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Casistica giurisprudenziale italiana dopo la sentenza «Costeja»: il Tribunale di Roma.

Nel documento Il Cloud Computing (pagine 86-90)

3. Tutela dei dati personali e loro libera circolazione su internet Il caso Lindqvist

3.2. Casistica giurisprudenziale italiana dopo la sentenza «Costeja»: il Tribunale di Roma.

La notissima sentenza della Corte di giustizia europea del 13 marzo 2014, sopra analizzata, ha suscitato grande interesse e clamore sia tra gli addetti che ai lavori che presso l’opinione pubblica.

D’altronde non poteva essere altrimenti: la questione del «diritto all’oblio» o anche «diritto alla cancellazione»217 di ciascuno di noi, a vedere cancellati i dati personali presenti in rete e che lo riguardano, è una di quelle che toccano chiunque, soprattutto nella attuale società in cui dati e informazioni personali sono presenti sul web ed il cui accesso è agevolato dal servizio di indicizzazione effettuato dai motori di ricerca.

Pertanto, sull’asserito presupposto dell’esistenza di un diritto all’oblio, un avvocato (che, nella specie, esercita la professione forense in Svizzera) conviene in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la società Google Inc., chiedendo la deindicizzazione di alcuni links risultanti da una ricerca a proprio nome effettuata tramite il motore di ricerca Google.

215 Punto 99, Corte giust., 13 maggio 2014, C-131/12, cit., in commento, ove si specifica la ragione

giustificatrice di siffatta conclusione, in questi testuali termini: «i diritti fondamentali (dell’interessato derivanti dagli artt. 7 e 8 della Carta) […] prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi.».

216 Trib. Roma, 3 dicembre 2015, n. 23771, in www.iusexplorer.it.

217 Diritto oggi espressamente riconosciuto dal Regolamento europeo sulla privacy alla art. 17, rubricato

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Tali link menzionavano il coinvolgimento del ricorrente in una vicenda giudiziaria, risalente al 2012/2013, nella quale era stato coinvolto - unitamente ad altri personaggi romani, alcuni esponenti del clero ed altri ricondotti alla criminalità della cd. banda della Magliana, relativamente a presunte truffe e guadagni illeciti realizzati dal sodalizio criminoso - senza peraltro riportare condanna alcuna.

Il Tribunale capitolino inquadra la vicenda nel trattamento dei dati personali e nel c.d. diritto all’oblio, il quale viene ritenuto configurabile «quale peculiare espressione del diritto alla riservatezza (privacy) e del legittimo interesse di ciascuno a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona derivante dalla reiterata pubblicazione di una notizia (ovvero nella specie il permanere della sua indicizzazione sui motori di ricerca), con pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza (attesa l’attenuazione dell’attualità della notizia e dell’interesse pubblico all’informazione con il trascorrere del tempo dall’accadimento del fatto).».

Ebbene, secondo il Tribunale, il riconoscimento della sussistenza di un tale diritto in capo all’interessato impedisce il protrarsi del trattamento stesso e, con esso, l’indicizzazione, rendendo conseguentemente fondata la domanda di deindicizzazione spiegata nei confronti del gestore del motore di ricerca, cosí com’è stato statuito anche dalla recente pronuncia in materia resa dalla Corte di Giustizia del 13 marzo 2014 (causa C- 131/12, sentenza «Costeja»), oltre che dalle, conformi, successive decisioni del Garante per la protezione dei dati personali.

