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L’ORGANIZZAZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA

ITALIANA

1. Pensare il nuovo Stato: il ritorno dei patrioti e dei moderati.

Con il Colpo di Stato del 18-19 brumaio anno VIII, Napoleone, Ducos e Sièyes ave- vano assunto nelle vesti di Consoli i pieni poteri di governare la Francia249. La Costitu-

zione francese dell’anno VIII, ratificata con plebiscito, legittimava il Colpo di Stato e rendeva Bonaparte primo Console ossia concretamente superiore a qualsiasi altro potere dello Stato. Nel maggio del 1800, Napoleone assunse nuovamente il comando dell’eser- cito francese e valicò il passo del Gran San Bernardo. Egli sconfisse l’esercito austriaco nella battaglia di Marengo il 14 giugno 1800.

L’Austria fu costretta a firmare il Trattato di Lunéville (9 febbraio 1801), che impo- neva di rispettare le clausole del precedente Trattato di Campoformio. Il controllo fran- cese in Europa veniva esteso fino alla riva sinistra del Reno costringendo i principi tede- schi a rinunciare ai territori ad est del fiume. In Italia, il Granducato di Toscana si tra- sformava in Regno d’Etruria e veniva assegnato a Ludovico I Borbone in cambio del Ducato di Parma, mentre il Granduca, già in esilio dall’occupazione francese della To- scana avvenuta nel 1799, riceveva in compenso territori in Germania. Napoleone rien- trato a Milano ricostituì provvisoriamente la Repubblica Cisalpina che venne ampliata a est fino all’Adige e a ovest fino alla Sesia.

Si concludeva così la breve dominazione austriaca. Gli austriaci rientrati in Lombar- dia nell’aprile del 1799 avevano costretto l’esercito francese ad abbandonare anche Na-

249 Si veda la recente ricostruzione minuziosa dei passaggi che portarono al Colpo di Stato del 18 brumaio: P. Gueniffey, Le dix-huit Brumaire. L'épilogue de la Révolution française, Paris, Gallimard, 2008.

poli, la cui Repubblica poté per poco più di un mese reggersi e difendersi da sola250. Nel

settembre del 1799 cadde anche la Repubblica romana per mano del cardinale Ruffo e molti tra gli intellettuali romani ripararono in Francia.

Gli avvenimenti che si susseguirono dall’aprile del 1799 furono visti dagli esuli come una serie di tragedie che dimostravano tutta la fragilità dell’esperimento rivoluzionario nella penisola e imponevano ai sopravvissuti una difficile riflessione attorno alla disfatta patita. Il tema dell’unità nazionale divenne presto la cornice nella quale raccogliere le critiche alla precedente stagione rivoluzionaria e il rifiuto della tradizione riformatrice, la lealtà nei confronti di Bonaparte due volte liberatore e la ricerca di una prospettiva d’in- dipendenza politica251. Anticipazioni di queste riflessioni si ebbero a Genova, nei lunghi

mesi dell’assedio austriaco, quando si raccolsero molte firme per chiedere alla Francia di non ostacolare, per il futuro, la nascita di una sola repubblica nella penisola italiana. An- che i numerosi patrioti cisalpini, napoletani, romani, costretti negli stessi mesi a trovare rifugio in Francia rilanciarono la medesima proposta, incontrando il pieno sostegno di molti democratici francesi, certo interessati a fare leva sul disastro d’Italia per ridiscutere gli equilibri di potere a Parigi252.

Nella visione di questi patrioti il responsabile dei disastri nella penisola era il Diretto- rio francese, perciò essi accolsero con entusiasmo il nuovo ordine stabilito dal Colpo di Stato di Brumaio, di conseguenza quando il Primo Console varcò ancora una volta le Alpi e restituì la libertà alla Cisalpina, furono numerosi i patrioti che rientrarono a Mila- no. Fu l’inizio di una nuova stagione politica, che scardinò alcuni dei convincimenti del triennio giacobino e aprì la ricerca a nuove strade e a nuovi dibattiti sulle future sorti d’Italia253. Unità, indipendenza e una costituzione nazionale erano le prime richieste ri-

volte alle autorità francese, di cui si accettava la presenza sotto forma di garanzia ma la- sciando gli italiani «parfaitement libres de se donner de telle constitution républicaine qu’ils plaira»254.

