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1. L’estrema destra di fronte alla strage di piazza Fontana e al golpe.

Se gli attentati del 12 dicembre 1969 sono rimasti impressi nella memoria della sinistra extraparlamentare come un evento fondante, lo stesso non si può dire per l’estrema destra. Nei ricordi dei neofascisti vi è un salto temporale tra il ’68, vissuto come una grande occasione mancata, e gli anni Settanta, come il tempo della violenza e del lutto. Piazza Fontana viene ricordata come il giorno che troncò ogni illusione d’intesa generazionale che era sembrata possibile a destra nei mesi della protesta studentesca. Secondo la testimonianza di Giuseppe Ollearis, un dirigente della Giovane Italia, appena appresa la notizia dell’attentato un gruppo di giovani di destra si recò alla Statale di Milano per sondare il clima: «quelli del Movimento Studentesco presenti all’università gridarono verso di noi che eravamo degli assassini. L’incontro finì male: a botte. Da quel momento i rossi accusarono i neri della strage e così fecero i neri nei confronti dei rossi. Eravamo caduti nella trappola»387.

Nel rapporto della memoria dell’estrema destra con la strage di piazza Fontana ha agito una dinamica complessa. Quando le indagini della magistratura sugli attentati del 12 dicembre si concentrarono sugli ambienti neofascisti, mostrando la permeabilità dei confini di questo frastagliato universo, scattò una solidarietà istintiva in un ambiente che si era sempre sentito sotto assedio da un sistema che avversava388.

Questo tipo di atteggiamento fu alla base del vittimismo e della sindrome di persecuzione che costituirono negli anni Settanta un retroterra comune a tutti i gruppi neofascisti e che ha portato l’estrema destra a negare ogni sua possibile implicazione nella strage di piazza Fontana e negli altri attentati che scandirono gli anni della strategia

387 A. Baldoni, S. Provvisionato, A che punto è la notte?, Vallecchi, Firenze 2003, p. 38.

388 Cfr. M. Tedeschi, a cura di, Il caso Rauti, Una congiura giudiziaria, suppl. a «il Borghese», n. 14, a.

XXIII, 2 aprile 1972.

della tensione389. Le testimonianze dei neofascisti attorno all’«evento piazza Fontana» sono, dunque, molto più rare.

In realtà gli attentati del 12 dicembre 1969 rappresentarono anche per l’estrema destra uno snodo importante. La strategia di destabilizzazione che portò alla realizzazione della strage di Milano coinvolse una rete di gruppi terroristici legata a doppio filo ai servizi segreti. Bisogna tenere distinti, quindi, la predisposizione dei piani eversivi che si susseguirono fin dal secondo dopoguerra (e che ebbero diverse regie e referenti) dalle aspettative e dalle paure sentite dai neofascisti tra il 1969 e il 1970. La strage di piazza Fontana, infatti, fu considerata dalla maggior parte dei militanti di destra come un evento inaspettato. Si poneva anche per loro il problema di cosa fare di fronte ad un episodio drammatico che aveva minato alla base la solidità della comunità nazionale e che apriva scenari inquietanti.

I neofascisti percepirono gli attentati di dicembre come una profonda rottura politica; fu un passaggio speculare e opposto a quello vissuto dalla sinistra extraparlamentare: per

389 La partecipazione di gruppi neofascisti ad attività terroristiche è stata ricollegata alle provocazioni e

alle infiltrazioni di elementi eterodiretti dai servizi segreti allo scopo di neutralizzare l’opposizione dell’estrema destra al sistema democratico. Vedi anche F. Servello, Il complotto, B&C, Roma 1976, pp. 30-52. Quest’interpretazione è stata sostanzialmente riprodotta nelle relazioni di minoranza presenti nelle Commissioni parlamentari d’inchiesta sugli anni delle stragi Cfr. A. Mantica, V. Fragalà, La strage di piazza Fontana. Storia dei depistaggi: così si è nascosta la verità, in Commissione Stragi, Doc. XXIII, n. 64, vol. I, tomo VI, 6 settembre 2000, pp. 105-143; F. Cicchitto, G. Rold, F. Gironda, La disinformazione in Commissione stragi, Il grande inganno, Bietti, Milano 2002.

