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Se il 1633 è un anno carico di suggestioni teatrali, esattamente trecento anni dopo, nel 1933, Antonin Artaud scrive il suo manifesto del teatro della

crudeltà, intendendo per crudeltà una pratica teatrale “fatta né di sadismo,

né di sangue, almeno non in modo esclusivo”.59 Artaud arriva a definire questa crudeltà come “rigore, applicazione e decisione implacabile, de- terminazione irreversibile, assoluta”, una volontà totale che è innanzitutto “rigido controllo” e “sottomissione alla necessità”.60 Anche se non è spie- tata carneficina, tuttavia la crudeltà artaudiana si tinge sempre del “colore del sangue”61 e deve essere “sanguinosa se necessario”62 perché soltanto “attraverso la pelle si potrà far rientrare la metafisica negli spiriti”.63

Il rigore, la necessità, il controllo da una parte, la forza del colore rosso, la ferocia del sangue, la sensibilità della pelle dall’altro. All’interno de Il Teatro

e la Peste, il saggio più famoso contenuto ne Il Teatro e il suo Doppio, Artaud

volge il suo sguardo all’Inghilterra del Seicento, sconvolta da violenti scontri

58 Cfr. L. hoPkins, Introduction, in J. Ford, ’Tis Pity she’s a Whore, a cura di L. Hopkins,

London, Nick Hern Books, 2003, p. X.

59 A. artaud, Lettere sulla crudeltà, in Id., Il Teatro e il suo Doppio, Torino, Einaudi,

1968, p. 216.

60 Ivi, pp. 216-217. 61 Ivi, p. 217.

62 A. artaud, Il teatro della crudeltà: secondo manifesto, in Id., Il Teatro e il suo Doppio,

cit., p. 236.

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religiosi e da una vita teatrale particolarmente intensa, per interessarsi a John Ford, drammaturgo poco noto ma rappresentativo di quella stagione teatrale, in cui vede un modello per il suo teatro della crudeltà:

A chi cerca un esempio di libertà assoluta nella rivolta, Peccato che sia una sgualdrina di Ford offre questo poetico esempio legato all’im- magine del pericolo assoluto. E quando crediamo di essere giunti al parossismo dell’orrore, del sangue, della beffa alle leggi, della poesia che definitivamente consacra la rivolta, siamo costretti ad andare ancora più lontano, in una vertigine che nulla può più arrestare.64

Libertà, rivolta, pericolo, poesia – parole che Artaud tende ad asso- ciare e a fondere per esaltare la lotta assoluta intrapresa da Giovanni ed Annabella, la loro apologia dell’incesto, la passione convulsa che li tiene stretti, vedendo nella loro storia un’affermazione criminale ed eroica allo stesso tempo:

Vendetta per vendetta, delitto per delitto. Quando li crediamo minacciati, braccati, perduti, e quando siamo pronti a compiangerli come vittime, si rivelano capaci di restituire al destino minaccia a minaccia e colpo a colpo. Passiamo con loro di eccesso in eccesso, di rivendicazione in rivendicazione.65

Artaud ha trovato in Ford quella rivolta assoluta che doveva dare forma e contenuto alla sua estetica teatrale crudele. La violenza rituale diventa una performance del sacrificio che rompe le forme della propria rappresentazione per dischiudere magicamente una dimensione spiritua- le, fatta della luce di uno strano sole. Se nella prima scena del dramma il frate mette sull’avviso Giovanni di non indagare sulla natura del sole in quanto dissertazione vana, quest’ultimo si spinge molto oltre arrivando a trasformare la sua luce, volgendola verso l’oscurità:

Be dark, bright sun,

And make this mid-day night, that thy rays May not behold a deed will turn their splendour More sooty than the poets feign their Styx!

(V, V, 81-84)

64 A. artaud, Il teatro e la peste, in Id., Il Teatro e il suo Doppio, cit., p. 147. 65 Ibidem.

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Questa luce nera che avvolge il dramma in una tetra atmosfera di delitto, violenza, incesto e tradimenti ha affascinato l’immaginazione teatrale di Artaud, che ha colto la nerezza assoluta della crudeltà teatrale come della vita:

Si può dunque dire che ogni vera libertà è nera e si identifica immancabilmente con la libertà sessuale, anch’essa nera senza che se ne sappia bene il perché. Da un pezzo infatti l’Eros platonico, il senso genetico, la libertà di vita, sono scomparsi sotto il cupo rivestimento della Libido, nella quale si identifica tutto ciò che di sporco, di infa- mante e di abietto è nel fatto di vivere, di precipitarsi con naturale e impuro vigore, con una forza continuamente rinnovata, verso la vita.66 Il teatro di Ford visto da Artaud si presenta come l’azione della peste, che apre la strada al conflitto più violento, liberando situazioni, sensibilità, forze e possibilità; se tuttavia “queste possibilità e queste forze sono nere, la colpa non è della peste o del teatro, ma della vita”,67 sulla quale Artaud in- tende agire attraverso una terapia teatrale violenta, traumatizzante, eccessiva:

