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«…il trattato del 1936 non è più la base delle relazioni anglo-egiziane. Era inevitabile che si decidesse il suo annullamento e che si arrivasse a nuove disposizioni, fondate su altri principi

[…]cioè totale ed immediata evacuazione e unità dell’Egitto e del Sudan sotto la Corona egiziana».

Re Farouk, discorso della Corona al Parlamento egiziano, 16 novembre 1950

1. Gli incontri con Farouk e i colloqui tecnico-militari

Nel pomeriggio del 17 marzo 1949, il feld-maresciallo fu ricevuto da Re Farouk, alla presenza anche dell’ambasciatore Campbell. In sostanza, Slim esordì parlando dei buoni rapporti che intercorrevano tra le forze armate britanniche e quelle egiziane, di cui il Re si rendeva conto. Questa, affermò Slim, sarebbe stata la base per migliorare ulteriormente ed intensificare la collaborazione tra gli apparati militari dei due Paesi. Com’era stato preventivato, la discussione si spostò presto sul pericolo sovietico, e Farouk si mostrò totalmente d’accordo sulla necessità di approntare un sistema di difesa mediorientale, capace di reggere all’urto di un’aggressione comunista230. L’Egitto, incalzò il militare britannico, sarebbe stato il principale obbiettivo dell’offensiva sovietica, a causa della sua posizione geografica e della sua ricchezza, e anche su questo punto i due interlocutori si trovarono d’accordo231. Dopo un breve accenno del Capo di Stato alla situazione palestinese232, in cui il

230 Nonostante l’aspra contesa con la Gran Bretagna e qualche sporadico contatto con il blocco

socialista, l’orientamento della politica estera egiziana in quel periodo rimase sostanzialmente filo-occidentale. Nelle settimane in cui si svolsero i colloqui militari con gli inglesi, il Dipartimento di Stato arrivò alla conclusione che, nonostante un certo aumento dell’infiltrazione comunista, tutto lasciava pensare che l’Egitto non avesse simpatia per l’Unione Sovietica. Cfr. E. PODEH, The Drift Towards Neutrality: Egyptian Foreign Policy During the Early Nasserist

Era, 1952-55, in «Middle Eastern Studies», XXXII, 1, January 1996, p. 160.

231

Cfr. Inward Telegram No. 412 from Cairo to Foreign Office, 17/03/1949, in PRO, CAB 21/1975.

232 Con la firma degli armistizi arabo-israeliani, l’Occidente cominciò a riflettere sulla forza

militare dell’esercito ebraico. La schiacciante vittoria israeliana fece considerare ai britannici che sarebbe stato meglio avere il nuovo Stato dalla propria parte, nel confronto della Guerra Fredda. Nello stesso tempo, però, gli inglesi ritennero che un’eventuale amicizia con Israele avrebbe comportato un prezzo troppo alto da pagare, vale a dire il rischio di perdere o la base in Egitto, o i rifornimenti di petrolio del Medio Oriente, a causa delle inevitabili tensioni con gli arabi che

monarca espresse il suo favore allo stanziamento delle truppe britanniche ad Aqaba – presenza che ovviamente fungeva da cuscinetto e deterrente contro un’invasione israeliana233 – la discussione si spostò su aspetti minori dei rapporti anglo-egiziani. Le basi per una discussione proficua sembravano piuttosto salde, quindi il passo successivo sarebbe stato l’incontro con il Primo Ministro egiziano.

Nel frattempo, trattandosi di colloqui che almeno nelle intenzioni dovevano rimanere su un piano strettamente tecnico, i vertici militari britannici cominciarono a valutare attentamente la situazione e il ventaglio di possibilità che sembrava si stesse formando. L’idea, la speranza di una collaborazione americana nel progetto di difesa del Medio Oriente era sempre al primo posto nelle discussioni dei vari comitati militari. A Washington, affermava un rapporto del Joint Planning Staff del 18 marzo, si riteneva che gli inglesi avessero già a disposizione tutto ciò di cui avevano bisogno in Egitto. Emergeva per l’ennesima volta – e non doveva essere certo l’ultima – un’incomprensione piuttosto diffusa tra i due special partners. I funzionari britannici a colloquio con i loro colleghi americani negli Stati Uniti, sostennero infatti che, secondo loro, i vertici militari nordamericani pensavano che fosse intenzione dei britannici coinvolgere l’Egitto in una piena partecipazione e pianificazione della difesa del Medio Oriente, cosa che non incontrava i favori di Washington, altrimenti si sarebbe dovuto rivelare agli egiziani i piani segreti di difesa. Inoltre, gli americani riconoscevano l’importanza che gli inglesi attribuivano all’Egitto e

sarebbero scaturite da un’ipotesi del genere. Cfr. E. PODEH, The Desire to Belong

Syndrome…cit., p. 123.

