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tra innovazione e continuità con il passato.

CAPITOLO TERZO

La responsabilità nella gestione societaria. Profili processuali.

3.1 Profili di gestione dell’impresa: Standards e Rules; caratteristiche e tratti distintivi. Il safe harbour della Business judgment rule.

L’analisi effettuata nel capitolo precedente in ordine alla tematica de- gli assetti organizzativi e, in particolar modo, in ordine al nuovo pa- rametro valutativo della loro adeguatezza (nella prospettiva della rile- vazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità azienda- le), si configura come il dato di partenza per esaminare ed approfondi- re il profilo della responsabilità degli organi sociali.

Con riguardo agli amministratori l’art. 2392 c.c. statuisce che gli stessi devono adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto “con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro spe-

cifiche competenze”.

Tale locuzione (che sostituisce quella originaria, contenente un riferi- mento generico alla “diligenza del mandatario”), specie se letta in combinazione con il precetto dell’art. 2381, co.6, c.c. (che impone a ciascun amministratore di “agire in modo informato”), implica che chiunque sia chiamato a coprire detta carica sia consapevole e prepa- rato in modo piuttosto completo circa le regole fondamentali ed es- senziali legate a quella funzione.

97 In altre parole, fermo restando che non sia possibile pretendere da cia- scun amministratore il più alto grado di preparazione in materia eco- nomica e finanziaria, certo è che rimane quanto meno esigibile la co- noscenza delle regole fondamentali, dal momento in cui la funzione amministrativa comporta ed implica l’attività di monitoraggio dell’equilibrio economico e finanziario dell’impresa, monitoraggio funzionale al mantenimento di una società in bonis o , al limite, fun- zionale alla gestione tempestiva di una situazione di crisi1.

In particolare, la diligenza che si richiede agli amministratori non è più quella del “buon padre di famiglia”, ma quella di tipo professiona- le che è misurata in funzione della tipologia di incarico ricoperto e delle specifiche competenze2. Essa va pertanto a qualificare il compor- tamento che l’amministratore deve tenere nella gestione della società, finendo quindi per definire il contenuto normativo della prestazione richiesta (nel caso in cui la legge si limiti a fissare uno standard com- portamentale, anziché definire in termini specifici la condotta da te- nersi) e fungendo altresì da criterio su cui valutare la responsabilità

1 Nella Relazione alla legge di riforma del 2003, viene espressamente sottolineato

come la diligenza richiesta dalle specifiche competenze non significhi, per l’appunto, possedere la massima preparazione in materia economica e finanziaria, quanto piuttosto significa che le scelte degli amministratori “devono essere informa-

te e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione”.

2 Con il richiamo alle “specifiche competenze”, s’intende dare rilevanza ad un ele-

mento individuale e soggettivo, che possa pertanto assurgere alla stregua di un crite- rio di differenziazione tra i vari amministratori, in funzione del grado di formazione professionale, dei titoli conseguiti e delle esperienze professionali maturate. In ar- gomento Mansoldo S., Responsabilità degli amministratori di s.p.a. Business judg-

ment rule e limiti all’insindacabilità delle scelte di gestione, in Ricerche giuridiche,

98 del “professionista” con la conseguenza che oggetto dell’onere proba- torio gravante sul creditore dovrà essere la mancanza di conformità della condotta gestoria rispetto alla natura dell’incarico ricoperto, alle competenze tecniche possedute e alla tipologia dell’impresa gestita3. La diligenza richiesta agli amministratori, di fatto, si snoda nel princi- pio di corretta gestione imprenditoriale il quale deve orientare la di- screzionalità amministrativa di cui i gestori di una società sono depo- sitari in via esclusiva.

In realtà la disciplina codicistica non contempla un espresso dovere di corretta gestione riconducibile all’organo amministrativo; tuttavia, un simile richiamo viene fatto dall’art. 2497 c.c. in tema di responsabili- tà, il quale, in tema di gruppi societari, dispone che: “Le società o gli

enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale, proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle so- cietà medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste[…]”. Nonostante la sua collocazione all’interno della disci-

plina di gruppo, è fuori dubbio che il principio di corretta gestione so- cietaria e imprenditoriale sia un principio universale di diritto societa- rio, riferibile pertanto agli organi gestori di tutti i tipi di società4.

