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Il ruolo degli organi sociali nella gestione della crisi d'impresa

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Academic year: 2021

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1 SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO PRIMO ... 6

Crisi d’impresa. Inquadramento a livello comunitario e analisi del

going concern. ... 6

1.1 Sviluppi europei in materia di ristrutturazione e insolvenza. Verso

l’armonizzazione delle discipline nazionali. ... 6 1.2 Crisi aziendale: nozione ed evoluzioni normative e giurisprudenziali. Innovazione o mero tentativo? ... 17 1.3 Il principio di continuità aziendale ... 29

CAPITOLO SECONDO ... 42

La corporate governance nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La rilevazione tempestiva della crisi tra innovazione e continuità con il passato. ... 42

2.1 Adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili alla luce del novellato art. 2086 c.c. ... 42 2.2 L’introduzione del principio di esclusiva competenza gestoria degli

amministratori: soluzioni interpretative e risvolti applicativi a fronte dell’art. 377 CCI. ... 55 2.3 Strumenti di allerta ex art. 12 CCI. In particolare, doveri di segnalazione dell’organo di controllo. Analisi e considerazioni. ... 68 2.4 Obbligatorietà dell’organo di controllo. Evoluzioni normative e

abbassamento delle soglie nelle società a responsabilità limitata. ... 88

CAPITOLO TERZO ... 96

La responsabilità nella gestione societaria. Profili processuali. ... 96

3.1 Profili di gestione dell’impresa: Standards e Rules; caratteristiche e tratti distintivi. Il safe harbour della Business judgment rule. ... 96

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3.2 Azioni di responsabilità. Cenni generali. ... 107 3.3 Le azioni di responsabilità nel panorama concorsuale ... 113 3.4 Criteri di quantificazione del danno per violazione dell’art.2486 c.c. alla luce del CCI. Considerazioni e profili critici. ... 126

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INTRODUZIONE

Il 14 febbraio 2019 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.lgs. 12 gennaio 2019, n.14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n.155. La ratio sottesa ad un intervento legislativo di siffatta portata emerge, a chiare lettere, dalla Relazione illustrativa allo stesso Codice, la quale asserisce che “la frequenza degli interventi normativi, di natura

epi-sodica ed emergenziale, intervenendo su disposizioni della legge fal-limentare modificate da poco, ha generato rilevanti difficoltà applica-tive e la formazione di indirizzi giurisprudenziali non consolidati, con un incremento delle controversie pendenti e il rallentamento notevole dei tempi di definizione delle procedure concorsuali. Di qui l’esigenza, largamente avvertita da tutti gli studiosi e dagli operatori del settore, di una riforma organica della materia che riconduca a li-nearità l’intero sistema normativo”.

Muovendo da questa premessa, e senza alcuna pretesa di esaustività, il presente lavoro si propone, quindi, di analizzare l’impatto che può avere, a vario titolo, la riforma della disciplina delle procedure con-corsuali nel panorama attuale.

L’indagine in questione prenderà le mosse innanzitutto dai moniti eu-ropei che hanno ispirato una simile riforma. “Ristrutturazione

preco-ce”, “Seconda opportunità”, “Rilevazione tempestiva della crisi d’impresa” sono tra le espressioni che maggiormente riecheggiano,

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4 talvolta con eccessiva ridondanza, nei documenti delle varie istituzioni UE.

L’attenzione verrà riposta sulla nozione di continuità aziendale e di crisi d’impresa così come delineata dal CCI e, in particolar modo, sul-la sua definizione in termini di “probabilità d’insolvenza”, non man-cando, a tal riguardo, l’evidenziazione dei profili critici che una siffat-ta nozione può porsiffat-tare con sé: concreto è, infatti, il rischio che una nozione del genere possa essere declinata nel senso della ragionevole certezza della ricaduta nello status più grave di insolvenza, finendo, pertanto, nel muoversi nella logica esattamente opposta a quella della riforma.

Il lavoro proseguirà poi nella trattazione degli aspetti che maggior-mente interessano la governance societaria, quali il dovere di istitu-zione degli assetti organizzativi dell’impresa di cui al novellato art. 2086 c.c., peraltro già in vigore a partire dal 16 marzo 2019, e le nuo-ve misure di allerta, nelle quali rientrano i donuo-veri di segnalazione gra-vanti sugli organi di controllo.

Particolare attenzione, del resto proporzionale all’interesse e, talvolta, allo scalpore destato, verrà rivolta all’introduzione o, meglio, all’espressa codificazione del principio di esclusiva competenza gesto-ria degli amministratori, il quale è stato categoricamente trasposto nel-la disciplina delle società di persone e nelle s.r.l., facendo sorgere il dubbio se una simile operazione debba intendersi come un intervento implicito di abrogazione di modelli societari (in particolare quello

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del-5 le società a responsabilità limitata) che si denotano per l’attribuzione di competenze gestorie diffuse e diramate tra amministratori e soci. Quanto ai profili gestori dell’impresa sociale, si ricorda la vasta gam-ma dei doveri, più o meno specificatamente delineati, che la disciplina societaria pone in capo agli amministratori. Questo aspetto desterà particolare interesse nel corso dell’indagine, la quale tenterà, per l’appunto, di individuare, evidenziandone le relative difficoltà, siffatti obblighi comportamentali, chiarendo, al riguardo, la differenza tra

standards e rules, completandone la disamina mediante il richiamo al

“safe harbour” della Business judgment rule.

Per concludere, e a seguito di un richiamo generale alla disciplina del-le azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, verranno evidenziate le principali novità apportate dal Codice della crisi relati-vamente all’esperibilità di simili azioni e al profilo della legittimazio-ne attiva legittimazio-nel panorama concorsuale, mediante il richiamo all’art 255 CCI, in relazione al quale non mancheranno rilievi critici, e all’art. 115 CCI.

Un ultimo sguardo, ma non di minor rilevanza, verrà rivolto al profilo, riformato per via dell’art. 378 CCI, della quantificazione del danno e dei relativi risvolti applicativi nelle ipotesi di condotte gestorie poste in essere in violazione del precetto di cui all’art. 2486 c.c.

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CAPITOLO PRIMO

Crisi d’impresa. Inquadramento a livello comunitario e

analisi del going concern.

1.1 Sviluppi europei in materia di ristrutturazione e insolvenza. Verso

l’armonizzazione delle discipline nazionali.

L’epocale cambiamento che in parte si è già abbattuto e si abbatterà sul diritto societario e fallimentare nazionale è, senza ombra di dub-bio, figlio dell’intensa attività delle istituzioni europee in materia di crisi e di insolvenza, sintomo della forte sensibilità e responsabilità che queste hanno mostrato nei confronti di questa tematica. Il motivo di tale interesse scaturisce senz’altro dalla crisi finanziaria che, a parti-re dal 2007, ha investito pian piano l’economia degli Stati, configu-randosi come una minaccia concreta per la stabilità sia delle PMI che delle grandi aziende tra le quali molte, con implicazioni transfrontalie-re. Ebbene, l’armonizzazione del diritto fallimentare, che rappresenta, tra le altre cose, il minimo comune denominatore di tutti gli interventi comunitari in materia concorsuale1, si configura al tempo stesso come uno dei principali obiettivi da perseguire tramite la realizzazione del

Capital Market Union, ambizioso progetto lanciato dalla

Commissio-1 Sull’argomento, Stanghellini L., La proposta di Direttiva UE in materia di

insol-venza, in Fallimento, 2017; Pellegatta A., Verso una nuova direttiva europea in te-ma di restructuring e insolvency, in Il Caso.it, 15 te-marzo 2017

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7 ne UE, volto al rilancio dell’economia europea, che mira all’abbattimento degli ostacoli alla libera circolazione dei capitali2. In tal senso, nel marzo 2014 è stata infatti pubblicata, sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, la Raccomandazione della Commissio-ne UE n.135 “su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza”, con il duplice obiettivo di consentire l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta alle imprese di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza e di dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti che falliscono. La raccomandazione ribadisce come in alcuni Stati membri la ristrut-turazione delle imprese sia prevista soltanto in un momento troppo avanzato del dissesto, tale per cui l’impresa possa dirsi già insolvente, mentre in altri vi sia già la previsione di una “ristrutturazione preco-ce”, ma la problematica verte sulla inefficienza delle procedure previ-ste al riguardo.

