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Regolazione pubblica per la gestione e risoluzione delle crisi bancarie

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Academic year: 2021

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I

Sommario

Introduzione ... III Capitolo I...

Storia delle crisi bancarie ... 1

1. Lo sviluppo dell’attività bancaria in Italia ... 1

1.2 La vicenda della Banca Italiana di Sconto ... 10

1.3 La legge bancaria del 1926 ... 13

2. La crisi bancaria italiana degli anni ‘30 ... 16

2.1 La creazione dell’IMI e dell’IRI ... 19

2.2 La redazione della legge bancaria ... 23

3. La situazione economica italiana degli anni ‘70 e le ripercussioni sul sistema bancario ... 26

3.1 Il caso della Banca Privata Italiana ... 29

3.2 Il caso del Banco Ambrosiano ... 34

4. Le crisi bancarie degli anni Ottanta e Novanta ... 37

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II 4.2 Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD)

... 43

5. La crisi finanziaria del 2007- 2009: l’origine e le misure adottate ... 48

5.1 Il caso Lehman Brothers ... 57

5.2 Il caso Northern Rock ... 60

5.3 L’impatto della crisi sull’Italia ... 64

Capitolo II ... La regolamentazione dell’insolvenza bancaria ... 67

1. I primi tentativi di regolamentazione a livello europeo . 67 2. Le disposizioni del Testo Unico bancario sulle crisi bancarie ... 74

2.1 L’amministrazione straordinaria ... 79

2.2 La gestione provvisoria ... 98

2.3 La liquidazione coatta amministrativa ... 100

3. L’impatto della crisi del 2007 ... 116 Capitolo III ...

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III La struttura dell’Unione Bancaria europea e il Meccanismo Unico di Vigilanza ... 123 1. L’Unione Bancaria europea ... 123 2. La vigilanza nell’Unione Europea ... 138 2.1 Le fasi di sviluppo della vigilanza bancaria: da Lamfalussy a De Larosière ... 138 2.2 Il Meccanismo di Vigilanza Unico ... 153 2.3 La ripartizione di competenze tra la Banca centrale europea e le Autorità nazionali ... 165 2.4 I rapporti tra il Meccanismo di Vigilanza Unico e l’Autorità bancaria europea... 170 IV Capitolo ... Il Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi e la direttiva 2014/59/Ue c.d. Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD ... 175

1.Lo sviluppo delle nuove regole europee di gestione della crisi 175

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IV 2. La Direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche

... 181

2.1 La struttura della direttiva ... 187

3. Il Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi ... 196

3.1 L’ambito di applicazione del Meccanismo Unico di Risoluzione ... 199

3.2 La composizione del Board ... 205

3.3 I poteri del Board ... 206

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V Introduzione

L’ondata di crisi bancarie internazionali che ha sconvolto i sistemi e gli equilibri finanziari a partire dal 2007 si è palesata con il fallimento della grande banca di investimento americana Lehman

Brothers.

L’impatto sull’economia in scala mondiale è stato così violento e spiazzante da imporre una riflessione condivisa tra i Paesi finanziariamente più avanzati, al fine di arginare il fenomeno e impedire l’evoluzione ulteriore di accadimenti simili.

Tra le cause che hanno contribuito a rendere fertile il terreno per il propagarsi di eventi di una siffatta portata distruttiva, devono annoverarsi, in primis, una pressoché totale mancanza di trasparenza in merito allo svolgimento delle operazioni poste in essere dalle banche, seguita a ruota dalla spiccata inadeguatezza della normativa dettata per il controllo della materia, ormai scollata rispetto alle evoluzioni concrete della realtà.

In questo clima di disinteresse e lassismo non è stato difficile che tra gli istituti finanziari di dimensioni più massicce e con giri d’affari a dir poco considerevoli si radicasse il principio del too big

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VI La convinzione di essere fondamentalmente intoccabili, di trovarsi talmente in alto, al vertice della piramide del mercato finanziario internazionale, così da essere al riparo da ogni tipo di rischio, ha infatti costituito un tassello di estrema importanza nell’evoluzione degli eventi di crisi che si sono poi realizzati.