3 Bozza G., Diligenza e responsabilità degli amministratori di società in crisi. Profi-

li di responsabilità, in Il Fallimento, 2014, p. 1097 ss., p.1099

4 In argomento Mazzoni A., op.cit., a p. 829, il quale provvede altresì ad evidenziare

la differenza che sussiste tra i concetti di gestione societaria e gestione imprendito- riale, chiarendo come “ una corretta gestione societaria non è di per sé anche una

99 Nonostante la sua pregnanza come strumento di individuazione degli obblighi di condotta degli amministratori e come criterio di valutazio- ne della loro condotta, tale principio è denotato da una spiccata inde- terminatezza, per cui diventa difficile riempirlo di significato concre- to.

In ogni caso, nel tentativo di afferrare quale ne sia l’effettiva portata, sembrerebbe utile richiamare una considerazione di fondo: quando una società è in bonis, la gestione, pur implicando, la cura o, quanto meno, un’adeguata considerazione degli interessi dei cc. dd. Stakehol-

der (e, quindi, anche dei creditori), può essere legittimamente indiriz-

zata alla massimizzazione del profitto nell’interesse dei soci, che sono i “proprietari” in senso sostanziale dell’impresa, giacché, comunque, l’attività economica svolta è in grado di generare in misura sufficiente a far fronte con regolarità alle obbligazioni assunte.

Dato, però, che l’impresa è un continuum in continua evoluzione, può darsi che, al verificarsi di determinati presupposti e condizioni, acqui- stino sempre maggior rilievo e, addirittura, preminenza interessi ri- conducibili a categorie di soggetti diverse dai soci.

Così è, in particolare, allorché si manifestino determinati sentori di criticità nella situazione economico- finanziaria della società o, addi- rittura, la perdita della continuità aziendale: in tal caso, l’interesse

ria è solo un aspetto (essenzialmente attinente alla disciplina organizzativa del sog- getto imprenditore) del più ampio compito gestorio, che consiste nel prestare dili- genza e perizia anche nella cura o trattamento, in prospettiva imprenditoriale di in- teressi diversi da quello o quelli riferibile/i alla società (cioè, più realisticamente, ai suoi soci)”.

100 preminente da perseguire e tutelare diventa progressivamente – in re- lazione all’aggravamento della crisi- quello dei creditori, verso i quali si sposta il baricentro della “proprietà” in senso sostanziale dell’impresa.

Ecco allora che la corretta gestione imprenditoriale, che deve riempire di significato il generico canone della diligenza, si fa più intensa nella misura in cui s’intende che questa presupponga e imponga una mag- gior cura e attenzione verso l’interesse dei creditori, che, in caso di crisi d’impresa, passa in primo piano5.

Ora, com’è noto, sulla categoria degli amministratori di società, data la centralità del ruolo che essi ricoprono, grava una serie indefinita di obblighi e doveri comportamentali, aventi ora carattere generale ed astratto, ora carattere specifico e ben determinato.

Ciò che, difatti, contraddistingue propriamente gli standard (obblighi a contenuto generale) dalle rule (obblighi a contenuto specifico) è la considerazione per cui, mentre con riguardo alle seconde, è possibile individuare ex ante quali siano esattamente i comportamenti che ad esse siano conformi, per quanto riguarda i primi, invece, una siffatta individuazione non può che essere effettuata ex post. Per comprendere meglio la distinzione è senz’altro opportuno fare alcuni esempi con- creti.

101 Si faccia riferimento, a titolo esemplificativo e non esaustivo, nell’attuale panorama codicistico, agli obblighi specifici gravanti sugli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale. S’intende ov- viamente alludere alle fattispecie di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c., che riguardano espressamente il caso in cui il capitale risulti diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite e il caso, più grave, in cui, per effetto di una siffatta diminuzione, il capitale sociale si riduca al di sotto del minimo legale.

