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45 GD, III, §1 46 Ibidem.

2.4 C AUSALITÀ ILLUSORIA E INVERTITA DELLA CONSAPEVOLEZZA

44. I motivi creduti. Per quanto possa essere importante sapere i motivi secondo i quali ha realmente agito l’umanità fino ad oggi, tuttavia forse la credenza in questi o quei motivi, quindi ciò in cui l’umanità ha fino ad oggi falsamente supposto e immaginato consistessero le vere leve del suo agire, è qualcosa di ancor più essenziale per l’uomo della conoscenza. L’intima felicità e miseria degli uomini è difatti toccata loro in sorte secondo la loro credenza in questi o quei motivi – non già per ciò che costituiva un motivo reale! Quest’ultimo ha un interesse di secondo piano.270

Come rilevano molti commentatori, non risulta semplice estrarre una teoria univoca ed argomentata dalle riflessioni di Nietzsche. Ciò è dovuto principalmente, come abbiamo detto, alla mobilità della terminologia che l’autore usa nelle sue opere per descrivere processi simili e alla mancanza di un vero e proprio sistema filosofico esplicito. Nonostante questo, è comunque possibile notare una certa continuità nelle sue considerazioni riguardanti la causalità mentale, ed in particolare la stretta connessione tra il problema della consapevolezza e il problema del rovesciamento prospettico dell’ordine temporale.

Il principale riferimento riguardante questo tema è il capitolo intitolato I quattro grandi errori presente in Crepuscolo degli idoli, ma è possibile rintracciare la forma embrionale di queste riflessioni già in Umano, troppo umano e lungo l’intera produzione dei frammenti postumi. Gli argomenti del capitolo di riferimento dovevano, secondo le intenzioni dell’autore, confluire nell’opera Volontà di potenza, progetto però che Nietzsche decise di abbandonare definitivamente pochi mesi dopo271. Risulta

immediatamente chiaro che Nietzsche non intende sondare la causalità mentale nel senso che viene oggi attribuito a tali termini all’interno della filosofia della mente contemporanea: non si tratta infatti di capire in che modo gli stati mentali possano causare stati fisici e viceversa, perché Nietzsche non manca di ribadire che esistono solo stati corporei e che gli stati mentali non sono che una particolare tipologia di stati

270 FW, §44.

271 Troviamo infatti negli appunti un abbozzo di indice che doveva essere destinato al primo capitolo

dell’opera.

«La volontà di potenza. Tentativo di trasvalutazione di tutti i valori. Psicologia dell’errore

1) scambio di causa ed effetto

2) scambio della verità con ciò che è creduto come vero 3)scambio della coscienza con la causalità»

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corporei. L’intento è piuttosto, per l’autore, quello di delineare in che modo la ragione abbia frainteso il concetto di causa, provocando quei particolari errori e perversioni che costituiscono la nostra esperienza consapevole.

Inizieremo la nostra disamina del tema dall’analisi di quello che Nietzsche chiama «errore di una falsa causalità»272. Questa serie di argomentazioni è strettamente

connessa ad alcuni temi che abbiamo già incontrato, come la critica alla volontà psicologica e il pervertimento grammaticale del soggetto agente, e confluisce nella critica dell’intenzionalità consapevole. Il successivo riferimento alla causalità illusoria dei motivi consapevoli ci condurrà alla particolare riflessione nietzscheana riguardante il rovesciamento dell’ordine temporale della consapevolezza, strettamente connessa all’«errore dello scambio di causa ed effetto»273 e al particolare «errore delle cause

immaginarie»274, che costituiscono per Nietzsche gli aspetti fondanti della psicologia

dell’errore caratteristica delle considerazioni morali e religiose.

La critica alle concezioni filosofiche di causa ed effetto non si ferma alla semplice constatazione che esse appartengono alle particolari operazione dell’intelletto che organizzano l’esperienza consapevole e non all’essenza stessa della realtà; Nietzsche si impegna infatti in quel movimento all’indietro che tenta di fornire la giustificazione psicologica e genealogica di come si sono sviluppate le nostre concezioni causali. L’autore rintraccia la genesi di tali concezioni nell’interpretazione umana della propria realtà interiore, la quale ha fornito lo schema concettuale successivamente proiettato sul mondo esterno. Nel domandarsi da dove abbiamo preso il concetto di causa, Nietzsche osserva come in tutti i tempi abbiamo creduto di «essere noi stessi la causalità, nell’atto del nostro volere; pensavamo se non altro di cogliere così la causalità sul fatto»275.

Questa particolare interpretazione della nostra realtà interiore è stata accompagnata dal fatto che «similmente non dubitavamo che tutti gli antecedenti di un’azione, le sue cause, dovevano ricercarsi nella consapevolezza e che qui si sarebbero ritrovati, se li si cerca -, come “motivi”»276 e, infine, dalla sicurezza con cui ognuno credeva che il pensiero avesse

una causa, e che questa causa fosse proprio il soggetto.

