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1.5 Sfruttamento lavorativo e caporalato in Toscana. Approfondimento sull’edilizia

1.5.2.4 Caporalato, zona grigia e infiltrazioni

Analizzando ora le forme più gravi di sfruttamento lavorativo, è opportuno iniziare da un dato di estremo interesse. Si è in precedenza rimarcato come nel 2020, con 209 lavoratori individuati dall’Inl come vittime di caporalato e/o sfruttamento lavorativo, la Toscana si collochi ai vertici nazionali. Di questi, ben 29 si riferiscono a lavoratori occupati nelle costruzioni: dopo l’agricoltura che conta 143 casi, le costruzioni sono il secondo comparto produttivo per numero di vittime di grave sfruttamento lavorativo. In assenza della ripartizione provinciale dei casi, non è possibile analizzare più in profondità il dato, anche se è probabile che una quota significativa di vittime sia riconducibile ai risultati della già citata inchiesta Cemento nero nelle province di Firenze e Prato.

Nelle interviste e focus-group, i riferimenti più espliciti emersi su casi di caporalato coinvolgono la comunità egiziana. Sia in precedenza che successivamente all’inchiesta Cemento nero, sarebbero emersi indicatori di intermediazione illegale e sfruttamento presso questa comunità, e presunti collegamenti operativi di reti criminali fra Toscana e Lombardia. È interessante notare come alcuni intervistati rilevino la presenza di meccanismi in qualche modo assimilabili al caporalato presso alcune imprese edili aggiudicatarie di grandi appalti, provenienti dal sud Italia, a danno di lavoratori meridionali fortemente soggiogati. In quest’ultimo caso, si tratterebbe di rapporti di potere che fanno leva sulla mancanza di opportunità occupazionali nei territori di origine e su vincoli di carattere sociale.

“Stiamo registrando un’enorme massa di lavoratori egiziani presenti nel settore. Sto dicendo che è una modalità operativa studiata bene. Abbiamo registrato in Cassa Edile a Firenze che con lo stesso nome ci lavorano in più aziende, perché c’è lo scambio di persone. In questo modo chi non è regolare con i documenti, può lavorare” (Int. 5)

“Sono le squadre di egiziani che non hanno identità, si passano fra loro la stessa identità, magari con permessi di soggiorno falsi, e il caporale che li fa venire… penso sia tratta, ora, passami il termine tratta, che ha la sua concentrazione a Milano…” (Int. 1)

“Soprattutto nella filiera degli appalti, molti lavoratori sono intercettati dall’immigrazione irregolare, molti immigrati hanno problemi ad avere anche un permesso di soggiorno perché i contratti che gli vengono fatti spesso sono di quindici giorni, di venti giorni e questo li rende anche da un punto di vista sociale più ricattabili, perché hanno difficoltà di affittare una casa, e il caporale, che spesso è il capomastro dell’impresa edile, diventa il gestore della vita, non solo lavorativa, ma anche sociale. Ci sono buste paga perfette dal punto di vista formale, ma poi si viene a sapere che a fronte di una busta paga di 1.600 euro, il lavoratore ne percepisce 900 perché il caporale gli consente di dimorare, come contropartita del suo lavoro, spesso e volentieri, nei gabbiotti all’interno dei cantieri, e quindi c’è non soltanto un problema di legalità…” (Int. 14)

“Secondo me il caporalato, a parte gli egiziani… ma c’è da sempre anche dal Sud, da Barletta, da Napoli, da Messina. In cantiere in Toscana c’è sempre il personaggio che ce lo trasporta o che gli indica dove andare a lavorare” (Int. 9)

“Sulla provincia di Firenze non ci sono imprese mafiose. A parte qualche caso tipo gli egiziani, che ci può essere il capetto, il capo-edile che fa lavorare… è più una cosa di tanta gente del sud che viene a lavorare qua. (Int. 8)

Sono stati dettagliati due episodi di minacce e aggressioni verso rappresentanti sindacali, collegabili a segnalazioni da loro effettuate su cantieri sospetti e irregolarità varie. Entrambi gli episodi si riferiscono a imprese edili provenienti dal sud. Nel primo caso si tratta di un appalto pubblico a Chiusi59: grazie alla sollecita denuncia sindacale, le verifiche compiute sull’azienda edile dalle istituzioni competenti hanno identificato l’infiltrazione mafiosa da parte di cosche di ‘ndrangheta.

Dopo la notifica dell’interdittiva antimafia della prefettura di Vibo Valentia, l’appalto è stato così revocato in tempi rapidi. Il secondo caso coinvolge un cantiere privato a Chianciano Terme.

Nonostante le indicazioni fornite sul fatto che il cantiere fosse probabilmente irregolare, e venissero compiuti abusi amministrativi e ambientali, a seguito di controlli ispettivi e di un periodo di sospensione dei lavori l’azienda comunque avrebbe terminato l’opera.

