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Il termine inglese “COPING” (dal latino colaphus), che può essere tradotto in italiano con “FRONTEGGIAMENTO”, fu utilizzato per la prima volta dallo scienziato americano Lazarus nel 1966 proprio per indicare la capacità che ha un individuo di affrontare le difficoltà della vita a cui è sottoposto ripetutamente.37 Indotta ad uno spiazzamento causato da delle situazioni non codificate, ogni persona si potrebbe trovare a dover elaborare modalità di adattamento attraverso la ricerca di nuovi ruoli e norme di riferimento per riuscire a recuperare un equilibrio e per definire nuove routine quotidiane. Quindi la capacità di coping, oltre che riguardare i compiti e la risoluzione dei problemi, è strettamente legata alla gestione delle emozioni e dello stress.

37 L’individuo è continuamente sottoposto a sfide che si presentano sotto forma di eventi stressanti o di tensioni. L’aspetto centrale della nozione di coping è il tentativo di dominare o ridurre lo stress.

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Essendo un concetto estremamente complesso, negli anni, sono state concepite tantissime definizioni diverse che possono però essere classificate essenzialmente in due. Mentre il problem focus (coping orientato sul problema) ha come obiettivo la riduzione dello stress e le cause che lo generano, l’emotion focus (coping orientato sulle emozioni) sottolinea un aumento del benessere personale in relazione a delle risposte comportamentali adottate.38

Questa seconda strategia può essere a sua volta suddivisa in altre quattro modalità:

Assunzione di responsabilità, sentirsi in parte responsabile della situazione;

Autocontrollo, avere un controllo sulle proprie emozioni;

Rivalutazione positiva della situazione, tentare di vedere i lati e i cambiamenti positivi che possono essere ricavati dalla situazione;

Distanziamento, contiene tutta una serie di comportamenti (come l’evitamento) volti ad allontanare o evitare lo stressor.

Possiamo, quindi, affermare che teoricamente il coping centrato sul problema verrebbe più comunemente utilizzato per le situazioni che sono valutate più controllabili, mentre il coping centrato sull’emozione per tutte quelle che richiederebbero anche un lavoro di accettazione. Infatti, la valutazione soggettiva della situazione dipende molto dal controllo che la persona ritiene di

poter avere sull’agente stressante e influenza la scelta sulle strategie da adottare.

38 A. Aiello, P. Deitinger, C. Nardella (2002), Il modello “Valutazione dei Rischi Psicosociali”

(VARP). Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nel micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing. FrancoAngeli, Milano.

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Se c’è la credenza di non essere in grado di controllare o modificare in alcun modo la situazione, l’individuo sarà portato a scegliere l’evitamento.

Il coping è un processo dinamico che può modificarsi non solo in situazioni

diverse, ma anche nell’ambito di una stessa situazione. L’ obiettivo fondamentale di un operatore sociale sarà proprio quello di

osservare e accompagnare la persona durante tutto il suo fronteggiamento. Il fronteggiamento rappresenta una relazione astratta tra un certo compito e

l’agente che lo deve affrontare per stabilire idealmente chi è il più forte. Mentre per il “compito” si può pensare alle oggettive situazioni ambientali ma

anche alle soggettive capacità, per “persona” “non si possono intendere solo le soggettive capacità/incapacità dell’agente ma anche i vincoli o le facilitazioni dell’ambiente che lo circonda.”39

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Dallo schema di coping, si può desumere come un “problema sociale” possa emergere alla presenza delle due variabili, cioè quando un compito è giudicato

39 F. Folgheraiter (1998), Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete. FrancoAngeli, Milano.

40 Schema semplificato dell’azione funzionale, detto di coping. Tratto da F. Folgheraiter (1998), Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete., FrancoAngeli, Milano.

