• Non ci sono risultati.

45 GD, III, §1 46 Ibidem.

3.3 L IBIDO DI POTENZA E PATHOS DEL VIVENTE

Posto che nient’altro sia «dato» come reale, salvo il nostro mondo di bramosie e di passioni, e che non si possa discendere o salire ad alcun’altra «realtà», salvo appunto quella dei nostri istinti – il pensare, infatti, è soltanto un rapportarsi reciproco degli istinti -: non sarebbe allora permesso di fare il tentativo e di porre la questione se questo «dato» non basti a intendere, sulla base di quelli similari, anche il cosiddetto mondo meccanicistico (o «materiale»)? Posto infine che si riuscisse a spiegare tutta quanta la nostra vita istintiva come la plasmazione e la ramificazione di un’unica forma fondamentale del volere – cioè della volontà di potenza, come è la mia tesi-; posto che si potesse ricondurre tutte le funzioni organiche a questa volontà di potenza e si trovasse in essa la soluzione del problema della generazione e della nutrizione – si tratta di un solo problema -, ci si sarebbe con ciò procurati il diritto di determinare univocamente ogni forza agente come: volontà di potenza. Il mondo veduto dall’interno, il mondo determinato e qualificato secondo il suo «carattere intelligibile» - sarebbe appunto «volontà di potenza» e nient’altro che questa. -489

Lungo la nostra trattazione abbiamo sorvolato su alcune delle teorie principali attribuite a Nietzsche, come la volontà di potenza, il superuomo, l’eterno ritorno e la morte di Dio. Questi temi costituiscono per la maggior parte degli interpreti i punti centrali della filosofia nietzscheana. Nel trattare la trasvalutazione della corporeità abbiamo però deciso di concentrarci sulle radici sotterranee che guidano le riflessioni di Nietzsche, accennando a volte solo implicitamente tali temi. Tuttavia nello sviscerare gli argomenti che compongono le teorie degli impulsi e degli istinti della fisio-psicologia nietzscheana risulta necessario approfondire la questione della volontà di potenza, almeno nella sua forma biologica e per così dire affettiva. Abbiamo infatti già avuto modo di incontrare tale fondamentale tema nel trattare dello statuto della psicologia: essa è, per Nietzsche, una «morfologia e teoria evolutiva della volontà di potenza»490, e in questo senso viene considerata in Al di là del bene e del male come la signora delle scienze e via maestra per i problemi filosofici.

Inizieremo il paragrafo cercando di far emergere quei problemi che hanno portato Nietzsche a formulare la sua nozione di volontà di potenza innanzitutto per descrivere il mondo biologico. In particolare ci soffermeremo su una ulteriore critica al darwinismo, la quale prende le mosse dalla svalutazione impressa nelle riflessioni nietzscheano al cosiddetto istinto di sopravvivenza. Da queste riflessioni emergerà una

489 JGB, §36. 490 JGB, §23.

164

particolare riformulazione del problema della lotta per la lotta tra i viventi e all’interno degli stessi organismi. In seguito a queste premesse, Nietzsche ipotizzerà la volontà di potenza come principio strutturante della vita sotto il segno del problema della gerarchia già discusso nel paragrafo precedente. Accenneremo successivamente all’estensione di tale principio oltre alla sfera biologica nelle opere più tarde di Nietzsche.

Nel partecipare al dibattito scientifico del suo tempo, in particolare per quanto riguarda l’ambito fisiologico ed evoluzionistico al fine di conseguire una più pregnante considerazione della corporeità e della vita, Nietzsche utilizza costantemente una terminologia di ascendenza darwiniana. Tali nozioni vengono trasposte, anche grazie al contributo della riforma impressa da Roux, anche a tutte quelle strutture cognitive e psicologiche che compongono l’esperienza umana. Questa adesione non avviene però senza scarti: abbiamo già incontrato per esempio la critica che viene mossa da Nietzsche riguardo all’utilità iniziale di alcuni tratti, i quali si rivelano nella loro originaria emersione come un pericoloso tentativo non ancora stabilizzato e non come un vero e proprio guadagno evolutivo immediato. Un’altra importante critica riguarda la presunta centralità dell’istinto di conservazione nella visione evoluzionistica. Sebbene Nietzsche sostenga esplicitamente che «soltanto tutte quelle funzioni che comportano la conservazione di un organismo hanno potuto conservarsi e riprodursi»491, e quindi rilevi

l’importanza dell’istinto di conservazione dell’individuo nel percorso evolutivo, egli ritiene che questo non sia esattamente quella forza propulsiva che ci permette di spiegare la complessità del vivente.

