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2. Il linguaggio come sistema di comunicazione multimodale Introduzione

2.2 Capacità di processamento dei volti e ontogenesi.

Il riconoscimento dei volti rappresenta una capacità fondamentale per la cognizione sociale dei primati (il cui sistema visivo è in generale molto sviluppato rispetto agli altri sensi) e consente di stringere relazioni importanti e durature con gli individui che appartengono al gruppo sociale. Sulla base delle molteplici indagini sperimentali condotte su soggetti adulti, ad oggi si ritiene che essa si serva, almeno nella nostra specie, di circuiti specializzati per questa specifica categoria di stimoli che verrebbero elaborati in modo “olistico”, cioè non analizzando i singoli elementi che li compongono ma tenendo conto del fine arrangiamento spaziale esistente fra di essi (Parr et al 2011). Nonostante l'importanza rivestita da questa abilità, i processi di sviluppo ad essa sottostanti sono ancora poco chiari sebbene sia ormai stata quasi universalmente riconosciuta la presenza di fattori innati (nel senso di attivi immediatamente dopo la nascita) poi suscettibili di perfezionamento nei mesi e anni a venire. Lo studio ontogenetico dei meccanismi che presiedono al processamento dei volti affonda le sue origini nelle ricerche condotte su alcune specie animali, come il pollo domestico, in

relazione al fenomeno dell'imprinting filiale (Johnson et al 2015). Questo termine fa riferimento al processo che consente ai piccoli di riconoscere e sviluppare forme di attaccamento nei confronti di alcuni stimoli, solitamente coincidenti con le figure accudenti, durante una ristretta finestra temporale comunemente detta “periodo sensibile”. Le ricerche sperimentali condotte in questo ambito hanno rilevato che i pulcini possono sviluppare queste preferenze nei confronti di un qualsiasi stimolo cospicuo in movimento, individuando nelle parti intermedie e mediali del mesopallium/IMM (una regione del proencefalo considerata analoga alla corteccia dei mammiferi), che proiettano ad aree deputate al controllo motorio e ricevono da aree visive, le regioni critiche per l'espressione di questo comportamento. Lesioni a queste parti effettuate sia dopo che prima dell'esposizione allo stimolo determinano una severa compromissione delle risposte di imprinting ma non intaccano la funzionalità in altri compiti visivi o di apprendimento. Dal momento che in contesti naturalistici i piccoli sono normalmente attratti dalle figure accudenti specie-specifiche (anche perché molto banalmente è con esse che i pulcini si interfacciano prima di tutto il resto) il passo successivo è stato quello di indagare i vincoli a cui questi processi sono sottoposti, e quindi la possibilità che alcuni stimoli fossero più efficaci di altri nell'elicitare le iniziali risposte di orientamento visuo-motorio del pulcino. Da questo genere di studi è emerso che i piccoli sono istintivamente portati a prestare maggiore attenzione a stimoli che riproducono la configurazione spaziale interna prototipica degli elementi del volto/testa, anche in maniera non strettamente specie-specifica, e che questo processo è molto probabilmente mediato da un'altra struttura neurale, il tetto ottico (omologo del collicolo superiore dei mammiferi). Sulla base di questi risultati è stata ipotizzata l'esistenza di 2 meccanismi responsabili delle risposte di imprinting nel pulcino, una conclusione che Morton e Johnson (1991) hanno esteso anche alla specie umana in un articolo ormai entrato nella storia della psicobiologia e delle neuroscienze. Il loro modello consta quindi di una componente basilare CONSPEC/face detection, localizzato sub- corticalmente nella via extragenicolata retino-collicolare (che diparte dal collicolo superiore stabilendo connessioni nel nucleo talamico del pulvinar e nell'amigdala), che determina il veloce e iniziale orientamento del neonato verso stimoli face-like, e di una più specifica, denominata CONLERN/face recognition tramite cui l'infante individua e apprende le caratteristiche individuali dei volti (second order relational cues)

consentendone il riconoscimento e il processamento fine a livello corticale nella fusiform-face area (giro fusiforme nella corteccia temporale ventromediale), nel giro occipitale inferiore, e nella parte posteriore del solco temporale superiore (tutte aree vicine tra loro e reciprocamente interconnesse)32. Questo modello trova riscontro nei

