S T U A R T J. WOOLF, Napoleone e la conquista dell'Europa, Laterza, Ro-ma-Bari, pp. VIII-358, Lit 38.000.
Uno studio dell'Europa napoleo-nica che non voglia assumere le di-mensioni di un'enciclopedia né ri-dursi a una sintesi manualistica deve obbligatoriamente optare tra due al-ternative: o trasformare i paesi con-quistati in un'appendice della Fran-cia e in una cassa di risonanza delle gesta militari e civili del suo capo ca-rismatico, o collocarsi decisamente in un'ottica comparativa, rinuncian-do fin da principio a ogni intento di completezza e di organicità nella considerazione dei singoli territori facenti parte o gravitanti nell'orbita del Grande Impero. La seconda scel-ta è sscel-tascel-ta quella decisamente operascel-ta da Stuart Woolf, che dunque più che ai panorami francocentrici tracciati da Lefebvre, Soboul o Tulard si ri-collega al tentativo compiuto oltre trent'anni fa (ma limitatamente al periodo rivoluzionario) da Jacques Godechot ne La Grande Nazione; né certo l'impresa poteva essere tentata da uno studioso più qualificato, un inglese trapiantato in Italia (dove da anni dirige il dipartimento di storia e civiltà europea dell'Istituto universi-tario europeo di Firenze) e al quale già si devono importanti contributi personali sulla nascita della statisti-ca, sull'economia, sull'assistenza ai poveri e agli infermi del periodo na-poleonico. Woolf possiede in grado eminente l'arte, propria della tradi-zione anglosassone, della chiarezza espositiva, dell'illustrazione per esempi efficaci e per citazioni illumi-nanti, e ad essa ha aggiunto la preoc-cupazione per il dato quantitativo che gli viene dalla lunga consuetudi-ne con la storiografia francese.
Il volume si articola in cinque agili capitoli, che muovendo dai principi ideali che presiedono all'espansione della Francia rivoluzionaria e napo-leonica trattano degli "strumenti di conquista", delle "pratiche della conquista" (ulteriormente suddivise fra "integrazionze amministrativa" e "sfruttamento economico"), delle "reazioni alla conquista". La parola
conquista, che ricorre in tutti e cin-que i titoli dei capitoli oltreché nel ti-tolo generale, fornisce la cifra di un rapporto asimmetrico che è sempre riproposto all'attenzione del lettore, anche se la vittoria militare è solo una premessa dell'estensione ai po-poli sottomessi, essenzialmente con mezzi pacifici, di un modello di go-verno e di organizzazione sociale sul-la cui superiorità gli amministratori napoleonici non nutrivano 0 meno-mo dubbio. La matrice di un tale at-teggiamento è vista da Woolf, piut-tosto che nel carattere universalisti-co dei principi dell'89, nell'egemonia culturale già in precedenza esercitata dalla Francia, per cui dovunque sul continente europeo i ceti colti parla-vano francese e importaparla-vano le vesti e le usanze di Parigi (p. 12). Non vi è dubbio però che, come l'autore stes-so stes-sottolinea più volte, una compo-nente decisiva di questo "zelo mis-sionario di vettori di civiltà" (p. 14) fosse il senso di rappresentare una ra-zionalità nuova contrapposta alla "barbarie feudale" e alle complica-zioni barocche dei vecchi ordina-menti. Eredi a un tempo del cosmo-politismo settecentesco e dell'esprit
de géometrìe rivoluzionario, gli am-ministratori francesi potevano giun-gere a persuadersi che sarebbe appar-so a tutti naturale trasferire nella lo-ro capitale i tesori artistici sottratti all'Italia e addirittura concentrarvi gli archivi storici dei singoli paesi sottomessi.
Tra gli strumenti della conquista,
un ruolo pivilegiato è giustamente as-segnato ai quadri militari, spesso in-vestiti di funzioni amministrative, e ai funzionari, in particolare ai prefet-ti; sul reclutamento e la provenienza degli uni e degli altri Woolf fornisce dati quantitativi precisi, tratti dagli studi più aggiornati in proposito. Ma sulle tracce degli uomini camminano le leggi, dovunque modellate su quel-le francesi: per riassumere con quel-le pa-role dell'autore, "l'eliminazione dei corpi intermedi e dei privilegi che
<
impedivano il rapporto diretto fra lo Stato e i singoli cittadini e la libera circolazione dei beni, la confisca del-le proprietà eccdel-lesiastiche e il conse-guimento di un bilancio in pareggio attraverso la razionalizzazione del si-stema fiscale e del catasto dei terre-ni, l'abolizione delle corporazioni e l'individualismo economico, la codi-ficazione delle fonti e delle procedu-re legali per raggiungeprocedu-re l'uguaglian-za di fronte alla legge..." (p. 124). L'applicazione di tali principi, certo, variò da paese a paese più di quanto a volte si sia detto: i diritti feudali, aboliti nel regno di Napoli, soprav-vissero tranquillamente nel grandu-cato di Varsavia e in Catalogna; lo stesso codice civile, creatura
predi-letta di Napoleone (che ancora nel-l'esilio di Sant'Elena ad esso ritene-va legata la sua fama piuttosto che al-le sessanta battaglie vinte), subì degli adattamenti là dove le sue norme ur-tavano in modo troppo stridente con le consuetudini locali.