272 GD, VI, §3. 273 Ivi, VI, §1. 274 Ivi, VI, §4. 275 Ivi, VI, §3. 276 Ibidem.

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Di queste tre «realtà interiori», con cui la causalità sembrava darsi una garanzia, la prima e la più convincente è quella della volontà come causa; la concezione di una consapevolezza («spirito») come causa, e più tardi anche quella dell’io (del «soggetto») come causa, sono semplicemente filiazioni posteriori determinatesi dopo che da parte della volontà la causalità si stabilì come data, come empiria.277

Nietzsche sostiene che la consolidata credenza nella volontà consapevole come causa dell’azione sia il fulcro stesso della nostra concezione causale del mondo. Non solo: questa concezione si è così radicata nel nostro modo di pensare che costituisce oggi la nostra stessa esperienza quotidiana. Tale illusione è stata talmente reiterata nella storia dell’umanità da finire per essere più che un semplice concetto: è diventata il nostro stesso modo di interpretare tutte le nostre azioni e, successivamente, tutto ciò che accade nel mondo. Possiamo notare che questa sorta di mitologia accompagna ancora oggi le nostre pratiche: la troviamo nella responsabilità giuridica, nei movimenti volontari indicati dalla medicina e dalla fisiologia, fino alle stesse concezioni causali delle scienze e della logica. Ma per Nietzsche è appunto lo stesso fondamento genealogico della causalità, la volontà, a perdere lo statuto di nozione esplicativa.

Il «mondo interiore» è colmo di immagini ingannevoli e di fuochi fatui: la volontà è uno di questi. La volontà non muove più nulla, di conseguenza neppure spiega più nulla – essa accompagna semplicemente dei processi, può anche mancare.278

Quello che consideriamo ancora oggi il motore stesso delle nostre azioni, cioè la nostra volontà, si è rivelata agli occhi di Nietzsche non solo come uno degli innumerevoli errori interpretativi della nostra interiorità, ma addirittura come un fenomeno concomitante che non dirige il nostro agire e che in quanto tale può anche mancare, senza per questo pregiudicare le nostre azioni abituali279. Alla critica del concetto di

volontà si accompagna la constatazione che lo stesso “io” come causa del pensiero «è divenuto una favola, una finzione, un gioco di parole: ha cessato in tutto e per tutto di

277 Ibidem. 278 Ibidem.

279 In un frammento Nietzsche specifica meglio questa sua posizione sui fini che attribuiamo normalmente

alla nostra volontà: «Perché non potrebbe un fine essere un fenomeno concomitante, nella serie di modificazioni delle forze agenti che provocano l’azione conforme al fine – un pallido fantasma proiettato nella consapevolezza per servirci da orientamento su ciò che accade, come sintomo stesso dell’accadere e

non come sua causa? Ma con ciò abbiamo criticato la volontà stessa: non è un’illusione il prendere come

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pensare, di sentire e di volere! … Che cosa ne consegue? Non esistono affatto cause spirituali!»280.

Attraverso tali concetti l’umanità aveva «fatto un garbato abuso di quella “empiria”», cioè di quelle sensazioni concomitanti ormai interpretate e assunte a cause reali delle nostre azioni e pensieri, fino a creare «su di essa il mondo come un mondo di cause, come un mondo della volontà, come un mondo di spiriti»281. La proiezione delle

nostre considerazioni causali interiori sul mondo esterno vede all’opera un altro particolare pervertimento grammaticale che costituisce uno dei fulcri della scepsi nietzscheana.

Era qui all’opera la più antica e duratura psicologia, che non ha proprio fatto nient’altro: ogni accadimento era per essa un fare, ogni fare la conseguenza di un volere, il mondo divenne per essa una molteplicità di agenti, un agente (un «soggetto») s’intromise in ogni accadimento…282

Questo pervertimento della ragione, introiettato fino alla nostra stessa esperienza sensibile della volontà, si traduce in una critica che investe la nozione di intenzionalità consapevole. L’intenzione diventa per Nietzsche un dispositivo simbolico con cui la consapevolezza «tenta di rendere razionali i propri istinti incomprensibili: ciò fa per esempio l’assassino, quando giustifica davanti alla propria ragione la sua peculiare inclinazione, quella di uccidere, decidendo di compiere una rapina o consumare una vendetta»283. È proprio per tale ragione che l’autore riflette sul fatto che, contro il

realismo morale di stampo platonico, «non l’intenzione, ma proprio il suo aspetto involontario è ciò che costituisce il valore e disvalore di un’azione»284. Il nostro corpo

sembra fornire attraverso la sensazione delle particolari inclinazioni e disposizioni all’azione, sensazioni che attraverso la ragione creativa ricevono una illusoria giustificazione logica, razionale o morale come causa di quelle stesse disposizioni, al fine di servire come orientamento consapevole. Nietzsche sostiene quindi, oltre la critica alla causalità di Hume, che «ciò che ci dà la straordinaria saldezza della fede nella causalità non è la grande abitudine di osservare il succedersi dei fatti, ma la nostra incapacità di

280 GD, VI, §3. 281 Ibidem. 282 Ibidem.

283 FP 1883, 5[1]6. Tale esempio compare anche in Z, Il pallido delinquente. 284 FP 1883, 7[59].

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interpretare un avvenimento altrimenti che come un avvenimento in base ad intenzioni»285.

