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CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE E PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DEL FRENO MOTORE

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scorrimenti decrescono in durata e frequenza e la velocità angolare della ruota aumenta, riguadagnando il valore che conduce al calcolo, per la velocità del veicolo, di un valore pari a quello di confronto.

L'intervento della centralina elettronica sull'elettrovalvola non è, in generale, graduabile con continuità, ma tale da consentire l'azione frenante massima o un'azione nulla.

La gradualità si ottiene, in tal caso, opportunamente dosando la successione, nel tempo, delle fasi di intervento massimo e di intervento nullo.

CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE E PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DEL FRENO MOTORE

Il prolungato uso dei freni provoca un riscaldamento delle parti fra loro striscianti, che può condurre a una diminuzione dell'efficienza della frenatura.

Per evitare o per ridurre tale inconveniente è consigliabile, soprattutto nelle lunghe discese, far intervenire il motore quale dispositivo capace di costituire una resistenza all'avanzamento del veicolo.

Ovviamente, affinché ciò si verifichi, occorre operare sul motore gli interventi necessari a trasformarlo da organo generatore di energia meccanica a organo capace di assorbirla.

Gli interventi operati a tal fine sono diversi, a seconda che il motore sia alimentato a benzina o a gasolio.

Per i motori alimentati a benzina con carburatore tradizionale, l'intervento si riduce all'abbandono del pedale dell'acceleratore; in queste condizioni di ridotta alimentazione, il motore viene trascinato in rotazione, le fasi passive, e, soprattutto, la fase di compressione, oppongono, attraverso gli organi di trasmissione, una resistenza alla rotazione delle ruote motrici, che è tanto maggiore quanto più elevato, per una determinata velocità di avanzamento del mezzo, è il numero dei giri compiuti dal motore nell'unità di tempo, cioè quanto più ridotta è la marcia inserita.

Lo spegnimento del motore eliminerebbe anche la fase attiva, che non è di nessun contributo per il rallentamento del veicolo, ma non risultando possibile escludere l'alimentazione del motore con la miscela combustibile, il provvedimento, oltre che non produrre alcuna economia nel consumo di combustibile, favorirebbe la diluizione dell'olio lubrificante con la benzina che, non bruciando per mancanza di accensione, finirebbe, inevitabilmente, verso la coppa in cui è contenuto l'olio.

Per i motori alimentati a gasolio e per quelli alimentati a benzina con sistema a iniezione, invece, lo spegnimento del motore è possibile poiché nella fase di aspirazione viene introdotta nel cilindro soltanto aria; l'eliminazione della mandata di gasolio o di benzina, oltre che apportare benefici ai consumi, aumenta l'azione frenante prodotta dal trascinamento in rotazione del motore in quanto provoca la soppressione anche della fase attiva.

Un ulteriore aumento dell'azione frenante svolta dal motore si consegue esaltando le resistenze all'espulsione dell'aria opposte dai condotti di scarico.

Lo scopo è raggiunto inserendo nel collettore di scarico una valvola a farfalla e ruotandola in modo da ridurre la sezione attraverso cui l'aria defluisce verso l'esterno (cosiddetto freno motore).

L'inserimento del freno motore (v. inPratica 241.12.1) può essere effettuato:

automaticamente, in concomitanza con l'abbassamento del pedale del freno, oppure mediante apposito comando solitamente manuale.

In ogni caso, l'inserimento del freno motore nei motori alimentati a gasolio o a iniezione di benzina provoca simultaneamente:

l'annullamento della mandata del gasolio, o della benzina, nei pompanti;

la rotazione della valvola a farfalla collocata nel collettore di scarico.

Con il freno motore inserito le ruote, per girare, devono far ruotare, attraverso gli organi della trasmissione, l'albero motore e, quindi, produrre il movimento alternativo del pistone vincendo tutte le resistenze che si oppongono allo svolgimento delle varie fasi che, a freno motore inserito, sono:

aspirazione dell'aria, compressione dell'aria, espansione dell'aria,

espulsione dell'aria attraverso i condotti di sezione ridotta.

Un veicolo di massa M kg, in movimento alla velocità di V km/h, possiede un'energia cinetica pari in joule, a:

Intervenendo con i freni per arrestarne il movimento, l'energia cinetica passa da quel valore a zero

Durante l'intervallo di tempo in cui agiscono i freni, le sole forze che, in piano, compiono un lavoro, sono quelle di frenatura, che si sviluppano sulle superfici di contatto pneumatico-strada, la resistenza dell'aria, la resistenza al rotolamento e la resistenza opposta dal motore che viene trascinato in rotazione.

Trascurando tutte le altre, il lavoro svolto dalle sole forze frenanti, se s è Io spazio che il veicolo percorre nel tempo di frenatura, è pari a f M g s, dove f è il coefficiente di aderenza ed f g M, quindi, il valore massimo utilizzabile per le forze frenanti.

