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Il contro-santuario del tempio di Montu a Karnak

Il caso del contro-santuario del tempio di Montu è particolare rispetto agli altri esempi visti in precedenza poiché era costituito da un tempio vero e proprio, dedicato alla dea Maat (fig. 31).

Figura 31 Pianta del tempio di Montu con, a sud, il tempio di Maat.

La struttura originaria probabilmente risale all’epoca di costruzione del tempio di Montu, cioè il regno di Amenhotep III, con alcune aggiunte di età ramesside e dell’epoca di Nectanebo I107.

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L’accesso era garantito da un ingresso monumentale fatto realizzare da Nectanebo I nella parte meridionale del recinto del dominio di Montu. L’edificio consisteva di un pilone d’ingresso con due statue di Sekhmet che fiancheggiavano l’accesso, tramite cui si entrava in un primo cortile; in quest’ultimo, nei pressi del II pilone, oltre a un colosso ramesside e una statua di Thot, dedicata da Amenhotep III, è stato anche trovato un frammento di un cippo di Horus, con la caratteristica immagine del dio bambino al di sopra di due coccodrilli, che riportava anche il nome del committente, un certo Espautitaui, responsabile delle truppe del tempio di Amon e scriba del tesoro108. Oltre il II pilone si succedevano tre sale ipostile, di cui l’ultima si apriva sul santuario vero e proprio, la cui parete di fondo presentava una nicchia non decorata, in cui probabilmente risiedeva la statua della divinità. Attraverso la seconda e la terza sala ipostila si poteva accedere a delle stanze laterali, in cui la decorazione rimasta occupa alcuni stipiti delle porte e le pareti della stanza settentrionale più interna (quella che era si trovava immediatamente sul retro del santuario) e riguarda alcuni visir, con un testo di dedica di To, visir di Ramesse III, e una doppia scena in cui il visir di Ramesse IX Onnophris offre alla dea Maat109.

Il tema della giustizia e la presenza ricorrente di visir nelle decorazioni parietali dell’edificio non sono solo riconducibili al valore attribuito alla dea Maat, intesa come l’autorità superiore preposta all’amministrazione della giustizia, ma anche alle attività che vi si svolgevano all’interno e che sono note dalle fonti.

Due papiri110 risalenti al regno di Ramesse IX riferiscono infatti del processo cui andarono incontro otto saccheggiatori di tombe, probabilmente della tomba di Iside, moglie di Ramesse III. Il recto del papiro B.M. 10068 conteneva delle informazioni riguardanti gli oggetti rubati dai ladri: veniva anche specificato che il bottino del furto era stato portato assieme ai saccheggiatori all’interno del tempio di Maat a Tebe, ossia il contro-santuario del tempio di Montu, dove erano state anche registrate parti della refurtiva, già vendute dai ladri ma ritrovate e registrate dal visir Khaemwase e dal gran sacerdote di Amon Amenhotep111; inoltre si diceva anche che i prigionieri erano rinchiusi nel magazzino più interno del tempio. Il papiro B.M. 10053 consisteva invece in una lista in cui ciascun ladro raccontava a chi aveva venduto determinati oggetti o quantità di rame, ricordando come

108 PM2 II, p. 12. 109 PM2 II, pp. 12-13, § 39-40. 110 Papiro B.M. 10053 e papiro B.M. 10068. 111 Peet, 2006, pp. 79-82.

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tutta la refurtiva fosse già stata esaminata e registrata da visir Khaemwase e dal gran sacerdote di Amon Amenhotep nel tempio di Maat112.

In questo caso specifico quindi, la struttura appare come un luogo in cui si amministrava la giustizia, ma questa poteva non essere la sua unica funzione: non è stato ritrovato solo un cippo di Horus all’interno del cortile, che lascerebbe intendere che vi si svolgevano altre pratiche cultuali, ma anche una stele che recava incisa parte di un testo oracolare, risalente al settimo anno di regno di Ramesse VI113. In questa stele si riportava la vicenda del sacerdote-wab di Maat Mery-Maat114 il quale, al momento dell’uscita in processione della barca di Amon in occasione della festa di Opet, aveva rivolto al dio una richiesta, il cui contenuto è andato purtroppo perduto.

Non è dato sapere se le consultazioni oracolari avvenissero in prossimità del tempio di Maat, con una sosta della processione delle barche divine, o se, più probabilmente, fossero i fedeli, desiderosi di avere un responso oracolare, a spostarsi verso il percorso della processione: il secondo registro della stele mostrava le due barche affiancate di Mut e Khonsu, che accompagnavano Amon in processione, precedute da un naos portatile; quest’ultimo era sorretto dallo stesso Mery-Maat ed era il naos di Maat, dato che le iscrizioni che lo accompagnavano facevano chiaramente riferimento alla dea. Quindi si può immaginare che durante la festa di Opet anche il naos di Maat accompagnasse le barche delle triade tebana e che, in quest’occasione, Mery-Maat avesse consultato l’oracolo115.

Il filo comune che legava tutte le attività che si svolgevano all’interno del tempio di Maat sembra riguardare il ripristino dell’Ordine in una situazione di disordine che, a seconda dei casi, poteva tradursi nella punizione di colpevoli di reati, nella guarigione o protezione dalle malattia o anche in una consultazione oracolare volta a risolversi un determinato problema.

112 Ibidem, pp. 104-109.

113

Stele J.E. 91927, in Vernus, 1975, pp. 103-111.

114

Il personaggio di Mery-Maat, accompagnato dagli stessi titoli, compariva anche su un’altra stele, ritrovata

sempre all’interno del tempio di Maat. In PM2 II, p. 13.

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