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Cartografie a confronto

Nel documento OSSERVARE, DESCRIVERE, MISURARE (pagine 21-25)

Ho accennato alle raccolte nelle quali un curioso personaggio come Enrico Martello cercava di interpretare le novità delle scoperte a partire dai modelli della cartografia dotta. Il mondo di questo cartografo era quello della Firenze umanistica, della cultura astronomica tedesca, con una speciale attenzione per i viaggi e le novità provenienti da Lisbona. La produzione cartografica di questo tipo trova uno sbocco in opere a stampa a volte di grande formato e frutto di una crescente abilità nell’incisione, nella quale sono molto avanti le botteghe fiorentine, veneziane e tedesche.

Da tutt’altra fonte si sviluppa una cartografia che nasce invece dalla pratica della navigazione, e che circola solo in forma manoscritta. L’esempio più famoso, nell’epoca delle scoperte, è quel planisfero disegnato nel 1500 da Juan de la Cosa che Humboldt aveva avuto l’opportunità di ammirare nel 1832 presso la biblioteca parigina del suo amico Charles Athanase Walkenaer, che lo aveva acquistato a un’asta a Parigi48. Del planisfero, disegnato su pergamena (95 x 177 cm) si conosceva l’autore e la data: l’importanza del documento non poteva sfuggire all’autore dell’Examen critique, che vi riconosceva la prima testimonianza cartografica dei viaggi di Colombo e di Vespucci, nei quali Juan de la Cosa era stato uno dei più validi piloti. Le altre carte che Humboldt cita nel suo lavoro storico risalgono a molti anni dopo, al momento dell’elaborazione del planisfero di Diego Ribero dopo il viaggio di Magellano. La storia della cartografia non era ancora nata: nella prima metà dell’Ottocento la difficoltà maggiore era quella di rintracciare i documenti sparsi in tutte le biblioteche d’Europa. Perfino di Martin Waldseemüller Humboldt conosce il testo della Cosmographiae Introductio ma non il grande planisfero che ne costituiva l’allegato.

Il planisfero di Juan de la Cosa non ci aiuta a risolvere il problema delle distanze. Manca di scala e di graduazione, neppure per le latitudini. Non si può parlare di “proiezione”, in quanto non vi è traccia dei modelli tolemaici: ma l’impostazione è quella di una proiezione cilindrica. Infatti i riferimenti

48 A. VON HUMBOLDT, L’invenzione del Nuovo Mondo. Critica della conoscenza geografica, a cura di C. Greppi, La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. 9.

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astronomici sono l’Equatore e il Tropico del Cancro per i paralleli e la linea di Tordesillas, la Raya, per quanto riguarda i meridiani: i quali si incontrano ad angolo retto. Tutto ciò che sta ad occidente della linea sarebbe dunque di competenza dei navigatori spagnoli: le isole dei Caraibi e la costa del Venezuela sono le terre che l’autore della carta aveva conosciuto direttamente come pilota. Il resto è immaginario, ma le note che accompagnano i tracciati fanno riferimento alla presenza inglese a nord e portoghese a sud: la carta fu riconosciuta subito, da Humboldt, come documento politico, nel quale l’emisfero occidentale è segnato da un limite che è insieme astronomico (un meridiano) e fisico, perché corrisponde al mutamento – in pieno oceano – nella declinazione magnetica, rilevato fin dal primo viaggio da Colombo.49

Altri grandi monumenti cartografici di questo periodo appartengono alla tradizione nautica, secondo la quale (sempre adottando una versione empirica di quella che sarebbe la proiezione cilindrica con paralleli e meridiani che si incontrano ad angolo retto) i tracciati costieri sono costruiti sommando una dopo l’altra le distanze stimate nel corso dei viaggi marittimi, mentre i poligoni rimangono aperti. Rispetto ai secoli precedenti, quando veniva costruita la carta nautica del Mediterraneo, il problema si è rovesciato: non si tratta più di tracciare i limiti di un bacino chiuso, ben definito nelle sue linee costiere, ma di identificare i contorni di ‘golfi’ oceanici e di masse continentali le cui dimensioni reali continuano a sfuggire.

In questo filone troviamo così, due anni dopo, la celebre carta detta del Cantino50, che registra l’avanzare verso oriente delle conquiste portoghesi, ma non ha bisogno di chiudere il cerchio, di completare il giro del mondo. La linea di Tordesillas è spostata più a ovest, in modo da

comprendere nell’area portoghese tanto la Terra de la Santa Cruz a sud che la Terra de Bacalhaos a nord. Altrove i riferimenti politici sono affidati alle bandiere che segnalano la presenza di inglesi e di spagnoli. La carta è molto grande (102 x 218 cm): ma quanto si estende in longitudine? 220 gradi, 250 gradi? Non lo sappiamo, né si può dedurre facilmente quale fosse l’idea della misura del grado.