E, in effetti, la Commissione UE, al Sedicesimo Considerando, tenta di dare risalto al concetto di prevenzione, evidenziando come “Un

quadro di ristrutturazione dovrebbe permettere ai debitori di far fron-te alle difficoltà finanziarie in una fase precoce, evitando così

2 La Comunicazione COM/2015/468 “Piano di azione per la creazione dell’Unione

dei mercati dei capitali” recita testualmente nell’introduzione: “Nonostante i

pro-gressi compiuti negli ultimi decenni nello sviluppo di un mercato unico dei capitali, gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri sono ancora numerosi e possono essere ricondotti a diverse cause: dal diritto nazionale, come nel caso della normativa sull’insolvenza sui regimi fiscali e sugli strumenti finanziari, a un’infrastruttura di mercato frammentata”, e poi ribadisce al paragrafo 6.2 come “ La convergenza del-le procedure di insolvenza e di ristrutturazione favorirebbe una maggiore certezza giuridica per gli investitori transfrontalieri e incoraggerebbe la tempestiva ristrut-turazione di imprese vitali in difficoltà finanziarie”.

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l’insolvenza e proseguendo le attività. Tuttavia, onde evitare potenzia-li rischi di abuso della procedura, è necessario che le difficoltà finan-ziarie del debitore comportino con tutta probabilità l’insolvenza del debitore e che il piano di ristrutturazione sia tale da impedire l’insolvenza e garantire la redditività dell’impresa”.

E’ perfettamente logico e coerente, che l’obiettivo primario da realiz-zare sia innanzitutto quello di armonizrealiz-zare le discipline statali, per eliminare le disparità dei quadri nazionali in tema di ristrutturazione, individuandosi altresì, come punto di forza e di successo, ai fini della salvaguardia delle imprese stesse e dell’economia in generale, un si-stema che sia improntato ai criteri di flessibilità e stragiudizialità delle procedure (nei limiti del possibile) e che consenta la ristrutturazione aziendale in una fase precoce e la tutela dell’attività imprenditoriale. Inoltre, la necessità di coordinare le normative nazionali in materia, ai fini di una loro armonizzazione e adeguamento agli indirizzi comuni-tari, è stata la ratio ispiratrice del Regolamento UE n. 848/2015 in te-ma di insolvenza transfrontaliera (obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile agli Stati membri con eccezione della Da-nimarca), il quale ha aggiornato in modo significativo il precedente Regolamento UE n. 1346/2000. In particolare, mentre quest’ultimo poteva applicarsi soltanto laddove vi fosse stata una situazione di in-solvenza già conclamata, il regolamento attualmente vigente non sol-tanto è applicabile nel caso più grave suddetto ma è suscettibile di es-sere esteso anche alle procedure di pre-insolvenza, laddove siano

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per-9 tanto riscontrabili difficoltà economiche, suscettibili di compromettere la continuità aziendale. Recita, infatti, il suddetto regolamento come esso debba essere applicato “a procedure che promuovano il

salva-taggio delle società economicamente valide ma che si trovano in diffi-coltà economiche e che danno una seconda opportunità agli impren-ditori. In particolare, il regolamento dovrebbe essere esteso alle pro-cedure di ristrutturazione del debitore nella fase in cui sussiste soltan-to una probabilità di insolvenza”3.

Difatti la crescita del numero delle imprese che entrano in contatto con diversi Stati membri e, conseguentemente, con ordinamenti giuri-dici diversificati ha rafforzato l’esigenza di rendere maggiormente compatibili le procedure concorsuali dei singoli paesi, e questo in mo-do tale da riuscire a conseguire il risultato ultimo del buon funziona-mento del mercato interno, obiettivo peraltro che “ rientra nel settore

della cooperazione giudiziaria in materia civile ai sensi dell’articolo

3 Sull’ argomento De Cesari P. - Montella G., Il nuovo diritto europeo della crisi

d’impresa. Il Regolamento (UE) 2015/848 relativo alle procedure di insolvenza,

To-rino, 2017, pp. 15 ss. Con riguardo al tema della gestione dell’insolvenza transfron-taliera, diventa strettamente necessario definire la nozione di COMI di cui all’articolo 3.1 del Regolamento UE n. 848/2015. Con esso si intende “il luogo in

cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”. Per le persone giuridiche si presume che esso coincida con il luogo in cui

si trova la sede legale, anche se, a riguardo, il Considerando 30 invita, al fine della sua esatta individuazione, ad effettuare una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti. L’individuazione del COMI diventa funzionale ai fini della determinazione della giurisdizione statale competente ad aprire la procedura d’insolvenza principale. In altri termini, a fronte di imprese che presentano implicazioni transfrontaliere e che ricadono nell’insolvenza, il Regolamento prevede l’apertura di una procedura principale nel luogo dello Stato membro in cui è situato il COMI del debitore, e che investe tutti i suoi beni, e di una secondaria nel territorio dello Stato membro in cui lo stesso debitore abbia una dipendenza, procedura che riguarda soltanto i beni situa-ti in tale luogo. In argomento Lunetsitua-ti C., Insolvenza transfrontaliera come fattore

essenziale di una moderna riforma delle crisi d’impresa, in Il Fallimento, dicembre

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81 del trattato”, e , a tal proposito, “ dissuadere le parti dal trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da uno stato membro all’altro nell’intento di ottenere una posizione giuridica più favorevole a dan-no della massa dei creditori (< forum shopping>)”, obiettivo,

peral-tro, ribadito anche in occasione del parere del CESE dell’Ottobre 2013 di cui si fa cenno qui di seguito.

In particolare un simile intervento è stato richiesto sia in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio re-cante la modifica al Regolamento UE n.1346/2000, che poi è appunto sfociato nel Regolamento del 2015 succitato ed attualmente vigente, sia in merito alla Comunicazione del Dicembre 2012 della Commis-sione al Parlamento europeo, al Consiglio e allo stesso Comitato eco-nomico e sociale europeo (CESE) recante “Un nuovo approccio euro-peo al fallimento delle imprese e all’insolvenza”. Ebbene, il CESE, ha ribadito che le misure europee di cui si discorre si configurano come la “ risposta dell’UE alla crisi economica e sociale attraversata dalle

imprese e dai cittadini europei”; più di ogni altra cosa è emerso il

mo-nito che esso muove alle istituzioni, e conseguentemente anche agli Stati membri, laddove ha sottolineato come il concetto di “ seconda opportunità” non tanto debba essere concepito come meccanismo che consenta, ad ogni costo, la prosecuzione dell’attività anche quando l’esperienza abbia dimostrato che il modello dell’imprenditore non era sostenibile, quanto piuttosto debba essere letto in chiave maggiormen-te prudenziale: la seconda opportunità non può essere tale per

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qualsia-11 si imprenditore, ma soltanto per coloro i quali abbiano tratto insegna-mento dagli errori commessi e siano in grado di ripartire sulla base di un progetto imprenditoriale ripensato.

Alla luce dei rilievi sin qui svolti e dei numerosi richiami al concetto di “ristrutturazione”, sembra essere sempre più radicata l’idea che si debba prediligere, per quanto possibile in termini concreti, la salva-guardia della continuità aziendale4. La considerazione di fondo è quel-la per cui gli orizzonti liquidatori, che sono stati evidentemente prefe-riti sino ad oggi, conducono inevitabilmente alla morte dell’impresa e contribuiscono pertanto ad incidere negativamente sull’economia in generale, determinando in primis l’eliminazione dell’impresa stessa dal mercato, nonché numerosi effetti derivati tra cui la dispersione dei valori aziendali, il calo dell’occupazione e un basso tasso di soddisfa-cimento dei creditori.