Come sono esigui i tentativi di una lettura “politica” degli anni della strategia della tensione non riconducibili alle polemiche suscitate di volta in volta dalle indagini giudiziarie. Tra le poche eccezioni si segnala il libro di S. Francia, Radici storiche e ragioni della strategia della tensione, Ed. Barbarossa, Milano 1996, una riflessione attenta - da “destra” - agli equilibri geopolitici della Guerra Fredda. L’assenza di una riflessione storica a destra su quegli anni è stata sottolineata da A. Baldoni, negli anni Settanta dirigente del Fuan Caravella, in Il crollo dei miti, Utopie, ideologie, estremismi, Dalla fine del miracolo economico alla crisi della Prima Repubblica, Settimo Sigillo, Roma 1996. Sul rapporto tra la memoria dell’estrema destra e piazza Fontana segnalo il recente intervento di Roberto Chiarini L’estrema destra e la strage di piazza Fontana al convegno “ La strage di Milano” organizzato dai Musei Civici di Milano nel novembre del 2006, cfr. http://air.unimi.it/handle/2434/31990. È sintomatico come nel volume Fascisti immaginari, curato dai giornalisti Luciano Lanna e Filippo Rossi, il più recente lavoro d’inchiesta sulle autorappresentazioni e l’immaginario della cultura della destra radicale, i riferimenti alla strage di piazza Fontana e agli anni della strategia della tensione siano rari. Cfr. L. Lanna, F. Rossi, Fascisti immaginari, Vallecchi, Firenze 2003.

alcuni di essi si pose il problema della scelta delle armi di fronte ad uno scenario che sembrava inesorabilmente orientato a degenerare.

Se i gruppi della sinistra extraparlamentare temevano che la strage di piazza Fontana fosse stata funzionale all’ “allineamento” dell’Italia ai regimi autoritari dell’Europa mediterranea (Spagna, Portogallo e Grecia), i movimenti neofascisti ritennero che le bombe di dicembre fossero da attribuire ad un piano di destabilizzazione dell’Unione Sovietica per espandere la sua egemonia in Europa, che diveniva, ogni giorno, sempre più minacciata dopo i fatti di Praga dell’agosto 1968, l’incremento della flotta da guerra sovietica nel Mediterraneo nel febbraio del 1969 e il colpo di Stato in Libia il successivo settembre390.

La stampa di destra lanciò l’ipotesi di una regia “occulta” degli attentati dietro la quale si nascondevano il Partito comunista e settori del governo di centro-sinistra; un complotto teso a portare il Pci al potere, con la conseguente uscita dell’Italia dalla Nato e il suo ingresso nell’orbita d’influenza sovietica. Questa paura era strumentale ad un disegno di delegittimazione del Partito comunista – portato avanti, soprattutto, dal Movimento Sociale - ma rifletteva anche un timore radicato e diffuso tra la base dei movimenti e dei partiti di estrema destra. Così facendo, però, l’estrema destra alimentò pericolose spinte centrifughe che già si erano manifestate lungo tutto il corso del 1969: le teorie complottistiche, infatti, minavano la compattezza delle istituzioni e mettevano in discussione il monopolio statale della violenza. Con uno Stato o un governo compromessi con la strage chi avrebbe garantito la sicurezza della comunità nazionale? Con argomenti non troppo dissimili, come vedremo, la sinistra extraparlamentare si pose analoghi interrogativi. Resta da chiarire, tuttavia, se e quanto dell’organizzazione terroristica responsabile degli attentati di Roma e Milano i vertici del Movimento Sociale fossero a conoscenza, dato che i militanti neofascisti che la componevano provenivano tutti da Ordine Nuovo che nel novembre del 1969 era confluito nel Msi. All’indomani delle bombe di dicembre l’esecutivo del Movimento Sociale indicò il Partito comunista come il mandante della strage e il governo, per via della sua inettitudine, come suo complice391. Contrariamente alle reazioni dei comunisti e dei 390 Cfr., ad esempio, Un ponte verso le basi sovietiche, Ecco l’Italia voluta da socialisti e comunisti, «Il

Secolo d’Italia», 27 febbraio 1969; Minaccia l’Italia la flotta sovietica dislocata nel Mediterraneo, «Il Secolo d’Italia», 28 febbraio 1969.

