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ART. 96 C.P.C.: DANNO DA LITE TEMERARIA O DANNO PUNITI-VO?

5.1 Analisi dell’articolo 96 c.p.c. post-novella n. 69 del 2009 - 5.2 Ele-menti dell’art. 96 comma 3 c.p.c. - 5.3 La natura del danno ex art. 96 comma 3 c.p.c. - 5.4 Onere della prova - 5.5 Articolo 96 comma 3 c.p.c: mera funzione sanzionatoria o vero e proprio danno punitivo? - 5.6 Ar-ticolo 96 c.p.c.: responsabilità solidale dell’avvocato difensore - 5.7 Con-clusioni.

5.1 Analisi dell’ art. 96 c.p.c. post-novella n. 69 del 2009

Come già ampiamente descritto nei primi capitoli del presente elaborato, nel mondo anglosassone il giudice può pronunciare una sentenza di condanna, nei confronti del-la parte anche non soccombente, al pagamento di un somma che persegue una finali-tà inibitoria-preventiva e quindi punitiva. Tale somma viene riconosciuta al danneg-giato in caso di responsabilità extracontrattuale ed è ulteriore rispetto a quella neces-saria per compensare e ristorare quest’ultimo del danno subito, qualora l’autore del-l’illecito abbia agito con malice or gross negligence.

La condanna al pagamento dei danni punitivi deve quindi soddisfare una funzione pedagogica e più precisamente quella di deterrenza, nei confronti sia dell’autore del-l’illecito sia dell’intera compagine sociale, dal commettere e adottare una condotta illecita del medesimo tipo di quella oggetto del processo.

Nell’ordinamento giuridico italiano il legislatore ha introdotto, con la legge del 18 giugno 2009, n. 69, il terzo comma all’art. 96 c.p.c.. Tale norma rappresenta un fon-damentale elemento di novità in quanto anche il nostro legislatore – come quello degli ordinamenti di common law - si è dovuto confrontare con la figura della re-sponsabilità aggravata.

Quest’ultima persegue una duplice funzione: da un lato quella di scongiurare l’inso-rgere di liti connotate dalla palese inesistenza dei diritti, dall’altra quella di scongiu-rare l’uso e abuso di strumenti processuali per finalità diverse da quelle previste dalla legge.

Secondo parte della dottrina, è stato in tal modo introdotta nel nostro processo civile un’azione con finalità punitiva a cui è sottesa la tutela di un interesse di rilievo pub-blicistico, il cui utilizzo è posto nelle mani del giudice.

Infatti il novum rappresentato da questa disposizione è stato interpretato dalle corti di merito come una norma che il legislatore ha ammesso per “aprire la porta” e lasciare

entrare nel nostro sistema processuale una forma di danno punitivo, volta da un 161

lato a scoraggiare l’abuso del processo e dall’altro a censurare iniziative giudiziarie pretestuose. In tal modo, ad opinione di autorevole dottrina, è stato introdotto nel nostro ordinamento il risarcimento con finalità punitiva.

Pertanto la responsabilità processuale aggravata si rivela come un incisivo strumento sanzionatorio formulato dal legislatore a tutela di beni giuridici di fondamentale rilievo, tra i quali l’efficiente amministrazione della giustizia e l’economia

proces-M. ACIERNO - C. GRAZIOSI, La riforma del 2009 nel primo grado di cognizione: 161

qualche ritocco o un piccolo scisma?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, p. 155 ss.; G. BALENA, Le novità per il processo civile (l.18 giugno 2009 n.69), in Foro it., 2009, V, p. 249 ss.; M.G. BAGATTELLA, Le pene private, Milano, 2006; L. BARRECA, La

responsabilità processuale aggravata: presupposti della nuova disciplina e criteri di determinazione della somma oggetto di condanna, in Giur. mer., 2011, p. 2704; N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, Torino, 1996, p.175; R. BREDA, Art. 96 terzo comma

c.p.c.: prova di quadratura, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 439; A. BRIGUGLIO, Le

novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in Giust. civ., II, 2009, p. 270; G. BUFFONE, Il “danno strutturato” diventa

legge: il legame diretto tra lite temeraria e indennizzo da giusto processo ingiusto, in

dirittoegiustizia.it, 2012; G. BUFFONE, Il processo e il tempo, Tecniche “acceleratorie” e

accomodamenti procedurali per una “auspicata” riduzione dei tempi di definizione del giudizio di primo grado, in ilcaso.it, 2012, p. 4 ss; G. BUFFONE, Il ricorso c.d. “anomalo”

al credito costituisce abuso del diritto di difesa, sanzionatile mediante condanna per responsabilità processuale aggravata, in Giur. di Merito, 2010, 9 § 3; F.D. BUSNELLI,

Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito e danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, p.