Il teatro essenziale è come la peste, non perché è contagioso, ma perché come la peste è la rivelazione, la trasposizione in primo piano, la spinta verso l’esterno di un fondo di crudeltà latente attraverso il quale si localizzano in un individuo o in un popolo tutte le possibilità perverse dello spirito. Come la peste, è il momento del male, il trionfo delle forze oscure, che una forza ancora più profonda alimenta sino all’estinzione.68 La metafora della peste è presente in ’Tis Pity She’s a Whore69 proprio nella misura in cui è una malattia che sembra colpire lo spirito attraverso il corpo. Il teatro deve far scoppiare senza pietà ascessi collettivi, deve av- velenare i sensi passando attraverso la carne, deve fare emergere la latenza crudele dello spettatore per poterlo, infine, purificare:

Lo spettatore che viene da noi sa di venire a sottoporsi a un’opera- zione vera, dove sono in gioco non solo il suo spirito ma i suoi sensi e la sua carne. Andrà ormai a teatro come va dal chirurgo o dal dentista. Con lo stesso stato d’animo, pensando evidentemente di non morire

66 Ivi, p. 149. 67 Ibidem. 68 Ivi, p. 148.

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per questo, ma che è una cosa grave e che non ne uscirà integro. […] Egli deve essere convinto che siamo capaci di farlo gridare.70

Questa scena teatrale deve torturare lo spettatore per provocare il lui una reazione, deve aggredirlo e non lasciargli via di fuga: il pubblico deve affrontare la propria tenebra, rilasciando il mostruoso che vive al proprio interno. Il teatro della crudeltà deve provocare urla infernali perché par- tecipare a questo rito teatrale significa scendere negli inferi della propria anima. Se il teatro è come la peste, la sua azione si svolge in un luogo terribile come l’inferno descritto da frate Bonaventura:

There is a place,–

List, daughter!, – in a black and hollow vault, Where day is never seen; there shines no sun, But flaming horror of consuming fires, A lightless sulphur, choked with smoky fogs Of an infected darkness: in this place

Dwell many thousand thousand sundry sorts Of never-dying death: there damnèd souls Roar without pity [...]

(III,VI, 8-16)

Le grida dell’inferno controriformista riecheggiano nel teatro della crudeltà; quest’ultimo si propone di toccare i sensi più profondi per colpirli, scuoterli e violentarli attraverso la magia rituale di una messa in scena che libera l’inconscio represso per organizzarlo nello spazio scenico, diventando poesia della scena:

Le impressionanti apparizioni di mostri, le orge di eroi e dèi, le plastiche rivelazioni di forze, gli esplosivi interventi di una poesia e di un umorismo intesi a sconvolgere e polverizzare le apparenze, secondo il principio anarchico e analogico di ogni poesia autentica, troveranno infatti la vera magia solo in un’atmosfera di suggestione ipnotica, dove lo spirito viene toccato mediante una pressione diretta sui sensi.71

L’insistenza di Artaud sul fatto che l’azione teatrale sia una terapia vitalistica che agisce innanzitutto sui sensi si specchia in parte nell’ana-

70 A. artaud, Il Teatro Alfred Jarry, in Id., Il Teatro e il suo Doppio, cit., p. 7.

71 A. artaud, Il teatro della crudeltà: secondo manifesto, in Id., Il Teatro e il suo Doppio,

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lisi estetica fatta dai Padri della Chiesa e dai puritani inglesi. Non a caso Artaud cita proprio Sant’Agostino che nella Città di Dio aveva parago- nato l’azione mortifera della peste, che uccide senza distruggere organi, all’azione psicologica e sociale del teatro che “senza uccidere, provoca le alterazioni più misteriose non soltanto nello spirito di un individuo, ma in quello di un’intera collettività”.72 Il pericolo che la teologia cristiana ha storicamente rilevato nella mimesis teatrale era proprio quella stregoneria diabolica che lo spettacolo metteva in atto influenzando la sensibilità del pubblico; Artaud segue l’analisi estetica elaborata dai teorici dall’iconocla- stia teatrale cristiana per ribaltarla a vantaggio dello stesso teatro: il teatro è certamente una pestilenza, una febbre, un delirio, un contagio pericoloso che si trasforma in incantesimo scenico.