391 Il governo stronchi la sovversione o si dimetta. Riunito l’Esecutivo del Msi, «Il Secolo d’Italia», 12

dicembre 1969. A Milano un senatore del Pci accorso sul luogo della strage fu riconosciuto da gruppo di

socialisti, che rimasero, come vedremo, sul vago pur indicando da subito la matrice neofascista dell’attentato, il Msi e la stampa di destra accusarono esplicitamente il Pci di essere coinvolto negli attentati di Milano e di Roma anche dopo la morte di Giuseppe Pinelli e l’arresto di Pietro Valpreda.392.

Con gli attacchi diretti al Partito comunista il Movimento Sociale puntava a radicalizzare la crisi393. Nino Tripodi accusò il Partito comunista di aver utilizzato i gruppi extraparlamentari per compiere gli attentati come «avanguardie di copertura mandate allo sbaraglio…per riservare al grosso dell’esercito il compito di garantire le qualità democratiche e le disponibilità governative degli Amendola e dei Berlinguer»394.

Il 14 dicembre il Movimento Sociale indisse una grande manifestazione da tenersi a Roma, per «combattere sulla trincea più avanzata»395. I manifestanti dovevano dirigersi verso il quartiere dell’Eur, partendo da più concentramenti sparsi nei quartieri periferici, su colonne di auto messe a disposizione dai militanti396.

La notizia della manifestazione e le direttive agli iscritti del Msi comparvero sul «Secolo d’Italia» il 12 dicembre. Quando scoppiarono le bombe a Milano e a Roma, i partiti di sinistra e i gruppi extraparlamentari credettero che la mobilitazione della piazza di destra fosse propedeutica al golpe e dopo reiterate proteste la manifestazione fu rinviata di qualche giorno397.

missini e aggredito.

392 Sono comunisti gli assassini, «Il Secolo d’Italia», 13 dicembre 1969; Pena di morte per i responsabili

di strage, ivi. Si vedano, ad esempio, gli articoli pubblicati sulla stampa di destra nei giorni successivi agli attentati: Arrestato un comunista per la strage di Milano, «Il Secolo d’Italia», 17 dicembre 1969; Cronaca degli attentati terroristici e della collusione tra Pci e anarchici all’agosto 1960, «Il Candido», n. 5, 29 gennaio 1970; M. Tedeschi, Il neo-anarchismo agli ordini del Pci, «Il Borghese», n. 1, 4 gennaio 1970.

393 Il 7 giugno 1970, ad esempio, il Msi diffuse un manifesto con su scritto Saluto comunista, strage

terrorista nel quale era rappresentato l’anarchico Pietro Valpreda incriminato per la strage di Milano.

394 N. Tripodi, I complici, «Il Secolo d’Italia», 13 dicembre 1969.

395 P. Sponziello, Appuntamento con la Nazione, «Il Secolo d’Italia», 12 dicembre 1969. La

manifestazione doveva essere la conclusione di una serie di comizi che il Msi tenne in diverse località dell’Italia in seguito alla morte di Antonio Annarumma. Vi furono comizi a Reggio Calabria, a Milano e in varie località delle Marche e dell’Emilia Romagna. Cfr. Il Msi mobilita la nazione contro la sovversione rossa, «Il Secolo d’Italia», 2 dicembre 1969; Incontro con la Nazione, «Il Secolo d’Italia», 7 dicembre 1969.