Oltre alle intenzioni consapevoli, Nietzsche si preoccupa di attaccare frontalmente anche la presunta capacità esplicativa dei motivi riguardanti le nostre azioni. Tale critica non ci pone solo di fronte alla possibilità che ad una stessa azione «conducono più vie e motivi»286, e che quindi il motivo, organizzato dall’intelletto come

causa dell’azione e successivamente tradotto in segni dalla ragione creativa sul filo della metafisica grammaticale come giustificazione del comportamento, possa non essere quello che effettivamente ha messo in moto i meccanismi fisiologici dell’azione; ma ci permette anche di tentare una riflessione più profonda sul tema del rovesciamento temporale caratteristico del prospettivismo della consapevolezza.

Come abbiamo visto affrontando il tema della logica del sogno, una delle caratteristiche principali di tale prospettivismo della consapevolezza è quella di proiettare gli effetti che ha su di noi la realtà come causa della nostra stessa percezione consapevole.

34[54] L’ordine temporale invertito

Il «mondo esterno» agisce su di noi: l’effetto viene telegrafato al cervello, là viene aggiustato, elaborato, e ricondotto alla sua causa; poi la causa viene proiettata e solo allora il fatto viene

alla nostra CONSAPEVOLEZZA. Vale a dire il mondo dell’apparenza ci appare come causa solo

dopo che «essa» ha agito e l’effetto è stato elaborato. Vale a dire noi capovolgiamo

costantemente l’ordine dell’accadimento. – Mentre «io» vedo, esso vede già qualcosa d’altro.287 Non risulta semplice comprendere pienamente cosa Nietzsche intende attraverso questa riflessione sul rovesciamento temporale che avviene all’interno della consapevolezza. E mentre nei taccuini e negli appunti l’autore sembra trattare l’argomento come questo avesse effettivamente luogo in ogni esperienza, in Crepuscolo degli idoli egli si esprime più cautamente utilizzando i termini di apparente rovesciamento temporale, quasi si rendesse conto delle effettive difficoltà di descrivere tale concetto senza avere la possibilità di determinare un effettivo riferimento temporale.

285 FP 1885, 2[83].

286 MA, §58. Riguardo al conflitto dei motivi per Nietzsche risulta particolarmente interessante anche M,

§129.

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L’esempio classico che Nietzsche utilizza per cercare di spiegare tale fenomeno è quello del colpo di cannone, presente sin da Umano, troppo umano nell’aforisma dedicato alla logica del sogno e ripreso quasi dieci anni dopo nell’aforisma sull’errore delle cause immaginarie in Crepuscolo degli idoli. La sostanziale differenza che intercorre tra i due aforismi è che tale rovesciamento temporale, che in Umano, troppo umano si riferisce principalmente all’esperienza onirica prodotta dalla fantasia in cui «la presunta causa viene dedotta dall’effetto e rappresentata secondo l’effetto»288, viene esteso ne Il

Crepuscolo degli idoli alla totalità della nostra esperienza vigile.

4. Errore delle cause immaginarie. – Prendiamo le mosse dal sogno: a una determinata sensazione, dovuta, per esempio, a un lontano colpo di cannone, viene in un secondo momento interpolata una causa (spesso un intero romanzetto in cui appunto colui che sogna è il personaggio principale). Intanto la sensazione perdura, in una specie di risonanza: aspetta, per così dire, che l’impulso di causalità le consenta di mettersi in primo piano – ormai non più come caso, bensì come «senso». Il colpo di cannone si presenta in un aspetto causale, in un apparente ribaltamento del tempo. Quel che è posteriore, la motivazione, viene vissuto per primo, spesso con cento dettagli che svaniscono in un baleno, segue la detonazione… Che cosa è avvenuto? Le rappresentazioni, generate da un certo stato intimo, sono state erroneamente intese come causa del medesimo. In realtà facciamo la stessa cosa nella veglia. La maggior parte dei nostri comuni sentimenti – ogni specie di inibizione, di oppressione, di tensione, di esplosione nel gioco e controgioco degli organi, come pure, in particolare, lo stato del nervus sympathicus – stimola il nostro impulso di causalità: vogliamo avere una ragione del sentirci in questo o quel modo – del sentirci male o del sentirci bene. Non è mai sufficiente per noi limitarci ad accertare semplicemente il fatto che ci sentiamo in questo o quel modo; ammettiamo questo fatto – ne diventiamo consapevoli – soltanto se gli abbiamo dato una specie di motivazione. Il ricordo che in tale caso entra in azione a nostra insaputa fa affiorare stati anteriori di specie affine e le interpretazioni causali concresciute con essi – non già la loro causalità. Indubbiamente la credenza che le rappresentazioni, i concomitanti processi della consapevolezza siano stati le cause, viene anch’essa portata contemporaneamente alla superfice dal ricordo.289