La tutela della continuità aziendale e la promozione della cultura del salvataggio dell’impresa sono difatti i principi ispiratori della Proposta di Direttiva n. 359/2016 formulata dalla Commissione UE, riguardan-te “i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e mi-sure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione,

4 Sull’argomento Marotta F., L’armonizzazione europea delle discipline nazionali in

materia di insolvenza: la nuova Direttiva europea riguardante i quadri di ristruttu-razione preventiva, la seconda opportunità e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, in Il Caso.it, aprile 2019; Calvosa L., Le principali novità della riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza. Relazione introduttiva, in Crisi d’impresa e insolvenza. Prospettive di riforma, a cura di Calvosa, Pisa, 2017, pp. 15 ss.

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12 insolvenza e liberazione dei debiti”, che modifica la Direttiva 2012/30/UE.

Merita evidenziare come la Proposta faccia propri principi che si sono, già da tempo, consolidati a livello mondiale e che pertanto sono stati recepiti in vario modo dalle massime istituzioni, quali Uncitral 5(Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale interna-zionale) e Banca Mondiale, e che, tra le altre cose, mostrano un’evidente connessione con la materia fallimentare americana sul

Chapter 116.

5 Tra i “Key Objectives” della Legislative Guide on Insolvency, l’Uncitral provvede

a sottolineare: “Those laws and institutions should promote restructuring of viable

business and efficient closure and transfer of assets of failed businesses, facilitate the provision of finance for start-up and reorganization of businesses and enable assessment of credit risk, both domestically and internationally. The following key objectives of an insolvency law should be implemented with a view to enhancing certainty in the market and promoting economic stability and growth”.

6 Si fa riferimento al Chapter 11 del Bankrupticy Code statunitense, entrato in vigore

nel 1978 e che contempla la c.d. “reorganization”. Si tratta di una procedura da cui, tra le altre cose, ha tratto linfa anche il nostro concordato preventivo e che è finaliz-zata alla ristrutturazione dell’impresa in crisi anziché alla sua liquidazione. Ciò che contraddistingue la procedura in esame è innanzitutto il fatto che il debitore conser-va l’amministrazione dell’impresa (debtor in possession), dovendo svolgere lui stes-so i compiti propri del Trustee (curatore), il quale viene nominato stes-soltanto in casi marginali. Momento centrale della procedura è quello della negoziazione, tra debito-re, creditori e soci, di un piano (plan) che, se omologato dalla Corte, potrà portare alla riorganizzazione aziendale. Sono inoltre sospese, durante la procedura, le azioni individuali da parte dei singoli creditori e questo per garantire la “concorsualità “ della procedura stessa ed impedire quindi che le azioni individuali possano pregiudi-care la corretta esecuzione del piano concordato.In altre parole, la procedura del

Chapter 11 è un chiaro modello di come si possa efficacemente giungere al

soddi-sfacimento dei creditori, anche tramite il mantenimento in vita dell’impresa e la sal-vaguardia del suo valore, sulla base del presupposto per cui anche la generazione di nuovi e futuri profitti può consentire un buon, se non migliore, soddisfacimento del ceto creditorio, rispetto alla prospettiva liquidatoria. In argomento Panzani L.,

Con-servazione dell’impresa, interesse pubblico e tutela dei creditori: considerazioni a margine della proposta di Direttiva in tema di armonizzazione delle procedure di ristrutturazione, in Il Caso.it, settembre 2017; Mazzei G., Il nuovo Codice della cri-si d’impresa e dell’insolvenza: la continuità aziendale tra legislazione europea e nazionale, in amministrativamente, 2019, pp. 99 ss.

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13 La Proposta di direttiva ribadisce come “Un caso di insolvenza su

quattro è transfrontaliero, ossia coinvolge creditori e debitori in più di uno stato membro dell’UE. Una percentuale significativa di impre-se e di posti di lavoro potrebbe esimpre-sere salvata impre-se in tutti gli Stati membri in cui l’impresa ha dipendenza, attivi o creditori esistessero procedure di prevenzione”, sottolineando altresì come “la qualità dei quadri degli Stati membri in materia di ristrutturazione e insolvenza influisce direttamente sui tassi di recupero dei creditori”. E, in effetti,

una riforma declinata nel senso della ristrutturazione, chiaramente per le imprese che siano recuperabili, comporta maggiori tassi di recupero dei creditori rispetto ad una soluzione di tipo liquidatorio, soprattutto sulla base della considerazione per cui, nella realtà odierna, molte im-prese sono costituite da beni immateriali ovvero perché i beni di un’azienda fuori mercato non sono più allettanti7.

Sembra pertanto che lo strumento della Direttiva - strumento tipica-mente volto alla fissazione di obiettivi da raggiungere ma che lascia, al tempo stesso, libertà e flessibilità nella scelta dei mezzi che uno Stato membro ritenga più consoni a tal fine -, sia quello più idoneo al-la realizzazione del suo scopo generale e cioè che “ tutti gli Stati

membri si dotino di principi fondamentali su quadri efficaci in mate-ria di ristrutturazione preventiva e seconda opportunità, e di misure

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per migliorare l'efficienza di tutti i tipi di procedure di insolvenza ri-ducendone la durata e i costi associati e migliorandone la qualità”8.

Tra i punti fondamentali della Proposta vi è quindi la previsione circa l’accessibilità, per tutti i debitori, a strumenti di allerta (early warning ), che permettano loro di rilevare segnali di “crisi” quanto prima pos-sibile, e che si concretizzano in obblighi inerenti al monitoraggio della situazione aziendale, in obblighi di segnalazione a carico di determi-nati soggetti e nella possibilità di ottenere la sospensione delle azioni esecutive individuali nel corso delle trattative con i creditori.

Questo in modo tale che le imprese che versano in condizioni non già di insolvenza vera e propria ma di “probabilità di insolvenza” possano tentare di ristrutturarsi in una fase precoce del dissesto, evitando epi-loghi liquidatori.

Altro punto significativo è la limitazione dell’intervento del giudice o dell’autorità amministrativa in quanto elemento che, per comune espe-rienza, determina una dilatazione dei tempi procedurali e comporta maggiori spese9. Infine, l’ulteriore argomento che si configura alla

8 Il testo della proposta di Direttiva continua, sottolineando: “Più specificamente,

tali quadri servono ad aiutare ad aumentare gli investimenti e le opportunità di la-voro nel mercato unico, ridurre le liquidazioni inutili di società economicamente sostenibili, evitare inutili perdite di posti di lavoro, prevenire l’accumulo di prestiti deteriorati, facilitare le ristrutturazioni transfrontaliere e ridurre i costi e aumenta-re le opportunità per gli impaumenta-renditori onesti di ripartiaumenta-re da zero”.

9 Il Diciottesimo Considerando della Proposta evidenzia come dovrebbero essere

contemplate procedure che limitino “l’intervento delle autorità giudiziarie o

ammi-nistrative ai casi in cui è necessario e proporzionato per tutelare gli interessi dei creditori e terzi eventuali”. Per questo motivo la Commissione ribadisce che il

debi-tore dovrebbe rimanere nel possesso dei suoi beni e padrone della gestione della sua attività e che, la nomina di un professionista esperto in materia di ristrutturazione non dovrebbe essere obbligatoria ma da valutarsi caso per caso. Inoltre, ai fini

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15 stregua di colonna portante della politica comunitaria e che tenta pe-raltro di dare attuazione alla cultura della “seconda possibilità”, con-cetto ribadito anche nella Raccomandazione n. 135 /2014, è la previ-sione di una rapida esdebitazione, che intervenga entro tre anni dall’apertura della procedura10.