909; P. CALAMANDREI, Verità e verisimiglianza nel processo civile, in Opere giuridiche, 1972, V., p. 615; P. CALAMANDREI, Troppi avvocati!, in Opere giuridiche, Napoli, 1966, II, p. 70; P. CALAMANDREI, Il processo come gioco, in Studi sul processo civile, Padova,

1957, VI, p. 53; G. CANZIO, L’individuazione e la definizione del “precedente”: il ruolo

del Massimario, in cortedicassazione.it, 2006, p.1 ss; M. CAPPELLETTI, Accesso alla

giustizia, voce dell’Enciclopedia delle scienze sociali, in treccani.it, 1994; B. CAPPONI,

Astreintes nel processo civile italiano?, in Giust. civ., 1999, II, p. 157 ss.; F. CARNELUTTI,

La prova civile, Roma, 1915, p. 31; A. CARRATTA, L’abuso del processo e la sua

sanzione: sulle incertezze applicative dell’art. 96, comma 3, c.pc., in Fam. e dir., 2011, p.

809; F. CIPRIANI, L’avvocato e la verità, in Il processo civile nello stato democratico, Napoli, 2006, p. 136; L.P. COMOGLIO, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in

Riv. dir. proc., 2008, p. 319; C. CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri

profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, p. 877 ss.; F. CORDOPATRI,

Processo civile- Responsabilità processuale aggravata, in Corr. giur., 2012, II, p. 241; F. CORDOPATRI, L’abuso del processo, Padova, 2000, I e II, p. 51 ss.; L. URSO, Un’agenda

di politica economica per la giustizia civile, in noisefromamerika.org, 2013; A. DONDI - A. GIUSSANI, Appunti sul problema dell’abuso del processo civile nella prospettiva de iure

suale, sia nel momento dell’istruzione del processo sia durante lo svolgimento dello stesso.

Il principio di economia del processo e quello della diligenza nell’uso di strumenti processuali rappresentano il faro che illumina il giudice nell’avvalersi dello strumen-to che il legislastrumen-tore gli mette a disposizione per salvaguardare la correttezza del sis-tema processuale e a tale fine la liquidazione equitativa è l’unità di misura da appli-care.

Le molteplici pronunce di merito giungono ad interpretare l’art. 96 c.p.c. comma 3 c.p.c. come una misura dall’indole sanzionatoria, senza negare in molti casi il connu-bio con la matrice risarcitoria e quindi, in questa veste, è ritenuto un idoneo impulso ad adeguare il nostro diritto civile a criteri più moderni di equità e di uso etico degli strumenti giudiziari.

Senza dubbio le liti temerarie costituiscono un danno per l’intera comunità sociale e proprio per questo motivo è importante combattere tali condotte attraverso la sanzione d’ufficio comminata dal giudice in quanto il carico del lavoro giudiziario aumenta e al contempo rallenta la trattazione delle cause pendenti.

Occorre tenere conto che il precedente giurisprudenziale si pone come uno strumento effettivo ed “ufficioso” - non “ufficiale” - di creazione del diritto in quanto è espres-sione della centralità del giudice.

Nel nostro sistema giudiziario non opera il principio del precedente giudiziario vin-colante, pertanto il giudice potrà astrattamente fondare la sua decisione in via esclu-siva sulle norme del diritto e, nel momento in cui interpreta la norma da applicare alla fattispecie concreta, egli è libero di non uniformarsi all’opinione espressa da altri giudici, potendo ben discostarsi dalla loro esegesi interpretativa.

Ovviamente non può negarsi che i precedenti giurisprudenziali, cioè le statuizioni dei giudici su una stessa questione interpretativa, e soprattutto quelli che derivano dalla Suprema Corte di Cassazione, sono dotati di potere vincolante. Infatti il giudice pro-prio in virtù dell’efficacia cogente che assume oggi il precedente, deve motivare in maniera accurata le ragioni che lo inducono a discostarsi da una decisione an-tecedente sulla medesima questione, soprattutto se quest’ultima risulta consolidata e

proveniente dalle Corti superiori. Dunque si attribuisce una funzione c.d. creativa all’interpretazione dei giudici; questi ultimi infatti sono sempre più protagonisti at-traverso l’attività di interpretazione volta all’adeguamento del diritto cristallizzato nelle norme di legge alla realtà attuale.