Ebbene, in questi casi, la platea di obblighi specifici gravanti sugli amministratori è stata dettagliatamente e minuziosamente disciplinata da parte del legislatore, tale per cui, al ricorrere di simili circostanze, la direzione aziendale avrà la certezza di quali siano i comportamenti da tenere, in modo tale da evitare contestazioni di responsabilità. In entrambe le situazioni “gli amministratori o il consiglio di gestione,

e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l’assemblea”, per far sì

che, nel caso dell’art. 2447 c.c., questa deliberi la ricapitalizzazione della società o, in alternativa, la sua trasformazione, e, nell’altro caso, affinché questa possa adottare gli opportuni provvedimenti.

In particolare, la riduzione del capitale ex art. 2446 c.c. non è imme- diatamente obbligatoria, ma lo diventa se entro l’esercizio successivo la perdita non risulti diminuita a meno di un terzo; nel caso in cui que- sto non avvenga, scatta, per gli organi sociali, l’ulteriore obbligo di chiedere che la riduzione venga disposta dal tribunale.

102 Si faccia altresì riferimento allo specifico obbligo di redigere il bilan- cio in modo chiaro e veritiero e a quello di curare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi, contabili di cui si è già ampia- mente discorso.

A tale ultimo proposito, è certo infatti che la predisposizione di proce- dure, modelli, funzioni aziendali calibrate sulla base della dimensione, della natura e, adesso, specificatamente strumentali alla rilevazione tempestiva della crisi, rispondano all’osservanza del più generico do- vere di corretta gestione imprenditoriale e, conseguentemente, all’altrettanto generico canone di diligenza6.

D’altra parte, per l’appunto, la generalità e la forte astrattezza che connotano il dovere di corretta gestione, il dovere di agire informato e lo stesso canone della diligenza suggeriscono come questi siano senz’altro riferibili ad una serie di obblighi e adempimenti, la cui con- creta individuazione può essere effettuata soltanto ex post rispetto alle condotte poste in essere, con la conseguenza che siffatti principi sono sicuramente ascrivibili alla categoria degli standard.

Simili considerazioni inducono il richiamo alla “Business judgment

rule”, nozione di derivazione statunitense che indica specificatamente

l’insindacabilità, da parte del giudice, degli atti di gestione degli am- ministratori di società, essendo quindi esemplificativa della sussisten-

6 In tale contesto è utile il richiamo alle già citate Norme di comportamento del col-

legio sindacale emanate dal CNDCEC che, più volte, evidenziano la centralità del ruolo che l’organo di controllo ricopre in ordine alla vigilanza degli assetti organiz- zativi ed anche del generico dovere di corretta amministrazione.

103 za di un margine di discrezionalità nella gestione di un’impresa socia- le, in quanto connaturata alla stessa natura dell’incarico ricoperto dai gestori. Merita evidenziare, peraltro, che non grava espressamente su- gli amministratori l’obbligo di gestire la società con successo econo- mico, bensì specificatamente soltanto quello di amministrare con la dovuta diligenza. Difatti, il perseguimento di un risultato economica- mente positivo, verso cui l’attività d’impresa normalmente è indirizza- ta attraverso la gestione degli amministratori, può non tradursi nel suo effettivo ottenimento.

La differenza, che a livello lessicale potrebbe apparire minima, in real- tà è enorme e risiede proprio nel significato più profondo della rule. Ciò significa che ciò che si richiede agli amministratori di una società è l’osservanza di quelli che sono i doveri comportamentali richiesti lo- ro dalla legge o dallo statuto. È possibile, tuttavia, che, per una serie di variabili, gli amministratori non riescano a raggiungere un risultato economicamente positivo.

Detto in termini più precisi, l’operatività della rule trova il suo limite più grande nella violazione di precetti, nella misura in cui gli atti di gestione degli amministratori non possono essere oggetto di un sinda- cato di merito in ordine alla convenienza o all’opportunità del loro mancato o avvenuto compimento, e non essendo pertanto sindacabile il mero mancato raggiungimento di un risultato economicamente posi-

104 tivo quando ciò non sia la conseguenza di una violazione di doveri imposti agli stessi amministratori dalla legge o dallo statuto7.