“Comunque sia, ho visto la differenza fra il comportamento dei due Comuni. Lì il sindaco si è attivato immediatamente, qui è vero c’è stato l’intervento dei vigili, dell’Ispettorato, poi il cantiere si è bloccato, ma poi è ripartito. A livello legale non si è fatto niente” (Int. 14)

Ad aziende operanti nel senese e nell’aretino, e per alcuni aspetti nel fiorentino, sono ascrivibili alcuni riferimenti sulla presenza di imprese criminali o mafiose, anche se la valutazione sul carattere criminale di determinati illeciti e determinate modalità di fare impresa non è sempre possibile, e quasi mai si rileva agevole e netta. In riferimento ai poteri, alle competenze e ai conseguenti limiti dell’attività sindacale, la possibile individuazione di fenomeni criminali può fermarsi entro certi limiti o circoscriversi in segnalazioni mirate, la cui eventuale presa in carico spetta ad altri enti.

In merito ai meccanismi d’infiltrazione di società riconducibili a interessi mafiosi o criminali nel settore edile in Toscana, sono sporadici i riferimenti espliciti a forme di influenza, di collaborazione e di collusione da parte di professionisti. La zona grigia appare sì presente, ma relegata sullo sfondo.

“Negli anni hanno cambiato 3, 4, 5 ditte, lasciando anche degli oneri non indifferenti in Cassa Edile, lasciando degli oneri non indifferenti ai lavoratori… Il sottoscritto si è rifiutato più volte di firmare la cassa integrazione, sapendo che ogni volta andavano al lavoro ugualmente. Tutte le volte per problemi economici saltava la ditta, va bene? Se non che riuscivano a recuperare dopo aver fatto dei viaggi attorno a Reggio Calabria. Uno dei titolari, dei fratelli andava giù, e per l’appunto c’erano soldi per gli stipendi, ok?” (Int. 7)

“A me è capitato quattro anni fa di trovare su un cantiere una cooperativa, che c’era una matrioska di cooperative, e questi lavoratori avevano il contratto multiservizi. Erano tutti lavoratori stranieri, egiziani e marocchini. (…) I muratori erano pochissimi, uno, due e gli altri erano tutti addetti multiservizi, ma facevano in realtà i manovali. Generalmente non ti raccontano, hanno paura. Spesso il lavoratore non ti risponde, dice che ha fatto tutto il datore, poi magari scopri che non è neanche assicurato…” (Int. 20)

“C’è una cultura, e qua bisogna prenderne atto, di interposizione di manodopera, ti porto a lavorare e mi devi riconoscere qualcosa, interna alla comunità egiziana, ma portata avanti anche da chi porta la

“Se tutte le beghe che ti arrivano, ti arrivano da uno studio… se tutte le aziende, non soltanto in edilizia, ma molte nell’edilizia, vanno da quello studio lì… bastava leggere l’indirizzo… anche se l’hanno cambiato nome negli anni, ma l’indirizzo è sempre lo stesso, mi viene in mente che c’è qualcuno che fa da collante…. non è possibile che un’azienda che viene da Napoli va da quello studio lì” (Int. 3)

Altri elementi centrali nel determinare l’appetibilità rivestita dalle costruzioni e dagli appalti pubblici per gli interessi mafiosi e criminali in Toscana sono la ricchezza diffusa nel territorio e la presenza di progetti infrastrutturali di grandi dimensioni e rilevante importo economico. Appare comunque spesso oggettivamente difficile per le organizzazioni sindacali riuscire a differenziare situazioni e operazioni sospette, ma riconducibili all’economia sommersa, da altre che presentano profili di illegalità più gravi, che possono manifestare indicatori legati alla presenza di organizzazioni, di persone o di interessi di tipo criminale o mafioso.

“Riuscire a dimostrare l’infiltrazione mafiosa non è cosa semplice. Può capitare un episodio, attraverso il quale si rende evidente che c’è un approccio imprenditoriale di altra natura. Il fatto che siano aziende che provengono da un territorio piuttosto che un altro non significa nulla. Al momento non abbiamo, per onestà intellettuale, segnali evidenti, palesi, se non dico dimostrabile perlomeno con una certa affidabilità (…) Infiltrazioni mafiose non abbiamo chiari segnali, che ci siano delle difficoltà sì” (Int. 5)

“Noi abbiamo due piccole imprese lapidee che hanno ricevuto interdittiva antimafia, su Firenze.