Nel 1801, quando il governo e le promesse di Bonaparte lasciavano presagire una ripresa delle speranze per la libertà e l’indipendenza d’Italia, si senti il bisogno di mettere a punto un nuovo programma, nell’interesse della specificità profonda della penisola. Solo lo Stato poteva, attraverso una compiuta ricostruzione sociale, imporre lo stesso linguaggio, la stessa educazione, le stesse leggi civili e coercitive, l’unione infine di tutti i mezzi di abitudini e di comprensione255. Si ritornò su più temi e si insistette sull’augurio

250 La Repubblica napoletana fu proclamata il 21 gennaio 1799. Il 7 maggio le truppe francesi iniziaro- no la ritirata da Caserta e il 14 giugno ebbe fine la Repubblica. Il 10 luglio Ferdinando IV, rientrato a Na- poli, ordinò una repressione spietata che portò all’esecuzione tra il 29 giugno 1799 e l’11 settembre 1800 di novantanove cittadini. Cfr. G. Fortunato, I Napoletani del 1799, Napoli, La Città del Sole, 1998.

251 Relativo più all’emigrazione meridionale, si veda A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in

Francia, 1792-1802, Napoli, Guida, 1992.

252 A. De Francesco, Costruire la nazione: il dibattito politico negli anni della Repubblica italiana, in La formazio-

ne del primo stato italiano e Milano capitale 1802-1814, a cura di A. RobbiatiBianchi, Atti del Convegno inter- nazionale 13-16 novembre 2002, Milano, Istituto Lombardo, 2006, p. 612.

253 Ivi. Cfr. anche Id., Vincenzo Cuoco. Una vita politica, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 38-57.

254 “Petizione Botta” rivolta al Consiglio dei Cinquecento e diffusa a stampa nella seconda metà del luglio 1799, in B. PERONI, “Le cri de l’Italie” 1799, «Rivista storica italiana», LXIII (1951), p. 84.

di poter contribuire alla nascita di una nuova classe dirigente che fosse culturalmente pronta al compito di assicurare il concreto esercizio della libertà e dell’indipendenza del- la penisola. Il proposito era quello di distinguere l’identità culturale della penisola da quella francese, recuperando, anche attraverso la sapiente combinazione di spunti pro- venienti da tradizioni scientifiche e culturali diverse da quella di Francia, una specificità italiana attorno alla quale soltanto fondare la stabilità politica del nuovo ordine. Perciò, si cercò in quasi tutti i campi del sapere di fissare una tradizionale culturale italiana: dalle ricerche di diritto a quelle di economia, dagli studi di medicina a quelli di chimica, dai saggi di filosofia morale a quelli propriamente storici. Il nuovo stato doveva fondare la propria indipendenza attorno a un progetto politico-culturale che la identificasse e la diversificasse rispetto al modello di Francia.

La questione doveva essere presente in quanti, ad esempio, chiamati a mettere a pun- to un progetto di pubblica istruzione per il nuovo stato non a caso respinsero la propo- sta di creare un istituto nazionale sul modello di Francia. E il tema si proponeva sotto le vesti strettamente letterarie in una raccolta significativamente titolata Parnasso democratico, comparsa alla vigilia dei Comizi di Lione, e il cui curatore esprimeva l’auspicio:

La lettura di queste poesie ridestate ne’ liberi petti della gioventù italiana que’ generosi senti- menti, che formano il carattere nazionale, rende un popolo libero, rispettabile, virtuoso e felice

256.

Nell’Orazione a Bonaparte pel congresso di Lione, Foscolo si rivolgeva a Napoleone per invitarlo, nella costituzione del nuovo stato a seguire una prospettiva politico-culturale che non impedisse la via all’indipendenza nazionale. Foscolo individuava il fallimento della prima Cisalpina nell’imposizione di una costituzione francese ovvero la mancanza di leggi nazionali, nell’assenza di un esercito nazionale e nella corruzione della classe di governo. Costituzione, esercito e costumi erano, secondo Foscolo, “a fondamento d’ogni politica società” e in particolare insisteva sull’insipienza della classe dirigente: era attorno ad una morale e ad una educazione repubblicana che poteva essere costruita una classe dirigente, a sua volta chiamata a fondare, mediante le leggi e l’educazione delle armi, una nazione. Riformare le leggi, le armi e i costumi per fondare la nazione e con- cretamente assicurare, dunque, l’indipendenza del nuovo stato. Questo il progetto politi- co complessivo della Repubblica italiana nei suoi brevi anni di vita.