numerosi studi, condotti negli ultimi decenni, che testando il comportamento visivo di bambini appena nati hanno confermato l'esistenza di bias percettivi responsabili dell'orientamento preferenziale dello sguardo verso stimoli face-like anche in soggetti così piccoli. In particolare sottoponendo i soggetti a stimoli opportunamente manipolati (scrambled faces, inversione/rotazione ecc), si è visto che quelli che maggiormente elicitavano questo comportamento riproponevano alcune componenti chiavi del volto: 1) top-heavy bias e 2) contrasto di fase positivo, cioè più elementi nella parte superiore dell'ovale piuttosto che in quella inferiore nella forma di rientranze o macchie più scure, a simulare la disposizione schematica di occhi e bocca (“first order” relational cues, comune a tutti i volti) a bassa frequenza spaziale (Johnson 2005). A una certa distanza o da una posizione periferica questo permetterebbe la pronta individuazione del volto, mentre in un contesto più ravvicinato sarebbe responsabile del direzionamento dell'attenzione principalmente verso l'area degli occhi. La sensibilità percettiva per questi stimoli svolge evidentemente un ruolo importante nella creazione dell'attaccamento filiale che si crea velocemente fra il bambino e la figura materna o accudente. In merito alla percezione di queste caratteristiche sono sorte principalmente due alternative teoriche. Secondo un'ipotesi che potremmo definire “sensoriale” queste preferenze precoci possono essere spiegate facendo semplicemente riferimento alle basse competenze e capacità visive del neonato, dovute allo stato di immaturità della parte dei sistema nervoso deputata alla visione che in questa fase di sviluppo gli consentirebbero di elaborare solo stimoli semplici. Si tratta tuttavia di una tesi che non ha trovato pieno riscontro in ambito sperimentale dal momento che non solo l'ampiezza

32 “Face detection and identification have opposing demands: The identification of individuals requires a fine-grained analysis to extract the ways in which each face differs from the others despite the fact that all faces share the same basic T-shaped configuration, whereas detection requires extracting what is common to all faces. A good detector should be poor at individual recognition, and viceversa. Another reason why detection and identification should be separate processes is that detection can act as a domain-specific filter, ensuring that precious resources for face recognition (e.g., privileged access to eye movement centers (Johnson et al 1991)) are used only if the stimulus passes the threshold of being a face. Such domain- specific gating may be one reason for the anatomical segregation of face processing in

delle frequenze spaziali degli stimoli ma anche la disposizione spaziale degli elementi interni del volto, occhi e bocca, influisce sulle performance dei bambini (“ipotesi strutturale”). Sulla base di queste considerazioni si ritiene che i neonati siano in grado di esibire queste preferenze grazie al funzionamento di meccanismi più specifici come quello postulato da Johnson e Morton (sebbene esistano teorie che ipotizzano meccanismi domain general facendo riferimento anche alla percezione di elementi strutturali e a proprietà di tipo gestaltico degli stimoli33). In questo senso si pensa che i

volti costituiscano degli stimoli particolari, in quanto vengono processati “olisticamente”34, in modo diverso rispetto agli altri oggetti, cioè tenendo conto della

configurazione d'insieme delle componenti chiave, piuttosto che tramite un'analisi degli elementi presi singolarmente (Piepers & Robbins 2012) sin dalla nascita. Questa conclusione deriva dal fatto che le performance di riconoscimento e discriminazione di volti sottoposti a modificazioni che alterano lo schema prototipico e la configurazione interna distintiva, risultano significativamente inferiori rispetto a quelle prodotte nei confronti di altre categorie di oggetti naturali o artificiali pur analogamente alterati. E' il caso ad esempio del face inversion effect, in cui l'orientamento globale del volto è invertito, e il composite effect, in cui il riconoscimento di due metà diverse di volti è reso più difficoltoso se queste sono allineate piuttosto che disallineate (dimostrato negli infanti di 3 mesi da Turati et al 2010). Ad esempio, nello studio condotto da Moscovitch

33 “The existence of a mechanism specifically devoted to detect faces in the environment has been questioned by an alternative view (Simion et al., 2001, 2003, 2006; Turati, 2004) that proposed to explain newborns’ preferences as due to domain-general attentional biases toward some structural properties present in a face as well as in other non-face like objects. According to this hypothesis, these general attentional biases are not specifically adapted for detecting faces, and likely derive from the functional properties of the immature newborn’s visual system and they are applied in the same manner at faces and non-face stimuli.[...] at birth, due to the presence of certain constraints of the visual system (e.g., sensitivity to LSF), newborns apply the same strategies to recognize and process both faces and non-face similarly, corroborating the idea of the existence of a general visual pattern-learning mechanism. Then, during development, thanks to the specific visual experience with certain kind of stimuli, the system becomes specialized to process differently objects and social stimuli.[...]faces might be preferred at birth because they are a collection of preferred structural (i.e., up-down asymmetry, congruency, etc.) and configural properties that other stimuli may also possess.” (Simion & Di Giorgio 2015, p. 2 e p. 7-8).