Ecco allora che la sempre più crescente domanda di giustizia pone l’interprete a con-fronto con la dimensione sociale del diritto e la norma dell’art. 96 c.p.c. si configura come un importante strumento contro gli abusi del sistema giurisdizionale di cui il processo rappresenta la chiave per permettere la realizzazione della tutela dei diritti e degli interessi previsti ex lege.

Nella sua precedente formulazione, l’art. 96 c.p.c. era applicabile su istanza di parte ma il legislatore con la novella del 2009 ha voluto escludere all’iniziativa privata la protezione delle esigenze pubbliche e private sottese alla norma, affidando anche al giudice la sanzione dell’abuso dello strumento processuale.

Pertanto le modifiche dell’art. 96 c.p.c. sono intese a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, rafforzando i costi di accesso alla giustizia e anche le con-seguenze della soccombenza e dell’abuso del processo, nonché dell’uso distorto del giudizio stesso.

Quindi tale disposizione si colloca nella prospettiva di garantire l’efficienza del pro-cesso e dell’amministrazione giudiziaria e tale istituto configura un illecito civile con rilevanza pubblicistica che può determinare un danno a carico di una parte privata. La norma ex art. 96 c.p.c. può quindi essere interpretata come uno strumento utile a compiere il necessario bilanciamento tra i valori enucleati nell’art. 24 Cost. e quelli sottesi all’art. 111 Cost. 162

Infatti l’art. 96 c.p.c. si configura come presidio per migliorare l’effettiva possibilità di accesso alla giustizia e l’istituto della responsabilità civile aggravata svolge - tra gli altri - l’obiettivo di evitare l’uso improprio o distorto dello strumento “processo”

Le due disposizioni prevedono rispettivamente il diritto di ciascuno ad agire e difendersi 162

in giudizio per proteggere i propri diritti e la ragionevole durata dello stesso tra i canoni dell’equo processo.

per finalità che esulano dal suo scopo tipico e al di là dei limiti determinati dalla sua funzione.

Tale norma ha pertanto la funzione di tutelare l’interesse della parte a non patire pregiudizi per effetto dell’azione o della resistenza dolosa o colposa della parte “colpevole” perseguendo quindi anche una finalità pubblicistica.

Mediante lo strumento della condanna al risarcimento dei danni - che si tratta di una figura giuridica autonoma rispetto alla refezione delle spese di lite - la disposizione dell’art. 96 c.p.c. sanziona quindi il c.d. illecito processuale che è costituito, dal pun-to di vista oggettivo, dal comportamenpun-to tenupun-to nella controversia di cognizione (cautelare o esecutiva) oppure dalla condotta collegata ad essa (trascrizione di do-manda giudiziale) o successiva (iscrizione di ipoteca giudiziale); e sotto il punto di vista soggettivo, dalla condizione che l’autore di questo censurabile comportamento sia parte processuale.

Tale norma infatti persegue lo scopo di colpire e sanzionare tutti coloro che decidono di utilizzare il processo allo scopo di “logorare” il proprio avversario, nonché coloro che azionano la tutela in sede giurisdizionale o si difendono in processo senza usare la doverosa diligenza che permette di rilevare l’ingiustizia della condotta nel proces-so. 163

Infatti, prima della novella del 2009, il mancato rispetto di tale dovere era privo di un’idonea ed esaustiva sanzione; pertanto l’art. 96 comma 3 c.p.c. è stato introdotto proprio allo scopo di supplire all’esigenza di prevedere una siffatta sanzione.

Come già evidenziato, nel nostro ordinamento in realtà non sussiste una definizione precisa della fattispecie di abuso del processo che viene ora largamente sanzionata attraverso l’invocazione dell’art. 96 c.p.c. sulla base della sostanziale equiparazione con l’abuso del diritto.

Prima della novella n. 69 del 2009, l’art. 96 c.p.c. era suddiviso solo in due commi: il primo concerneva la responsabilità processuale aggravata in termini generali e il

sec-Si sanziona quindi una condotta deplorevole della parte e quindi si può operare un 163

collegamento con l’art. 88 c.p.c. che al primo comma sancisce il dovere delle parti di comportarsi in giudizio secondo lealtà e probità.

ondo riguardava la responsabilità derivante dal compimento di determinate azioni processuali considerate potenzialmente lesive.

Quindi nella situazione giuridica pre-novella, la figura dell’abuso del processo era priva di un sostanziale fondamento legislativo e risultava piuttosto come il frutto di un percorso di matrice giurisprudenziale e dottrinale.