Ebbene, a seguito dell’approvazione della Proposta di cui sopra, il 26 Giugno 2019 è stata pubblicata, sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, la Direttiva (UE) 2019/102311 del 20 Giugno del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione pre-ventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumen-tare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esde-bitazione e che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132. Dato l’obiettivo principale di un’armonizzazione minima delle regole in materia di

ri-dell’avvio della procedura, non dovrebbe essere necessario un provvedimento del giudice se non quando questo sia strettamente necessario e cioè nel caso in cui si debba provvedere alla sospensione delle azioni esecutive e quando risulti necessario approvare il piano di ristrutturazione nonostante il voto contrario di alcune classi di creditori. In argomento Panzani L., La proposta di Direttiva della Commissione UE:

early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fallimento, 2017, p. 131.

10 Il Ventesimo Considerando della Proposta stabilisce testualmente che “gli

im-prenditori dovrebbero essere ammessi al beneficio della liberazione integrale dai debiti dopo un massimo di tre anni, senza bisogno di rivolgersi nuovamente all’autorità giudiziaria o amministrativa”. Ciò significa che l’esdebitazione

dovreb-be intervenire automaticamente senza la necessità di rivolgersi a suddette autorità, e questo entra inevitabilmente in contrasto con le previsioni nazionali in materia. Di-fatti, l’art. 143 l. fall. sancisce che l’esdebitazione possa essere concessa al fallito, dal Tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o per effetto di un ricorso presentato entro l’anno successivo. Simile meccanismo è previsto anche, ai sensi dell’articolo 14 terdecies L. n.3/2012) per il debitore non fallibile. Sull’argomento Panzani L., La proposta di Direttiva della Commissione UU: early warning,

ristrut-turazione e seconda chance, cit., a p. 139.

11 La Direttiva stessa, al Tredicesimo Considerando specifica come “La presente

di-rettiva non dovrebbe pregiudicare l'ambito di applicazione del regolamento (UE) 2015/848, ma mira ad essere pienamente compatibile con tale regolamento e a inte-grarlo, facendo obbligo agli Stati membri di predisporre procedure di ristruttura-zione preventiva che rispettino alcuni principi minimi di efficacia”.

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16 strutturazione e di insolvenza, si ribadiscono i concetti di ristruttura-zione preventiva (articolo 4)12, al fine della prevenzione di un dissesto irreversibile delle imprese, quello della loro sostenibilità economica, funzionale, come evidenziato in precedenza, al mantenimento dell’equilibrio economico generale e quello della esdebitazione, per-fettamente in linea con la politica della “seconda possibilità” cui si è accennato poco fa.

Difatti, a tal fine, l’articolo 1 della Direttiva, individua specificata-mente tre aree di intervento: quella delle misure di c.d. “ristrutturazio-ne preventiva” e degli strumenti di allerta precoce, l’area delle proce-dure che conducono all’esdebitazione del debitore e quella delle misu-re comuni per aumentamisu-re l’efficienza delle procedumisu-re di ristrutturazio-ne, di insolvenza e di esdebitazione.

Giunti a questo punto, saranno i singoli Stati membri a dover scegliere i mezzi che ritengono più opportuni ai fini dell’attuazione di un siste-ma fallimentare che sia fedele ai principi della politica comunitaria in materia.

12 Il concetto di ristrutturazione, assieme ad altri, viene specificatamente delineato

all’articolo 2 della Direttiva. Tuttavia, si precisa come, i concetti di “insolvenza” e di “probabilità di insolvenza” debbano intendersi come definiti ai sensi del diritto nazionale. Già nella relazione alla Proposta di direttiva si era osservato che il legi-slatore europeo aveva appositamente evitato di definire puntualmente i concetti sud-detti e questo sulla base della considerazione per cui, la distanza tra gli ordinamenti in merito alla definizione di insolvenza, disciplina delle azioni revocatorie, gradua-zione dei crediti è troppo grande per essere colmata, dato anche lo stretto legame di tale materia con l’ambito del diritto tributario, del lavoro e previdenziale, settori strettamente radicati nel diritto nazionale.

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1.2 Crisi aziendale: nozione ed evoluzioni normative e giurispruden-ziali. Innovazione o mero tentativo?

Gli indirizzi comunitari in tema di insolvenza e prevenzione della crisi d’impresa, sono stati recepiti dal legislatore italiano ed hanno contri-buito all’attuazione di una corposa riforma delle procedure concorsua-li e alla conseguente affermazione del nuovo sistema espressamente delineato nel recentissimo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI), emanato con il d.lgs. 12 gennaio 2019, n.14. Ora, se, come s’intende dai numerosi interventi europei in materia, la

ratio sottesa al cambiamento richiesto è la prevenzione della crisi,

strumentale a consentire una ristrutturazione precoce delle imprese, diventa senz’altro doveroso analizzare, nel tentativo di comprendere o, se del caso, evidenziarne i limiti, il significato della nozione di stato di crisi che il legislatore della riforma ha provveduto a delineare. Il referente normativo è indubbiamente l’art. 2 del nuovo CCI che provvede a definire puntualmente vari concetti, curandosi di dare ri-salto alla differenza sostanziale tra crisi ed insolvenza.

La prima viene dettagliatamente descritta come “lo stato di difficoltà

economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cas-sa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”

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18 L’insolvenza invece, che rappresenta lo stato più avanzato, viene in-tercettata nello “stato del debitore che si manifesti con inadempimenti

od altri fatti esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” [art. 2.1,

lett. b)].

Ora, il fatto che il nuovo CCI abbia provveduto alla definizione pun-tuale dei concetti suddetti si configura come un intervento apprezzabi-le e lodevoapprezzabi-le soprattutto considerato che, fino a questo momento, la disciplina peccava in termini definitori e la linea di demarcazione tra i due concetti appariva molto sfumata.

Invero, il vocabolo crisi era già presente nel nostro ordinamento e nel-la disciplina del diritto concorsuale; si noti come già nel-la legge istitutiva dell’amministrazione straordinaria faceva riferimento alle “grandi im-prese in crisi” e come con la riforma del 2005 si stabiliva che potesse accedere al concordato preventivo il debitore in stato di crisi. Ne man-cava tuttavia una definizione concettuale, contrariamente a quella di insolvenza che veniva individuata (art. 5 l.fall.) come l’incapacità per il debitore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni: defini-zione che, si noti, è rimasta sostanzialmente immutata nel CCI. Era, comunque, opinione comune che tra i concetti di crisi e di insolvenza intercorresse un rapporto di genus a species nella misura in cui il se-condo rappresentava sicuramente lo stato più grave in cui potesse de-generare la crisi e pertanto specificazione della categoria più ampia, osservazione che, tra le altre cose, ha trovato conferma nella novella

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19 del 2006 (d.l. 30 dicembre 2005, n.273, convertito in l. 23 febbraio 2006, n.51) che, in tema di presupposti per l’ammissione al concorda-to preventivo, chiarisce che “per staconcorda-to di crisi si intende anche lo staconcorda-to

di insolvenza” (art. 161, co.3, l. fall.).

In tal modo però, il concetto di “crisi” diventava tanto ampio da ri-comprendere casi molto diversi, dalle situazioni caratterizzate da meri andamenti negativi a quelle di vera e propria insolvenza finanziaria; il che, nonostante sia indiscusso che la crisi è una nozione che ha una natura prevalentemente dinamica13, rendeva necessaria l’elaborazione di una sua definizione puntuale.