34 Secondo alcuni ricercatori, il processamento olistico dei volti potrebbe dipendere dal 1° passaggio, obbligato ontogeneticamente, dallo stadio di “rilevamento”: “Face processing is holistic, in the sense that we cannot process individual face parts without being influenced by the whole face. We suggest that this difference arises early in the face module. The face- detection stage may, in addition to gating access, obligatorily segment faces as a whole for further processing by the face module.” (Tsao et al 2008, p. 418)

et al. (1997), CK, un paziente affetto da agnosia per gli oggetti, sottoposto a compiti discriminativi, ha dimostrato di ritenere intatta la sua capacità di riconoscere i volti; tuttavia le sue prestazioni sono peggiorate molto, a differenza dei soggetti di controllo, nella condizione in cui i volti erano stati presentati in modo tale da distruggere la struttura composizionale normale degli elementi interni. Questi dati pertanto suggeriscono una dissociazione funzionale fra i sistemi neurali deputati all'elaborazione di queste categorie di stimoli visivi. Le prove a sostegno del modello di Johnson e dell'esistenza di vie sottocorticali responsabili del processamento dei volti immediatamente dopo la nascita e in grado di influenzare al contempo lo sviluppo delle aree corticali su cui proiettano e che sono interessate nell'elaborazione più matura di questo stimoli sensoriali, convergono da più campi della ricerca sperimentale. Oltre alla relativa immaturità funzionale delle vie visive corticali del neonato, in confronto a quelle sottocorticali, l'interessamento di queste strutture trova supporto negli studi sull'imprinting filiale condotti su altre specie animali. A questo proposito l'organismo biologico più studiato è, come abbiamo detto, quello del pulcino (ma risultati simili sono stati ottenuti anche su roditori e primati non umani) in cui le preferenze apprese dipendono da alcune precise zone del telencefalo mentre le risposte di orientamento iniziali no. Alcuni studi comportamentali condotti su neonati umani hanno inoltre sfruttato l'asimmetria delle proiezioni retiniche che dipartono dagli emicampi visivi nasali e temporali innervando rispettivamente circuiti corticali e sottocorticali diversi per elucidare questo aspetto (Simion et al 1998; Tomalski 2009). In questi esperimenti infanti di poche ore sono stati esposti alla visione monoculare di stimoli face-like nell'emicampo nasale oppure alla periferia del campo visivo libero ottenendo una risposta di orientamento oculomotorio solo in questo ultimo caso. Da altre ricerche che hanno coinvolto soggetti adulti lesionati con sindromi di neglect spaziale unilaterale (difficoltà a processare coscientemente stimoli presentati nel campo spaziale controlaterale alla lesione corticale, frequentemente sita nell'emisfero destro), blindsight/visione cieca (capacità di localizzare inconsciamente stimoli visivi nella parte del campo cieco, cioè colpito da scotoma in seguito a lesioni alla corteccia visiva primaria) e prosopagnosia (difficoltà a riconoscere i volti, associata a lesioni al giro fusiforme, nella giunzione temporo-occipitale) emergono ulteriori evidenze dell'esistenza dei meccanismi sottocorticali sopracitati. Nonostante i deficit

comportamentali associati a lesioni che interessano le aree corticali di processamento visivo delle informazioni, permangono in questi soggetti abilità residue che gli consentono di localizzare rapidamente, sebbene inconsciamente, i volti ed alcune espressioni facciali evolutivamente salienti (Johnson 2005). Per quanto riguarda le vie corticali coinvolte in questi compiti ed in particolare la proprietà del giro fusiforme di rispondere selettivamente a questo genere di stimoli, sono state formulate due diverse ipotesi. Secondo un account che potremmo definire strettamente genetico, le cellule di queste regioni cerebrali sono geneticamente predisposte a questo task in modo specifico. Tuttavia questa regione non sembra essere attivata esclusivamente dalle facce, un certo tasso di attivazione è stato infatti registrato anche durante la percezione di categorie di stimoli per i quali i soggetti avevano acquisito un buon grado di familiarità ed expertise discriminativa (Gazzaniga et al 2005) (vale a dire quando gli stimoli presentati venivano riconosciuti a livello individuale e non come categorie generiche). Questi dati hanno fatto propendere alcuni ricercatori a rigettare l'ipotesi genetica in favore di una basata puramente sull'apprendimento, interpretando la preferenza, ossia la maggiore attivazione neurale esibita da queste aree per i volti sulla base del fatto che questo genere di stimoli sono estremamente frequenti ed etologicamente importanti; detto altrimenti si tratterebbe di una forma di specializzazione acquisita e non innata. Si tratta di prospettive antitetiche che possono però essere riconciliate considerando una terza possibilità secondo cui la specializzazione di queste regioni si realizza grazie all'esistenza di vincoli strutturali, individuati nelle connessioni che si sviluppano ontogeneticamente col sistema sottocorticale deputato alla rudimentale ma veloce localizzazione dei volti in tempi precoci, che potrebbe “imprintare” l'attività di alcune porzioni cerebrali facendole diventare face sensitive (Johnson 2005) in funzione dell'esperienza visiva in contesti socio-ambienti specie-specifici. Un'altra regione corticale coinvolta nel processamento visivo dei volti è il solco temporale superiore/STS che sembra attivarsi soprattutto durante l'elaborazione degli aspetti variabili del volto (come ad esempio la direzione dello sguardo), e delle espressioni facciali a valenza emozionale, in compiti che richiedono attenzione focalizzata (Hoffman & Haxby 2000)35.