13. I fisiologi dovrebbero riflettere prima di stabilire l’istinto di conservazione come istinto cardinale di un essere organico. Un’entità vivente vuole soprattutto scatenare la sua forza – la vita stessa è volontà di potenza: - l’autoconservazione è soltanto una delle indirette e più frequenti conseguenze di ciò. - Insomma, in questo come in qualsiasi altro caso, guardiamoci dai princìpi teologici superflui! – quale è quello dell’autoconservazione (lo dobbiamo all’incongruenza di Spinoza -). Così infatti vuole il metodo, che deve essere essenzialmente economia di princìpi.492

L’incongruenza di Spinoza è stata, per Nietzsche, quella di cercare di liberarsi da ogni principio teleologico per poi rilevare che «lo sforzo (conatus) con cui ogni cosa

491 FP 1884, 25[427]. 492 JGB, §13.

165

cerca (conatur) di perseverare nel suo essere non è altro che l’essenza attuale (actualem essentiam) della cosa stessa»493. Il nostro autore intravvede anche nella scuola

darwiniana una simile enfasi sull’autoconservazione, come se lo scopo del vivente fosse solo quello di prolungare indefinitamente la propria esistenza. Sebbene Darwin stesso ponga l’attenzione anche e soprattutto sulla possibilità riproduttiva degli individui, Nietzsche intravvede un contrasto tra l’immagine di un organismo che nel suo adattamento ambientale punta alla sopravvivenza, reprimendo quindi ogni attività che possa metterlo in pericolo al fine di conservarsi, e l’immagine del vivente come espressione e sfogo di se stesso, il quale mira all’espansione della sua potenza.

La volontà di accumulare forza come lo specifico per il fenomeno della vita, della nutrizione, della generazione, dell’eredità. […] Non solo costanza dell’energia, ma anche economia massimale del consumo, in modo che il voler diventare più forte sia l’unica realtà a partire da

ogni centro di energia – non la conservazione di sé, bensì l’assimilazione, il voler diventare

padrone, il voler diventare di più, il voler diventare più forte.494

Nietzsche non nega quindi l’influenza che l’ambiente imprime nell’adattamento degli individui, né che l’istinto di autoconservazione abbia giocato un ruolo genealogico incisivo nell’evoluzione biologica. Ritiene però che l’adattamento finalizzato alla sopravvivenza sia solo una conseguenza, «un’attività di second’ordine, una reattività»495,

e in particolare attacca duramente quella concezione che vede un progressivo avanzamento evolutivo verso il meglio, cioè «la vita stessa come intrinseco adattamento, sempre più finalistico, a circostanze esterne (Herbert Spencer)»496. Pensandola in questo

modo, rileva Nietzsche, «viene disconosciuta […] l’essenza della vita, la sua volontà di potenza; ci si lascia sfuggire la priorità di principio che hanno le forze spontanee, aggressive, sormontanti, capaci di nuove interpretazioni, di nuove direzioni e plasmazioni, alla cui efficacia l’adattamento viene solo dietro»497. Tale concezione

prende le mosse anche da un’altra riflessione che Nietzsche ritiene in contrasto con la visione del mondo professata dall’evoluzionismo. Secondo il nostro autore, Darwin sbaglia quando considera l’aspetto economico dell’evoluzione, cioè quando intravvede

493 B. Spinoza, Etica dimostrata con ordine geometrico, Mondadori, Milano, 2007, Parte III, Proposizione

VII.

494 FP 1888, 14[81]. 495 GM, II, §12. 496 Ibidem. 497 Ibidem.

166

nella selezione il risultato del principio della scarsità delle risorse e quindi del progressivo adattamento nella lotta tra gli individui per appropriarsene. Tale errore, secondo Nietzsche, porta ad un duplice fraintendimento: da una parte si presenta la natura come intrinsecamente limitata nelle sue manifestazioni, soggetta nelle sue espressioni vitali a tale scarsità di risorse, orientata quindi alla lotta per la sopravvivenza; dall’altra, proprio per questa scarsità, ritiene che l’evoluzione della specie non possa che promuovere la sopravvivenza del più adatto a sfruttare progressivamente tali risorse.

