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4. Le crisi bancarie degli anni Ottanta e Novanta

4.1 Il caso del Banco di Napoli

Una pecca di questo meccanismo si ha in relazione a banche di grandi dimensioni: in questi casi, il processo di concentrazione da solo non può costituire una soluzione e viene quindi accompagnato da interventi di ristrutturazione.

Se si vuole portare un esempio, si può citare il caso del Banco di Napoli, che ha necessitato dell’attuazione di un piano di risanamento e ristrutturazione per via legislativa, date le sue

42 dimensioni considerevoli e la rilevanza internazionale. Si ritiene che i fattori responsabili di questa crisi siano stati una gestione carente e un contesto particolarmente difficoltoso54.

Già dal 1989, infatti, questa banca presenta problemi e squilibri che vanno ad acuirsi durante gli anni Novanta, portando ad un peggioramento della qualità degli impieghi con la conseguente crescita di sofferenze patrimoniali. Nel 1996 il Ministero del Tesoro, proprietario dell’istituto, interviene con un finanziamento di 2.000 miliardi di lire per salvarlo dal fallimento55. L’intervento di ricapitalizzazione è subordinato al realizzarsi di determinate condizioni, come la predisposizione di un piano di ristrutturazione, la riduzione del costo del lavoro e la successiva privatizzazione del Banco56. Nel 1997 è la Banca d’Italia ad essere costretta ad intervenire come ultimo baluardo prima del collasso totale. La soluzione adottata prevede l’acquisto del 60% del Banco di Napoli da parte di una cordata costituita da INA-BNL. Si ha quindi una fusione che comporta una totale ristrutturazione e ricapitalizzazione dell’istituto.

54 P. Dacrema, op. cit., p. 257 ss.

55 Decreto legge 24 settembre 1996, n. 497 convertito in legge 19 novembre 1996, n. 588. 56 G. Boccuzzi, op. cit., p. 97 ss.

43 Gli elementi che emergono come preoccupanti da questa vicenda sono almeno due: in primo luogo, la lentezza con cui sono state riconosciute la vastità e la gravità del problema. Per almeno un decennio il Banco di Napoli ha continuato a svolgere la sua attività pur in presenza di condizioni critiche tali da renderlo un ente traballante. Ciò ha comportato di riflesso ritardi anche nella scelta delle misure da adottare, con un forte aggravio degli oneri del risanamento.

In secondo luogo, un altro elemento che colpisce è la quasi totale mancanza di reazioni da parte del pubblico. Se ci fossero state corse agli sportelli e panico dilagante sicuramente la situazione si sarebbe esasperata, ma il fatto che i depositanti siano così assuefatti all’idea di essere sempre tutelati e protetti desta qualche perplessità57.

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4.2 Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD)

Dal finire degli anni Ottanta e per tutto il decennio seguente, uno strumento utilizzato nella soluzione delle crisi bancarie è stato il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD)58.

Tale organismo viene costituito nel 1987 nella forma di consorzio volontario tra banche, operando nell’interesse di queste ultime in qualità di mandatario con obbligo di rendiconto. Il suo scopo è assicurare la protezione dei depositi della clientela, svolgendo un’azione di monitoraggio basata sull’analisi dei rapporti di bilancio trasmessi dalle banche. Opera di concerto con la Banca d’Italia, la quale, in virtù del suo ruolo di Autorità di Vigilanza, ha la capacità di autorizzare gli interventi a favore delle banche, di approvare le modifiche dello Statuto, di far partecipare un suo delegato alle riunioni del Consiglio e di convocare il Comitato di Gestione. Il Fondo ha potere di intervento nei confronti di istituti posti in liquidazione coatta e in amministrazione straordinaria. Le banche consorziate corrispondono annualmente le somme necessarie per l’ordinario funzionamento dell’organismo, mentre le

45 risorse per effettuare gli interventi in caso di crisi vengono fornite al momento, su richiesta del Fondo stesso. Il limite massimo, fissato nello Statuto, si attesta all’1% della massa fiduciaria di tutte le aderenti, non oltre comunque una somma pari ai 4.000 miliardi di lire. Per fare degli esempi concreti delle modalità di azione di tale organismo, si possono citare i casi della Cassa di Risparmi e Depositi di Prato, del Banco di Tricesimo e della Banca di Girgenti.