Si può dunque riconoscere - come ha scritto Luca Mannori - che una nazione italia- na non c’era ancora, ma che essa andava in qualche modo prodotta 257. E a produrla non

bastava più la semplice libertà a cui si era affidato il pedagogismo del triennio258. La ne-

cessità di una vera e propria rifondazione etica e psicologica non riguardava più soltanto quel popolo su cui si era soprattutto concentrata l’attenzione dei rivoluzionari negli anni

256 Parnasso democratico, ossia raccolta di poesie repubblicane de’ più celebri autori viventi, Bologna. Tra gli autori delle poesie figuravano: Monti, Foscolo, Fantoni, Pindemonte, Lancetti e Ceroni.

257 L. Mannori, Alle origini della Costituzione cit., p. 99.

258 Sulla variante italiana della ideologia rivoluzionaria della “rigenerazione» si veda: E. Pii, Il confronto

precedenti, ma l’intero corpo sociale, compresa un’élite che aveva rivelato di essere anco- ra al di sotto della soglia di consapevolezza richiesta ad una moderna società nazionale.

Nel quadro del dibattito della seconda Cisalpina esistevano due visioni sul futuro go- verno: da un lato coloro che credevano ancora nella possibilità di un sistema fedele al modello franco-rivoluzionario e dall’altro chi pensava a un stato completamente indi- pendente e fondato sulle proprie tradizioni culturali.

Primo fra tutti Francesco Melzi, il quale nel novembre del 1799 salutava il ritorno di Napoleone dall’Egitto ed esprimeva la sua opinione, ribadendo che il concetto centrale era la totale assenza, al momento, di una opinione pubblica nazionale italiana. L’effetto del triennio era stato quello - secondo Melzi - di distruggere la nascente coscienza politi- ca italiana, sostituendola con un sentimento di pura negatività259. Era, dunque finito, se-

condo il Melzi, il tempo delle «institutions politiques en serre chaude». La loro credibilità era stata minata dalla doppiezza francese, che ne aveva disposto l’attivazione negando il presupposto minimo di ogni loro plausibile funzionamento: l’indipendenza nazionale260.

Del tutto diversa la prospettiva dei democratici che vedevano nella presa di potere di Napoleone l’occasione per creare una repubblica nella penisola. Pietro Custodi, capo riconosciuto del partito patriota milanese, in una serie di celebri articoli giornalistici esprimeva la preoccupazione dominante dei democratici: sbarrare la strada ad un tra- pianto in Italia dell’istituto francese del consolato, in cui si vede giustamente un’antica- mera della monarchia261. Custodi riteneva che la soluzione di un Primo Console poteva

avere una plausibilità in Francia - regione dilaniata da dieci anni di guerre civili e religiose - bisognosa di una mano forte che riporti all’ordine, ma in Italia avrebbe rischiato di av- viare una pericolosa involuzione, poiché qui la scena era ancora dominata dalle forze della reazione. Custodi si sforzava di difendere la soluzione di un esecutivo collegiale e riteneva ancora possibile per l’Italia l’adozione di una Costituzione, costruita sulla falsa- riga di quelle rivoluzionarie e centrata sulla preminenza del popolo sovrano. Anche per Custodi si riproponeva la necessità di un regime di transizione guidato da chi sapeva e finalizzato a condurre la maggioranza inconsapevole verso quella modernità politica di cui essa non aveva ancora sentore. E anche qui si andava a costruire uno Stato non una nazione. L’ovvia differenza - ha scritto Mannori - stava nel fatto che lo Stato di Custodi ambiva a mantenere una legittimazione democratica a cui quello di Melzi aveva rinuncia- to fin da principio: il che finì per indebolirne la credibilità, giacché lo Stato sembrava qui

259 F. Melzi d’Eril, Au citoyen Bonaparte, générale en chef de l’armée d’Orient, 16 novembre 1799, in Comizi

nazionali di Lione per la Costituzione della Repubblica italiana, a cura di U. Da Como, vol. 1, pp. 8-11. Sul Melzi,

si veda: C. Capra, La carriera di un uomo incomodo (I carteggi di Melzi d’Eril), «Nuova rivista storica», LII (1968), pp. 147-168; C. Zaghi, Melzi e Napoleone, «Il Risorgimento», IX (1957), pp. 177-197; Id., Francesco

Melzi d’Eril Vice-Presidente della Repubblica italiana, «Il Risorgimento», XIV (1962), pp. 170-176; F. Melzi

d’Eril, Francesco Melzi d’Eril 1753-1816: milanese scomodo e grande uomo di Stato: visto da un lontano pronipote, Fi- renze, Alinea, 2000.