Si può solo osservare che il capo di Buona Speranza è più ad oriente di Alessandria, mentre dovrebbe essere più a occidente, e soprattutto che all’estremità orientale dell’Africa il capo

Guardafui è scivolato a una distanza tale dal Mediterraneo da non consentire di ricongiungere il mar Rosso con l’istmo di Suez, anche perché l’insieme delle coste del Mediterraneo, compreso il Mar

49 A. von HUMBOLDT, Cosmos, II. Cito dalla edizione inglese: Harper & Brothers, New York, 1858, p. 278.

50 Dal nome dell’uditore estense presso i paesi iberici, Alberto Cantino, che procurò l’esportazione clandestina del grande planisfero fino alla corte di Ferrara.

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Nero, è scivolato verso nord-est51. Come vedremo in seguito, questa vistosa anomalia è presente anche vent’anni dopo nelle carte di tradizione nautica che rappresentano l’intero globo, come il planisfero Castiglioni (1525) e ancora la grande carta di Diego Ribero del 1529, ben conosciuta da Humboldt: e siamo nel decennio successivo alla circumnavigazione di Magellano.

Viceversa le carte che derivano dalla tradizione dotta si cimentano già nel primo decennio del Cinquecento con il disegno dell’intera superficie del globo. La proiezione conica – la prima proposta nel testo di Tolomeo52 – fin qui limitata in longitudine ai 180° che vanno dalle Isole Fortunate al Chersoneso Aureo, viene estesa a tutti i 360° del circuito terrestre: con l’effetto di disegnare una

“mantellina”, aperta in alto dai due meridiani estremi che si può immaginare di far combaciare per ottenere un vero e proprio cono, una specie di copricapo vietnamita. Così sono impostati il planisfero Contarini-Rosselli, nel 150653, e quello di Johannes Ruysch, compreso nell’edizione romana di Tolomeo del 1508. Man mano che la carta procede verso sud, via via che i meridiani divergono54, la forma delle masse continentali si espande fino a perdere qualsiasi leggibilità: ciò consente ai cartografi di lasciare indeterminata una terra della quale si traccia soltanto la costa settentrionale – quella venezuelana, per intenderci – per poi lasciare che si espanda verso sud. Tutte e due le carte adottano per le nuove terre oltre Atlantico una soluzione tripartita: quelle a nord non sono altro che la terminazione dell’Asia nord-orientale, al centro troviamo una lunga catena di isole che termina con il Cipango, e solo a sud si estende quello che Ruysch chiama esplicitamente Terra Santae Crucis con l’aggiunta sive Mundus Novus. Il Tolomeo romano con le carte di Ruysch era stato accuratamente esaminato da Humboldt, in particolare per la presenza di un testo, dovuto a Marco Beneventano, nel quale si accenna a viaggi, sia spagnoli che portoghesi, che potrebbero

corrispondere a spedizioni clandestine la cui conoscenza poteva forse circolare fra i porti iberici e anche raggiungere Roma.

Altrove, in particolare al centro dell’Europa, le fonti non potevano che essere quelle che circolavano a stampa, per quanto apocrife: nel 1507 è da qui, nel profondo dei Vosgi, nel luogo più lontano possibile tanto dai porti del Mediterraneo che da quelli del Mare del Nord, che nasce il lavoro di

51 La causa di questo scivolamento va ritrovata nella declinazione magnetica: le carte costruite con l’uso della bussola erano orientate verso il polo magnetico, un po’ più a ovest del polo nord, in questo caso.

52 Considerato oggi giustamente una “guida alla costruzione della carta del mondo”. Cfr. di Francesco PRONTERA, Geografia e geografi nel mondo antico, Laterza, Bari 1990.

53 L’autore della carta sarebbe Matteo Contarini, mentre l’incisione è attribuita al Rosselli. Si tratta della prima carta a stampa nella quale sono comprese le recenti scoperte. Da notare che Francesco Rosselli nel decennio precedente aveva collaborato a Firenze con Enrico Martello e aveva prodotto importanti lavori sulla scia di quest’ultimo.

54 Oltre l’Equatore i meridiani continuano ad allargarsi a ventaglio, mentre nelle tavole tolemaiche si adottava l’espediente di invertirne la direzione a sud dell’Equatore,

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Waldseemüller e quindi anche la grande Universalis cosmographia secundum Ptholomaei traditionem et Americi Vespucii aliorumque lustrationes, che Humboldt non poteva conoscere.55