Tuttavia, nell’intento di definire con maggior precisione i contorni del

safe harbour della Business judgment rule8, è opportuno sottolineare che la diligenza richiamata all’art. 2392 c.c. presuppone ed implica il fatto che, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte ge- storie, gli amministratori devono comunque agire sempre a seguito e sulla base di una vasta gamma di verifiche ed informazioni che le sin- gole scelte gestorie, per forza di cose, richiedono.

Si inseriscono pertanto, a fronte di una simile considerazione, due ul- teriori ordini di limiti che circoscrivono l’ampiezza dell’agire ammini- strativo ed evitano, per l’appunto, che la Business judgment rule si traduca in una deliberata e assoluta discrezionalità.

Un primo limite, o criterio valutativo che dir si voglia, che peraltro è strettamente connesso con il generico dovere dell’agire informato, è costituito dal quomodo con cui gli amministratori abbiano deciso di intraprendere una determinata scelta gestoria. In altri termini, dato che, come si è detto in precedenza, simili scelte devono necessaria- mente essere corredate da una serie di informazioni che facciano pro- pendere per l’una o per l’altra, è plausibile che il giudice possa scen- 7 Si veda Cass. 31 agosto 2016, n. 17441, in Il Caso.it; Cass. 22 giugno 2017, n.

15470, in Il Caso.it; Cass., ordinanza 4 luglio 2018, n.17494, in De Jure. Sull’argomento, di recente, Alvaro S., Cappariello E., Gentile V., Iannaccone E.R., Mollo G., Nocella S., Ventoruzzo M., Business Judgment Rule e mercati finanziari.

Efficienza economica e tutela degli investitori, in Quaderni giuridici Consob, no-

vembre 2016.

105 dere nel merito del percorso decisionale intrapreso dagli amministra- tori e verificarne almeno la coerenza logica9.

L’altro limite è rappresentato dalla ragionevolezza, criterio che fa sal- vi dalla tutela riservata agli amministratori per effetto della rule, il compimento di tutti quegli atti e quelle condotte che si traducono in scelte avventate e completamente irrazionali, il cui disvalore avrebbe certamente potuto essere percepito dagli stessi gestori10.

Sembrerebbe, quindi, potersi giungere alla considerazione per cui sia la BJR sopra richiamata - che, peraltro, diversamente da come potreb- be apparire a prima vista, è in realtà ascrivibile all’area degli obblighi che hanno propriamente la struttura degli standard – a riempire di si- gnificato il generico dovere di corretta gestione imprenditoriale. In al- tri termini, questo deve essere valutato sulla base della succitata rule, la quale dovrebbe, a sua volta, in quanto standard, essere orientata in base al criterio della continuità aziendale11.

La Business judgment rule, quindi, continua a configurarsi alla stregua di parametro valutativo della condotta degli amministratori anche nel 9 In argomento Cass. 12 agosto 2009, n.18231 in De Jure, che sottolinea che, “Se è

vero, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentino profili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente - se necessario, con adeguata istruttoria - i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere , così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili”. In dottrina Rordorf R., La responsabilità civile degli amministratori di s.p.a. sotto la lente della giurispruden- za (I parte), in Le Società, 2008, p. 1193 ss., a p. 1195; Montalenti P. - Riganti F., La responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Giur. Comm., 2017,

I, pp. 775 ss.

10 In argomento Dionisio C., Business Judgment rule tra vecchio e nuovo diritto, in

Giurisprudenza italiana, 2014, p. 2208 ss., a p.2211.

106 caso in cui una valutazione di tipo prognostico riveli l’assenza della prospettiva della continuazione dell’attività e, quindi, quando l’impresa sociale versa in uno stato di generalizzata crisi. Come ac- cennato poco fa, infatti, è proprio la sussistenza o meno della prospet- tiva della continuità aziendale ad orientare il parametro valutativo del- la BJR che dovrà, pertanto, modularsi e riempire, a sua volta, di signi- ficato il generico dovere di gestione imprenditoriale e, conseguente- mente, il canone della diligenza. In altri termini, ferma restando la va- lenza della BJR, la discrezionalità che tipicamente connota l’agire amministrativo e che, generalmente, è orientata alla massimizzazione del profitto assumerà le vesti di una discrezionalità “vincolata” alla tu- tela del ceto creditizio, piuttosto che informata alla propensione al ri- schio imprenditoriale12.

