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Modernité et identité nationale Gli interrogativi della pittura

«Per compiere il giro della mostra rimane ancora una sala >…@ vi do un’occhiata >…@ e con un po’ di rimorso per la fretta scrivo: I belgi non hanno un tipo proprio»*.

Tra le novità introdotte con la seconda Biennale c’era il primo concorso per i migliori studi critici dedicati, appunto, alla mostra. L’iniziativa promossa da Riccardo Selvatico, oltre che rafforzare il côté intellettuale della mostra, aveva

166

Con una nota a margine, la redazione di “Emporium” prende le distanze dalle benevole opinioni espresse da Roberto Cantel circa la sezione italiana di belle arti. Questi i termini: «Come è facile rilevarlo dai nomi degli espositori, ben pochi, né tra i più noti, sono i pittori italiani che hanno preso parte a questa mostra, per cui non è lecito trarre alcuna conseguenza dalla figura ch’essi possono fare, nella mostra stessa, al confronto di altre sezioni», Roberto Cantel, Le grandi

esposizioni internazionali…cit, p. 231. 167

Hippolyte Fierens-Gevaert, Une exposition coloniale à Tervueren, in “Journal des débats politiques et littéraires”, 18 janvier 1898, ma si veda anche Id., L’Exposition internationale de

Bruxelles. III. Les arts appliqués, in “La Revue de l’art ancien et moderne”, t. II, 1897, pp. 269-

277. 168

L’autore dell’articolo dice di riportare i fatti così come gli erano stati raccontati da Adolphe Crespin che aveva avuto l’occasione di incontrare Otto Wagner durante l’esposizione. Cfr. Hippolyte Fierens-Gevaert, Les écoles d’architecture moderne, in “L’Émulation”, n. 2, février 1903, colonnes 9-12 (in partic. 11).

*

Mario Morasso, Note critiche sulla Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. II

Impressione generale. I veneti e i restanti italiani. Le singole nazioni straniere, in “Natura ed

arte”, vol. II, 1896-1897, p. 185.

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finalità pubblicitarie e documentarie: doveva, in quest’ultimo caso, contribuire alla costruzione di una storia critica dell’impresa municipale169.

Nell’insieme il dato che emerge, secondo la giuria di premiazione, è la grande incoerenza dei giudizi critici: «può dirsi che non un quadro della Mostra abbia destato concordanza d’impressioni» e, dunque, «alle più entusiastiche ammirazioni >corrispondono@ le cesure più acerbe»170.

Quanto all’ordinamento cambia poco rispetto alla prima edizione: «i prodotti artistici delle diverse nazioni si sono mantenuti separati per aiutare possibilmente i visitatori a meglio avvertire e comprendere la varietà degl’indirizzi e delle scuole»171. In pratica i criteri direttori restano gli stessi e reggeranno ancora solo per il successivo terzo appuntamento.

Ciò che varia è in parte la distribuzione generale. Complice l’ampliamento della superficie espositiva e le nuove partecipazioni, si crea un maggior numero di sale nazionali, riducendo le “coabitazioni” e privilegiando appunto l’individualità. Al pari di Scozia e Giappone, pubblicizzate come le vere novità dell’anno, anche il Belgio, scorporato dall’Olanda, conta ora uno spazio proprio. Il salto di visibilità è indubbiamente notevole172 ma non dipende certo dal numero delle opere esposte. Sebbene pittori e dipinti siano più che raddoppiati, i Belgi continuano ad essere pochi: i numeri li avvicinano a Norvegia e Danimarca. Un paragone con Olandesi e Scozzesi è del tutto improponibile173. E la situazione non è certo diversa nel 1899.