13 La disciplina aziendalistica ha elaborato tre diverse tipologie di approcci

utilizza-bili, nel tentativo di conferire operatività giuridica e dinamicità alla nozione statica e descrittiva di crisi ex art. 2.1 lett. a), CCI. Il primo, che può essere definito esterno tende a focalizzare l’attenzione ed attribuire rilevanza giuridica alle ripercussioni esterne che i comportamenti dell’impresa, ed in particolare di quella “insolvente”, determinano. Si pensi ai vari riflessi che un tale atteggiamento può produrre: ritardi o mancati pagamenti, difficoltà nel ricorso alla concessione del credito, conseguente revoca dei fidi e prestiti bancari, mancato versamento di imposte, perdita di credibi-lità e affidabicredibi-lità sia livello imprenditoriale che sociale. La condivisione di un simile approccio ai fini della valutazione circa la ricaduta di un’impresa nello stato di crisi, certamente si basa su elementi oggettivi, fatti che sono percepibili e verificabili dall’esterno con estrema agevolezza. Tuttavia, resta il fatto che, solitamente, la per-cezione a valle di simili difficoltà economico- finanziarie presuppone, a monte e presumibilmente, una situazione ancora più acuta. Ciò significa che l’estrema ogget-tivizzazione ed esteriorizzazione di tale approccio evidentemente corre il rischio di intercettare segnali di difficoltà economico- finanziarie rilevanti in uno stadio ormai troppo avanzato, tale per cui la probabilità di insolvenza di cui si discorre finisce per assumere il connotato della certezza e vanificare quindi la ratio di prevenzione che rappresenta lo spirito della riforma Rordorf ,la quale, proprio a tal fine, ha orientato l’elaborazione delle misure di allerta.

L’altro approccio è di tipo interno consuntivo: interno perché esso non prende in considerazione fatti che siano frutto di una ricaduta esterna di una situazione azien-dale, quanto piuttosto trae origine dalla dimensione interna all’impresa e, con mag-giore precisione, dalle relative situazioni contabili; consuntivo dal momento che si presta a fotografare la situazione economico- finanziaria dell’impresa che risulta dai saldi contabili elaborati dall’azienda ad una determinata data. In ogni caso, la natura consuntiva di un simile approccio mal si concilia con il concetto di crisi intesa come

probabilità di futura insolvenza. In altre parole, la valutazione prognostica che si

rende necessaria per poter escludere o intercettare una situazione di difficoltà eco-nomico- finanziaria rilevante, non potrà mai essere elaborata se il metodo cui ci si

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20 Risulta inoltre doveroso ribadire, come è stato sottolineato più volte anche dalla giurisprudenza di legittimità 14, che non vi è sovrapposi-zione tra il concetto di inadempimento e quello di insolvenza o, più specificatamente, che il secondo non sia necessariamente la logica conseguenza del primo. Gli inadempimenti che sono richiamati nella definizione di insolvenza non sono, come quest’ultima, uno stato, bensì un fatto oggettivo che deve essere letto in chiave meramente in-diziaria circa l’effettiva configurabilità del suddetto stato. Essi posso-no infatti derivare da una scelta deliberata del debitore di posso-non adem-piere o essere altresì quantitativamente irrilevanti ai fini di insolven-za15.

Alla luce quindi della lacuna che la disciplina precedente presentava è condivisibile l’innovazione che il CCI ha apportato in ambito definito-rio.

approccia è di tipo consuntivo, atto quindi a guardare addietro, senza però volgere lo sguardo in un futuro più o meno prossimo, nel tentativo di analizzare quali e se ci possano essere prospettive gestionali tipiche di un’impresa in bonis o, a contrario, di una che è potenzialmente rientrante nell’ambito di operatività dell’articolo 2.1 CCI. Sicuramente, data la definizione di crisi in chiave strettamente probabilistica che il CCI ha delineato, l’approccio che sembrerebbe più idoneo ad una simile valu-tazione è quello di carattere interno previsionale, che trae origine dai piani economi-co- finanziari che vengono elaborati internamente. Sarà quindi sulla base di questi piani finanziari che verranno redatti in chiave prospettica che, evidentemente, dovrà essere effettuata un’opportuna analisi orientata nei termini di cui all’art 2.1 CCI con la consapevolezza, tuttavia, di poter facilmente incorrere nel rischio insito ex se in un’attività di carattere prognostico: quella cioè di “prevedere” situazioni migliori e più favorevoli di quelle che poi si prospetteranno. In argomento Quagli A., Il

con-cetto di crisi d’impresa come incontro tra la prospettiva aziendale e quella giuridi-ca, in Il Caso.it, 2 febbraio 2016.

14 Di recente Cass. 20 Novembre 2018, n.29913, in Cortedicassazione.it

15 Policaro G. A., La crisi d’impresa e gli strumenti di monitoraggio nel disegno di

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21 Come anticipato agli inizi del paragrafo, relativamente alla definizione concettuale di cui all’art 2.1, lett. a), CCI, si nota come sia stata data una nozione di crisi che sembra acquisire adesso una propria autono-mia concettuale rispetto al passato. Riprendendosi, quindi, la suddetta definizione, l’attenzione deve essere focalizzata in modo particolare sulla parte in cui il codice parla della crisi come dello “stato di

diffi-coltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del de-bitore”.

Ora, il concetto di probabilità che il legislatore ha utilizzato nella for-mulazione della norma e che funge da connessione tra lo stato di diffi-coltà e quello di insolvenza, contribuisce alla costruzione di una no-zione di crisi che appare del tutto simile a quella che la giurisprudenza di legittimità aveva definito “insolvenza prospettica”. S’intende, a tal proposito, far riferimento a quell’orientamento giurisprudenziale se-condo cui, ai fini della dichiarazione di fallimento (o più genericamen-te ai fini dell’accesso ad una procedura concorsuale) la verifica della sussistenza dello stato di insolvenza possa promanare non soltanto dall’accertamento in termini di stretta attualità dell’incapacità, per l’imprenditore, di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, ma anche quando sia meramente prospettabile il verificarsi in un

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futu-22 ro imminente del suddetto status, tramite un’adeguata valutazione in chiave prognostica16.

Ciò che quindi rileverebbe, secondo tale orientamento, ai fini della qualificazione della categoria dell’insolvenza prospettica alla stregua di presupposto per l’accesso alle procedure concorsuali, sarebbe pro-prio il grado di prossimità e certezza che un’analisi prognostica sulle imminenti evoluzioni aziendali mostrerebbe rispetto alla fattispecie insolvenza17.

E, in effetti, la similarità tra il concetto di insolvenza prospettica e quello delineato ex art. 2.1, lett. a,) CCI merita, o meglio, esige un’osservazione di fondo: se è vero che la logica sottesa alla riforma delle procedure concorsuali risiede, per l’appunto, nell’evitare la rica-duta nello stato di insolvenza tramite un’adeguata prevenzione del dis-sesto, non si capisce perché la definizione dello stato di crisi debba es-sere calibrata proprio in funzione del grado di prossimità e probabilità rispetto alla fattispecie dell’insolvenza.

16 Sull’argomento Ambrosini S., Crisi e insolvenza nel passaggio fra vecchio e

nuo-vo assetto ordinamentale: considerazioni problematiche, in il Caso.it, 14 gennaio

2019

17 Sull’argomento, in giurisprudenza Trib. Milano 3 ottobre 2019, in Il Caso.it, il

quale evidenzia: “Poiché poi le procedure vanno intese non come semplici rimedi ex

post a situazioni dannose, al pari delle revocatorie ad esempio, ma, soprattutto nel-la loro evoluzione necessitata dall’orientamento delle direttive europee, come stru-mento di emersione tempestiva della crisi per ridurre al minimo l’impatto della stes-sa ed il pregiudizio delle ragioni creditorie, è chiaro che si posstes-sa e debba ricorrere ad una procedura che presuppone l’insolvenza non solamente in caso di insolvenza conclamata e risalente, ma anche quando essa si sta per manifestare all’esterno in tutta la sua gravità”, chiarendo però, allo stesso tempo come “sussista una zona gri-gia, un momento in cui la crisi è solo intrinseca, e come fatto esterno non si manife-sta ancora con inadempimenti o altri fatti esteriori”, tale per cui diventa

indispensa-bile capire se l’impresa versa realmente nell’insolvenza prospettica, oppure sempli-cemente in uno status più generalizzato di crisi, motivo per cui il concetto di insol-venza prospettica deve “essere coniugato nella fattispecie con prudenza”.

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23 In altri termini, sebbene sulla base di un preciso monito europeo in tal senso18, ricondurre la crisi alla probabilità di insolvenza significa deli-neare e declinare il suddetto status nella prospettiva della ragionevole certezza della ricaduta nel dissesto più grave, piuttosto che il contra-rio, con la conseguenza che una simile soluzione corre il rischio di muoversi nel senso esattamente opposto alla logica di rilevazione tempestiva delle criticità su cui si impernia l’intera riforma19.