233 L’armistizio da poco firmato, secondo gli arabi, non poneva fine allo stato di guerra, mentre

Israele affermava che il documento fosse più di una tregua, costituendo, com’era del resto scritto nel preambolo stesso, uno stadio intermedio verso la pace vera e propria. In pubblico, i capi arabi sostenevano che avrebbero alterato lo status quo, avviando una seconda ripresa con gli ebrei, mentre invece in privato cercavano di negoziare per tornare alla situazione pre-bellica. In sostanza, però, non avendo sufficiente forza militare o diplomatica per contrastare Israele, gli arabi lavoravano per mantenere lo status quo, e questo si traduceva nel continuo rifiuto di riconoscere lo Stato Ebraico e dichiarare ancora in vigore lo stato di guerra. Cfr. M. B. OREN,

Origins of the Second Arab-Israel War: Egypt, Israel and the Great Powers 1952-56, Frank Cass, London-Portland, OR, p. 7; occorre anche ricordare che la Guerra contro Israele significò per l’Egitto anche restrizioni alla libertà, come l’imposizione della legge marziale, la ripresa di misure anti-democratiche, con l’apertura di campi di concentramento per gli oppositori, di destra e di sinistra. La guerra permise a Re Farouk di assurgere temporaneamente al ruolo di guida nazionale, indirizzando l’attenzione dell’opinione pubblica verso il conflitto, e distogliendola così, per un breve lasso di tempo, dai problemi sociali. Cfr. S. BOTMAN, Egypt from

alle sue basi234, ma per il momento non intendevano essere coinvolti nelle trattative. Viste le premesse, il compito diplomatico che gli inglesi si prefiggevano nei confronti degli americani non era facile. Essi, infatti, dovevano persuadere l’alleato che la Gran Bretagna non disponeva ancora di tutte le infrastrutture necessarie alla difesa, e anche che una discussione in materia di difesa comune con gli egiziani sarebbe stata necessaria per ottenere quello che si chiedeva, senza necessariamente coinvolgere gli americani235.

Nelle stesse ore in cui i militari completavano quel rapporto, Slim si incontrò al Cairo con il Premier egiziano, il quale era già a conoscenza dei desideri del Capo dello Stato. Stando al rapporto del Capo di Stato Maggiore Imperiale, Hadì sembrò conscio delle necessità britanniche, e non contrario all’idea che in Egitto ci fosse bisogno di una base inglese. Slim suggerì che un rappresentante dei comandanti britannici in Medio Oriente si incontrasse con un alto militare egiziano per discutere maggiormente nei dettagli le richieste britanniche. Invece, il Primo Ministro si dimostrò contrario ad una tale prospettiva, non volendo cominciare le discussioni prescindendo dall’aspetto politico del problema. Al contrario, egli chiese che i britannici gli consegnassero un documento,

234

Attlee, alla fine, accettò l’idea che dopotutto ci fosse bisogno di una continua presenza britannica nella regione. Ciò che probabilmente lo convinse, potrebbe essere ritrovato in un appunto di Gladwin Jebb, all’epoca Assistente Sotto-Segretario presso il Foreign Office. Egli, infatti, considerava che ci fossero due alternative, come conseguenza del ritiro: la prima consisteva nel dipendere sempre più dagli Stati Uniti, mentre l’altra prevedeva un graduale disimpegno americano nella difesa delle isole britanniche, conducendo così il Regno Unito verso l’Unione Sovietica. In entrambi i casi, egli continuava, il progetto di socialdemocrazia, che rappresentava il sistema di vita dei laburisti, sarebbe scomparso, schiacciato tra l’incudine del capitalismo e il martello del capitalismo. Cfr. M. F. HOPKINS, Oliver Franks and the Truman

Administration: Anglo-American Relations, 1948-1952, Frank Cass, London-Portland, OR, 2003, p. 36.