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troppo superiore per essere gestito da una persona con le proprie capacità. Per quanto una persona possa essere dotata di un certo potenziale di risorse

interne ed esterne, un problema può apparire molto semplice o estremamente complicato in conformità a chi lo osserva (l’interessato, osservatore esterno o entrambi). Se il compito che si presenta alla persona fosse risolto immediatamente, saremmo di fronte a un’azione efficace e senza inceppi. L’idea di sfida tra compito e agente che comporta il concetto di fronteggiamento, si può notare nel momento in cui l’azione per un po’ diventa difficoltosa, poiché la presenza di una qualche complessità ci deve essere sempre. Per esserci coping, così come il compito deve restare temporaneamente non risolto per una persona, così l’individuo non deve essere in grado di risolverlo istantaneamente.

Si possono quindi distinguere gli effetti tra azione immediata e coping, intendendo questo ultimo come una pressione di un compito lievemente più difficoltoso per le capacità interne di una persona e tra coping e problema,

considerando come tale un coping molto difficoltoso.

Il problema è qualcosa che non sappiamo immediatamente risolvere. Può essere considerato proprio come un enigma che richiede di ricercare

soluzioni e non solo di applicarle. Sono stati individuati tre tipi di problema:

Problema personale cioè un’insufficienza di coping riguardante la persona a cui si riferisce il compito,

Problema sociale dove il problema è percepito da varie persone.

Problema sociale formale quando tra gli osservatori è presente anche un operatore professionale che, considerando un problema come sfida non risolvibile istantaneamente, lo percepisce e lo comprende per empatia.

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Un individuo vive in stati di disagio a causa delle relazioni umane che intraprende con gli altri intorno a sé. Per questo la sua personalità è spesso molto influenzata dalle comunicazioni quotidiane con le persone più significative della sua vita. La maggior parte dei compiti, stimolando una pluralità di agenti in una rete, deriva da delle relazioni interpersonali che coinvolgono sia un ipotetico fronteggiatore sia tutte le persone sia lo circondano. La realtà del coping non è singolare ma plurale.41

Il coping relazionale, com’è rappresentato dallo schema, ha come agente un

insieme di persone tra loro collegate che fronteggiano un determinato compito. Questo insieme di persone e relazioni è definito come “rete di aiuto”. Una rete è composta principalmente da familiari, parenti, amici, vicini e

41 schema di coping reticolato, con evidenziata la pluralità dei compiti. Tratto da F. Folgheraiter (1998), Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete., FrancoAngeli, Milano.

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colleghi ma ci potrebbero anche essere persone che agiscono sul compito

secondo un ruolo formale creando quindi una “rete mista”. Mentre il compito è spesso rappresentato da una pluralità di compiti

interconnessi che sono fronteggiati da un insieme di persone. Alla presenza di più soggetti, capire che cosa sia un compito potrebbe essere un

po’ complicato. Per questo motivo, sono state individuate tre tipologie diverse:

i compiti coincidenti con i compiti individuali sono quelli non affrontati da

una determinata persona, i coincidenti con la rete sono quelli comuni a tutti i membri, potenziali e attuali e gli eccedenti la rete che, essendo di una rete potenziale, riguardano i progetti collettivi le cui ricadute di benessere superano i confini della rete in questione.

Nel coping di rete, l’azione che è svolta dagli agenti è un’azione congiunta, cioè

il prodotto di tante azioni singole interconnesse che si chiamano inter-azioni. Attivando nuove risorse, soprattutto di tipo relazionale come il “capitale

sociale”42, un individuo può riuscire a far fronte a qualsiasi evento. Importantissime, quindi, sono tutte quelle le risorse che si trovano all’interno

dei rapporti sociali e, in modo particolare, proprio il capitale sociale è molto efficiente come risorsa che un soggetto può adoperare per il raggiungimento dei suoi fini. Il capitale sociale non è una proprietà individuale, ma della comunità, in quanto fa riferimento ad un patrimonio collettivo che scaturisce dalla presenza nella società di una “norma di reciprocità generalizzata che si riferisce a una serie continua di rapporti di interscambio che in qualsiasi momento sono o non ricambiati o deficitari ma che implicano la reciproca previsione che il favore sarà ricambiato in futuro”. 43

42 Come le altre forme di capitale, il capitale sociale è produttivo in quanto risorsa che un attore può impiegare per il raggiungimento dei suoi obiettivi. È un concetto situazionale e dinamico.