Nel fare applicazione dei princípi contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia, il Tribunale rinvia espressamente ad essa, evidenziando il reale ed effettivo dictum della stessa, ossia il bilanciamento218 di interessi in conflitto, quindi tra privacy e altri diritti fondamentali,

218 Sul tema del bilanciamento tra libertà di espressione, interessi individuali intaccati dall’esercizio di tale

libertà e interesse pubblico alla conoscenza di una data notizia resa pubblica è intervenuta anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza del 16 luglio 2013 (caso Wegrzybowski e Smolczewski vs. Polonia, Rc. N. 33846/2007). La sentenza in parola offre una soluzione diversa da quella data dalla Corte di Giustizia del 13 marzo 2014 (causa c. 131/12, sentenza «Costeja»), disconoscendo, infatti, all’interessato il diritto ad ottenere la rimozione della notizia pubblicata in rete (peraltro non corretta e anche diffamatoria, poiché già acclarato dal giudice nazionale e, pertanto, come richiesto dal ricorrente, da rimuovere dal web) e individuando il punto di equilibrio tra interesse alla conservazione della notizia e interesse della persona interessata alla tutela della sua reputazione personale nell’eventuale obbligo, posto a capo dell’editor, di pubblicare un’aggiunta o una nota ad una fonte disponibile in internet, che specifichi la circostanza che l’informazione di cui si discute è stata reputata diffamatoria dall’Autorità giudiziaria. In tal modo, attraverso l’aggiornamento della notizia, il pubblico avrà una notizia contestualizzata alla luce degli avvenimenti storici successivi alla pubblicazione, quale, ad esempio, l’emissione di una sentenza che ne accerti il carattere diffamatorio. Per un’ampia disamina della pronuncia de qua si veda F. DI CIOMMO, Il diritto di accesso all’informazione, cit., p. 104 e s.

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cosí rammentando che: «[s]econdo la citata pronuncia, in sintesi, gli utenti - in caso di ricerca nominativa su Google - non possono ottenere dal gestore del motore di ricerca la cancellazione dai risultati di una notizia che li riguarda se si tratta di un fatto recente e di rilevante interesse pubblico: il diritto all’oblio, infatti, deve essere bilanciato, ad avviso della corte, con il diritto di cronaca e con l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti acquisibili per il tramite dei links forniti dal motore di ricerca.».

Prosegue poi nel ricordare come la Corte europea, al fine di individuare quali possano essere i criteri idonei a ricercare il giusto equilibrio tra diritti fondamentali confliggenti, abbia evidenziato quello centrale assegnato, allo scopo, all’eventuale ruolo pubblico219 rivestito dalla persona della cui privacy si tratta. È necessario per di piú, continua il Tribunale, citando testualmente la Corte di Giustizia, «verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome»220.

Al fine di decidere la sussistenza, nel caso di specie, del paventato diritto «all’oblio» del ricorrente, il Tribunale ripercorre anche gli esiti degli approfondimenti svolti, a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia, dalle autorità sovranazionali e nazionali deputate alla protezione dei dati personali, al fine di concretizzare quanto statuito dalla sentenza «Costeja» per quanto attiene all’individuazione dei parametri atti a orientare l’attività delle autorità nazionali nella gestione dei reclami degli interessati a seguito del mancato accoglimento, da parte del motore di ricerca, delle richieste di deindicizzazione.

In questo modo viene fatta menzione dell’importante lavoro svolto dal c.d. «Gruppo 29» (organo consultivo indipendente istituito in conformità all’articolo 29 della dir. 95/46/CE sulla protezione dei dati personali), evidenziandosi che esso, il 26 novembre 2014, ha

219 Tal è l’avviso della Corte di Giustizia espresso nella sentenza «Costeja», richiamata dal Tribunale di Roma,

ove, al punto 97, precisa che: «Dato che l’interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico mediante la sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, occorre considerare – come risulta in particolare dal punto 81 della presente sentenza – che i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico a trovare l’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, mediante l’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi.».

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pubblicato delle linee guida per l’implementazione della menzionata pronuncia della Corte di Giustizia (causa C-131/12), le quali contengono una serie di criteri per orientare l’attività delle autorità nazionali nei casi di cui sopra, chiarendo che nessun criterio è di per sé determinante. In primo luogo tra i criteri in questione vi figura quello della natura del richiedente (in particolare, la circostanza per cui il richiedente rivesta un ruolo di rilievo pubblico, come nel caso di personaggi politici, dovrebbe tendenzialmente orientare verso il diniego della richiesta di deindicizzazione).

