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4. P RATICHE DI MAGIA GUARITRICE ALL ’ INTERNO DEL RECINTO TEMPLARE

4.2 La cappella di Thot a Dendera

La cappella di Hor371 era situata nell’angolo nord-occidentale del recinto sacro e attualmente ne rimangono solo i montanti della porta in calcare, dei quali uno è stato ritrovato per terra, mentre le pareti dovevano essere in mattoni. Sulla base del confronto con monumenti simili ancora esistenti, è stato possibile stabilire che l’edificio fosse di dimensioni piuttosto modeste, a pianta rettangolare, con orientamento est-ovest; se è possibile dire con quale materiale fossero fatte le pareti, lo stesso non vale per la copertura, che poteva essere in legno, mattoni, materiale vegetale ma poteva anche non essere affatto presente (fig. 78).

Figura 78 Ricostruzione ipotetica della cappella.

Ogni montante era suddiviso in un basamento e tre registri: quello a nord mostrava il re Tolomeo I Soter intento ad offrire a Thot, Amon-Ra e Horus, mentre il montante sud vedeva il re offrire a Harsomtus, Khonsu e di nuovo Thot.

Il lato interno del montante settentrionale presentava ancora un paio di piedi che erano probabilmente di Hor, colui che aveva fatto erigere la cappella, l’autobiografia del quale era incisa immediatamente al di sotto (fig. 79). Il lato interno del montante meridionale invece, portava un testo, su tre colonne, di un’iscrizione di contenuto magico, contenente una formula “per respingere l’occhio malvagio”.

La presenza di una biografia è un caso unico nel suo genere, perché solitamente questo tipo di testo era collocato su monumenti funebri o statue che celebravano la vita e le opere del defunto. L’iscrizione di Hor comunque, dava delle informazioni sulla sua vita in maniera molto più simile a quella richiesta da graffiti che da un’autobiografia vera e propria.

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L’unico titolo fornito dall’iscrizione era quello di “Scriba del tempio di Amon-Ra” che suggeriva la generica appartenenza di Hor al clero tebano. Questo titolo era seguito poi da una lacuna che terminava con la designazione egiziana di Dendera, ossia Iwnt-nt-tA-nTrt: dal momento che non si conosce alcuna divinità legata a questa località, mentre è nota la carica sacerdotale di “profeta degli dèi che non hanno un proprio sacerdote nel tempio di Iwnt-nt-tA-

nTrt”, è stato ipotizzato che la titolatura di questa seconda carica riempisse la lacuna

successiva al primo titolo372. Se così fosse, Hor avrebbe ricoperto un ruolo tutt’altro che trascurabile nella gerarchia sacerdotale tentirita.

Il titolo tebano e il posto rivestito dalle divinità tebane sulle scene d’offerta farebbero pensare che rivestisse, allo stesso tempo, una carica a Tebe e una a Dendera: purtroppo il suo nome, molto comune nella regione all’epoca, non permette di identificare con sicurezza il personaggio, tanto più che nell’iscrizione si è conservato solo il nome della madre, anch’esso attestato con frequenza a Tebe, mentre quello del padre è andato perduto.

Dopo l’elencazione dei titoli, veniva presentata l’opera architettonica di Hor che consisteva nel restauro di un edificio destinato ad accogliere degli ibis sacri, nella costruzione di una porta monumentale e nel recupero di alcune strutture del tempio di Hathor. Seguiva

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Ibidem, p. 47.

Figura 79 Lato interno del montante settentrionale della porta della cappella.

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l’elencazione delle ricompense desiderate: una casa, una serie di doni, un impiego di funzionario per sé e per suo figlio e infine la possibilità di “(fare) ciò che amano quei

privilegiati per i quali Ra ha deliberato sulla terra un decreto373”.

L’originalità del testo, redatto in terza persona anziché in prima, come era solito per le autobiografie, richiama piuttosto i racconti di spedizioni o le iscrizioni rupestri: questo fatto potrebbe ben spiegarsi con il carattere inusuale del supporto usato, vale a dire una cappella privata.

Di fronte a questa iscrizione, era presente una formula magica, attualmente molto rovinata, che occupava tre colonne nella parte superiore del montante meridionale e riportava “la

formula per respingere l’occhio malvagio”374. I protagonisti di questa formula erano Iside, Thot e Horus: la dea chiamava Thot (nominato in maniera implicita come il “dio che viene dal

cielo”) per proteggere Horus. Thot, come medico, era incaricato di prendersi cura di Horus,

ferito da Seth, ma era anche colui che riportava l’occhio solare a Ra e completava l’occhio lunare.

Il testo terminava con le parole che rendevano la formula efficace in ogni momento del giorno, ossia “l’ibis vivente trionfa su tutti i suoi nemici”, clausola che doveva essere ripetuta quattro volte, per assicurare la sua efficacia nei quattro punti cardinali.

Questa iscrizione sembra essere la prima attestazione, in forma abbreviata, di un libro utilizzato dagli operatori magici per respingere la cattiva sorte provocata dallo sguardo. La “formula per respingere l’occhio malvagio”375 non appare prima dell’epoca tolemaica e il testo di Hor ne è il primo estratto conosciuto, dal momento che menzioni precedenti citavano solamente il titolo della formula376.

Il tema della lotta contro l’occhio malvagio ritornava anche nella decorazione dei montanti delle porte. Lo schema voluto dal decoratore mirava a mettere in evidenza Tebe, che

373

Ibidem, p. 50.