Per il teorema appena ricordato deve essere:

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a b r Nd Ns

da cui:

Con s è stato indicato lo spazio che il veicolo percorre, prima di fermarsi, dopo il pieno intervento delle forze frenanti (spazio teorico di frenatura); lo spazio effettivamente percorso dal momento in cui il guidatore avverte il pericolo e decide di frenare, al momento in cui il veicolo si arresta, si ottiene aggiungendo allo spazio teorico quello che il veicolo percorre fra l'istante in cui il guidatore percepisce il pericolo e quello in cui interviene sul freno (tempo di reazione) e lo spazio che il veicolo percorre durante il tempo che intercorre fra l'azionamento del pedale del freno e quello in cui lo sforzo frenante sul pneumatico raggiunge il valore massimo.

Per f = 0,7 (condizioni di buona aderenza) e V = 100 km/h, lo spazio teorico di frenatura è:

per f = 0,4 (condizioni di aderenza media), per la stessa velocità V = 100 km/h:

Sempre per f = 0,4, se la velocità aumenta del 50%, portandosi a 150 km/h, lo spazio teorico di frenatura diviene:

con un incremento, quindi, del 125%.

La rotazione del tamburo, supposta in senso orario, tende a ulteriormente divaricare il ceppo di destra, per il cui equilibrio deve aversi:

a + Ndr = Ndb Le notazioni utilizzate sono quelle di figura, e cioè:

coefficiente di attrito fra tamburo e ceppo;

forza divaricatrice agente all'estremità di ciascun ceppo e derivante dalla pressione trasmessa all'olio dal pedale del freno;

distanza fra forza e fulcro:

distanza fra centro tamburo e fulcro;

raggio del tamburo;

componente verticale della reazione esercitata dal tamburo sul ceppo di destra;

componente verticale della reazione esercitata dal tamburo sul ceppo sinistro.

Dalla relazione scritta:

la forza frenante esercitata sul tamburo dal solo ceppo di destra è pertanto:

Per l'equilibrio del ceppo di sinistra deve analogamente aversi:

la forza frenante esercitata sul tamburo dal ceppo di sinistra è pertanto:

La forza frenante complessivamente sviluppata sul tamburo dai due ceppi è:

Riportata al pneumatico di raggio R, la stessa forza vale:

b r a f M

I L

In un veicolo a 4 ruote frenate, lo sforzo frenante totale è:

In un veicolo di massa M, indicato con f il coefficiente di aderenza fra pneumatico e strada, il massimo sforzo sviluppabile senza provocare il bloccaggio delle ruote, e, quindi, lo slittamento del veicolo, è f M g.

La spinta φ da esercitare su ciascun ceppo per realizzare tale frenatura limite è facilmente derivabile dalla ultima relazione scritta, dopo aver posto in essi F = f M g:

Se S è la sezione dei cilindro di comando, I/L il rapporto della leva del freno, la spinta T da esercitare sul pedale del freno per trasmettere al liquido la stessa pressione è:

Ritenuto:

posto:

0,35, 12 cm, 15 cm, 24 cm, 0,6, 1.500 kg.

Posto altresì:

50 mm, 280 mm,

si ha infine:

Qualora il valore ricavato sia superiore a 500 N, occorre ricorrere a fonti di energia diverse da quella muscolare del conducente.

La valutazione della superficie frenante si svolge normalmente ponendo un limite al prodotto p v fra la pressione p, che si sviluppa fra ceppi e tamburo, e la velocità v di scorrimento relativo fra quei due elementi e, quindi, limitando il riscaldamento che quegli stessi elementi subiscono in conseguenza dello strisciamento.

Con le notazioni finora utilizzate, indicata con la superficie totale frenante per ogni ruota:

Poiché lo sforzo frenante totale, riportato al pneumatico:

indicato con f il coefficiente d'aderenza fra pneumatico e strada, può raggiungere il valore limite f M g, ove M è la massa totale del veicolo, alla pressione p può essere fornita l'espressione:

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La velocità di avanzamento V, in km/h, è esprimibile in funzione di v mediante il rapporto:

Il prodotto p v è, dunque, riconducibile all'espressione:

e, infine, la superficie totale frenante per ruota è calcolabile con la seguente formula:

Un valore frequentemente attribuito al prodotto p v è:

50 x 105 Pa • m • s-1 La superficie totale frenante per ciascuna ruota, in cm2, è fornita dalla formula:

Con i dati del veicolo già preso in esame, ritenuto V = 120 km/h, ed f = 0,7:

Per uno stantuffo di diametro D = 17 cm, nel caso di:

servofreno a depressione:

servofreno ad aria compressa:

Per avere la stessa spinta di 13619 N, utilizzando un servofreno a depressione, sarebbe necessario disporre di uno stantuffo di diametro:

Se V1 è la velocità di inizio frenata, lo spazio s che il veicolo ha percorso quando la velocità si è ridotta al valore V è:

direttamente derivabile dall'equazione che traduce il teorema delle forze vive:

in cui m è la massa del veicolo ed f il coefficiente di aderenza utilizzato nell'azione frenante. In particolare, posto v = 0, lo spazio totale di frenatura è:

Lo sforzo massimo sviluppabile alla periferia dei pneumatici di un asse è:

P f

F = f P

dove:

peso che insiste sull'asse, coefficiente di aderenza.

Il correttore di frenata:

consente di adeguare F a Pα,

non consente di adeguare anche F ad f,

e malgrado l'intervento del dispositivo, F può superare il valore limite f Pa se f scende al disotto del valore mediamente preso in considerazione nel calcolo dell'impianto frenante.

NOVITÀ 25/08/2021

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