Alla luce di simili considerazioni, i comportamenti degli amministra- tori confacenti ad una corretta gestione imprenditoriale sono, nel caso di una società in bonis, ravvisabili in tutte quelle scelte gestorie che si siano rivelate, soltanto a seguito di un sindacato a posteriori, adeguate ai fini della salvaguardia e in coerenza con la prospettiva della conti- nuazione dell’attività. Qualora, invece, le condizioni economico- finanziarie dell’impresa e, se del caso, la perdita di continuità azienda- le, determinino quella legittima inversione di interessi, tale per cui il

107 soddisfacimento dei creditori diventa quello prioritario, una corretta gestione tollera ed anzi, richiede scelte aziendali diverse.

Si rivelerebbero pertanto conformi a siffatto dovere quelle condotte gestorie che si siano rivelate ex post declinate in un senso maggior- mente conservativo del patrimonio aziendale, in modo tale da ridurne la componente di rischio, potenzialmente pregiudizievole in funzione di quello che, come anticipato, dovrebbe fungere da criterio di orien- tamento delle condotte gestorie in situazioni di generalizzata crisi d’impresa: l’interesse dei creditori.

Sembra quindi essere l’area della Business judgment rule, da parame- trarsi sul criterio della continuazione dell’attività, a dover riempire di contenuto l’astratto dovere di corretta gestione imprenditoriale e a ve- dersi pertanto modulata in vario modo in funzione di quelle che sono le dinamiche aziendali e, in particolar modo, delle condizioni econo- mico-finanziarie dell’impresa.

3.2 Azioni di responsabilità. Cenni generali.

L’analisi del profilo prettamente processuale della materia in esame necessita un chiarimento di partenza. La vasta gamma di doveri e ca- noni comportamentali posti in capo agli amministratori, così come ac- cennato nel paragrafo precedente, può far incorrere loro in tre princi- pali forme di responsabilità: verso la società, verso i creditori sociali e verso singoli soci e terzi.

108 Focalizzando in primis l’attenzione sulla prima delle tre fattispecie, si ricorda la prescrizione, già precedentemente rammentata, di cui all’art. 2392 c.c. e quindi l’obbligazione risarcitoria che grava sugli ammini- stratori nel caso in cui questi non adempiano i doveri imposti loro dal- la legge o dallo statuto utilizzando la diligenza professionale che il lo- ro incarico e le loro specifiche competenze richiedono.

Ora, data la natura certamente contrattuale del rapporto che vincola il gestore alla società, il richiamo alla disciplina generale dei contratti è, senz’altro, scontato, per cui immediato. Riferimento va fatto all’art. 1218 c.c., ai sensi del quale “Il debitore che non esegue esattamente la

prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non im- putabile”.

La disciplina codicistica non individua, a dire il vero, uno specifico risultato verso cui l’attività degli amministratori deve essere espres- samente indirizzata, focalizzandosi piuttosto nella previsione di una serie di obblighi specifici e doveri comportamentali, atti ad orientare la condotta dei gestori nell’espletamento delle loro funzioni. Si dice, per l’appunto, che gli errori di gestione sono tendenzialmente tollera- bili, dal momento in cui, contrariamente, si verrebbe a delineare un si- stema sanzionatorio eccessivamente oneroso, che rischierebbe di tra- dursi in un vero e proprio ostacolo all’assunzione delle varie iniziative

109 imprenditoriali verso cui, fisiologicamente, l’attività amministrativa deve essere improntata13.

Da qui la qualificazione della prestazione dovuta dagli amministratori in termini di obbligazione di mezzi (e non di risultato), il cui inadem- pimento potrà pertanto essere ravvisabile laddove, a patto chiaramente che vi sia stata la causazione di un danno, la condotta concretamente posta in essere sia difforme dal modello comportamentale che la di- sciplina, mediante il richiamo ad obblighi più o meno precisi (rule e

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