260 L. Mannori, Alle origini della Costituzione cit., p. 101.

261 V. Criscuolo, Il giacobino Pietro Custodi, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contempo- ranea, 1987, pp. 329-330. L’8 dicembre 1800, Custodi pubblica un artico in due puntate su L’Amico della

fondarsi su una coscienza politica che attendeva di essere formata proprio dello Stato stesso262.

2. La Costituzione della Repubblica italiana

Nel riattraversare le Alpi Napoleone lasciò l’incarico di redigere un nuovo progetto costituzionale ad una Consulta provvisoria. Tale Consulta riuscì a preparare un progetto per l’agosto del 1800, e - sotto la presidenza dell’ambasciatore francese Claude Petiet - svolse le funzioni di assemblea legislativa della Cisalpina, affiancando la Commissione di governo insediata dopo Marengo alla quale era stato affidato l’esercizio provvisorio del potere esecutivo. Questa commissione governativa era composta inizialmente da nove membri, ma il 25 settembre venne surrogata da un Comitato di governo di tre: Somma- riva, Ruga e Visconti, con il fine di rendere l’organo esecutivo più malleabile rispetto alle pesantissime pressioni delle autorità civili e militari francesi263. La Consulta provvisoria

era composta dal vecchio ceto dirigente della prima Cisalpina: tra i suoi membri, dicias- sette erano stati deputati nelle assemblee legislative, sei erano ex Direttori ed almeno altri sei provenivano dalle fila delle sue amministrazioni e corti di giustizia. Al momento della stesura del testo, alcuni membri erano sicuramente assenti, per esempio Fontana, Moscati e Reina si trovavano ancora prigionieri in Dalmazia mentre Marescalchi era già a Parigi presso Napoleone264. Il progetto costituzionale dell’agosto del 1800 era molto

vicino ai testi repubblicani moderati del triennio. L’idea di fondo del progetto era quella di una costituzione notabilare, fondata sulla stessa tecnica della cooptazione introdotta in Francia con la carta del 22 frimaio anno VIII (13 dicembre 1799). La maggiore novità, rispetto al triennio, stava nel fatto che gli elettori non erano chiamati a nominare i loro rappresentati ma solo ad indicare delle rose di candidati nell’ambito delle quali la scelta definitiva veniva compiuta da chi era già in carica. Ispirata al modello francese anche la forma di governo: basata su un legislativo monocamerale senza diritto di iniziativa a cui si contrapponeva un governo fornito invece di ampi poteri e destinato ad operare sotto la guida di un presidente, corrispondente al Primo Console transalpino, titolare esclusivo della nomina dei ministri e degli altri funzionari non elettivi265.

Nel marzo del 1801, il progetto costituzionale della Consulta venne emendato dalla Commissione di governo in vista dell’esame definitivo da parte di Napoleone. Il proget- to puntava a formare un governo controllato dalla classe dirigente ex-rivoluzionaria, con l’appoggio di un primus inter pares di altro profilo che si sperava di tenere a bada con una

262 L. Mannori, Alle origini della Costituzione cit., p. 104.

263 Sull’ordinamento provvisorio della seconda Cisalpina, si veda: I Comizi nazionali di Lione cit., vol. III, p. I, pp. 2-10.

264 Ivi, vol. I, pp. 21-22. L’elenco completo dei membri della Consulta.

265 L. Mannori, Alle origini della Costituzione cit., p. 105. L’autore riferisce che nei mesi successivi alla presentazione del testo costituzionale, due componenti della consulta milanese - Reina e Ghirardi - pub- blicarono due progetti privati abbastanza simili a quello della Consulta stessa. A testimoniare, secondo l’autore, che tale sforzo non era privo di senso, se non avessero riposto una qualche autentica fiducia.

serie di contrappesi istituzionali266. Il voto popolare costituiva un meccanismo di sele-

zione della classe dirigente. I cittadini di una vasta nazione, interamente assorbiti dalle attività economiche proprie della sfera privata, non avevano che una coscienza molto imprecisa dei loro interessi politico-collettivi e appunto per questo - come aveva scritto Giuseppe Compagnoni - dovevano affidarsi a dei «funzionari ufficiosi e fiduciari, pel concetto della solo loro capacità scelti dai cittadini per esplorare con maturo criterio quale sia la volontà generale»267. Nel 1800 il popolo era avvertito come una presenza

estranea ai valori e ai nuovi sensi di appartenenza dell’élite colta, quindi il meccanismo delle liste si presentava come un perfezionamento e non come una sconfessione della democrazia rappresentativa.