169

È quanto si legge in IVa adunanza, Venezia 23 febbraio 1896, in Seconda Esposizione Internazionale d’arte della Città di Venezia, Processi verbali delle adunanze del Comitato

ordinatore, registro manoscritto senza paginazione, in ASAC, Fs, Scatole nere, b. 6 “Processi

verbali, Pubblicità, Premi critici d’arte, Vendite 1897”. 170

Relazione della giuria pel conferimento dei premi ai migliori studi critici sulla IIa Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, Venezia, 28 dicembre 1897, p. 4. La

giuria era formata da Camillo Boito, Enrico Panzacchi e Corrado Ricci. 171

Ibidem. 172

In questa seconda edizione i Belgi occupano interamente la Sala B del palazzo dell’esposizione, la prima a sinistra del vestibolo. Si tratta della sala che, nel 1895, aveva ospitato la “prima volta” in gruppo dei tardi preraffaelliti, ma anche della sala che, a seguire il percorso proposto dal catalogo, apre la mostra e che, a guardare la pianta del palazzo, è totalmente indipendente dalle altre.

173

Rispetto al 1895 quando i pittori belgi erano 5 e presentavano in totale 9 opere, ora si sale a 14 artisti con 22 dipinti. Tuttavia resta ben poca cosa se si pensa che gli Olandesi espongono, secondo i calcoli di Pica, 58 dipinti e ben 170 lavori di grafica e gli Scozzesi si

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L’eco che suscita questa loro seconda partecipazione è, dunque, di altra natura.

Courtens non manca di riunire qualche suo allievo174 e di farsi promotore di alcuni altri artisti, sempre di area fiamminga175, ma accanto al paesaggio, genere che resta, la «gloria maggiore dell’odierna pittura belga», la vera novità è rappresentata dalle «suggestive tendenze simboliche di una parte della novissima pittura belga»176.

Questa è l’opinione di Pica che, se, come abbiamo visto, era rimasto un po’ deluso dalla partecipazione dei pittori belgi alla fiorentina Festa dell’Arte, ora a Venezia ha più di un motivo per essere felicemente entusiasta e lo dimostra ampiamente. Non tutti però la pensano allo stesso modo. Già nel 1895, parlando proprio dei pittori belgi, Sartorio aveva previsto, a malincuore, che «non tarderà molto ad apparire fra le nostre incertezze anche questo isterismo»177. Sentenze senza appello sono quelle pronunciate da Mario Pilo, esponente di una critica di stampo positivista. La sala belga è la più brutta di tutta l’esposizione. Mediocre nell’insieme, raggiunge punte di inenarrabile mostruosità: «contiene parecchi dei peggiori aborti che gli stranieri ci abbian mandati ad ammirare >…@. Vien da pensare, proprio, che questa brava gente si voglia pigliar gioco di noi: perché ci vuol davvero un bel fegato, a mandare di questi orrori a Venezia»178.

Al centro dei polemici commenti sono cinque opere, presentate da quattro artisti: Fernand Khnopff179, Léon Frédéric180, Henry De Groux e Jef Leempoels.

presentano con 33 pittori e 72 opere. Quantitativamente i Belgi sono inferiori anche ai Norvegesi (16 pittori con 29 opere).

174

Il paesaggista Victor Gilsoul che a Venezia sarà presente più volte e Paul Kuhstohs, destinato invece all’anonimato.

175

Il pittore Willem Albracht di Anversa e il pittore e scultore Hippolyte Le Roy di Gand. 176

Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia. IX. I pittori belgi, in “Il Marzocco”, n. 25, 25 luglio 1897, poi anche in Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia, Luigi Pierro editore, Napoli 1897, pp. 170-187.

177

Giulio Aristide Sartorio, L’Esposizione di Venezia. Nota sull’arte nel Belgio. Note sulla

pittura in Germania. Note sulla pittura nell’Austria-Ungheria, in “Il Convito”, libro VI, giugno

1895, p. XLI. 178

Mario Pilo, La seconda Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, in “Gazzetta letteraria”, n. 33, 14 agosto 1897, p. 4.