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Esso, inteso come sostegno materiale e morale, è scambiato tra gli individui all’interno dei loro legami sociali in modo diretto o indiretto ma non tutti i tipi

di rete sociale sono in grado di proporre risorse adatte a ogni situazione. Infatti, considerando che ogni evento pretende specifiche strategie di coping, il

tipo di rete che è in grado di affrontare l’evento può non esserlo per un altro. La rete è indicativa dell'ambiente di vita di una persona, essa costituisce il luogo di formazione della nostra identità, della nostra storia, del nostro senso di realizzazione e soddisfazione della vita. Quest'ultima è costituita da un sistema di relazioni che il soggetto ha costruito intorno a sé attraverso l'interazione continua con altri soggetti nel contesto sociale all'interno del quale è inserito44. Dal punto di vista strutturale, la rete può essere definita come l'insieme degli attori coinvolti/interessati da un problema e il sistema delle loro relazioni; mentre dal punto di vista funzionale, come modalità attraverso cui gli attori in

gioco si scambiano informazioni e si influenzano reciprocamente. L'individuo non è separabile dal suo contesto e viceversa, non esiste un rapporto

dicotomico tra l'individuo e il suo contesto. Piuttosto possiamo parlare di un rapporto reciproco e circolare tra soggetto e contesto in quanto il soggetto crea la sua rete attraverso un sistema di interazioni e relazioni con gli altri soggetti del contesto sociale e quest'ultimo influenza a sua volta le condizioni di vita dell'individuo. La struttura sociale è, quindi, sia condizione che prodotto dell'azione dell'individuo. Le reti hanno come caratteristica propria

l'autogenerazione, secondo la quale la struttura stessa della rete genera le

condizioni per la propria trasformazione.

Gli effetti che passano tra le reti e gli eventi della vita sono reciproci. I secondi svolgono sia un ruolo attivo sia uno passivo poiché possono sia

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modificare il capitale sociale e le reti, ma possono anche portare al cambiamento dell’intera rete o solo di determinati legami. Con il tempo, una rete potrebbe essere portata all’isolamento sociale per massimizzare il capitale sociale e mobilitare tutte le risorse necessarie. Questa modalità è definita come

incapsulamento, la cui caratteristica principale consiste nel fatto che

“all’interno della rete di un individuo vi è un solo settore denso corrispondente a uno o più ruoli, nel quale egli investe la maggior parte del tempo e dei suoi interessi”. 45

La rete sociale è quindi formata da un insieme di legami forti nell’ambito familiare e di legami radi esterni. Una questione individuale, potrebbe non diventare mai sociale se le azioni proteggono la persona con un effetto cuscinetto. Il problema potrebbe presentarsi nel caso in cui l’azione cumulata non fosse adeguata. Un dilemma sociale però non nasce solo quando la rete sociale mostra di non essere in grado di affrontare un compito impegnativo, ma anche quando l’insufficienza è inerente alla quantità dei compiti da fronteggiare. I meccanismi che portano una rete a non funzionare sono molto

più complicati di quelli che portano una persona a non funzionare. Sono state individuate ben quattro ragioni:

Insufficienza di connessione, quando gli elementi della rete non interagiscono e non sono appropriatamente connessi, anche se sufficienti per quantità e qualità.

Insufficienza quantitativa, quando ci sono elementi insufficienti che compongono la rete.

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Insufficienza qualitativa, perché il compito esige delle qualità che gli elementi della rete non possiedono.

Insufficienza di percezione, quando il compito non è avvertito dai membri della rete come loro.

L’insufficienza qualitativa o quantitativa dimostra come un problema possa presentarsi anche quando una rete, un insieme di persone interagisce nel modo adeguato in vista di un fine comune, esiste ma non è abbastanza ampia o efficiente. Tuttavia la maggior parte dei problemi sociali deriva dalla mancanza di una connessione tra risorse, cioè quando elementi sparsi non si collegano tra loro sensatamente, anche dove il compito è stato ben percepito.