Pertanto è possibile giungere all’affermazione che l’abuso del processo abbia trovato ingresso formale nel nostro ordinamento proprio attraverso la novella del 2009 che ha introdotto il terzo comma all’art. 96 c.p.c. che recita così: “In ogni caso, quando

pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Quest’ultimo interessa la c.d. ipotesi residuale che si ricava dall’inserimento dell’e-spressione “in ogni caso” e che si riferisce a tutte le ipotesi in cui il giudice, dis-crezionalmente e a prescindere dall’istanza di parte, ravvisa un comportamento che si concretizza come abuso del diritto.

Infatti il legislatore prevede che il giudice possa procedere anche ex officio e possa liquidare il danno in via equitativa. 164

La seconda parte del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. mostra l’intento del legislatore di agevolare la condanna al risarcimento dei danni della parte che ha posto in essere una lite temeraria. La disposizione normativa in esame assume quindi una finalità punitiva nei confronti di chi abusa del processo.

Nei Paesi anglosassoni, come visto, l’abuso del processo è punito in maniera assoluta attraverso la condanna al pagamento dei danni punitivi e la facoltà in capo al giudice di comminare una pena anche al difensore della parte che ha abusato del giudizio. Nella nuova formulazione dell’art. 96 c.p.c. il legislatore ha quindi disciplinato e isti-tuzionalizzato l’abuso del processo la cui condanna dovrà passare attraverso lo

speculum accorto del giudice.

La norma non richiede più la prova dell’an e del quantum del danno subito per lite 164

temeraria come invece era richiesta nella formulazione dell’art. 96 c.p.c. prima della novella n. 69 del 2009 e che si concretizzava in un ostacolo all’applicazione della disposizione normativa stessa.

Fattispecie di concreta applicazione del terzo comma dell’art 96 c.p.c. sono state: opzioni di carattere selettivo volte a far dichiarare la nullità solo di investimenti di-venuti svantaggiosi; emissione da parte della pubblica amministrazione (es. Equi165 -talia) di intimazioni di pagamento nonostante fosse già intervenuta una sentenza che aveva accertato il difetto di regolare notifica delle relative cartelle di pagamento; 166

attuazione di azioni legali volte al perseguimento di obiettivi diversi e ulteriori rispet-to a quelli connaturati ad esse ex legge; il ricorso ad artificiosi strumenti processu167 -ali solo per spostare la competenza o la giurisdizione; la deviazione dello svolgi168 -mento del processo attraverso l’estensione dello stesso a soggetti non necessari; la 169

carenza di allegazioni probatorie precise e chiare per dimostrare l’esistenza dei fatti indicati e posti a fondamento della domanda; etc. 170

In conclusione, dalla rapida rassegna delle sentenze di merito in tema di applicazione dell’art. 96 c.p.c., si può affermare che il terzo comma della disposizione in analisi autorizza un’interpretazione secondo cui è richiesto l’elemento soggettivo della colpa lieve o dell’imprudenza per integrare la fattispecie dell'abuso del processo.

Inoltre la riforma del 2009 che ha introdotto il terzo e ultimo comma all’art. 96 c.p.c. ha rivisitato l’istituto della responsabilità aggravata per lite temeraria per superare le difficoltà connesse all’onere probatorio e dell’allegazione.

La c.d. lite temeraria nella sua formula originaria risultava infatti inadeguata ad im-pedire e scongiurare il verificarsi di comportamenti abusivi del processo e, nonos-tante il percorso giurisprudenziale soprattutto in tema di liquidazione equitativa del

Trib. Torino 7 marzo 2011, in Corriere del merito, 2011, p. 699. 165

C.T.P. Udine 9 marzo 2012, n. 26, in guidanormativa.ilsole24ore.com 166

Trib. Prato 6 novembre 2009, in deiure.giuffre.it 167

Trib. Lamezia Terme 2 aprile 2012, in ilcaso.it 168

Trib. Milano 13 giugno 2012, in deiure.giuffre.it 169

Trib. Lodi 1 aprile 2011, in ilcaso.it 170

pregiudizio da illecito processuale, il problema della prova del quantum si rivelava sempre difficile da risolvere. 171

Pertanto attualmente - in seguito alla già citata novella del 2009 - l’art. 96 c.p.c. si suddivide in tre commi.

Il primo comma disciplina la fattispecie risarcitoria che punisce un contegno illecito tenuto dalla parte soccombente con dolo o colpa grave, riferibile a tutte le possibili attività processuali. In questo caso dunque la parte che patisce ingiustamente un pro-cesso è risarcita del danno subito ma la liquidazione di quest’ultimo può avvenire solo in seguito ad un’espressa richiesta.