179

Figlio di ricchi borghesi, di discendenza austriaca, Fernand Khnopff (1858-1821) trascorre l’infanzia a Bruges dove risiede dal 1859 al 1864. Nel 1875 si iscrive alla facoltà di diritto all’Université Libre di Bruxelles. Attirato dalla letteratura, entra in contatto con Georges Rodenbach e Émile Verhaeren. Quindi lascia definitivamente gli studi per dedicarsi all’arte. Dopo

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Sartorio, nel suo “presagio” del 1895, aveva già individuato in Fernand Khnopff e Léon Frédéric i maggiori seguaci del simbolismo. A questi aveva aggiunto, a ragione, anche Jef Leempoels. Infatti, sebbene il giovane artista fosse noto dalla prima edizione della Biennale come un pittore realista, Sartorio lo cita come autore di Le déstin de l’humanité (1893-1894? fig. 23), tela che, quasi sicuramente, aveva visto esposta alla Secessione di Monaco in quello stesso 1895181. Per lui, dunque, anche Leempoels è, al pari degli altri due, «seguace di questi sogni o lugubri o sanguinanti, principio di un’oscura demenza»182. Al contrario, Pica cita Leempoels in tutt’altro contesto. Per lui, il Belga resta fondamentalmente un rappresentante della pittura di storia, «già tanto gloriosa in Belgio, ma ora quasi completamente caduta in abbandono»183. Il giudizio è formulato su uno dei due dipinti esposti a Venezia184: il secondo, il dittico Ognuno vuol erigere a saviezza la propria follia (Chacun veut en sagesse ériger sa folie, 1894), non attira la sua attenzione. In compenso è Henry De Groux a far parte della schiera dei simbolisti, anche se a Venezia presenta La vigilia di Waterloo

aver frequentato il silenzioso e appartato atelier di Xavier Mellery, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles dova ha per “compagno di banco” James Ensor. Va spesso a Parigi, dove conosce Gustave Moreau. Nel 1878 è sedotto dai Preraffaelliti e dal loro repertorio simbolico e letterario. Nel 1881 espone con il gruppo de L’Essor, ma nel 1883 è tra i fondatori del Cercle des Vingt; nel 1892 espone ai Salon de la Rose+Croix, organizzati a Parigi da Joséphin Péladan. Nel 1889 parte per un lungo soggiorno in Inghilterra dove dal 1895 diventa corrispondente per il Belgio della rivista “The Studio”.

180

Al suo ritorno da un soggiorno di un anno in Italia, Léon Frédéric (Bruxelles, 1856 – ivi, 1940) debutta, nel 1878, nel gruppo de L’Essor che riunisce gli artisti sostenitori del realismo. Il suo primo successo risale al 1883, quando presenta il grande trittico, formato che predilige, Les

marchands de craie (oggi ai Mussées Royaux des Beaux-Arts de Belgique). Sulla via del realismo

continua in seguito a raccontare la vita dei campi e delle fabbriche. Nel 1893 è invitato ad esporre al Cercle des Vingt, ma se ne allontana nel 1896, partecipando al Salon d’Art idéaliste organizzato da Jean Delville. Dai primitivi interessi per il realismo, la sua attenzione si indirizza decisamente verso il simbolismo. Alla ricerca di un ideale di armonia tanto interiore quanto esteriore, sono i temi mistici ricchi di simbologie occulte a prevalere nelle sue opere. La sua pittura è un miscuglio di realismo nella raffigurazione e di esoterismo nelle allegorie. Le scene che dipinge sono disseminate di motivi Art Nouveau. Nelle sue opere più tarde l’idealismo vira verso la religione. In vita viaggia molto tra Germania e Inghilterra.

181

Cfr. Offizieller Katalog der Internationalen Kunst-Ausstellung des Vereins bildender

Künstler Münchens (A.V.) “Secession” 1895, Verlagsanstalt für Kunst und Wissenscahft (vormals

Friedrich Bruckmann), München (III. Auflage ausgegeben am 14. Juni 1895). 182

Giulio Aristide Sartorio, L’Esposizione di Venezia…cit., p. XLI. 183

Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia. IX. I pittori belgi, cit.. 184

Il dipinto in questione di Leempoels è L’uccisione d’Evrard de T’Serclaes.

