Le mostre individuali, introdotte per la prima volta con la terza Biennale, non erano esclusivamente appannaggio dei pittori. L’articolo 15 del regolamento chiariva, infatti, che lo scopo era quello di «dare un’idea adeguata di taluna fra le più nobili attività artistiche del tempo nostro».

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circa una decina di metri quadrati in cui poter esporre almeno venti lavori112. La collocazione definitiva nell’ambiente della tribuna, già occupato da altre sculture e dalle produzioni di arte decorativa, renderà infatti difficilmente leggibile la mostra come un unicum, tanto che ad essere riconosciute come esposizioni individuali saranno solo quelle dei pittori.

Infine, i molti acquisti per Ca’ Pesaro testimoniano anch’essi il valore generalmente attribuito in questo momemto storico alla statuaria belga.

In totale risultano vendute ben otto opere, quindi più della metà113: due sono per la galleria civica che, però, ne guadagnerà ancora altre due tra quelle vendute ai privati.

Per la prima volta, ad occuparsi degli acquisti pubblici è un’apposita commissione, nominata dal Comune. L’idea era quella di creare una sorta di “comitato scientifico” che effettuasse le scelte sulla base di precisi criteri di selezione in modo da pianificare gli acquisti e dare così struttura alla collezione dell’istituenda galleria114.

I componenti - Ugo Ojetti, Vittorio Pica, Primo Levi (L’Italico) e Giulio Pisa - ritenevano che l’importanza della partecipazione belga a questa terza edizione meritasse un riconoscimento e che ciò dovesse avvenire per il tramite della scultura115. In parte, però, questa decisione voleva anche rimediare all’impasse che si era creata alla precedente Biennale, quando non era stato possibile conferire ai Belgi le meritate ricompense.

112

«Puis-je toujours compter qu’une salle sera mise à ma disposition pour mon Exposition d’oeuvres à Venise. Dans l’affirmative veuillez me faire savoir: 1° quelle est la dimension de la salle et comment elle est éclairée. 2° le dernier delai d’envoi >…@ Je pourrai reunir une vingtaine d’oeuvres de sculptures – marbres, bronzes et ivoire - >…@», lettera di Charles Van der Stappen ad Antonio Fradeletto, Bruxelles 9 janvier 1899, in ASAC, Fs, Scatole nere, b. 8 “Corrispondenza H- Z, 1899”, fasc. “1898-1899 V-W-Z”.

113

Cfr. Petite chronique in “L’Art Moderne”, n. 2, 14 janvier 1900, p. 14. 114

Cfr. Flavia Scotton, La Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro (1897-

1914): un museo possibile, in Arte d’Europa tra due secoli: 1895-1914. Trieste, Venezia e le Biennali, catalogo dell’esposizione, a cura di Maria Masau Dan, Giuseppe Pavanello, Electa,

Milano 1995, pp. 39-40. 115

Relazione della Giuria per l’acquisto delle opere da collocarsi nella Galleria internazionale d’Arte moderna della Città di Venezia, Venezia 21 maggio 1899. Considerati gli

apprezzamenti di Ojetti e Pica all’indirizzo tanto dell’opera di Meunier, quanto di quella presentata da Braecke, l’intenzione non stupisce. Cfr. Vittorio Pica in L’arte mondiale…cit., pp. 269-270 e Ugo Ojetti in L’arte moderna a Venezia. Esposizione mondiale del 1897, Enrico Voghera Editore, Roma 1897, pp. 249-252.

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Nel 1897, l’unico pezzo acquisito dal museo cittadino era stato il gesso della Sfinge misteriosa (Sphinx mistérieux, 1897 fig. 7) di Van der Stappen, frutto non di un acquisto pubblico ma della donazione – e, dunque, del gusto116 - di un privato cittadino. Il busto, di chiara impronta simbolista, era stato comperato dall’imprenditore veneziano Nicolò Spada che ne aveva personalmente fatto dono alla municipalità117. Già esposto nel febbraio di quello stesso anno al Salon de la Libre Esthétique, il gesso era servito per eseguire un unico esemplare, realizzato appositamente per la mostra coloniale di Bruxelles che si svolgeva in parallelo alla Biennale. Si trattava di una scultura decorativa in avorio ed argento dorato che nasceva in, e per, un preciso contesto di cui ci si occuperà in seguito.