235 Cfr. Report by the Joint Planning Staff: Proposed Anglo-Egyptian Defence Discussions,

18/03/1949, in PRO, CAB 21/1975, J.P. (49) 23 (Final); in un memorandum allegato al rapporto, si precisava quali erano le necessità militari britanniche in Egitto. Fino a quando gli americani non avessero installato le loro basi in quel territorio, affermarono i vertici militari, sia le forze britanniche, che le americane stesse, sarebbero dipese proprio dalle infrastrutture militari inglesi nella zona di Suez. Poiché era necessario un numero di uomini superiore a quello previsto dal trattato allora in vigore, sarebbe diventata importante la collaborazione degli egiziani, che per questo motivo andavano coinvolti in un progetto di difesa. Agli egiziani sarebbe spettato il compito di contribuire alla difesa aerea del territorio nazionale, cosa per la quale la RAF non aveva sufficienti mezzi. Per ottenere la co-operazione egiziana, il Chiefs of Staff individuò tre linee di condotta delle discussioni: a) offrire agli egiziani un certo numero di incentivi per la loro collaborazione in tempo di pace; b) fornire agli stessi qualche spiegazione circa i piani di difesa anglo-americani nel Medio Oriente; c) offrire loro delle informazioni strategiche circa un piano di guerra contro la Russia, in particolar modo per quanto riguardava il ruolo che essi avrebbero dovuto ricoprire. Cfr. Report by the Joint Planning Staff: Proposed Anglo-Egyptian Defence

Discussions. Annex: Memorandum by the British Chiefs of Staff, 18/03/1949, in PRO, CAB 21/1975, J.P. (49) 23 (Final).

elencandovi le loro richieste. Egli intendeva, così, avere un quadro generale delle discussioni che ci si apprestava ad intavolare, e l’alto ufficiale britannico acconsentì a stilare quel documento. Successivamente, concordarono i due, una volta che il Primo Ministro fosse stato d’accordo con quello che gli inglesi chiedevano, allora si sarebbe potuto avviare i colloqui con gli esperti militari egiziani. Hadi volle anche informarsi sui piani di difesa anglo-americani, cosa che del resto era stata prevista dagli inglesi, ma Slim a tal proposito consigliò al suo governo, se il Premier arabo avesse insistito con quella richiesta, di rivelare soltanto che lo scopo degli alleati sarebbe stato quello di difendere l’Egitto quanto più lontano possibile dal suo territorio, e che questo sarebbe dipeso dall’efficienza della base di Suez236. Come si vede, il percorso intrapreso non

tralasciava affatto il livello politico della vicenda. Il fatto che Slim avesse incontrato il Capo dello Stato e quello del governo, inevitabilmente conferiva un taglio politico a tutta l’operazione, e la richiesta del Primo Ministro incideva ancora di più sulla politicizzazione di tutta la vicenda. E infatti Bevin capì che i colloqui nella capitale egiziana erano andati oltre le intenzioni britanniche, anche se tutto sommato erano stati soddisfacenti237. Il Foreign Office non era

contrario a fornire al Primo Ministro egiziano la lista delle richieste britanniche; tuttavia, per evitare che le procedure si bloccassero subito, consigliò di non inserire nell’elenco tutti quei particolari che – almeno in una prima fase – sarebbe stato difficile accettare per gli interlocutori238.

Le conversazioni tra l’alto ufficiale britannico e il massimo rappresentante del governo egiziano furono monitorate dai funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti al Cairo, e un rapporto di Patterson al Dipartimento di Stato informava della soddisfazione di Bevin che il Re e il Primo Ministro fossero d’accordo

236 Cfr. Inward Telegram No. 413 from Cairo to Foreign Office, 18/03/1949, in PRO, CAB

21/1975.

237 L’ambasciatore Campbell, presente agli incontri del feld-maresciallo, inviò un telegramma a

Bevin, in cui esprimeva le sue impressioni circa l’atteggiamento conciliante del Primo Ministro egiziano. Il diplomatico sostenne che vi fossero indubbiamente dei rischi nell’iniziativa suggerita da Hadi, perché quest’ultimo avrebbe potuto non gradire le richieste inoltrate dai britannici. Tuttavia, sarebbe stato inopportuno perdere l’occasione di quel confronto, e Slim non aveva avuto molta scelta nell’accettare la proposta del Premier. Sarebbe stato importante, comunque, impostare il documento su una base di collaborazione e intesa sulle necessità anglo-egiziane. Cfr. Inward Telegram No. 418 from Cairo to Foreign Office, 19/03/1949, in PRO, CAB 21/1975.