Ancora più specificatamente, può dirsi che una cosi delimitata defini-zione di stato di crisi finisce quasi per “appiattirsi” eccessivamente sulla nozione di insolvenza, di modo che potrebbero restare fuori dalla visuale del legislatore quelle situazioni che si configurerebbero come realmente “embrionali” rispetto al più grave dei dissesti20. In effetti, il fatto che tra gli indicatori della crisi ex art. 13 CCI, il legislatore della riforma abbia espressamente contemplato “ritardi nei pagamenti

rei-terati e significativi”, sentore piuttosto “tipico” di chi versa nella già

conclamata insolvenza, è esemplificativo del fatto che l’attenzione

18 Si ricorda che, ai fini dell’individuazione dello status rilevante per l’accesso a

procedure di ristrutturazione, la Raccomandazione della Commissione UE n. 135/2014 , allude espressamente a difficoltà finanziarie che comportino “con tutta

probabilità l’insolvenza del debitore”; analogamente il Regolamento UE n.

2015/848, sempre in relazione alle procedure di ristrutturazione, richiama, come presupposto legittimante la loro accessibilità, la “probabilità di insolvenza”, concet-to ribadiconcet-to, peraltro, anche dall’art.4 della Proposta di Direttiva n. 359/2016 e nella relativa Direttiva UE n. 2019/1023.

19 Così, Bartalena A., Il concordato in continuità, in Crisi di impresa e insolvenza.

Prospettive di riforma, a cura di Calvosa, Pisa, 2017, p. 85 ss., a p.93.

20 Così Rossi A., Dalla crisi tipica ex CCII alla resilenza della twilight zone, in Il

Fallimento, 2019, p. 291 ss., a p.293, che evidenzia come “Il CCII sarà, alla fine dei conti – e senza che questo suoni assolutamente in termini spregiativi- una legge fallimentare in quanto destinata a trattare situazioni in cui la crisi è già manifestata all’esterno dell’impresa e, dunque, comprensibilmente fornirà una disciplina desti-nata a trattare comunque fattispecie circostanti lo stato d’insolvenza” (p. 295).

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24 verrà focalizzata proprio sulle situazioni più gravi del dissesto, piutto-sto che su quelle minori.

Ora, la crisi di un’impresa può essere sostanzialmente di due tipolo-gie: industriale e finanziaria.

La prima si sostanzia nell’incapacità di mantenere una posizione di confronto con i competitor o comunque di adeguarsi ad un mercato competitivo ed investe principalmente la “formula imprenditoriale” nella misura in cui scaturisce da investimenti o strategie imprendito-riali sbagliate.

L’altra tipologia è la crisi di tipo finanziario, che si pone in ogni caso come logica conseguenza di quella imprenditoriale e si sostanzia in un disallineamento della gestione finanziaria principalmente dovuto ad uno squilibrio nel rapporto tra mezzi propri e quelli di terzi in assoluto o dall’incapacità di realizzare adeguati flussi di cassa operativi.

In ogni caso, qualunque sia l’origine delle varie cause di declino, la crisi mantiene i suoi caratteri della multidimensionalità, tale per cui si determina un intreccio di cause e concause, e quello dell’urgenza, fun-zionale ad evitare la ricaduta nello status irreversibile di insolvenza21. L’art. 13 CCI provvede specificatamente all’individuazione di alcuni elementi o dati di fatto che delinea espressamente come indicatori di crisi: “gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario,

21 Motta A., L’emersione della crisi aziendale dalle variabili di bilancio, in Il

Falli-mentarista.it, 25 luglio 2012, il quale, peraltro, richiama le due tipologie di crisi:

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25

rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costru-zione o di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi suc-cessivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della va-lutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi”.

Premesso che è stato espressamente demandato al Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili l’incarico di una loro elaborazione22, dovendo operare altresì una classificazione degli stessi sulla base delle varie tipologie di attività economiche, tenendo conto dei dati I.S.T.A.T., qualora un’impresa ritenga che gli indici ad essa applicabili secondo i criteri suddetti in realtà non siano adeguati alla 22 Attualmente il CNDCEC ha provveduto alla pubblicazione di tali indici, i quali

sono stati inviati al MISE, ai fini della loro approvazione. Al riguardo, nel testo della bozza del 19 ottobre 2019, si legge che il patrimonio netto negativo e il DSCR (Debt

Service Coverage Ratio) a sei mesi inferiore a 1, rientrano tra gli “indici che fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”.

Tutta-via, nel caso in cui il DSCR non sia disponibile oppure i dati ai fini della sua rileva-zione non siano affidabili, a meno che la situarileva-zione di crisi non venga intercettata dal patrimonio netto negativo o dalla presenza di reiterati e significativi ritardi, ven-gono in ordine una pluralità di indici che debbono essere utilizzati in combinazione tra di loro: indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato, indice di adeguatezza patrimoniale in termini di rap-porto tra patrimonio netto e debiti totali, indice di ritorno liquido dell’attivo in ter-mini di rapporto tra cash flow e attivo, indice di liquidità in terter-mini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine, indice di indebitamento previden-ziale e tributario in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenpreviden-ziale e tributario e l’attivo. In argomento Foschi A.- Danovi A.- Quagli A.- Ranalli R.- Rinaldi P.,

Crisi d’impresa. Indici di allerta dei commercialisti, ne Il Sole-24 Ore documenti,

2019, i quali sottolineano che “I falsi positivi (e cioè il rischio di segnalare realtà

che non presentano il rischio di default nei tre anni successivi) sono limitati a un livello di segnalazioni ragionevoli e comunque sono circoscritti ai soli cinque indici ad impiego congiunto, che peraltro assumono un ruolo subordinato rispetto agli al-tri indicatori (reiterati e significativi ritardi nei pagamenti, paal-trimonio netto negati-vo, DSCR inferiore ad 1) necessitando di essere corroborati da ulteriori elementi per assumere comunque la natura di “fondati indizi”.

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26 stessa, una volta calati nella situazione concreta, allora essa è tenuta a specificarne la presunta inadeguatezza nella nota integrativa al bilan-cio, con la relativa possibilità di costruirsi indici “in house”, ferma re-stando la previa attestazione da parte di un professionista indipenden-te.

Il CCI fissa un termine di sei mesi come orizzonte temporale idoneo a misurare la capacità o meno del debitore di adempiere.

In altre parole, il termine di cui sopra di sei mesi è la frazione tempo-rale nel corso della quale si devono misurare l’eventuale insostenibili-tà, da parte dell’impresa, dei debiti e, più in generale le prospettive di continuità aziendale. Gli indici che i Dottori Commercialisti hanno cu-ra di fissare sono funzionali a captare eventualmente, nel lasso di tem-po suddetto, l’incapacità dell’impresa di sostenere i suoi debiti e le in-certezze nella prospettiva di continuità aziendale, sintomi di una situa-zione di crisi i cui indicatori principali sono gli squilibri di cui all’art. 13.1 CCI.

Come accennato agli inizi del paragrafo, non tutte le criticità econo-mico-finanziarie che possono innestarsi nel corso della vita di un’impresa sembrerebbero essere rilevanti per la nuova disciplina, ma soltanto quelle che mostrino una ragionevole certezza di insolvenza a breve e che possono essere intercettate con l’ausilio degli indicatori di cui si è detto. Difatti è soltanto a fronte della rilevazione di tali indica-tori che si può dire di ricadere all’interno del perimetro più specifico di operatività dell’art. 2 CCI che è il solo da cui scaturiscono gli

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speci-27 fici obblighi di segnalazione gravanti sugli organi di controllo societa-ri che saranno oggetto di analisi nel prossimo capitolo.

Alla luce, quindi, del combinato disposto degli artt. 2 e 13 CCI sembra che il legislatore abbia voluto creare un meccanismo che promana da un concetto di crisi che non è poi così ampio e diffuso.