Il primo intervento del FITD si ha in occasione della crisi della Cassa di Risparmi e Depositi di Prato59. La banca è reduce da un periodo positivo, di intenso sviluppo dovuto al fiorire dell’economia locale, con la quale è bene integrata. Una delle cause che portano la Cassa all’insolvenza nel 1988 è da ascrivere alla crisi del settore tessile, che infetta numerosi investimenti. Un altro fattore rilevante è da rintracciare nell’imprudente politica dei prestiti adottata dai vertici della banca, basata sull’erogazione di grandi quantità di credito senza verificare la presenza di adeguate garanzie. Al fine di mascherare gli insuccessi di queste scelte strategiche, gli amministratori, che verranno infatti accusati di frode

59 P. Schwizer, R. Tasca, Le crisi bancarie in Italia, in R. Ruozi (a cura di), Le crisi bancarie,

46 fiscale e falso in bilancio, mettono in atto una serie di irregolarità contabili, facendo scomparire le voci di sofferenza dai bilanci.

Tra il 1987 e il 1988 emerge la situazione dissestata della banca: interviene la Banca d’Italia che sollecita la stipulazione di un accordo interbancario per la ricapitalizzazione della cassa. L’accordo viene raggiunto ma fin da subito le misure adottate si rivelano insufficienti, obbligando il Ministro del Tesoro a sottoporre con decreto la banca alla procedura di amministrazione straordinaria.

A questo punto, i commissari richiedono l’intervento del FITD che, pur disponendo di una somma pari solo a un quarto della sua dotazione complessiva, assicura una completa assistenza ai depositanti, erogando 200 miliardi di lire. Viene stabilizzata la gestione, contenuto il fabbisogno di liquidità, mantenuto un regime di operatività normale ed evitati i maggiori oneri derivanti da un’immediata messa in liquidazione. Vi è poi un secondo intervento del Fondo, con la predisposizione di un piano di risanamento composto da una ricapitalizzazione iniziale di 800 miliardi e dal rilascio di una garanzia a fronte delle perdite su crediti60. La

47 sottoscrizione, che si ha il 12 dicembre 1988, segna l’ingresso del FITD come azionista principale nella compagine societaria. La partecipazione verrà poi dismessa mediante la cessione al Monte dei Paschi di Siena.

Un altro intervento del Fondo si è avuto nei confronti del Banco di Tricesimo nel 1990. La crisi che colpisce l’istituto viene scatenata dai comportamenti scorretti e fraudolenti dell’amministrazione, tradottisi in gravi perdite patrimoniali che rendono necessario un provvedimento di amministrazione straordinaria. A causa dell’impossibilità di trovare un accordo tra i commissari e il gruppo di controllo della banca, si decide di procedere mediante l’azione del Fondo e la messa in liquidazione coatta. Per la prima volta dalla sua costituzione, il FITD rimborsa i depositanti in forma integrale per una cifra pari a più di sei miliardi di lire, che verranno recuperati quasi del tutto in fase di liquidazione del Banco.

Un ulteriore esempio del concreto operare del Fondo si può fare ricordando il caso della Banca di Girgenti, istituto a carattere locale ma che all’inizio degli anni Novanta risulta essere in forte espansione. In seguito al verificarsi di alcune regolarità

48 amministrative, la Banca d’Italia interviene disponendo una serie di accertamenti. Ne risulta una banca completamente soggetta alle volontà del gruppo di controllo Dominion Trust, per il quale realizza anche operazioni illegali. Si viene a conoscenza di numerosi finanziamenti erogati al gruppo stesso senza alcuna garanzia per un importo pari ad almeno 24 miliardi61. Il 18 maggio 1991 l’istituto viene posto in amministrazione straordinaria e i commissari, per coprire parte dello scoperto, chiedono l’intervento del FITD che eroga un finanziamento di 10 miliardi di lire. La soluzione adottata non risulta però sufficiente: si decide quindi che la forma più conveniente di intervento è costituita dal pagamento dello sbilancio di cessione e la banca viene posta in liquidazione coatta amministrativa. Fortunatamente le trattative con istituti di credito solidi e in grado di sostenere l’istituto in difficoltà vanno a buon fine e il Credito Emiliano acquisisce le attività e le passività della Banca di Girgenti. Con l’accordo siglato il 14 ottobre 1992 il FITD si impegna a corrispondere l’importo di disavanzo di cessione, pari a circa 84 miliardi.

49 A fronte di questa ricostruzione, possiamo senza dubbio affermare che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi ha contribuito in maniera preponderante alla copertura dei costi imposti dalle crisi62.

5. La crisi finanziaria del 2007- 2009: l’origine e le misure

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