La sentenza in commento, al fine di pervenire ad una decisione sul caso sottopostogli, ricorda anche come i princípi esposti nelle linee guida emesse dal WP29, siano stati «integralmente recepiti dal Garante privacy nelle decisioni rese successivamente alla sentenza (Costeja)» e compie al riguardo espresso rinvio a due provvedimenti del nostro Garante, rispettivamente del 18 dicembre 2014 (n. 618) e 12 marzo 2015 (n. 153), precisando anche come quest’ultimo sia stato depositato agli atti dallo stesso gestore del motore di ricerca.

In particolare, la decisione del 18 dicembre 2014 sottolinea come nel caso di specie non sussistessero i presupposti per l’esercizio del diritto all’oblio contenuti nella sentenza «Costeja», «anche in considerazione del fatto che i medesimi risultavano essere assolutamente recenti, oltre che di pubblico interesse».

La decisione del Garante del 12 marzo 2015 evidenzia che tra i criteri che devono essere considerati per la disamina delle richieste di deindicizzazione ai motori di ricerca, vi è quello del ruolo pubblico dell’interessato nella vita pubblica e, correlativamente, quello della natura (pubblica o privata) delle informazioni allo stesso riferite. Di conseguenza, in tal caso, visto il ruolo che l’interessato riveste nella vita pubblica, prevale l’interesse della collettività ad accedere alle stesse rispetto al diritto dell’interessato alla protezione dei dati.

Pertanto, facendo applicazione dei princípi risultanti dalla sentenza della Corte di giustizia, del documento del WP29 e attraverso il richiamo a Cassazione n. 5525/2012221

221 Cass., 05 aprile 2012, n. 5525, in Foro it., 2013, I, c. 305. In questa occasione, la Cassazione, diversamente

da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Costeja, ha affermato che l’interessato, al fine di tutelare il suo diritto alla riservatezza, e in particolare il suo (asserito) diritto all’oblio, anziché al motore di ricerca, è legittimato a rivolgersi direttamente al gestore del sito c.d. sorgente, che sarebbe quindi obbligato, se mantiene la notizia on line, ad aggiornare l’informazione cosí che risulti sempre attuale e completa; pertanto, la Suprema Corte evidenzia che è richiesta «la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a margine) la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato […] consentendone il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato

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(per la quale il trascorrere del tempo, ai fini della sussistenza del diritto all’oblio, si configura quale elemento costitutivo), il Tribunale respinge la richiesta di delisting, affermando che debba ritenersi che le notizie individuate tramite il motore di ricerca risultino, nella specie, piuttosto recenti ed i fatti in esse narrati ancora attuali (dunque, insussistenza del presupposto del trascorrere del tempo). Inoltre, ad avviso del giudice capitolino, le notizie appaiono di «sicuro interesse pubblico, riguardando un’importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale- romano». Ma ancora, sulla base del fatto che il ricorrente sia avvocato in Svizzera, libero professionista, si ritenere che questo «eserciti un “ruolo pubblico” proprio per effetto della professione svolta e dell’albo professionale cui è iscritto, laddove tale ruolo pubblico non è attribuibile al solo politico (cfr. linee guida del 26.11.20014) ma anche agli alti funzionari pubblici ed agli uomini d’affari (oltre che agli iscritti in albi professionali).»222.

Ne consegue, cosí conclude la sentenza, che nell’ottica del bilanciamento tra diritti fondamentali, l’interesse pubblico a rinvenire sul web attraverso il motore di ricerca gestito dalla resistente notizie circa il ricorrente deve prevalere sul diritto all’oblio dal medesimo vantato.

3.3. La decisione «Safe Harbour» e il suo annullamento. Il caso Maximillian

Nel documento Il Cloud Computing (pagine 86-90)