La lettura in combinato disposto degli articoli suddetti, infatti, si rende necessaria posto che, fermo restando il merito, da parte del legislatore della riforma, di aver provveduto a dare una definizione del concetto di crisi, questo non può che essere apprezzato in chiave prettamente statica, non potendo fungere da parametro operativo in base al quale gli organi di controllo e i revisori valutino lo stato di dissesto.

In altri termini, sono i campanelli d’allarme previsti all’art. 13 CCI a riempire di significato il concetto più ampio di crisi e sono al contem-po i soli parametri in presenza dei quali gli organi di controllo societa-ri sono tenuti ai dovesocieta-ri di segnalazione ex art. 14 CCI, senza potersi interrogare circa l’effettiva configurabilità dello stato di “crisi” così come delineato, in termini prettamente descrittivi, dall’art. 2 CCI. Inoltre, posto che, anche ai fini dell’esonero dalla responsabilità, gli organi di controllo societari saranno obbligati alla segnalazione all’OCRI ogni qual volta l’impresa supererà determinate soglie, senza poter scendere nel “merito”, la rilevazione di eventuali falsi positivi non potrà che avvenire di fronte all’organismo di composizione della

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28 crisi, il quale sarà l’unico, nel caso, a poter archiviare la segnalazione in questione23.

A sostegno di quanto appena sottolineato, e cioè della scarsa discre-zionalità in capo agli organi di controllo in tema di segnalazione, vi è l’orientamento prevalente che sembra prediligere l’elaborazione, da parte degli esperti contabili, di indici che preferiscono un maggior numero di falsi negativi piuttosto che positivi.

Questo perché, si dice, l’adozione di criteri troppo stringenti determi-nerebbe il rischio di un eccessivo allarme sociale, tale per cui si enfa-tizzerebbero situazioni di mera tensione finanziaria che l’impresa è in grado di superare autonomamente o con rimedi meno invasivi, tenuto, altresì, conto che, in ogni caso, la situazione critica delle imprese ri-maste escluse, se realmente compromessa, sarebbe comunque destina-ta ad emergere successivamente e con un significativo grado di certez-za24.

Certo è che, un siffatto meccanismo corre il rischio di far scattare i campanelli d’allarme della crisi quando il dissesto è già piuttosto gra-ve, nella misura in cui sembra che il sistema delineato sia destinato a trattare situazioni piuttosto limitrofe alla già conclamata insolvenza o, per riprendere un concetto esaminato in precedenza, piuttosto similari 23 Rossi A., op.cit., a p. 294.

24 Fontana R., in Il nuovo diritto della crisi d’impresa: ruolo e funzioni del giudice,

dei suoi ausiliari e dei professionisti (le misure di allerta e i nuovi compiti del Pm),

Teatro Goldoni Livorno, 2019; in argomento anche Ranalli R., Gli indicatori di

al-lerta nel testo del disegno di legge delega della riforma fallimentare approvato dal-la camera; esame critico; rischi per il sistema delle imprese, in Il Caso.it, febbraio

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29 alla insolvenza prospettica, con il forte rischio di vanificare l’utilità e l’efficienza degli strumenti che il CCI ha rigorosamente previsto25.

1.3 Il principio di continuità aziendale

Dall’analisi effettuata nei paragrafi precedenti, emerge chiaramente come la continuità aziendale sia, al tempo stesso, principio ispiratore ed obiettivo chiave nell’ambito degli sviluppi comunitari in materia di insolvenza ed inoltre come una sua corretta valutazione sia determi-nante ai fini della misurazione dello stato di salute o di malattia di un’impresa. Prima di approfondire i vari ambiti di rilevanza della con-tinuità aziendale o, per utilizzare il termine anglosassone del going

concern, appare pertanto opportuno cercare di darne una definizione a

livello concettuale. Invero, non esiste un’accezione unitaria, data so-prattutto la molteplicità di descrizioni che ne sono state elaborate; allo stesso tempo, però, è vero anche che tutti i tentativi di definizione contribuiscono a delineare il concetto in termini di connessione con lo

status finanziario dell’impresa e quindi con due fattori principali: la

capacità dell’impresa di estinguere le proprie obbligazioni e

25 Sull’argomento Ranalli R., Il codice della crisi; gli “indicatori significativi”: la

pericolosa conseguenza di un equivoco al quale occorre porre rimedio, in Il Caso.it,

12 novembre 2018, il quale evidenzia come per contenere i falsi positivi “occorre

collocare la soglia di rilevanza ad un’altezza tale che, quanto meno apparentemen-te, compromette la reale tempestività della segnalazione. Sono soglie, infatti, che appaiono più propriamente confinate in situazioni di rilevante, non recuperabile patologia piuttosto che in quella di mera crisi”.

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30 l’intenzione di continuare nello svolgimento dell’attività, non essendo ravvisabili orizzonti liquidatori o interruttivi a vario titolo.

Lo IASB (International Accounting Standards Board), non a caso, avvalora la rilevanza del going concern alla stregua di “underlying

as-sumption” - presupposto di base- nella misura in cui ribadisce come

sia a questo cui debbono ispirarsi le valutazioni dei dati aziendali che gli organi competenti sono tenuti a porre in essere.

In particolare, l’organismo responsabile dell’emanazione dei principi contabili internazionali ribadisce la pregnanza del suddetto postulato in tre situazioni peculiari: analisi delle attività e passività, individua-zione delle varie passività, elaborazione delle disclosure

sull’impresa26.

A questo punto è quindi opportuno soffermarsi sull’analisi della con-tinuità aziendale in qualità di principio di redazione del bilancio d’esercizio, ai sensi dell’art. 2423- bis, co.1, c.c., il quale dispone che la “valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella

prospettiva della continuazione dell’attività”.

Suddetto postulato trova disciplina sia nel codice civile, che nel Prcipio di revisione ISA Italia 570. Inoltre, anche i principi contabili in-ternazionali lo richiamano espressamente: lo IAS (International

Ac-counting Standards) 1, 25 ribadisce che “nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione

26 In argomento Maffei M., Il principio della continuità aziendale e il controllo della

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31

della capacità dell’impresa di continuare a operare come un’entità in funzionamento. Il bilancio deve essere redatto nella prospettiva della continuazione dell’attività a meno che la direzione aziendale non in-tenda liquidare l’entità o interromperne l’attività “.

Con riferimento al principio ISA Italia 570 di cui sopra, la verifica della sussistenza del presupposto della continuità aziendale viene de-sunta da una serie di indicatori che possono avere natura finanziaria, gestionale o di altro tipo27.

Tra i primi, a titolo esemplificativo, si registrano situazioni di deficit patrimoniale, cessazione di sostegni finanziari, perdite operative, dif-ficoltà nei pagamenti ed incapacità di rispettare le clausole contrattuali dei prestiti. Tra le altre tipologie di indicatori si richiamano le perdite rilevanti di capitale, con riduzione al di sotto del minimo legale, even-tuali procedimenti legali in corso e modificazioni legislative che pos-sono potenzialmente influire negativamente sull’andamento dell’attività.

Appurato quindi, in chiave prettamente statica, come la continuità aziendale debba essere la chiave di lettura e in primis di scrittura di un bilancio d’esercizio, il successivo IAS 1, § 26 provvede ad una valo-rizzazione dinamica dello stesso, individuando altresì un elemento

27 Villani A., Amaturo B., Acunzo G., Meloni M., Continuità aziendale: correnti

sviluppi nell’ambito dei principi contabili e di revisione, in Rivista dei dottori com-mercialisti, agosto 2018, p. 671 ss.

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32 temporale (12 mesi) in base al quale parametrare la continuità di cui sopra.

Recita infatti testualmente suddetto articolo: “nel determinare se il

presupposto della prospettiva della continuità aziendale tiene conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo ad almeno, ma non limitato a, 12 mesi dopo la data di chiusura dell’esercizio”.