L’inciso “anche d’ufficio” che è riportato in questo comma si riferisce solo alla sen-tenza di liquidazione dei danni che chiude il processo. In altre parole, il dettato di tale comma stabilisce che il giudice, su istanza della parte vittoriosa, condanna al ris-arcimento dei danni - liquidati appunto in sentenza anche d’ufficio - il soccombente che ha agito o resistito in giudizio con colpa grave o malafede.

Ma secondo l’interpretazione del principio di disponibilità dei diritti oggetto della controversia a cui è volto il processo civile, viene preclusa al giudice la possibilità di applicare la condanna in difetto della specifica richiesta avanzata dal soggetto pro-cessuale violato dalla temerarietà. Per questo motivo la norma va interpretata nel senso che comunque il giudice potrà procedere alla liquidazione d’ufficio della somma risarcitoria, anche se essa non sia stata chiesta, utilizzando formule rituali e anche se essa non è stata quantificata o richiesta secundum aequitatem.

Il secondo comma disciplina altri specifici casi di responsabilità aggravata che hanno origine nel compimento di attività processuali o connesse al giudizio; si tratta di ipotesi tassative specifiche del principio generale, ex primo comma, con l’unica dif-ferenza che in questo caso la responsabilità è generata anche dalla sola colpa lieve. Quindi mentre nel primo comma viene cristallizzata la responsabilità per danni della parte che ha agito e resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, invece nel

sec-C. CONSOLO, op. cit., 2009, p. 877 ss.; A. PROTO PISANI, op. cit., 2009, V, p. 221 ss.; 171

ondo comma si parla della responsabilità della parte che ha intrapreso una procedura esecutiva o cautelare senza il relativo diritto e la normale prudenza.

Per i comportamenti enucleati in questo secondo comma sono fissati requisiti differ-enti ai fini dell’integrazione dell’illecito processuale: il presupposto oggettivo si con-cretizza nell’inesistenza del diritto, da considerarsi come manifesta insussistenza del-la situazione giuridica sostanziale per del-la cui tutedel-la erano state compiute le condotte tipizzate dalla norma.

Invece, per quanto riguarda il profilo soggettivo, tale responsabilità risulta integrata con la sussistenza della sola normale prudenza e cioè anche della colpa lieve.

Ne consegue che il giudice dovrà accertare, con idonea motivazione, sia l’effettiva esistenza dell’an e del quantum dei danni di cui si chiede il risarcimento, sia l’elemento soggettivo della responsabilità stessa. La “comune prudenza” si accerta guardando non gli elementi portati dal cliente e dell’avvocato, ma ai consueti canoni di diligenza che incombono sul privato e sul professionista.

Infine, il terzo comma introdotto dalla riforma del 2009 introduce il potere dis-crezionale e d’ufficio del giudice di sanzionare le condotte processuali scorrette. Vengono qui introdotte anche una serie di novità tra cui il fatto che non è più neces-sario per la parte allegare e dimostrate l’esistenza di un danno essendo solo previsto che il giudice condanni la parte soccombente al pagamento di una somma di denaro. In secondo luogo il terzo comma concerne un indennizzo posto a carico della parte che ha agito con dolo, colpa, imprudenza; inoltre l’ammontare della somma è deter-minata dal giudice discrezionalmente, con l’unico limite dell’equità; ancora, il giu-dice è tenuto a provvedere anche d’ufficio - e quindi non solo su richiesta di parte; infine, l’interpretazione letterale della norma sembra far escludere che il giudice sia tenuto ad analizzare i requisiti disciplinati dai primi due commi, pertanto la condanna per responsabilità aggravata sembra poter prescindere dall’accertamento della temer-arietà dell’azione o della resistenza.

Inoltre tale ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. valorizza il comportamento processuale delle parti affinchè l’accertamento dei fatti sia compiuto senza inutili dilazioni e

sen-za ricorrere all’abuso degli strumenti processuali messi a loro disposizione dall’ordi-namento.

In ordine alla collocazione sistematica del nuovo istituto giuridico cristallizzato nel terzo comma dell’art. 96 c.p.c., sono individuabili tre filoni interpretativi.

Un primo orientamento ne limita la portata ad una mera specificazione di quanto già enucleato nei primi due commi della medesima disposizione normativa: pertanto tale terzo comma introdurrebbe nell’ordinamento una tutela risarcitoria fondata sugli stessi presupposti della mala fede e della colpa grave. 172

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