È importante ricordare che, anche se in apparenza potrebbe sembrare che una rete esista senza che ci sia una vera consapevolezza da parte delle persone,

tuttavia al suo interno ci sono alcuni che lavorano per facilitare la connessione. Quest’attività, che prende il nome di “reticolazione”, potrebbe essere svolta

anche senza consapevolezza ed è più importante che qualsiasi altra azione

poiché rappresenta il filo che le lega tutte insieme. Nonostante una certastrutturazione al suo interno sia necessaria, è importante

che la rete sia lasciata libera di muoversi per modificarsi in base alle sue esigenze interne. Infatti, in caso di compito indeterminato, a differenza di un obiettivo specifico, sarebbe meglio se la reticolazione non fosse decisa in precedenza.

Se una rete dovesse fallire perché non è in grado di percepire l’esistenza di un compito, potrebbe esserci una mancanza di connessione comune dovuta al fatto

che nessun membro della rete si sente toccato da un determinato problema. In casi più particolari, alla presenza di compiti ben visibili, all’interno della rete

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potrebbe determinarsi una forza cioè la tendenza all’accentramento46 che andrebbe a causare un’insufficienza di connessione.

In questa situazione, la rete entrerebbe in crisi, rivoluzionando, tutto l’equilibrio nel momento in cui la persona, fulcro della rete, non riuscisse a svolgere il suo ruolo. Il suo crollo potrebbe avvenire per la perdita di determinate risorse personali o per un aumento di compiti da svolgere.

Di fronte ad eventi critici, le persone possono attivare una capacità di “adattamento attivo” che si basa su “delle risposte cognitive e

comportamentali elaborate dall’individuo per fronteggiare, dominare, tollerare o ridurre le domande e i conflitti esterni e interni creati da circostanze stressanti”.47 Questi eventi che le persone si trovano a dover affrontare, possono mettere in crisi la loro identità, cioè la capacità di saper dare una definizione di sé e delle proprie azioni. Essi provocano una frattura nella biografia che è difficile da ricomporre, creando dei problemi d’integrabilità rispetto alle esperienze precedenti.

La difficoltà di sapere gestire la contraddizione tra l’immagine di sé e quella che coincide con altri ruoli, è superata attraverso la strategia

dell’autoinganno48 per sfuggire dal rischio di uno spezzettamento dell’identità in più sé. L’autoinganno consiste nel convincere se stessi, attraverso diverse manovre, di una verità (o dell’assenza di una verità), senza avere nessuna consapevolezza di queste manovre. Le circostanze potrebbero però diventare

46L’accentramento è una struttura che si evidenzia quando i compiti sono ben visibili. In questo

caso, qualcuno deve provvedere ad essi e questo qualcuno è sempre un singolo e mai una rete.

47 S. Folkman, Personal control and stress and coping processes: a theoretical analysis, in “Journal of

Personality and Social Psychology”, 46 in A. Meo, Vite in bilico. Sociologia della reazione a eventi spiazzanti. Liguori Editore, Napoli, 2000.

48 Goleman (1998) definì l’autoinganno come un baratto con il quale le persone sacrificano un po’ di attenzione per ottenere una riduzione dell’ansia. È un baratto che può salvaguardare la propria serenità ma, allo stesso tempo, toglie la volontà di fare qualcosa per cambiare la rotta.

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difficili nel momento in cui le persone con cui entra in contatto smentiscono l’individuo e le sue certezze.

L’identità è costituita da un rapporto tra individuazione e identificazione. Mentre l’individuazione si basa sull’unicità del soggetto e determina la

differenza fra sé e gli altri, l’identificazione si basa sulla partecipazione a un gruppo e di sentirsi parte di esso; fa quindi riferimento al fatto che perdefinire se stessi è necessario riconoscersi in un insieme più ampio. Alla presenza di un fatto spiazzante, la concezione di sé avrà bisogno di una nuova ridefinizione, dove le categorie sociali saranno riconsiderate, creandosi quindi una forte contraddizione tra i “normali” e i “diversi” tra “noi” e “loro” (ingroup e outgroup).