Anti-Darwin.– Per quanto riguarda la famosa “lotta per la vita”, per ora mi sembra più asserita che dimostrata. Avviene, ma come eccezione; l’aspetto complessivo della vita non è lo stato di bisogno, lo stato di fame, bensì la ricchezza, l’opulenza, persino l’assurda dissipazione – dove si lotta, si lotta per la potenza... Non si deve scambiare Malthus con la natura. – Ma posto che questa lotta esista – e in effetti essa avviene -, essa ha purtroppo un esito contrario a quel che si augura la scuola di Darwin, a

quel che forse sarebbe lecito augurarsi con essa: ossia a sfavore dei forti, dei privilegiati, delle felici eccezioni. Le specie non crescono nella perfezione: i deboli hanno continuamente la meglio sui forti – ciò avviene perché essi sono in gran numero, sono anche più accorti... Darwin ha dimenticato lo spirito (– il che è inglese!), i deboli hanno più spirito... Si deve aver bisogno di spirito, per riceverne, – lo si perde quando non se ne ha più bisogno. Chi ha la forza, fa a meno dello spirito. Per spirito intendo, come si vede, la prudenza, la pazienza, l’astuzia, la simulazione, la grande padronanza di sé e tutto quello che è mimicry (a quest’ultima attiene una gran parte della virtù).498

L’evoluzione non promuove il più forte, ovvero le felici eccezioni, sia perché queste si presentano inizialmente come delicati tentativi, sia perché i deboli sono in gran numero ed hanno la possibilità di adattarsi meglio alle circostanze esterne. Abbiamo già trovato una tesi simile quando abbiamo parlato del progressivo livellamento provocato dall’esigenza umana di capirsi nelle situazioni di pericolo, ciò quella particolare tendenza generalizzante dell’esperienza umana a fini comunicativi e la conseguente esclusione di coloro che sentivano diversamente.

Tali considerazioni sull’evoluzionismo e sui suoi assunti riflettono il pensiero nietzscheano sull’importanza delle forze spontanee e sormontanti che egli riscontra nei viventi, e in particolare negli stessi istinti e impulsi dell’essere umano. La volontà di

167

potenza, lungi dal rinviare ad una volontà in senso psicologico, si presenta nell’organico come quel processo di assimilazione, appropriazione e resistenza tipico dei viventi e degli impulsi che li compongono.

Nutrimento primitivo: il protoplasma allunga i suoi pseudopodi per cercare qualcosa che gli si opponga – non per fame, ma per volontà di potenza. La volontà di potenza può manifestarsi solo contro delle resistenze; cerca quel che le si contrappone – questa la tendenza originaria del protoplasma.499

È solo nella lotta contro ciò che gli resiste, e quindi nella ricerca di queste resistenze, che l’organico può aumentare la propria potenza. Questa tendenza, diversamente da ciò che potrebbe a prima vista sembrare, si presenta come un processo non finalistico500 e in costante divenire: ovunque c’è un vivente si lotta per la lotta, si

assimila per assimilare; l’incremento della potenza della momentanea coalizione di forze e la conservazione di tale complessa unità sono solo le conseguenze immediate di questa tendenza. Da questa ipotesi fondamentale emerge quella struttura gerarchica di istinti di cui siamo composti, i quali a loro volta si sono mostrati altrettanti campi di forze accumunati dalla ‘volontà’ di «scaricare la loro energia»501. Nella stesura degli schizzi

preparatori dell’opera che Nietzsche decise di non concludere, la quale doveva chiamarsi appunto Volontà di potenza, troviamo ulteriori tentativi di descrivere tutti i processi organici come volontà di potenza.

Per il piano. Introduzione

1. Le funzioni organiche ritradotte nella volontà fondamentale, la volontà di potenza – e dissociate da essa.

2. Pensare, sentire, volere di ogni vivente – che cos’è piacere se non un eccitamento del senso di potenza attraverso un ostacolo (ancora più fortemente per impedimenti e resistenze ritmici), che in tal modo lo fa gonfiare? Dunque ogni piacere contiene anche dolore. – Se il piacere deve diventare molto grande, i dolori devono diventare molto lunghi e la tensione dell’arco enorme.

3. La volontà di potenza che si specializza come volontà di nutrimento, di proprietà, di strumenti, di servitori – comandare e obbedire: il corpo. – La volontà forte dirige quella debole. Non c’è causalità oltre a quella da volontà a volontà. Finora nessuna meccanica - - -

499 FP 1887, 9[151].

500 Anche se alcuni autori rilevano la difficoltà di intendere la volontà di potenza come una forza non

finalizzata, appunto, ad incrementare la propria potenza. Per es. : R. C. Solomon, Nietzsche on fatalism and

“free will”, Journal of Nietzsche Studies, No. 23 (Spring 2002), pp. 67-68.