Ciò significa che l’iscrizione dei valori in bilancio deve essere effet-tuata sulla base di una valutazione prospettica e cioè quella che l’impresa debba continuare nello svolgimento della sua attività in condizioni normali, almeno per i 12 mesi successivi alla data di rife-rimento del bilancio in considerazione e che non sussistano l’intenzione o la necessità di avviarla ad uno stato di liquidazione o all’assoggettamento a procedure concorsuali di vario tipo.

Inoltre, si prevede che la valutazione e l’analisi che la direzione azien-dale deve effettuare dipendano anche dalle circostanze specifiche di ciascun caso.

Quindi, alla luce di quanto detto sopra, la continuità aziendale, oltre che fungere da principio-guida nella redazione del bilancio d’esercizio, riveste un ruolo di fondamentale importanza anche nel si-stema delle valutazioni. Il riferimento va all’ambito del controllo le-gale dei conti laddove il revisore deve tener di conto del presupposto della continuità aziendale sia nella fase delle procedure di revisione in senso stretto che in quelle di valutazione dei risultati.

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33 Per quanto attiene alle prime, chiaramente il monitoraggio della conti-nuità aziendale comporta, per il revisore, attività come quella di ana-lizzare e discutere con gli amministratori i dati previsionali rilevanti, i flussi di cassa prospettici, la redditività attesi e, se redatti, i bilanci in-termedi o le situazioni patrimoniali di periodo, oppure la lettura dei verbali di assemblee, del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, per escludere o, se del caso, intercettare segnali di difficoltà finanziarie o, ancora, l’ accertamento circa l’attendibilità del sistema che origina i vari dati, al fine dell’acquisizione di elementi sull’appropriato utilizzo o meno del presupposto in esame.

Per quanto concerne invece il momento della valutazione, in pratica, nell’informativa di bilancio (nota integrativa o equipollenti), è neces-sario che gli amministratori indichino con puntualità le valutazioni ef-fettuate in ordine alla capacità dell’impresa di continuare a operare come un’entità in funzionamento e, nella redazione del bilancio, in ordine all’utilizzo appropriato del presupposto della continuità azien-dale.

L’attività di monitoraggio del suddetto principio da parte del revisore potrà quindi sfociare in un giudizio di appropriatezza, di incertezza si-gnificativa o di inappropriatezza da cui deriverà dopo l’analisi, l’elaborazione di un giudizio positivo, con rilievi o negativo a seconda dell’adeguatezza o meno dell’informativa di bilancio.

In altre parole, il revisore deve, in ogni caso, valutare se il bilancio fornisca un’informativa adeguata in ordine agli eventi e alle

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circostan-34 ze che possono attentare alla capacità di un’impresa di continuare co-me un’entità in funzionaco-mento. Struco-mentale a tal fine può essere l’inserimento di un apposito paragrafo recante il termine “richiamo d’informativa”, contenente l’indicazione di quegli eventi e circostanze che il revisore ritiene essere di fondamentale importanza ai fini della comprensione del bilancio stesso da parte dei terzi28.

Anche ai sensi del Principio ISA Italia 570 (§ 18-20), il revisore deve valutare il corretto utilizzo del criterio della continuità aziendale e l’adeguatezza dell’informativa di bilancio (in assenza della quale deve esprimere, a seconda dei casi, un giudizio con riserva o un giudizio negativo), inserendo, però, un richiamo di informativa, qualora inter-cetti un’incertezza significativa relativamente ad un evento o ad una circostanza che possa far sorgere “dubbi significativi sulla capacità

dell’impresa di continuare ad operare come un’entità in funzionamen-to”.

Sembra quindi, alla luce delle fonti richiamate, che la perdita della continuità aziendale determini l’abbandono del principio del going

concern (sia a livello di redazione del bilancio che in sede di

valuta-zione dello stesso) soltanto quando sussista la ragionevole certezza della sua irreversibilità (sia pure in un termine più lungo di quello già

28 Si veda Principio ISA Italia 706 (§ 8-9); sull’argomento Ponzo G.-Nascia R., La

relazione del revisore legale in conformità ai principi di revisione, in Amministra-zione&Finanza, 2018, p. 49 ss.

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35 fissato dall’art. 13.1 CCI) e cioè quando, alla stregua di una valutazio-ne prospettica, non ci siano alternative alla cessaziovalutazio-ne dell’attività. Ora, come ribadito in precedenza, molteplici sono i fattori rilevanti nell’ambito di un giudizio di sussistenza della continuità aziendale. Ebbene, ferma restando l’evidenziazione degli elementi di squilibrio che possono metterla in pericolo, è pur vero che è opportuno attendere la valutazione che gli amministratori sono tenuti a fare circa la possi-bilità di risanamento dell’impresa29.

È possibile infatti che, nonostante la situazione finanziaria di un’impresa sociale mostri segnali di squilibrio, la direzione aziendale ritenga che sia possibile, in termini prospettici, proseguire l’attività in un’ottica di risanamento, attraverso l’elaborazione di misure correttive e di futuri piani di azione30. Come anticipato poco fa, infatti, la nozio-ne di continuità aziendale è connotata da due componozio-nenti: la prima ri-siede nell’individuazione degli indicatori che, in chiave prettamente statica, possono far sorgere dubbi sulla sussistenza del requisito in esame e che sono appositamente elencati nel Principio ISA Italia 570; la seconda risiede nella proiezione, in un futuro piuttosto prossimo, delle capacità o meno di superamento del dissesto finanziario. È ne-cessario pertanto ancorare l’accertamento circa l’assenza della conti-29 Baccetti N., La gestione delle società in crisi tra perdita della continuità

azienda-le ed eccessivo indebitamento, in De Jure, 2016

30 Data l’assenza di obblighi espressamente tipizzati da parte del legislatore di fronte

al verificarsi di difficoltà economico-finanziarie, tali da poter compromettere la pro-spettiva di continuità aziendale, ricade nell’ambito di operatività della discrezionali-tà amministrativa o, meglio, del principio della corretta gestione imprenditoriale la scelta di una tra le possibili alternative che si possano prospettare per la società.

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36 nuità aziendale alla ragionevole certezza, in chiave prognostica, dell’esito negativo di ogni tentativo di recupero dell’equilibrio eco-nomico.

Se così è, risultano, allora, poco condivisibili quelle tesi che tentano di annoverare la perdita di continuità aziendale nell’ambito di operatività della causa di scioglimento delle società per impossibilità di conse-guimento dell’oggetto sociale31, in quanto tale soluzione non sarebbe coerente con una logica di adeguata prevenzione della crisi, bensì po-trebbe attagliarsi, piuttosto, a casi in cui l’impresa societaria proba-bilmente versa già nello status di insolvenza.

Più di ogni altra cosa, annoverare la perdita di continuità aziendale, e quindi un mero squilibrio economico-finanziario, alla stregua di causa di scioglimento della società significherebbe non tener di conto delle capacità riorganizzative dell’impresa alla cui valorizzazione, tra le al-tre cose, è improntato peraltro il sistema concorsuale, laddove questo prevede strumenti di composizione della crisi (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti, piano di risanamento), volti al

31 L’argomentazione principale utilizzata da quella parte della dottrina che sostiene

l’impossibilità di ricondurre il venir meno della continuità aziendale nell’ambito di operatività della causa di scioglimento della società ex art. 2484 co.2 c.c. risiede nel-la considerazione per cui l’impossibilità delnel-la quale parlerebbe il legisnel-latore evoche-rebbe una fattispecie diversa e autonoma da quella in esame. Con maggiore preci-sione, l’impossibilità cui allude l’articolo codicistico sarebbe più che altro riferibile ai casi di impossibilità oggettiva, assoluta, irreversibile e definitiva di conseguire l’attività esercitata dalla società ed indicata espressamente nel contratto sociale (e quindi di tipo giuridico e materiale), piuttosto che un’impossibilità di carattere eco-nomico- finanziario. Sull’argomento Faggiano M., Accertamento giudiziale

dell’assenza del presupposto della continuità aziendale. Il commento, in Le Società,

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