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(figg. 25-26)185, cioè un quadro storico: Ojetti infatti lo inserisce tra i pittori di storia186. Questo fatto non cambia, però, l’immagine che Pica aveva di De Groux e che si era costruito vedendo, a Parigi, altri lavori dell’artista187. Sul conto di De Groux, Thovez è decisamente più chiaro. Riconosce che «ai non realisti va aggiunto ancora il giovane De Groux il disegnatore di tante orribili visioni macabre. Ma questa tela è proprio l’opposto >…@ Nulla di tragico»188. L’appellativo di “macabro” spetta invece a qualcun altro. Se a Firenze Frédéric si era rivelato pittore dalle poetiche allegorie, a Venezia diventa artista dai toni cupi e violenti, così come si leggevano nel suo Tutto è morto! (Tout est mort!, 1892- 1895? fig. 24), «un trittico di terribile aspetto»189.

Quanto a Khnopff, sulla scorta degli auspici pronunciati da Pica a Firenze, si presenta - finalmente - nella veste di elegante e raffinato pittore di misteriosi enigmi, esponendo due dei suoi capolavori L’Incenso e L’Offerta (L’Encens, 1898 fig. 27; L’Offrande, 1891 fig. 28).

Tutto questo rincorrersi di opinioni diverse è utile a rilevare un primo dato: ciò che si vede a Venezia nel 1897 rovescia in parte gli schemi che, quanto meno dopo la prima Biennale e dopo la mostra fiorentina, la critica italiana si era costruita sul conto dei Belgi.

A queste si aggiungono ancora altre riflessioni che è utile considerare. Per Sartorio la matrice culturale di questi artisti intellettuali è francese: Belgi e Francesi mostrano, infatti, decise affinità in campo letterario. Per Thovez sono altrettanto evidenti alcuni aspetti dell’anima tedesca. Tra tutti Pica si rivela il più puntuale, ma anche il più “omnicomprensivo”. Grazie anche ai suoi articoli monografici, la sua prospettiva appare più articolata. La pittura belga ha rispecchiato «le successive evoluzioni e rivoluzioni dell’arte francese, con qualche

185

Non ci risulta esistano immagini del dipinto di De Groux e nemmeno di quello di Jef Leempoels. Di De Groux proponiamo altre due opere tra cui Le Christ aux Outrages (1888-1889) che la critica ritiene il suo capolavoro.

186

Ugo Ojetti, L’arte moderna a Venezia. Esposizione mondiale del 1897, Enrico Voghera Editore, Roma 1897, p. 189.

187

Sul rapporto tra Pica e De Groux ci soffermiamo brevemente in un prossimo paragrafo. Rimandiamo perciò, più avanti nel testo a Bruxelles via Parigi. Vittorio Pica, i Belgi e la Biennale

del bianco e nero. 188

Enrico Thovez, L’Arte mondiale a Venezia. Courtens ed i Belgi, in “Corriere della Sera”, 27-28 maggio 1897.

189

Ugo Ojetti, L’arte moderna a Venezia…cit., p. 63.

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parentesi di influenza germanica»190, in più Frédéric si richiama all’estetica preraffaellita inglese e, così come anche Khnopff, ai Quattrocentisti italiani191.

Sintenticamente dunque, comprendendo nella sua disamina l’intera sala della Biennale, Morasso osserva che i Belgi «non hanno un tipo proprio».

In altri termini, ciò che emerge è un mosaico di individualità in cui sembra ben difficile leggere l’espressione di un’arte nazionale. E quindi è sensato parlare di “arte belga”?

La domanda si ripropone ciclicamente anche in Belgio, tutte le volte che se ne presenta l’occasione. Un primo punto sulla questione si era fatto nel 1880, all’epoca della grande retrospettiva allestita nell’ambito dell’Esposizione per il cinquantenario dell’Indipendenza. Nelle sale del nuovo Palais des Beaux-Arts di Alphonse Balat si poteva godere di una sintesi «de l’effort de plusieurs générations d’artistes pour aboutir à une expression d’art conforme au génie de la race»192. Vi si vedevano i quadri a soggetto storico della pittura romantica e le successive esperienze del realismo.

Da allora però si erano aperte e percorse nuove strade su cui ancora una riflessione d’insieme non era stata fatta. In questo senso una nuova opportunità si presenta proprio nel 1897, nel corso dell’Esposizione Internazionale di Bruxelles dove è presente anche una sezione di arte contemporanea.