Artaud si rivolge a Ford perché la sua storia di morte, sangue ed incesto rappresenta una peste che mostra “un disastro sociale così completo” e “un tale disordine organico” capaci di indicare “la presenza di uno stato che è anche una forza assoluta, e dove si ritrovano al vivo tutte le potenze della natura”.73 ’Tis Pity She’s a Whore è un dramma che si spinge fino all’estremo, che libera i conflitti che covano nella società e che restituisce al pubblico attraverso “incredibili immagini che danno diritto di cittadi- nanza e di esistenza ad atti per loro natura ostili alla vita delle società”.74 Le immagini emblematiche di Ford, segni puri come i geroglifici, rap- presentano quindi la visione eroica e difficile dell’invisibile, il significante che eccede la significazione, la violenta affermazione di una tremenda ed ineluttabile necessità.

72 A. artaud, Il teatro e la peste, in Id., Il Teatro e il suo Doppio, cit., p. 144. 73 Ivi, pp. 145-146.

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Se Ugo Foscolo non scrisse mai un trattato di estetica teatrale (egli compo- se quattro tragedie,1 di cui tre realmente e variamente messe in scena), tuttavia appare ricerca non peregrina ricostruire, seppure in modo frammentario e

1 Le tragedie composte da Ugo Foscolo sono: Edippo, Tieste, Ajace, Edipo, solo in

forma di note Ricciarda, oggi pubblicate nella prestigiosa e insuperata edizione critica dell’Edizione Nazionale delle Opere di Ugo Foscolo, vol. II, Tragedie e poesie minori, a cura di G. Bézzola, Firenze, Le Monnier, 1961. Se l’editio princeps del Tieste vide la luce, pochi mesi dopo la messa in scena a Venezia, il 4 gennaio 1797, al teatro Sant’Angelo, nel X tomo del Teatro moderno applaudito; la Ricciarda fu pubblicata a cura di Ugo Foscolo, a Londra, nel 1820, dopo essere stata portata sulle scene a Bologna, il 17 dicembre, 1813, replicata variamente a Padova, Venezia, Brescia, Parma con numerosi tagli e adeguamenti di volta in volta effettuati dal poeta in persona o dalla censura o dagli attori stessi; invece l’Ajace, dopo essere stato portato in scena al Teatro la Scala di Milano, il 9 dicembre 1811, fu ritirato dalle scene a causa della censura e pubblicato postumo, l’anno successivo alla morte del poeta, da uno dei suoi più acerrimi detrattori: l’abate Urbano Lampredi, per i tipi del Borel; l’Edippo corrisponde alla tragedia rinvenuta fra le carte, lasciate dal Foscolo all’amico Silvio Pellico, dal chiarissimo prof. Mario Scotti nel 1978, che ne fu curatore nel 1979 dell’edizione a stampa dapprima sul «Giornale Storico della Letteratura Italia- na», L’«Edippo tragedia di Wigberto Rivalta» (un inedito giovanile di Ugo Foscolo?), in cui si è voluto riconoscere l’Edippo noto e citato sin dal piano di studi del 1796, ove il poeta dice: «Edippo=recitabile, ma non da istamparsi» (in Edizione Nazionale delle Opere di Ugo Foscolo, vol. VI, p. 8). Infine è stato rinvenuto un abbozzo di tragedia in prosa, conservato presso la Biblioteca Labronica di Livorno, in cui si leggono i primi tre atti di un Edipo, databile, con buona probabilità paleografica, al 1811-1812, in Tragedie e poesie minori, a cura di G. Bézzola, vol. II, cit., p. 227. La tragedia è in forma poco più che schematica, preceduta da alcuni appunti in italiano e francese. Due sono i saggi storici di primo Novecento che aprono il discorso sulla produzione teatrale foscoliana: F. viGlione, Sul teatro di Ugo Foscolo,

Pisa, fratelli Nistri, 1904; e. Flori, Il Teatro di Ugo Foscolo con un’Appendice sul pensiero

filosofico foscoliano, Bologna, Zanichelli (1907) 1925. Si veda anche l’ottima sintesi inerente

alle tragedie in m. a. terzoli, Foscolo, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 21-22; 101-126. Di

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lacunoso (così come frammentaria e lacunosa risulta almeno un terzo della produzione foscoliana), e non con sistematiche dichiarazioni, ricorrendo ai numerosi documenti, non ancora completamente vagliati a tal fine, una teoria e pratica2 della messa in scena teatrale del testo spettacolare tragico,3 cioè un’estetica tra innovazione sperimentale4 e tradizione consapevole.5 Se si considera che «tutta l’opera e la vita stessa di Foscolo possono del resto essere viste sotto il segno dell’incompiutezza dello stesso io»,6 si sopporterà allora la rivendicazione dello statuto dell’incompiutezza, nella fase di più lancinante transizione della modernità,7 anche di un pensiero inquieto e in fervente elaborazione, e da qui opportunamente si può dare avvio ad una speculazione ancora intentata sull’estetica teatrale del poeta zacinzio.