238 Cfr. Outward Telegram No. 551 from Foreign Office to Cairo, 19/03/1949, in PRO, CAB

circa le azioni da intraprendere per portare avanti quei colloqui239. Dal Cairo Campbell informò che a quel punto sarebbe stato rischioso declinare l’offerta di Hadi, ma che in ogni caso occorreva fare attenzione ad evitare considerazioni politiche nel documento da inviare al Premier arabo, sperando che anch’egli evitasse di sollevare problemi politici al momento di esaminare le richieste britanniche240. Arrivati a quel punto, Bevin presentò un memorandum sulla nuova situazione egiziana. Egli ribadì che l’obbiettivo dell’iniziativa intrapresa era quello di superare la fase di stasi nei rapporti anglo-egiziani in materia di difesa. Il ministro era consapevole che un nuovo governo egiziano, magari del Wafd, se avesse vinto le elezioni da lì a pochi mesi, avrebbe potuto cambiare rotta circa quell’argomento; ciononostante, egli sottolineò che si era aperto uno spiraglio nelle trattative, e che quindi occorreva seguire la strada tracciata dagli egiziani. Uno dei fattori più importanti nel condurre trattative di difesa con l’Egitto, continuò Bevin, sarebbe stato ovviamente quello della vendita di armi, tanto che il Foreign Secretary affermò che sarebbe stato il caso di aumentare la produzione bellica della Gran Bretagna, in modo da poter far fronte almeno parzialmente alle esigenze egiziane241. Oltre a ciò, il governo degli Stati Uniti

avrebbe dovuto essere sempre informato degli eventi, cosa che, come abbiamo visto, avveniva già242.

La struttura decisionale del Regno Unito si era messa in moto: gli inglesi avrebbero dovuto decidere se e quali richieste inoltrare ai vertici politici egiziani, per poi cominciare a discutere con i tecnici militari. L’aspetto politico di queste trattative era evidente: Hadi avrebbe potuto avallare o rigettare le proposte britanniche, sulla base di considerazioni squisitamente politiche, ma l’occasione creatasi, nonostante deviasse in parte dai piani del governo

239 Cfr. Incoming Telegram No. 274 from Cairo to Secretary of State, 03/19/1949, in

Confidential U.S. State Department Central Files, Great Britain, Foreign Affairs 1945-1949, USNA, RG 59 741.83/3-1949; si veda anche The Ambassador in the United Kingdom (Douglas)

to the Secretary of State, 03/22/1949, in FRUS 1949, Vol. VI, 883.20/3-2249: Airgram.

240 Cfr. Inward Telegram No. 426 from Cairo to Foreign Office, 20/03/1949, in PRO, CAB

21/1975.

241

L’amministrazione Truman era molto decisa, invece, su questo punto. Il Presidente americano, infatti, si opponeva pubblicamente alla vendita di armi ai Paesi del Medio Oriente, sostenendo così l’embargo sancito dalle Nazioni Unite. Tale embargo rimase in vigore fino all’11 agosto 1949, ma già da molti mesi Londra aveva comunicato a Washington di essere pronta a ritirarlo, se gli americani avessero fatto lo stesso, iniziando così una corsa agli armamenti nel Medio Oriente. Cfr. W. T. LINDLEY, The Tag End of Diplomacy…cit., p. 33.

242 Cfr. Memorandum by the Secretary of State for Foreign Affairs: Egyptian Defence Talks,

britannico, non poteva non essere sfruttata. Al documento presentato da Bevin, da discutere in sede di Cabinet, si aggiunse anche un memorandum ad opera del Ministro della Guerra, Emmanuel Shinwell, il quale illustrava le prospettive a lungo termine in Egitto. Egli ricordò che, allo scoppio di una guerra, la Gran Bretagna avrebbe dovuto possedere una base operativa in Egitto, in quanto quello era l’unico posto nel Medio Oriente dove ci fossero un porto con acque profonde, vie di comunicazioni interne e una discreta quantità di manodopera locale. Shinwell era anche convinto che occorresse cominciare subito a costruire nuove installazioni militari nella zona del Canale, sicuro che i britannici sarebbero rimasti in Egitto in modo permanente243. Infine, vi fu un terzo memorandum discusso in sede di governo – da confrontare con lo Stato Maggiore della Difesa americano244 - redatto questa volta dal Chiefs of Staff, in cui si ribadirono le richieste da inoltrare all’Egitto, vale a dire il mantenimento di alcune infrastrutture in tempo di pace, il diritto di rientro in caso di guerra e la collaborazione egiziana alla difesa aerea del territorio245.