In quell’occasione si tentano alcuni bilanci che, per quanto da prospettive diverse, riconoscono la possibilità di un’arte nazionale193. La sua affermazione è

190

Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia, cit., p. 172. 191

Questi stessi concetti, Pica li ribadirà più volte sia negli articoli monografici dedicati a Léon Frédéric, sia in quelli dedicati a Khnopff. Cfr. Vittorio Pica, Nel mondo delle arti belle

(Medaglioncini). Léon Frédéric, in “Minerva”, vol. XIX (gennaio-giugno), n. 12, 4 marzo 1900,

pp. 280-283; Vittorio Pica, Nel mondo delle arti belle (Medaglioncini). Fernand Khnopff, in “Minerva”, vol. XIX (gennaio-giugno), n. 19, 22 aprile 1900, pp. 448-451; Vittorio Pica, Artisti

contemporanei: Fernand Khnopff, in “Emporium”, vol. XVI, n. 93, settembre 1902, pp. 171-188;

Vittorio Pica, Artisti contemporanei: Léon Frédéric, in “Emporium”, vol. XVII, n. 100, aprile 1903, pp. 245-261.

192

Camille Lemonnier, L’École belge de peinture 1830-1905, G. Van Oest & Cie, Bruxelles 1906 (ed. cons. Éditions Labor, Bruxelles 1991), p. 171.

193

Cfr. per esempio Octave Maus, L’art moderne en Belgique, in La Belgique. Flandre au

lyon. L’union fait la force!, numéro spécial della “Revue encyclopédique”, t. VII, n. 203, 24 juillet

1897, pp. 618-624; Hippolyte Fierens-Geavert, L’Exposition internationale de Bruxelles. I. L’art

belge contemporain, in “La Revue de l’art ancien et moderne”, t. I, 1897, pp. 227-235.

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legata alla progressiva presa di coscienza dell’esistenza di un «âme national», cioè di un’identità nazionale che proprio in questo periodo si cerca di teorizzare.

Comunque lo si definisca, un paese carrefour o il “microcosmo d’Europa” – secondo la formula dello storico tedesco Karl Lamprecht - il Belgio è da sempre terra di commistioni. È per natura un paese fondato sul dualismo194. Situato alla confluenza tra Francia e Germania è un frammento di ambedue, pur non essendo né francese né tedesco. È indipendente da entrambe ma incompleto senza di queste. Nessuna popolazione, quanto quella belga, ha subìto in modo così profondo e continuativo l’azione dei vicini. Tuttavia, ricettività e attitudine all’assimilazione vanno di pari passo con l’affrancamento e l’originalità. L’arte belga, dunque, non può che essere come l’“âme belge”, unica nella sua essenza ma composita nelle sue manifestazioni e multipla nelle sue sfaccettature.

In questo senso Pica dimostra di aver assimilato bene la lezione di Camille Lemonnier quando riconosce che i pittori belgi «non sono punto degli imitatori banali e pedissequi, ché anzi quasi sempre si sono fatti gl’ingegnosi interpreti ed i liberi e sagaci svolgitori delle nuove formole d’arte >…@. Eglino hanno perfino saputo crearsi una particolare originalità»195.

194

Prendiamo le righe successive da una delle voci che allo scadere del secolo difende la causa dell’identità nazionale, attestandone l’esistenza e la specificità. Si veda: Edmond Picard,

L’âme belge, in La Belgique. Flandre au lyon. L’union fait la force!, cit., pp. 595-599. 195

Vittorio Pica, L’arte mondiale a Venezia, cit., p. 172. Quanto ai rapporti tra Pica e Lemonnier rimandiamo al citato paragrafo dedicato a Pica più avanti nel testo.