374

Ibidem, p. 54.

375 L’occhio malvagio per eccellenza era quello del serpente Apopi, che compariva sia nei Testi dei Sarcofagi che

nel Libro dei Morti: la vicenda mitologica che si raccontava era quella dell’arrivo della barca del sole alla montagna di BAXw, dove l’equipaggio, sopraffatto dallo sguardo del serpente che risiedeva in quel luogo, era salvato dal dio Seth. I testi magici, soprattutto quelli contro gli attacchi di scorpioni e serpenti, facevano maggiormente riferimento al conflitto tra Ra e Apopi, utilizzando il precedente mitico del danneggiamento dell’occhio di Ra, durante uno scontro tra i due; oltre alla protezione dallo sguardo pericoloso dei serpenti e del serpente per eccellenza Apopi, erano attestate anche formule contro l’occhio malvagio di altri esseri, animali, umani o divini. La irt bint (l’occhio malvagio) sembra essere stato un potere malvagio a sé stante, non derivante da nessun essere in particolare, come dimostra l’inno a Thot nel papiro Anastasi III, recto 5, 4, che dice semplicemente: “ O Thot, tu sarai il mio compagno e io non temerò l’occhio”. In Borghouts, 1973, pp. 114-150.

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occupava il registro centrale di entrambi i montanti, con le offerte a Amon-Ra e Khonsu; a fianco ad essa, si trovavano Edfu, simboleggiata dall’offerta a Horus di Edfu, e la stessa Dendera, con l’offerta ad Harsomtus. Horus, detentore della regalità, sembrava trasmetterla ad Harsomtus, che riceveva in offerta la campagna, a simboleggiare la presa di possesso del suo dominio.

Queste tavole decorative simboleggiavano anche l’attività portata avanti da un privato, che portava il nome del dio falco e che esercitava delle cariche sia a Tebe sia a Dendera. Anche la costruzione dell’edificio per gli ibis sacri e l’intercessione di questo uccello nella lotta contro l’occhio malvagio (la formula terminava infatti con l’invocazione all’ibis vivente che trionfava sui nemici) erano suggerite dalle scene del secondo e terzo registro: nel secondo registro nord Amon-Ra riceveva l’unguento mD, che spesso veniva simboleggiato dall’occhio wDAt e proteggeva dallo sguardo dei nemici, mentre in quello meridionale Khonsu riceve l’wtt, una sorta di clessidra strettamente legata all’occhio wDAt e, per tradizione, prodotta dal dio Thot. Il terzo registro meridionale riproduceva l’offerta vera e propria dell’occhio wDAt a Thot in persona, perché evidentemente nulla meglio di un occhio sano poteva combattere l’occhio malvagio; invece in quello settentrionale era presentato a Horus del vino, che si collegava all’occhio wDAt attraverso un mito secondo il quale l’uva sarebbe stata la pupilla dell’occhio di Horus e il vino, le sue lacrime377.

Rimane da stabilire quale fosse la funzione di questo edificio: il testo magico e le tavole degli stipiti mettevano in primo piano Thot a testa d’ibis, dedicatario dell’offerta più significativa della cappella, l’occhio wDAt, quindi appare legittimo pensare che Hor avesse voluto rendere omaggio all’ibis, forma animale del dio sulla terra.

Il culto degli ibis a Dendera è attestato dalla presenza di catacombe animali, localizzate a sud-ovest del recinto, tra il tempio e il deserto, dove, oltre alle numerose mummie di tori, cani e altri mammiferi, sono state trovate alcune mummie di ibis e parecchie mummie di falchi378. L’associazione dei due uccelli non è affatto rara, basti pensare che Horus e Thot comparivano entrambi nel testo magico del monumento di Hor e che erano collocati nella posizione più importante dei montanti, il terzo registro.

È difficile ritenere però, che questa cappella fosse il luogo in cui venivano allevati gli ibis sacri di Dendera, sia per la sue dimensioni (circa un metro quadrato di superficie) sia perché è

377 Ibidem, p. 59.

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poco probabile che un ibion ufficiale fornisse il supporto per una rappresentazione e una biografia di un semplice funzionario. Risulta più probabile che questo piccolo oratorio fosse stato edificato da un devoto del dio Thot, affinché accogliesse una statuetta d’ibis.

L’edificio, costruito nel cortile del tempio e rivolto ad est, seguiva tutte le caratteristiche proprie dei luoghi in cui si praticava la magia379: la formula destinata a respingere l’occhio malvagio ricordava il ruolo taumaturgico di Thot e può essere messa in relazione con la funzione magica e allo stesso tempo terapeutica del sanatorium, presente all’interno del recinto sacro di Dendera. Inoltre, considerando che una delle manifestazioni popolari del dio Thot era quella di Dd-Hr-pA-hb380 e che a lui era attribuito il potere di predire l’avvenire, è stato possibile supporre che la statua dell’ibis all’interno della cappella venisse interrogata e svolgesse quindi una funzione oracolare.

Questa cappella sembra molto simile alla precedente cappella di magia del tempio di Mut a Karnak. Sicuramente rappresenta un momento particolare della storia di Dendera, testimoniando un’attività di restauro, intrapresa probabilmente per volontà dei primi Lagidi, e il culto degli ibis sacri all’interno del santuario di Hathor.

379 Traunecker, 1983, pp. 74-75.

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