Nietzsche sottolinea quindi una sostanziale differenza tra tempi del corpo e tempi della consapevolezza. Non solo infatti i processi di interpolazione delle cause da parte dell’intelletto primario e i processi operativi degli intelletti secondari ci pongono di fronte alla loro straordinaria rapidità di esecuzione in confronto a ciò che nella consapevolezza possiamo osservare, ma addirittura la stessa consapevolezza presenta,

288 MA, §13. 289 GD, VI, §4.

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senza accorgersene, un ordine temporale invertito. L’autore ci invita a considerare il fatto che «il frammento di mondo esterno che per noi diviene consapevole, è scaturito dopo l’effetto che dall’esterno ha agito su di noi, ed è successivamente proiettato come “causa” di quello»290.

Tale rovesciamento temporale non si realizza solo nella nostra esperienza consapevole del mondo esterno, ma anche nello stesso mondo interiore. Così per esempio quando avvertiamo la sensazione di volere qualcosa consideriamo questa volontà come la causa stessa del nostro successivo movimento; Nietzsche invece ci invita a considerare che la stessa volontà è già un effetto della nostra disposizione ad agire in un senso o nell’altro (e può peraltro mancare senza compromettere la capacità di agire), e che la sensazione di volontarietà non è che un’illusione costruita dall’intelletto per giustificare la nostra già avviata attività corporea. L’autore arriva a supporre che «l’intera “esperienza interna” consiste […] nel fatto che per una sollecitazione dei centri nervosi viene cercata e rappresentata una causa – e dapprima la causa trovata entra nella consapevolezza: questa causa non è assolutamente adeguata alla causa reale»291.

La memoria, come abbiamo potuto notare dai precedenti frammenti citati, ha un ruolo protagonista nella preparazione di queste cause, fornendo all’intelletto parte del materiale su cui costruisce la causa da proiettare.

Ma perché avviene questo singolare fenomeno? Quale vantaggio evolutivo può portare il rovesciamento temporale e la proiezione degli effetti come fossero cause? Nietzsche ci invita a considerare che «l’impulso di causalità è […] condizionato e stimolato dal sentimento della paura»292: l’intelletto non deve fornire alla

consapevolezza la causa stessa delle sollecitazioni corporee, quanto «piuttosto una determinata specie di causa – una causa acquietante, liberatrice, rasserenante»293.

Non soltanto viene dunque cercata come causa una determinata specie di spiegazioni, ma anche una specie eletta e privilegiata di spiegazioni, quelle, cioè, con cui è stato eliminato nella maniera più rapida, nel maggior numero dei casi, il sentimento dell’estraneo, del nuovo, del non vissuto – le spiegazioni più abituali.294

290 FP 1888, 15[90]. 291 Ibidem. 292 GD, VI, §5. 293 Ibidem. 294 Ibidem.

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Il ribaltamento temporale che avviene nell’esperienza consapevole, introiettato attraverso la sua reiterata applicazione nella storia dell’uomo sino a presentarsi ai nostri sensi, si esplicita anche nella produzione concettuale della ragione, provocando quel «caratteristico pervertimento della ragione»295 che consiste nello scambiare anche nel

nostro pensiero astratto l’effetto con la causa. Così per esempio mentre «il lettore dei giornali dice: questo partito va in rovina per un tale errore»296, «la mia superiore politica

dice: un partito che commette tali errori, è finito: non ha più la sua istintiva sicurezza»297. L’errore del partito è l’effetto della sua rovina, non la causa della stessa. In

un altro esempio di tale pervertimento della ragione, Nietzsche inverte la considerazione morale e religiosa secondo cui un popolo o una generazione sono mandati in rovina dai vizi e dal lusso, sostenendo come la sua «ripristinata ragione»298

dica: «se un popolo va in rovina, degenera fisiologicamente, ne conseguono vizio e lusso (vale a dire il bisogno di stimoli sempre più forti e frequenti, come è noto ad ogni natura esausta)»299. 295 GD, VI, §1. 296 GD, VI, §2. 297 Ibidem. 298 Ibidem. 299 Ibidem.

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