La proposta di Bevin fu dibattuta al comitato di difesa del Cabinet lo stesso 22 marzo, segno questo che si voleva sfruttare il momento opportuno e la disponibilità al confronto dei vertici dello Stato egiziano. In quella sede, Bevin paventò l’ipotesi, non certo remota, che il Primo Ministro egiziano potesse sollevare la questione della revisione del trattato del 1936 – e sappiamo che vi erano alcuni dissidi, in quel momento ancora insuperabili, come appunto le condizioni di evacuazione e la questione sudanese – oppure mettere in imbarazzo i britannici, chiedendo loro di rivelare i piani di difesa concordati con gli americani. Tuttavia, suggeriva Bevin, occorreva sfruttare il momento propizio ed accettare i rischi. Il Capo di Stato Maggiore Imperiale ribatté che non vi era motivo alcuno per rivelare agli egiziani i piani di guerra, bensì sarebbe stato sufficiente, come già esposto nel suoi telegrammi, spiegar loro che il piano generale sarebbe stato quello di difendere l’Egitto quanto più lontano possibile dai suoi confini. Il Cabinet fu d’accordo con la proposta del Ministro, ma precisò che sarebbe stato meglio non presentare le postazioni militari come

243 Cfr. Memorandum by the Secretary of State for War: Long Term Policy in Egypt, 22/03/1949,

in PRO, CAB 21/1975, D.O. (49) 23.

244 Cfr. Minute, 22/03/1949, in PRO, CAB 21/1975, COS 451/22/3/9.

245 Cfr. Memorandum by the Chiefs of Staff: Proposed Anglo-Egyptian Defence Discussions,

britanniche, bensì come una base comune anglo-egiziana. Alla fine, il Comitato autorizzò il Foreign Secretary a procedere secondo la linea da lui stesso proposta246.

I lavori procedevano a ritmo intenso, entrambe le parti intendevano approfondire il discorso senza lasciar trascorrere molto tempo. A conferma di ciò, già il 23 marzo Bevin ebbe un colloquio con l’ambasciatore egiziano, il quale fu informato delle decisioni prese dal governo britannico. Bevin aggiunse che la Gran Bretagna chiedeva ad Hadi di valutare il documento in base alle esigenze egiziane di difesa, piuttosto che nella sua qualità di Primo Ministro, per evitare appunto di confondere l’aspetto politico con quello militare della vicenda. Venendo alla questione della difesa del Medio Oriente in generale, il ministro britannico accennò alla possibilità, in futuro, di un patto mediterraneo, del quale però era ancora prematuro discutere. Amr, in quell’occasione, si limitò a ringraziare Bevin per le informazioni ricevute247. Oltre a ciò, occorre considerare che in quei giorni alcuni esponenti politici egiziani dissero pubblicamente di auspicarsi che gli Stati Uniti partecipassero alle trattative, come forza mediatrice, il che avrebbe potuto produrre risultati pratici nei colloqui che ci si apprestava ad avviare248. Queste dichiarazioni, anche se semplice prodotto di interviste alla stampa, sembravano suscitare l’interesse

246 Cfr. Cabinet Defence Committee Minutes, 22/03/1949, in PRO, CAB 21/1976, D.O. (49) 8th

Meeting.

247

In quell’occasione, Bevin si manifestò ottimista circa la possibilità dell’estensione del Piano Marshall anche al Medio Oriente, sottolineando gli alti ideali della nazione americana, che stava sviluppando un notevole senso di responsabilità nel campo della politica estera. Pur concordando con i vantaggi di un’ipotesi del genere, Amr deplorò che fino ad allora l’interesse americano per il Medio Oriente sembrasse rivolto soprattutto ad Israele. Cfr. Conversation Between the

Secretary of State and the Egyptian Ambassador: Anglo-Egyptian Relations, 23/03/1949, in PRO, CAB 800/457, J 2513/1055/16G; in quel periodo gli anti-colonialisti americani concentrarono le proprie critiche sul ruolo britannico in Medio Oriente, non volendo che gli Stati Uniti fossero identificati con l’eredità coloniale di quella potenza imperiale. Ciò nell’illusione che i movimenti indipendentisti del Terzo Mondo avrebbero seguito l’esperienza americana, mentre invece le nuove nazioni che si formarono in quegli anni approfittarono della dicotomia Est-Ovest per liberarsi completamente di tutto ciò che veniva considerato appartenente al vecchio sistema imperialistico. Cfr. M. MAGLIO, La questione mediorientale nelle relazioni

anglo-americane, 1950-52, in A. DONNO (ed.) Ombre di Guerra Fredda: gli Stati Uniti nel

Medio Oriente durante gli anni di Eisenhower (1953-1961), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, p. 34.

248 Esattamente in quel periodo, con il consenso britannico, gli americani ormeggiarono la loro

flotta navale del Medio Oriente – sia pure simbolica – nell’arcipelago del Bahrain, in una base

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