È lecito, in modo funzionale al presente contesto, ribadire che in principio fu il τνη ρητρικ aristotelico che per la prima volta trattò «dell’arte poetica in sé e delle sue forme, quale capacità possiede in virtù di ciascuna, e in che modo essa deve costruirsi i racconti se vuole che l’opera di poesia riesca bene, e ancora di quanti e quali elementi è costituita; inoltre […] di tutte le altre questioni che appartengono alla medesima indagine»:8

grande interesse per un’ampia e completa panoramica inerente all’attività intellettuale e di scrittura di Ugo Foscolo il volume di a. Granese, Ugo Foscolo. Fra le folgori e la notte,

Salerno, Edisud Salerno, 2004 e in particolare sull’attività teatrale del poeta pp. 209-227.

2 Si rifletta ancora oggi, come al tempo di Foscolo, sul fatto che: «Ogni esecuzione

di un’opera letteraria destinata alla rappresentazione […] è il prodotto di una concre- tizzazione che tuttavia, in ragione del suo carattere ambiguo (si tratta di ricezione e di produzione allo stesso tempo), conserva in linea di principio l’aspetto generico del testo, perché questo aspetto non si risolve che nella ricezione da parte del pubblico». W. d. stemPel, Aspetti generici della ricezione, in Teoria della ricezione, a cura di R. C. Holub, Torino, Einaudi, 1989, p. 189.

3 Si assuma la definizione di ‘testo spettacolare’ secondo la formulazione ormai co-

munemente accolta di m. de marinis, Semiotica del Teatro. L’analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982, pp. 9-23, già precisamente esposta dallo stesso in Lo spettacolo come testo, «Versus», XXI-XXII, 1978-1979, pp. 60-104.

4 Di «non occasionalità della sperimentazione teatrale foscoliana» parla e. catalano,

Le trame occulte, Bari, Edizioni Giuseppe Laterza, 2002, p. 93. Si può altresì opportunamente rileggere il saggio di F. Fido, Tragedie «antiche» senza fato: un dilemma settecentesco dagli aristotelici al Foscolo, in Id., Le muse perdute e ritrovate, Firenze, Vallecchi, 1989, pp. 11 e sgg.

5 Tra innovazione e tradizione è il titolo della prima sezione, divisa in due capitoli:

Foscolo e il sentimento dei tempi nuovi e Un classicismo impegnato, che apre il volume di G. nicoletti, Foscolo, Roma, Salerno Editrice, 2006, pp. 15-20.

6 G. Ferroni, Dopo la fine. Una letteratura possibile, Roma, Donzelli, 2010, p. 43. 7 Si pensi, per offrire un solo esempio, all’immagine di universale efficacia dei due

secoli «l’un contro l’altro armato» ne Il cinque maggio di Alessandro Manzoni.

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da tale ripartizione per la prima volta nella tradizione occidentale, sebbene nel medesimo ambito, si distinsero la poetica in sé e le sue forme. A partire da quel testo, procedendo nel corso del dibattito storico-letterario e artistico occidentale, si sono differenziate la poetica e l’estetica.9 Si assumano, per una piena comprensione della ricerca in atto, la poetica nell’accezione ristretta del complesso delle singole riflessioni teoriche su ciascuna opera (letteraria o artistica) che l’autore dell’opera stessa formula, dichiara e esterna sul significato della propria creazione,10 una teoria esplicativa e cosciente del proprio lavoro; con il sostantivo estetica, invece, nonostante la ricchezza e vaghezza semantica e filosofica, si intenda, qui, la teorizza- zione delle regole compositive di un’opera che si offre ad una fruizione complessa e completa, con una visione fenomenologica del prodotto artistico, e attraverso la formulazione di apparati categoriali, percepibili distintamente (aisthesis) sia da chi li propone sia da chi ne fruisce. E acco- gliendo l’indicazione di Umberto Eco si può ribadire e tenere presente che la Poetica di Aristotele «rappresenta la prima apparizione di una estetica della ricezione».11 Quando si tratta di estetica teatrale si vuole intendere, nel presente contesto, una teoria della scrittura del testo drammatico e della sua messa in scena, ovvero una cura della parte compositiva, non semplicemente rispetto ai contenuti testuali, ma anche e soprattutto circa la forma che la tragedia, nella fattispecie secondo Foscolo, deve prendere, e dunque della prassi performativa, inerente a tutto il complesso di va- rianti della messa in scena (regia, attori, scenografia, luci, costumi, etc.). Valla, 1976, p. 3 [1447] [8]: «περ πιητικÁς ατÁς τε κα τîν εδν ατÁς, ν τινα δναμιν καστν ει, καπîς δε συνστασθαι τς μθυς [10] ε μλλει καλîς ειν  πησις, τι δ κπσων κα πων στ μρων, μως δ κα περ τîν λλων σα τÁς ατς στι μεθδυ».