Qui il cartografo costruisce i suoi tracciati su una proiezione detta omeòtera, cioè la seconda di quelle poposte da Tolomeo, nella quale i meridiani sono incurvati in modo da restituire

efficacemente l’effetto della sfericità della Terra. Rispetto ai planisferi costruiti nel secolo precedente e basati su questa proiezione, estesi ai consueti 180° (per esempio, fra le versioni a stampa, quella di Ulm del 1482), per allargare la rappresentazione nel senso della longitudine si utilizza un espediente che aveva già sperimentato Enrico Martello: quello di estendere sia ad est che ad ovest nuovi meridiani che risulteranno quindi sempre più incurvati. Ho avanzato l’ipotesi che Martello/Hammer alla fine del secolo fosse ritornato in Germania: portando con sé il suo sapere e i suoi schizzi, ma lasciando forse in Italia l’ultima carta che gli viene attribuita con una certa sicurezza, la cosidetta

“carta di Yale”, un grande planisfero (108 x 190 cm) che fu acquistato nel 1961 da quella università e che Robert Skelton e Roberto Almagià (poco prima della morte) riconobbero subito come autentica. Qui l’estensione in longitudine raggiunge i 275° e consente di procedere oltre la “coda del dragone”, fino all’isola di Cipango, anche se questa va a posizionarsi molto in alto. Come data viene di solito indicato il 1490, o per lo meno un momento vicino a quello in cui Martin Behaim aveva prodotto il suo globo di Norimberga (1492)56. La parentela con quest’ultimo è evidente: la stessa deformazione dell’Africa australe, la stessa massiccia coda del dragone. Siamo sempre allo stadio delle conoscenze che si era raggiunto intorno al 1490 grazie alle triangolazioni Firenze-Lisbona-Norimberga.

Certamente la carta di Waldseemüller deriva dall’ultima fase della produzione di Martello: con la stessa proiezione, e le stesse deformazioni. Però l’estensione della carta raggiunge i 360° di longitudine, e soprattutto la conoscenza delle Quatuor navigationes pseudo-vespucciane ha fornito al cartografo l’idea di una barriera continentale che interrompe l’oceano fra le coste europee e quelle asiatiche, da nord a sud. Forse c’è un canale proprio in mezzo, forse no; forse c’è un passaggio a sud, a latitudini ancora accessibili. Intorno ai 30° australi la cornice graduata interrompe il disegno delle coste: l’Africa sfonda la cornice, ma non l’America. Ricordiamo che è qui che viene così denominato il nuovo continente, per la prima volta).

55 Pur essendo stata stampata in mille copie, di questa grande carta in dodici fogli rimaneva solo un esemplare, sembra posseduto dal cartografo Johannes Schöner e poi custodito nello Schloss Wolfegg in Württemberg fino al 2001 quando fu acquistato dalla Library of Congress di Washington: per ben dieci milioni di dollari, a quanto pare. La mappa nel 2005 è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio della memoria. Per fortuna la Library ha provveduto a metterne in circolazione una perfetta riproduzione digitale.

56 Inutile dire che anche per questa carta non manca chi ha voluto riconoscere quella su cui Colombo avrebbe costruito il suo progetto!

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Nello spazio che si forma al di sopra della cornice del grande planisfero57 un piccolo schema cartografico riassume il pensiero dell’autore in modo ancora più evidente: qui il globo è

rappresentato in due emisferi, ciascuno associato al volto di una persona, quello di Tolomeo per il Vecchio Mondo, quello di Vespucci per il Nuovo Mondo. Questa volta il globo è davvero disegnato nella sua totalità, corredato di graduazioni anche se non di rapporti di scala: vediamo così che il Vecchio Mondo sfonda abbondantemente il limite orientale del proprio emisfero e si prolunga per almeno 60° nello spazio “vespucciano”, salvo ritornare verso ovest con la consueta “coda del dragone” che penetra nell’Oceano Indiano come in tutte le carte di Martello. Per il resto l’emisfero è occupato in buona parte da un oceano completamente nuovo: a sud del Tropico del Cancro questo si apre in un grande golfo sul quale si affacciano le isole nominate a suo tempo da Marco Polo: Java Maior, Java Minor; a nord invece lo spazio fra il nuovo continente e le coste cinesi è ridottissimo (una trentina di gradi) e occupato in buona parte da una grande isola di Cipango. Si tratta della prima volta che qualcuno si azzarda a disegnare il retro dell’ecumene tolemaica, con quindici anni di anticipo sulla prima circumnavigazione.

Ricordiamo che nella Cosmographiae Introductio il grado equatoriale (compreso fra 0 e 12° di latitudine, con un po’ di approssimazione) era fissato in 60 miglia italiane, corrispondenti a 15 miglia tedesche:

si tratta di 103,25 km, contro 111,3 che misuriamo oggi. Una differenza non più così clamorosa come nel caso di Colombo ma pur sempre importante: al circuito della Terra mancano pur sempre 3.000 km, che apparterrebbero tutti al nuovo oceano ancora da battezzare, e che a causa

dell’enorme estensione dell’Asia si riduce ulteriormente in corrispondenza delle latitudini settentrionali.

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