396 Concentramenti di zona, «Il Secolo d’Italia», 12 dicembre 1969.

397 In alcune inchieste giornalistiche la coincidenza degli attentati con la manifestazione del Msi ha fatto

pensare ad un’azione di forza dell’estrema destra per cavalcare l’indignazione dei cittadini scioccati dalla

Negli ultimi mesi del 1969 erano apparsi con sempre più frequenza appelli ed articoli nella stampa di desta che invocavano l’intervento dei militari per ristabilire l’ordine nel Paese e fermare la sovversione. Ricorda, a questo proposito, un militante neofascista: «[di golpe] se ne parlava di uno al giorno…si viveva in un’atmosfera incredibile creata da falsi, veri, presunti colpi di stato che stavano per avvenire»398. Tanto più che l’11 dicembre 1969 anche una rivista moderata come il settimanale «Epoca» era uscita in edicola con un’eloquente copertina tricolore e con articoli che invocavano l’instaurazione di una Repubblica presidenziale e l’intervento delle Forze Armate in caso di un colpo di mano da parte dei comunisti.

Nella maggior parte dei casi questi articoli si esprimevano in difesa dello Stato e della legge chiedendo una politica d’ordine che svelava, però, un’ambiguità di fondo: la richiesta di un intervento dei militari implicava, infatti, l’abbattimento violento del governo di centro-sinistra e un’aperta repressione delle sinistre399.

Nonostante queste drammatiche implicazioni l’opzione del golpe parve un’ipotesi credibile e sostenuta da diversi settori dell’estrema destra400: nel Movimento Sociale vi erano pareri favorevoli nei confronti di un intervento dei militari per impedire la riedizione del centro-sinistra e guidare il Paese ad elezioni anticipate con lo scopo di allontanare il Pci dal governo, mentre i gruppi della destra radicale credevano che il colpo di Stato avrebbe innescato una rivoluzione nazionale in grado di rigenerare il Paese. Secondo la testimonianza di un neofascista «il golpismo diventa la nostra tattica…perché attraverso di esso ci si può liberare del comunismo che è il nemico più importante. Di conseguenza nella seconda fase si potrà fare la rivoluzione»401.

L’ipotesi del colpo di Stato metteva al centro il problema della violenza: la realizzazione di un piano golpista comportava il rischio dello scoppio di una guerra civile; un pericolo che apparve accettabile. Incominciarono a circolare pubblicamente interventi che

strage. Quest’ipotesi è stata avanzata da G. Boatti, Piazza Fontana, 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta, Einaudi, Torino 1999.

398 M. Fiasco, La simbiosi ambigua. Il neofascismo, i movimenti e la strategia delle stragi, in R.

Catanzaro, a cura di, Ideologie, movimenti, terrorismi, Il Mulino, Bologna 1990, p. 171.

399 Sulle implicazioni del colpo di Stato cfr. R. H. T. O’Kane, A Probabilistic Approach to the Causes of

Coups d’État, «British Journal of Political Science», vol. XI, luglio 1981.

400 G. Pellegrino, intervista di G. Fasanella, C. Sestieri, Segreto di Stato, La verità da Gladio al caso Moro,

Einaudi, Torino 2000, p. 64 e segg.

401 Fiasco, La simbiosi ambigua…cit., p. 163.

indicavano nella guerra civile l’unica soluzione possibile per far uscire l’Italia dalla crisi e sottrarla alle mire del Partito comunista.

In un articolo pubblicato sul «Principe» del novembre 1970, ad esempio, si poteva leggere a tal proposito: «allo stillicidio e alla mancanza di libertà di un popolo è preferibile il sangue di qualche migliaio di italiani»402. Dello stesso parere il «Borghese» secondo cui la guerra civile era «il miglior deterrente che abbiamo per difenderci contro una possibile ascesa dei comunisti al potere»403. Un’idea era già stata espressa da Pino Romualdi nel maggio del 1969:

crediamo nella guerra civile. Poiché prima che il comunismo arrivi al potere è chiaro che si troveranno mezzo milione di uomini capaci di procurarsi le armi e di usarle. Nessuno deve dimenticarlo oggi, mutati i tempi, l’olio di ricino e il santo manganello non basterebbero più404.