Ovviamente loro hanno fatto ricorso al Tar, l’azienda è ancora attiva. È evidente che altro problema è una provincia che, lo dico da non fiorentino, ha un altissimo tasso di coscienza sociale, ma è diventata permeabile, allettante da un punto di vista economico (…) sulla movimentazione della terra, sui materiali primari, la grave crisi che ha vissuto a livello nazionale, anche la Toscana, sui laterizi, sul cotto, quelle aziende in crisi possono o potrebbero diventare interessanti per quelli che hanno disponibilità finanziaria…” (Int. 5)

Conclusioni

I principali elementi e indicatori di grave sfruttamento lavorativo raccolti e analizzati possono essere così sintetizzati:

In riferimento agli effetti della pandemia sul piano occupazionale e dei redditi, la Toscana ha registrato nel corso del 2020 una situazione di profonda crisi del mercato del lavoro in termini di

sotto-occupazione, di ore non lavorate e di diminuzione delle retribuzioni, oltre a un significativo aumento di nuovi poveri, specie nelle fasce più precarie della forza-lavoro.

L’analisi sui principali casi di sfruttamento lavorativo emersi in Toscana nel periodo luglio 2020/giugno 2021 mostra che la maggioranza di illeciti continua a coinvolgere lavoratori stranieri occupati nelle province di Prato, Firenze e Pistoia in imprese manifatturiere del distretto del tessile e dell’abbigliamento, considerabile come il principale cluster di sfruttamento lavorativo in regione.

Dalle evidenze raccolte, emerge che altri comparti a rischio di sfruttamento risultano agricoltura, costruzioni e commercio. Gli indicatori più diffusi di grave sfruttamento lavorativo sono orari di lavoro eccessivi e assenza del giorno settimanale di riposo, assenza del contratto, retribuzioni fortemente sotto-dimensionate rispetto a quantità e qualità del lavoro svolto, esposizione a condizioni di pericolo per salute e sicurezza, approfittamento dello stato di bisogno.

I dati relativi al 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro attestano che la Toscana, con 209 persone oggetto di grave sfruttamento lavorativo (di cui 143 in agricoltura e 66 in altri comparti produttivi), è la seconda regione in Italia per numero di vittime identificate nelle attività ispettive sui luoghi di lavoro. Altri dati ricavabili dalle attività ispettive pongono la Toscana fra le regioni dove la parte emersa dell’area dello sfruttamento lavorativo è maggiore: numero totale di illeciti (quinta posizione), indice dato dal rapporto tra i lavoratori in nero e le ispezioni con esito irregolare (terza), indice dato dal rapporto tra i lavoratori vittime di sfruttamento lavorativo e i lavoratori irregolari (seconda). Al tempo stesso il numero di vittime di sfruttamento lavorativo assistite in Toscana nel 2020 è molto basso: questa contraddizione segnala le lacune del sistema di tutela, di presa in carico e di protezione sociale delle vittime di sfruttamento lavorativo.

L’analisi di alcuni recenti protocolli, progetti e linee-guida, locali e regionali, aventi come oggetto il contrasto di caporalato e sfruttamento lavorativo, mostra due elementi di fondo. In primo luogo, attestano come sia in atto sul piano istituzionale un aumento di sensibilità, di interesse e di interventi verso questi fenomeni, specie per quanto concerne l’agricoltura e il distretto pratese del tessile-abbigliamento. In secondo luogo, nei modelli di intervento multi-agenzia delineati vengono privilegiate le azioni di prevenzione e di contrasto, mentre – ad eccezione dei due protocolli di Prato – quelle di protezione sociale delle vittime non sono inserite in uno schema organico.

L’approfondimento tematico ha riguardato il settore edile, scelto in quanto scarsamente indagato in letteratura, nonostante alcuni indicatori e caratteristiche (morti e infortuni sul lavoro, malattie professionali, lavoro irregolare, aziende confiscate) lo individuino uno dei settori produttivi più connotati da sfruttamento lavorativo e infiltrazioni criminali. Nel 2020, le costruzioni risultano in

Gli elementi più salienti raccolti attraverso interviste e focus-group a 22 dirigenti e funzionari sindacali di Fillea Cgil Toscana sono sintetizzabili in tre punti. In primo luogo, nel settore delle costruzioni si assiste a un processo di dumping contrattuale e salariale provocato dalla crescente diffusione di contratti concorrenti a quello dell’edilizia e dall’uso irregolare dell’istituto del distacco.

Rispetto alle forme di sfruttamento lavorativo, più del lavoro nero è prevalente il lavoro grigio, che si manifesta come sotto-inquadramento, sotto-dichiarazione delle ore lavorate, elusione contributiva, irregolarità e violazioni solo parzialmente individuabili e contestabili attraverso le Casse Edili e gli strumenti di monitoraggio sindacale. Le forme più gravi di sfruttamento lavorativo, incluso il caporalato, fanno riferimento a casi emersi nelle fasce più precarie e vulnerabili della popolazione migrante, in particolare nella comunità egiziana. Altri indicatori della possibile presenza – comunque limitata ad alcuni contesti provinciali – di infiltrazioni criminali o mafiose nel settore delle costruzioni in Toscana sono relativi a irregolarità nella filiera degli appalti e dei sub-appalti pubblici, a minacce e intimidazioni nei confronti di sindacalisti, alla segnalazione di cantieri sospetti e/o di cooperative spurie.

Sezione II