35 Da uno studio effettuato con tecniche di visualizzazione cerebrale da Hoffman e Haxby (2000) è emersa la possibilità che queste 2 regioni contribuiscano ad elaborare aspetti diversi collegati ai volti. In questo esperimento un campione di soggetti adulti è stato sottoposto alla

In generale, tale modello esplicativo a due stadi (rilevamento, attivo si da subito e riconoscimento, soggetto a progressivo rodaggio e perfezionamento nei giorni, mesi e anni successivi), sembra ben accordarsi con alcuni risultati ottenuti misurando le risposte comportamentali dei bambini in differenti stadi dello sviluppo ontogenetico: la preferenza per gli stimoli face-like va incontro a cambiamenti significativi che inducono il bambino a predilirne versioni sempre più realistiche e specie-specifiche nei mesi successivi alla nascita, in particolare a partire dal 3° mese di vita (Otsuka 2014). Come abbiamo visto precedentemente per le unità fonetiche, anche i meccanismi coinvolti nel riconoscimento e nella discriminazione dei volti sembrano quindi partire da una base piuttosto generica per poi specializzarsi nel tempo, seguendo un andamento evolutivo teso a favorire la sintonizzazione del bambino con l’ambiente sociale (Pascalis et al 2014, Maurer & Werker 2013).

Pascalis et al (2002) ha ad esempio condotto uno studio volto a comparare l'abilità di 30 soggetti di, 6, 9 mesi e 11 adulti di processare uno stimolo face-like nuovo, di scimmie (Macaca fascicularis) ed individui umani, rispetto a uno familiare, misurando il tempo di fissazione dello sguardo. I risultati confermano che, come accade nel caso dei contrasti fonetici, e più in generale dei suoni speech-like, a differenza dei bambini di 9 mesi e di soggetti adulti, bambini di soli 6 mesi mostrano una preferenza per lo stimolo visivo face-like nuovo anche se questo non è specie-specifico (volto di scimmia). E’ altresì interessante notare come questa capacità possa essere in qualche modo recuperata a 9 mesi tramite una breve esposizione agli stimoli appropriati. Questo fenomeno appare in un certo senso collegato al cosiddetto other race effect (ORE), riportato nella popolazione adulta, che si riferisce alla difficoltà di discriminare in maniera accurata i volti di persone appartenenti a gruppi etnici differenti dal proprio. Tale effetto è stato riscontrato anche in studi condotti su bambini di 3 mesi che esibiscono una preferenza per volti appartenenti al proprio gruppo etnico, oltre che un gender bias correlato presumibilmente ad una preferenza nei confronti della figura accudente primaria

visione di alcune fotografie ed istruito a prestare attenzione all'identità oppure alla direzione dello sguardo dei volti ritratti. I due tipi di compito hanno evidenziato una sorta di dissociazione funzionale fra queste due aree: l'attenzione selettiva nei confronti degli occhi ha comportato un'attivazione maggiore del STS, viceversa quella nei confronti dell'identità ha evocato risposte maggiori nel giro fusiforme. La regione del solco temporale superiore è attiva, insieme all'amigdala, anche durante la percezione di espressioni facciali a contenuto

(solitamente di sesso femminile, la madre, ma in caso di padri single anche maschile. Pascalis & Kelly 2009). Da uno studio di Kelly et al (2005) volto a valutare la preferenza visiva, tramite registrazione dei movimenti oculari, di coppie di volti (una appartenente al proprio gruppo etnico, l'altra no) di bambini caucasici in due diverse fasce d'età, neonati e 3 mesi, è emerso che mentre i neonati non mostrano alcuna preferenza spontanea verso volti appartenenti al loro o ad un altro gruppo etnico, i bambini di 3 mesi al contrario cominciano a mostrare questo genere di preferenza. Ricordiamo comunque che il neonato riesce sia a rilevare immediatamente un volto che a discriminare quello della madre per cui è in grado di eseguire anche una forma basilare di riconoscimento; ciò suggerisce che entrambi i meccanismi ipotizzati siano funzionali alla nascita e al contempo suscettibili di sviluppo in funzione dell'esperienza visiva.

2.3 Cognizione sociale e linguaggio: la relazione fra face scanning e