Salvo ricredersi, nell’ottobre del 1969, con un intervento sul settimanale «L’Italiano», contro la possibile riuscita di un colpo di Stato in Italia: «decine di città rosse: sarebbe un bagno di sangue. […] Occorre un’altra strada»405. In novembre, con un editoriale sul «Secolo d’Italia», Romualdi metteva nuovamente in guardia il Msi dalle seduzioni golpiste: l’Italia era tutelata dagli accordi di Yalta, ragion per cui se ai comunisti era impedita un’azione di forza «neppure a destra ci sono generali e colonnelli da spendere per la rivoluzione»406.

Per tutto il corso del 1969, tuttavia, il Movimento Sociale si era impegnato in un inteso lavoro di propaganda in favore del golpe. Si era formato un “Comitato Combattenti e Forze Armate” incaricato di compiere opera di proselitismo tra gli ufficiali, sottoufficiali e i soldati di leva per propagandare la richiesta di un intervento dei militari nella vita pubblica del Paese. La crisi del centro-sinistra, infatti, imponeva «a tutti i cittadini e in primo luogo a coloro che appartengono e che hanno appartenuto alle gloriose Forze

402 U. Bo, «Il Principe», novembre 1970. 403 «Il Borghese», 7 marzo 1971.

404 P. Romualdi, in «L’Assalto», Bandiera di riscossa nazionale, a. I, n. 7, Roma, 25 maggio 1969.

405 P. Romualdi, Editoriale, «L’Italiano», ottobre 1969. Già nel 1962 Romualdi aveva espresso le sue

perplessità riguardo al colpo di Stato in un phamplet di critica alle posizioni espresse nel 1948 da Curzio Malaparte e raccolte nel libro Tecnica del Colpo di Stato, negli anni Sessanta divenuto un testo culto per i giovani di destra. Cfr. P. Romualdi, L’ora di Catilina, Edizioni T.E.R., Roma 1962.

406 P. Romualdi, Responsabilità, «Il Secolo d’Italia», 1 novembre 1969.

Armate Italiane di attuare una scelta responsabile che in questo periodo sarebbe viltà procrastinare»407.

Il 9 aprile sul «Secolo d’Italia» comparve un altro articolo che richiedeva ai militari: «un intervento che non può mancare, perché operante al di sopra dei partiti e della demagogia, a un livello in cui i soli interessi che contano sono quelli della Patria»408. Pochi giorni dopo, a Roma, in un convegno delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, Sandro Saccucci (segretario dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia), dirigente del Msi e implicato nel golpe Borghese del dicembre 1970, propose la costituzione di un movimento giovanile che reclutasse i suoi iscritti principalmente tra i militari di leva. In occasione della giornata del 2 giugno il Msi rivolse nuovamente un appello alle Forze Armate per «la difesa delle tradizioni patriottiche, la rivalutazione del prestigio delle FF. AA. e dell’Ordine»409.

La centralità della violenza nella strategia politica del Movimento Sociale risaltò, dunque, per il pubblico riconoscimento di una situazione di crisi irreversibile che stava per sfociare in conflitto aperto. Nella manifestazione nazionale del Msi organizzata il 22 dicembre a Roma, a cui parteciparono delegazioni del Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese, Almirante parlò esplicitamente di “guerra civile” invitando i giovani all’azione:

in forma ufficiale, la guerra civile in Italia c’è già e c’è da parecchio tempo, e in questi ultimi giorni ha subito una spaventosa recrudescenza. Se la guerra civile, infatti, è la lotta cruenta tra i cittadini di uno stesso Paese, in Italia la lotta cruenta non è mai cessata e le cifre, ahimé, parlano chiaro. Ora siamo alla fase terroristica della guerra civile; e che le responsabilità siano dell’estrema sinistra non vi è alcun dubbio410.