168

4. Le funzioni mentali. Volontà di plasmare, di assimilare, eccetera. Appendice. I grandi equivoci dei filosofi.502

Notiamo da tale piano l’importanza che assume il dolore insito nello stesso principio della ricerca continua delle resistenze. Esso si rivela come «un ingrediente necessario di ogni attività (ogni attività è diretta contro qualcosa che dev’essere superato). La volontà di potenza, dunque, aspira a resistenze, al dispiacere»503. È proprio

in questo pathos che consiste l’esperienza tragica della vita, quella volontà di sofferenza in cui consiste il fondo di ogni organismo dedito alla potenza. Ma è solo attraverso questo pathos che la volontà di potenza può esprimersi e rinvenire la propria forza. Nietzsche sottolinea questa tendenza proprio determinando la volontà di potenza: essa «non è un essere, non un divenire, ma un pathos»504, e nella nostra descrizione del

mondo ricaviamo che questo è «il fatto elementarissimo da cui soltanto risulta un divenire»505.

Eppure, si domanda Nietzsche, non riscontriamo anche nei processi chimici e fisici la stessa modalità di espressione? Se è vero che l’ipotesi della volontà di potenza nasce dalle constatazioni sui comportamenti biologici dei viventi e psicologici degli impulsi, accumunati da questo pathos, Nietzsche accarezza l’idea di poter usare tale linguaggio affettivo anche per tutti gli eventi della realtà. È necessario allora servirsi «fino in fondo dell’analogia con l’uomo»506, una necessità prima di tutto metodica:

tentare di descrivere l’intera realtà attraverso un solo tipo di principio descrittivo. Tale ipotesi serve a Nietzsche anche per superare il problema atomistico, un problema che si era rivelato intriso di quei pregiudizi metafisici incorporati nella grammatica.

Mentre Copernico ci ha persuaso a credere, in opposizione a tutti i sensi, che la terra non è immobile, Boscovich ci insegnò a rinnegare la fede nell’ultima cosa della terra che «stava

502 FP 1885, 25[15].

503 FP 1884, 26[275]. Müller Lauter rileva comunque una differenza sostanziale indicata dallo stesso

Nietzsche: vanno distinti «dispiacere come stimolo per il rafforzamento della potenza e dispiacere dopo uno sperpero di potenza». FP 1888, 14[174]; citato in W. Müller Lauter, Der Organismus als innerer Kampf:

der Einfluß von Wilhelm Roux auf Friedrich Nietzsche, in «Nietzsche-Studien», 7, 1978, pp. 189-223, trad. it. L’organismo come lotta interna. L’influsso di W. Roux su F. Nietzsche, in La ‘biblioteca ideale’ di Nietzsche, a

cura di G. Campioni e A. Venturelli, Guida, Napoli, 1992, pp. 183-184, nota 112. Anche Stiegler sottolinea l’importanza di queste ferite provocate dalle resistenze (e della memoria) nel pensiero biologico di Nietzsche. Cfr. B. Stiegler, Nietzsche e la biologia, a cura di R. Fabbrichesi e F. Leoni, Negretto, Mantova, 2010.

504 FP 1888, 14[79]. 505 Ibidem.

169

immobile», la fede nella «sostanza», nella «materia», nell’atomo come residuo terrestre, come piccola massa; è stato il più grande trionfo sui sensi che si sia mai ottenuto sino a oggi sulla terra.507

La trasposizione della volontà di potenza anche nel mondo fisico è uno dei problemi nietzscheani per eccellenza, ed è debitore di una cospicua varietà di teorie fisiche della sua epoca508. Ci è sembrato doveroso accennare a tale problematica,

nonostante esuli dai temi del presente testo. Ciò che tuttavia traspare dalle considerazioni di Nietzsche riguardanti la volontà di potenza anche nell’inorganico è il continuo tentativo di superare il concetto filosofico di sostanza. Il reale come volontà di potenza è invece un mondo di forze contrapposte e sormontanti, in cui le unità non sono che momentanei campi di forza che si disgregano e cospirano attraverso valutazioni alla potenza. In questo quadro, ipotizza Nietzsche, «le pretese ‘leggi naturali’ non sono altro che formule dei ‘rapporti di potenza’»509.

507 JGB, §12.

508 Una completa disamina del problema scientifico viene approfondita da: P. Gori, Una visione dinamica

del mondo: Nietzsche e la filosofia naturale di Boscovich, la città del sole, Napoli, 2007. Per approfondire

invece l’aspetto ontologico di tali riflessioni rinviamo a: W. Müller Lauter, Nietzsche’s teaching of will to

power, Journal of Nietzsche Studies, No. 4/5, The Work of Wolfgang Müller-Lauter (Autumn 1992/Spring

1993), pp. 37-101.

170