Se ai vari aspetti di questa "mo-dernizzazione dello Stato" sono de-dicati cenni forse un po' rapidi, è perché nell'economia della trattazio-ne preme a Woolf fare più ampio spa-zio alle questioni economiche e socia-li: i capitoli IV e V, che di queste si occupano, sono certo i più densi del volume e anche i più nuovi, per 0 let-tore che non sia familiare con i recen-ti sviluppi degli studi. Gli effetrecen-ti del blocco continentale e di una politica
la lunga attività di ricerca per il suo precedente li-bro, Uomini Bianchi contro Uomini Rossi che
lo fece imbattere nell'opera del "generale". Il suo primo giudizio fu del tutto negativo. Custer gli apparve con tutti i difetti che egli stesso lasciava trasparire (abbastanza ingenuamente, si potrebbe osservare) dalle proprie pagine. Poi, continua Stefanon, nacque in lui un giudizio di-verso, meno istintivo, più meditato e — possia-mo aggiungere noi — più "storico". Se è vero che il dovere dello storico quale lo ha definito Spinoza è non già di maledire, ma di comprende-re, era necessario uno sforzo per vedere l'opera di Custer in questa luce. Ma Stefanon ha fatto an-cora di più. Egli ha saputo mettere il libro nel giusto fuoco per un motivo infinitamente più im-portante: perché in tale fuoco egli ha posto tutto l'immenso dramma delle guerre indiane. È incre-dibile come gli americani, che sono riusciti, gra-zie ad uno sforzo critico che ha dello straordina-rio, a "vedere" in una luce storica l'enorme tra-gedia della guerra civile, solo a fatica riescono a compiere la stessa operazione per un altro dram-ma della loro vita nazionale: le guerre indiane. Esse sono addirittura un caso-limite. Trovarne una valutazione ' 'storica ' ' sembra quasi impossi-bile: nei film, nella narrativa, in tutto il "leggen-dario" popolare (meno, per fortuna, nei libri con qualche pretesa critica) non sembra si riesca ad usare altri colori che il bianco e il nero: solo che questi, in dipendenza dai sentimenti, dalle emo-zioni (ed anche in una buona misura dai pregiu-dizi) si scambiano costantemente le parti, crean-do in entrambi i casi visioni che possono essere passionali, manichee, tutto, meno che storiche.
Stefanon ha dunque saputo "vedere" storica-mente la guerre indiane, che gli sono apparse co-me un tragico scontro tra aco-mericani di due razze per il controllo del Grande Ovest. In questo dramma, ecco l'utilità del libro di Custer per lo storico: esso "... ci dà una chiara visione di una delle due parti in lotta per l'Ovest... per
com-prendere meglio la genesi e lo sviluppo di una tra-gedia immane di cui abbiamo avuto qualche in-formazione cinematografica, sempre incompleta
e strumentale". Fin qui Stefanon.
Ma sull'opera non c'è proprio altro da dire? Vediamola un po' più da vicino. Il libro appare piuttosto disorganico, essendo una raccolta di ar-ticoli da Custer precedentemente pubblicati sul periodico "Galaxy". Molte sono le ripetizioni, molti i silenzi; ma vi è dell'altro. Certamente vi sono, nel "generale", tutti i pregiudizi, tutta la faziosità dell'"uomo bianco" ottocentesco; ma
Custer era, non lo si dimentichi, un soldato. Era un ambizioso; ma la sua rimaneva un'ambizione per così dire "interna" al suo mondo. Egli rap-presentava il "braccio armato" della conquista dell'Ovest; ma personalmente non aveva fame d'oro né di terra né di speculazioni ferroviarie o altro. Dislocato laggiù, aveva finito, come molti altri soldati, per subire profondamente, senza rendersene ben conto, il fascino delle pianure sconfinate dell'Ovest, dei suoi orizzonti infiniti e, insomma, di tutto quel mondo primevo che egli aiutava a distruggere.
Si veda ciò che egli scrive delle stesse popola-zioni pellerossa. Certo, c'è in lui tutto l'arma-mentario "ideologico" dell'uomo bianco otto-centesco di fronte ai "selvaggi"; ma il fascino profondo della vita e dei costumi indiani lo sog-giogano profondamente. Come accadde a molti altri cui toccò il destino straordinario e terribile di vivere in un mondo allora ancor vivo ma tanto
estraneo a tutta la Weltanschauung dell'uomo
bianco e dotato di un così formidabile fascino. Qui sta, forse, la vera tragedia della sua vita. Gli indiani, con la loro profonda e misteriosa sensi-bilità, sentirono quell'uomo, pur violento ed an-che crudele, come, fino ad un certo punto, uno "del loro mondo", fosse pure nefasto: e lo bat-tezzarono "Il figlio della stella del mattino", co-lui che viene all'alba a recare un destino di morte il quale trascende la limitatezza del suo stesso portatore e che gli sarà infine fatale.
A.A.M. ARCHITETTURA ARTE MODERNA
Centro di Produzione e Promozione di Iniziative Culturali, Studi e Ricerche Responsabile Francesco Moschini
P E R C O R S I DEL M O D E R N O TEORIE I STORI A / PROGETTO DAL 1978
UN ITINERARIO PARTICOLARE ATTRAVERSO L'EDITORIA
CATALOGHI D'ARTE
COLLANE E MONOGRAFIE D'ARCHITETTURA Edizioni per le occasioni espositive dell'A.A.M. in collaborazione con le edizioni Kappa
Arch iteti ura'Materìali MONOGRAFIE coti«u diretta da Fiabesco M •