Di contro, nonostante gli unanimi giudizi positivi circa i suoi due lavori118, Constantin Meunier non aveva potuto essere premiato perché si era presentato fuori concorso. Né sorte migliore era toccata a Pierre Braecke119 al quale si era potuto assegnare solo un riconoscimento secondario e per di più condiviso con l’italiano Giuseppe Romagnoli. E ciò succedeva malgrado «l’altissimo conto in cui >la giuria teneva@ la sua opera, alla quale avrebbe data senza esitanza uno dei

116

Sulla Sfinge i giudizi della critica italiana concordano: piace poco o per niente. Anche Pica dice di preferire l’altra opera esposta da Van der Stappen, il bassorilievo dedicato al Silenzio. Unica voce fuori dal coro è quella di Tullo Massarani che, però, apprezza l’intera sezione scultorea belga, cfr. Id., La seconda Mostra Internazionale di Belle Arti in Venezia. II, in “Nuova Antologia”, vol. 155, fasc. 19, 1 ottobre 1897, p. 408.

117

Cfr. Giuliana Donzello, Arte e collezionismo. Fradeletto e Pica primi segretari alle

Biennali veneziane, 1895-1926, Firenze libri, Firenze 1987, p. 27. 118

Meunier presenta la statuetta del Falciatore e la testa dello Scaricatore che raccolgono ottimi pareri. A Pica e Ojetti fanno eco Enrico Thovez, L’Arte mondiale a Venezia. I Piemontesi,

Toscani, Emiliani, Romani, ecc. La scoltura, in “Corriere della Sera”, 22-23 agosto 1897 e Guido

Martinelli, Le grandi esposizioni internazionali: l’Esposizione artistica di Venezia, in “Emporium”, vol. VI, n. 32, agosto 1897, p. 140. Persino Mario Pilo, oltremodo duro nel giudizio sull’esposizione dei Belgi, ammetteva per le statuette di Meunier almeno un’«aurea mediocrità», cfr. Id., La seconda Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, in “Gazzetta letteraria”, n. 33, 14 agosto 1897, p. 5.

119

Pierre-Jean Braecke (Nieuport, 1858 – Bruxelles, 1938) studia all’Accademia di Lovanio ma lavora contemporaneamente nell’atelier di uno scultore a Bruges. I soggetti tratti dalla vita sociale e popolare, quale quello presentato a Venezia, non rappresentano il vero centro della sua opera. Affascinato dall’eredità classica, Braecke è fondamentalmente uno scultore idealista e, tra tutti, il più assiduo collaboratore di Victor Horta. Cfr. Vittorio Pica, Nel mondo delle arti belle

(Medaglioncini). Pierre Braecke, in “Minerva”, vol. XX (luglio-dicembre), n. 12, 2 settembre

1900, pp. 281-213 e Id., Artisti contemporanei: Pierre Braecke, in “Emporium”, vol. XIX, n. 109, gennaio 1904, pp. 3-19.

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primi premi»120. Il motivo era che la sua apprezzata scultura, Il Perdono (Le Pardon, 1893 fig. 8), aveva già figurato in altre esposizioni.

La nuova commissione intendeva, quindi, correggere queste precedenti storture ed era in grado di farlo nel modo più convincente: non più per mezzo di semplici premi in denaro ma con proposte di acquisto. Il mandato affidatole teneva conto, dunque, degli auspici formulati dalla giuria di premiazione del 1897 che contava tra i membri anche Van der Stappen121.

Così di Meunier si compera il bronzetto del Martellatore (Marteleur, 1885, fig. 9) e di Braecke l’unica opera esposta, il gesso della Boscaiola, purtroppo distrutto durante la seconda guerra mondiale. Come detto, la galleria si arricchisce di ulteriori due opere, ancora di Van der Stappen ma questa volta in bronzo. L’acquisizione della Spigolatrice (La Glaneuse, 1891 fig. 10) si deve all’intercessione di Fradeletto ed alla segnalazione dei membri della commissione, rammaricati per non averne potuto proporre direttamente l’acquisto in quanto opera di artista già rappresentato nella raccolta civica122. La mediazione del Segretario generale pesa anche sull’acquisto della seconda, La Donna dei covoni (La Femme à la gerbe, 1891 fig. 11)123, ora dispersa ma almeno fino agli Trenta

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