È necessario però fare una distinzione tra immagine di sé e concezione di sé. Turner49 considerò la concezione di sé come l’io reale di una persona, cioè

l’insieme delle aspirazioni e dei valori e come immagine di sé invece “la fotografia che registra la sua figura in un determinato istante” e che quindi potrebbe cambiare in qualsiasi momento. Questa divisione di Turner si basa sul parere che nelle interazioni sociali, essendoci l’inclinazione a riconoscere la persona non in base al suo comportamento esplicito, ci sia la tendenza a prevedere ogni suo comportamento. La stessa concezione che l’individuo ha di se stesso si basa molto di più sulle capacità che ritiene di avere che non su quelle che possiede realmente. Questo avviene perché non c’è mai una perfetta corrispondenza tra la concezione che ha di se stesso e l’immagine che le persone

con cui interagisce gli rimandano. Non trovando abbastanza conferme alla concezione che l’individuo ha fatto di

se stesso, con il tempo le considerazioni degli altri possono arrivare a mettere

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in crisi profondamente la sua identità. Sarà quindi portato a modificare la concezione di sé, fino al raggiungimento del “punto in cui la fiducia e la

responsabilità che l’individuo accorda a se stesso non divergono in modo

inconciliabile da quelle attribuitegli dalle persone con cui interagisce. È questo il punto di equilibrio.” 50

In un’ottica diversa, per determinare la costruzione del sé, l’ordine dell’interazione e il suo aspetto rituale svolgono un ruolo molto importante poiché le identità degli individui vengono violate nel momento in cui essinon possono rispettare i rituali dell’interazione. Con il termine “interazione”, che comprende una serie di sguardi,atteggiamenti e affermazioni, si fa riferimento a quella che avviene faccia a faccia tra due o più persone in un determinato momento.

“In qualsiasi società, ogni qualvolta sorge la possibilità fisica all’interazione,

sembra che entri in gioco un sistema di prassi, convenzioni e regole procedurali che funziona come strumento di guida e di organizzazione del flusso dei messaggi e della sequenza dei comportamenti.” 51

Secondo il pensiero di Goffman tutte le interazioni si basano secondo un

ulteriore distinzione tra ribalta e retroscena.

Mentre la ribalta rappresenta il luogo dove si svolge la rappresentazione, il retroscena è dove gli attori, non essendo visti, possono non preoccuparsi di

come si mostrano agli altri e prepararsi a una futura rappresentazione. Questa distinzione però potrebbe diventare problematica di fronte a determinate

situazioni critiche che portano all’annullamento di questa strutturazione nel

50 ibidem

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momento in cui l’individuo risultasse essere sempre sulla ribalta o si trovasse impossibilitato a tenere separata la ribalta dal retroscena.

Molte volte, gli individui arrivano a provare vergogna per essere state costrette a demolire l’idea che avevano di sé gli altri e a deludere tutte le aspettative di normalità. La vergogna, infatti, implica la paura di una valutazione negativa delle persone circostanti e il dispiacere di aver compromesso la buona immagine o l’autostima.52 Infatti, le valutazioni di sé, che le altre persone trasmettono,

influiscono anche sull’autostima che è una risorsa fondamentale di coping. Il peggioramento dell’autostima incide anche sulla fiducia in se stessi, la quale

può essere definita come “un’aspettativa di esperienze con valenze positive per

l’autore, maturata sotto condizioni di incertezza, ma in presenza di un carico cognitivo e/o emotivo tale da permettere di superare la soglia di mera

speranza.”53 Negli anni, sono stati individuati ben tre livelli di fiducia: la fiducia in sè stessi,

che riguarda il possesso di certe qualità e la stabilità della propria identità, quella

interpersonale, che può essere considerata come un’aspettativa di regolarità

nel comportamento degli altri attori e infine quella sistematica che rappresenta un’aspettativa di regolarità del mondo. Dalla maggior parte degli autori della psicologia sociale (Miceli, Castelfranchi, Bandura, 1998) l’efficacia personale e l’autostima vengono considerate le più importanti risorse personali di coping

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