L’opzione della forza rimaneva, quindi, una scelta possibile a cui i giovani dovevano prepararsi con gli scontri di piazza e di strada. Nel febbraio del 1970 la direzione nazionale del Movimento Sociale riconobbe il ruolo svolto dalla violenza esercitata dalle 407 Vedi, ad esempio, il volantino Combattenti! del Comitato “Combattenti e Forze Armate”, riprodotto sul

«Secolo d’Italia» del 28 gennaio 1969. Un nuovo volantinaggio fu compiuto dalla Federazione romana del Msi il 18 febbraio 1969. Cfr. Appello alle Forze Armate della Federazione romana del Msi, «Il Secolo d’Italia», 18 febbraio 1969.

408 Provvedere subito, «Il Secolo d’Italia», 9 aprile 1969.

409 Appello del Msi alle Forze Armate, «Il Secolo d’Italia», 1 giugno 1969.

410 G. Almirante, Questa Italia ci interessa, «Il Secolo d’Italia», 23 dicembre 1969.

strutture giovanili del partito e dagli altri gruppi dell’estrema destra che avevano contribuito «al rilancio di opinione che in ogni parte dell’Italia e ad ogni livello sociale caratterizza l’attuale…fase della battaglia del Msi»411.

L’ipotesi del golpe, inoltre, fu presa pubblicamente in considerazione durante le trasmissioni televisive dai dirigenti missini che così facendo minarono ancora di più l’autorità del governo di centro-sinistra. Il 25 maggio 1970 Almirante, intervenendo per la prima volta alla trasmissione della Rai-tv «Tribuna Politica», incalzato dalle domande di un giornalista a proposito dell’eventuale consenso del Msi ad un intervento militare sul modello greco, si era espresso con chiarezza: «qualora soluzioni anche di forza potessero salvarci dal comunismo, ben vengano le soluzioni di forza»412.

L’ipotesi del colpo di Stato era una soluzione caldeggiata da diversi ambienti (non tutti necessariamente orientati a destra), non ultimo, per ordine di importanza, da una cordata all’interno dei servizi segreti con a capo Vito Miceli413. Tra il 1969 e il 1970 si erano succeduti diversi interventi pubblici delle associazioni d’arma e di singoli esponenti delle Forze Armate che auspicavano una maggiore presenza dei militari nella vita politica del Paese414. Questi appelli si intensificarono in coincidenza dell’autunno caldo415. Il primo novembre fu il generale Giuseppe Aloia dalle colonne del «Tempo» a parlare della garanzia all’ordine costituzionale rappresentato dalle Forze Armate «non certo assenti dalla vita e dall’avvenire del Paese»416. Il 13 dicembre le associazioni d’arma e l’Unuci presero pubblicamente posizione accusando della strage di piazza

411 Il Msi: unico e vero interprete del rinnovamento della Società. Il documento politico approvato dal

Comitato Centrale, «Il Secolo d’Italia», 17 febbraio 1969.

412 Tribuna elettorale, 25 maggio 1970, Opuscolo a cura del Movimento Sociale Italiano, in AFUS, f. Msi,

b. 1.

413 Cfr. G. Flamini, L’Italia dei colpi di Stato, Newton Compton Editori, Roma 2007, p. 107.

414 Il 31 luglio 1969, ad esempio, il «Borghese» pubblicò una lettera di un gruppo di ufficiali al Capo di

Stato Maggiore dell’Esercito per sollecitare l’ordine di «reagire, singolarmente o collettivamente, con i fatti, se necessario con le armi, a qualsiasi aggressione, a qualsiasi offesa alla Bandiera, all’uniforme, all’essenza spirituale e materiale dell’organismo militare», «Il Borghese».

415 In seguito alla morte dell’agente Annarumma la “Federazione Associazioni Nazionali Ufficiali e

Sottoufficiali Provenienti Servizio Attivo” diffuse un manifesto in cui si invitavano le «forze sane responsabili della Nazione perché sia rafforzata, consolidata e sviluppata la comune inflessibile volontà e

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