9 r. barthes, La retorica antica. Alle origini del linguaggio letterario e delle tecniche di comuni-

cazione, Milano, Bompiani, 1994, pp. 19-22: «Non è forse aristotelica l’intera retorica […]? Probabilmente sì: tutti gli elementi didattici che alimentano i manuali classici vengono da Aristotele […]. Aristotele ha scritto due trattati che riguardano i fatti di discorso, ma questi due trattati sono distinti: la τνη ρητρικ tratta d’un’arte della comunicazione quotidiana, del discorso in pubblico: la τνη πιητικ tratta d’un’arte dell’evocazione immaginaria; nel primo caso si tratta di regolare la progressione del discorso di idea in idea, nel secondo caso la progressione dell’opera di immagine in immagine […]» p.19.

10 Come ha scritto Walter Binni la poetica è «l’attiva coscienza che il poeta ha, e con-

quista, della sua forza poetica (essa stessa in continuo fieri) e del suo impiego costruttivo nella prefigurazione e nell’attuazione delle opere cui tende, come atto di coscienza attiva e operativa dell’agire poetico, della sua peculiarità e delle sue generali implicazioni» in W. binni, Poetica, critica e storia letteraria, Bari, Laterza, 1963, p. 13.

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Che Foscolo fosse uomo non ignaro del teatro è ormai indubitabile e non solo per il noto Piano di studi del 1796,12 in cui leggiamo con quale e quanta competenza, dividendo per generi letterari, chiaramente distinti sul margine sinistro del foglio, il poeta avesse posto in ordine cronologico i «Tragici», dei quali non è detto se avesse intenzione di studiare o se avesse già studiate le opere, quando cita i nomi di «Sofocle. Shakespeare. Voltaire. Alfieri».13 Se la ‘lista’ è evidentemente incompleta, tuttavia dimostra con luminosa evidenza i ‘gusti’ e il canone su cui il poeta volle formarsi: agli estremi troviamo Sofocle e Alfieri.14 Non si devono, inoltre, tacere né le numerose serate trascorse a teatro nel corso della sua vita,15 che documentano un’attenzione e una frequentazione se non professionale tuttavia costante del poeta dei Sepolcri, né i testi dichiaratamente riguardanti lo spazio, la prassi della scrittura teatrale, la performance spettacolare: si pensi, par example, al breve manifesto Per la istituzione d’un teatro civico (1797), alla lettera inviata al Pellico sulla Laodamia, e a tutti i riferimenti costanti e agli accenni repe- ribili all’interno del suo monumentale e voluminoso epistolario, all’articolo pubblicato nel «Giornale del Lario» Sul nuovo teatro di Como (23 agosto 1813), e, dopo essere stato dal 31 agosto 1811 fino al 1814 revisore delle traduzioni dei testi teatrali,16 infine, al saggio Della nuova scuola drammatica

in Italia (1826), composto un solo anno prima della morte. «L’attenzione

degli studiosi si è volta soprattutto a cogliere il momento più squisitamente letterario, per così dire poetico [appunto], dell’esperienza drammaturgica foscoliana, riscontrando in essa il riflesso della tormentata vicenda biografica

12 Documento indispensabile come è stato più volte riconosciuto sin dal Carrer,

che per primo ne diede notizia, e da tutti coloro che si sono occupati della formazione culturale e letteraria giovanile del poeta. u. Foscolo, Scritti letterari e politici dal 1796 al 1808, a cura di G. Gambarin, Edizione Nazionale delle Opere, vol. VI, Firenze, Le Monnier, 1976, pp. 3-9.

13 Ivi, p. 5.

14 Si veda per completezza e per l’illuminante prospettiva v. di benedetto, Lo scrittoio

di Ugo Foscolo, in particolare il capitolo XVI La figura dell’Alfieri, Torino, Einaudi, 1990, pp. 191-207.

15 Si rileggano, fra i molti documenti, a mo’ d’esempio, le intense e appassionate let-