fig. 1 Fernand Khnopff,

Jeanne Kéfer, 1885

fig. 2 Léon Frédéric,

fig. 3 Charles Van der Stappen,

Jean François Portaels

fig. 4 Charles Van der Stappen,

fig. 5 Pierre Braecke,

La Bûcheronne, 1894-1897

Jardin botanique, Bruxelles

fig. 6 Constantin Meunier,

fig. 7 Charles Van der Stappen,

Sphinx mistérieux, 1897

fig. 8 Pierre Braecke,

fig. 9 Constantin Meunier,

Le Marteleur, 1885

fig. 10 Charles Van der Stappen,

fig. 11 Charles Van der Stappen,

La donna dei covoni

(La Femme à la gerbe, 1891)

fig. 12 Interno della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, anni Trenta (sugli zoccoli La Spigolatrice e La donna dei covoni di Charles Van der Stappen)

fig. 13 Charles Van der Stappen,

In hoc signo vinces, 1897

fig. 14 Paul Hankar,

Progetto di vetrina per una statuetta di Charles Van der Stappen,

fig. 15 La Sfinge misteriosa di Charles Van der Stappen dentro la vetrina di Paul Hankar, Museo del Congo, Tervueren 1900

fig. 17 Esposizione coloniale di Tervueren, 1897 Salone d’onore, aménagement di Paul Hankar

fig. 18 Esposizione coloniale di Tervueren, 1897

fig. 19 Esposizione coloniale di Tervueren, 1897

Sala delle Importazioni, aménagement di Gustave Serrurier-Bovy

fig. 20 Esposizione coloniale di Tervueren, 1897

fig. 21 Esposizione coloniale di Tervueren, 1897

Sala delle Grandi Colture, aménagement di Georges Hobé

fig. 22 Adolphe Crespin,

fig. 23 Jef Leempoels,

Le déstin de l’humanité, 1893-1894 (?)

fig. 24 Léon Frédéric,

fig. 25 Henry de Groux, Le Christ aux Outrages, 1888-1889

fig. 27 Fernand Khnopff,

L’Encens, 1898

fig. 28 Fernand Khnopff,

Hippolyte Fierens-Gevaert, 1909 ca.

Parte seconda

PERCORSI PARALLELI

PARTE SECONDA.PERCORSI PARALLELI CAPITOLO1.ALLE PRIME BIENNALI DEL NUOVO SECOLO

CAPITOLO 1

Alle prime Biennali del nuovo secolo

1.1 Frazionamenti regionalisti e contrazioni internazionali

«La quarta biennale di Venezia voleva provvedere a rimettere in onore l’arte italiana, che l’anno avanti s’era dimostrata così scarsa a Parigi; e a questo scopo la Presidenza istituì delle mostre regionali»*.

Nel maggio del 1900, il Segretario generale Antonio Fradeletto ha già ben chiare le linee programmatiche della futura quarta edizione della mostra veneziana. Tre sono i concetti ispiratori che così riassume egli stesso:

«1. assecondare la conciliazione fra i vari gruppi di artisti, impedendo il rinnovarsi di quegli attriti che se non ci nocquero, certamente ci amareggiarono la vita l’anno scorso1;

2. appoggiare le loro legittime esigenze, tenendo nel debito conto le obbiezioni giuste dei giornali oppositori;

3. dar prova della maggiore larghezza verso le altre regioni italiane, mostrando che la nostra Esposizione non è come fu affermato “veneziana” e “straniera”2».

La proposta operativa capace di tener fede a questi propositi è fondamentalmente una: «che le opere degli artisti italiani siano raggruppate per

*

L’Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia dal 1895 al 1914, in

“Emporium”, vol. LI, n. 305, maggio 1920, pp. 211-225 (in partic. p. 219). 1

Il riferimento è alle polemiche suscitate, nel 1899, dalla costituzione della Corporazione dei pittori e scultori italiani che aveva chiesto di essere ammessa alla mostra. Per una disamina puntuale si veda Daniele Ceschin, La “voce” di Venezia. Antonio Fradeletto e l’organizzazione

della cultura tra Otto e Novecento, Il Poligrafo, Padova 2001, pp. 133-138. 2

In effetti osservazioni quali «la preponderanza dell’elemento straniero sul nazionale >…@ limita troppo il concorso degli artisti italiani» continueranno comunque a ripetersi come fa notare

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