Il problema del testo era la mancanza dell’indicazione di chi avrebbe dovuto nomina- re i primi membri della Consulta o i primi membri della Camera elettorale vitalizia a cui spettava, a sua volta, la designazione di tutte le altre cariche costituzionali. La carta era quindi inapplicabile. Il testo elaborato fu inviato a Parigi, tuttavia rimase congelato per mesi a causa della ripresa della guerra contro l’Austria.

Nei primi mesi del 1801, il Ministro degli esteri francese, Talleyrand, elaborava un progetto costituzionale in cui inquadrava la Cisalpina in una sistemazione confederale dell’Italia settentrionale sotto il protettorato francese e destinato a comprendere altri sette stati268.

Bonaparte si era appoggiato fin dall’inizio a Melzi, in quanto esponente prestigioso disinteressato ed affidabile dell’aristocrazia progressista il cui pieno consenso gli sem- brava indispensabile per sostenere il nuovo regime. Melzi era stato nominato già mem- bro della Commissione esecutiva, ma non vi aveva partecipato poiché riponeva una ra- dicale sfiducia verso gli uomini del governo provvisorio269. Melzi giunse a Parigi il 28

marzo del 1801, e a metà maggio gli vennero sottoposti i due principali progetti costitu- zionali, quello della Consulta e quello di Talleyrand. E fu proprio Melzi, in qualità di in- terlocutore privilegiato di Bonaparte, a bocciare entrambi i progetti. Secondo lui il mo- dello politico proprio per il paese era una forte monarchia amministrativa appoggiata a

266 Sui limiti di questo tipo di sistema che si rifaceva alla costituzione consolare francese, si era espres- so in modo chiaro e con un giudizio durissimo Giovanni Antonio Ranza che aveva definito tale Costitu- zione un inaccettabile «complesso d’aristocrazia e d’oligarchia», si veda: G. A. Ranza, Riflessioni su la Costi-

tuzione francese dell’anno VIII, in Giacobini italiani, a cura di D. Cantimori, R. De Felice, Laterza, Roma-Bari,

vol. II, pp. 522. Testo che fu redatto nel gennaio del 1800, durante la prigionia di Ranza nel castello di Vigevano.

267 G. Compagnoni, Elementi di diritto costituzionale democratico, (1797), a cura di S. Mastellone, Firenze, 1988, p. 233. Citato da L. Mannori, Alle origini della Costituzione cit., p. 110. Già nel 1798, il popolo era ap- parso a Melchiorre Gioia incapace di percepire la realtà se non attraverso i propri pregiudizi, si veda: M. Gioia, Saggio sui pregiudizi popolari (1798), in Giornali giacobini cit., p. 85.

268 Per il disegno proposto da Talleyrand, si veda: Comizi nazionali di Lione cit., vol. I, p. 117.

269 Rifugiatosi in Spagna con l’arrivo delle truppe austro-russe, al ritorno dei francesi Melzi fu nomina- to prima membro della Commissione esecutiva e in seguito deputato della Repubblica presso il primo Console, ma se ne rimase in Spagna, adducendo le sue precarie condizioni di salute e il bisogno di cure. In una lettera al nipote José Palafox, non datata, ma risalente alla primavera del 1801, Melzi scrisse che guar- dava alla Cisalpina come ad un «monstre politique incompatible avec le bonheur du pays et avec le systè- me de l’Europe». Si veda, F. Melzi, Memorie-documenti e lettere inedite di Napoleone a Beauharnais, a cura di G. Melzi, Brigola, Milano, 1865, p. 241.

una nazione di proprietari270. Secondo il suo pensiero, la monarchia era la forma di go-

verno più naturale proprio in un paese dove non si era ancora consapevoli della propria identità collettiva. La nazione di Melzi era una nazione fisiocratica e fondiaria, compren- siva solo di proprietari-contribuenti271. I proprietari erano gli unici, veri cittadini dello

Stato, in quanto i soli che contribuivano alle spese e che avevano dunque diritto di inter- loquire con esso: questa era la convinzione circolata nel corso del secolo precedente e diventata una sorta di vulgata di tutto il settecento riformatore272. Tale immagine della

comunità nazionale riscuoteva del resto larghi consensi nell’ambito dei circoli aristocra- tici.

Nell’estate del 1801 la necessità di porre fine al governo provvisorio era impellen- te273. Fu allora che venne utilizzato il progetto di uno dei più stretti collaboratori giuridi-

ci di Napoleone nel corso della prima fase del consolato, Pierre Louis Roederer274. Il

progetto consentiva di affiancare alla aristocrazia fondiaria di Melzi una adeguata pre-

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