Le autorità preposte al controllo delle operazioni e delle situazioni di stabilità e liquidità degli enti creditizi, che per anni hanno assunto comportamenti caratterizzati da indulgenza e permissività eccessive, hanno di fatto contribuito all’irrobustirsi del

moral hazard, un sentimento che ha incoraggiato gli intermediari a

tenere comportamenti eccessivamente rischiosi e spregiudicati. Al manifestarsi della crisi le strade che si sono aperte agli Stati per cercare di proteggersi il più possibile dalle severe ripercussioni di questo evento sono state solo due: lasciare fallire gli istituti oppure salvarli con soldi pubblici.

Come dimostrato più volte, scegliere di lasciar fallire una banca non è mai una soluzione saggiamente percorribile poiché il meccanismo che si innesca rischia di portare a risultati ancora peggiori.

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VII Quando si tratta di intermediari finanziari, infatti, dal fallimento scaturiscono una serie di esternalità negative che non si verificano invece quando tale fenomeno riguarda altri tipi di imprese.

La ragione si rinviene facilmente se si pensa al modo in cui gli enti creditizi sono interconnessi e a come il loro funzionamento si basi sul requisito della stabilità economica.

L’unica opzione che rimane dunque sta nel ricorrere alla finanza pubblica, salvando le banche servendosi dei risultati delle tassazioni imposte ai contribuenti. Questa conclusione però, oltre a risuonare ingiusta e inammissibile da un punto di vista concettuale e politico, non fa altro che rafforzare il moral hazard dal momento che diventa fatto notorio che ad eventuali perdite corrisponderà una socializzazione dei costi.

Al fine di spezzare definitivamente questo rischioso circolo vizioso, all’indomani della crisi del 2007 i policy makers hanno elaborato nuove regolamentazioni circa la risoluzione delle istituzioni finanziarie, destinate in particolare alle Systemically

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VIII A seguito delle raccomandazioni espresse in sede di G20, il

Financial Stability Board ha elaborato i Key Attributes for Effective Resolution Regimes for Financial Institutions per individuare nuovi

strumenti che assicurino l’uscita ordinata dal mercato delle banche insolventi in un quadro normativo armonizzato e volto al rafforzamento della cooperazione internazionale.

Queste nuove linee guida sono state raccolte e tradotte a livello europeo dalla Direttiva 2014/59/Ue sul risanamento e la risoluzione delle banche – BRRD, in vigore dal 1° gennaio 2015.

Tale disciplina modifica in modo significativo gli assetti normativi e istituzionali dei Paesi europei, innovando la gestione delle crisi e attribuendo poteri ampi alle Autorità di risoluzione.

Si assiste dunque ad un epocale cambiamento, arrivando al superamento delle logiche contenute nelle normative previgenti, basate sul riconoscimento reciproco delle procedure nazionali di risanamento e liquidazione delle banche, e elaborando un meccanismo in grado non solo di fronteggiare la crisi nel momento in cui essa si manifesta ma anche di prevenirle.

Il legislatore ha infatti messo a punto strumenti da applicare nelle fasi di attività ordinaria e negli stadi iniziali di situazioni

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IX difficoltose, così da preservare la stabilità e la continuità dei servizi bancari essenziali e da evitare perdite a carico dei contribuenti.

La Direttiva inoltre va ad incunearsi perfettamente e ad incrementare le potenzialità e il buon funzionamento del progetto, ormai diventato operativo, della c.d. Banking Union.

Questa struttura è stata fortemente voluta dagli organismi europei, come sforzo finale per superare la frammentazione del sistema bancario e per proteggere la moneta unica. Rappresenta l’ultima e necessaria presa di coscienza circa la peculiarità delle necessità e dei bisogni condivisi dai Paesi facenti parte dell’Eurozona.

L’Unione bancaria si sorregge su tre pilastri riguardanti la vigilanza, la risoluzione delle crisi bancarie e la tutela dei depositanti. Dopo innumerevoli tentativi e con l’impegno delle migliori energie si è arrivati, a cavallo tra il 2012 e il 2014, alla creazione del Single Supervisory Mechanism e del Single

Resolution Mechanism.

Tali innovazioni hanno segnato il passaggio definitivo da una concezione fondata su una rete di autorità nazionali poste in un rapporto di semplice cooperazione ad un’altra, più moderna e

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X funzionale, basata sull’accentramento dei poteri decisionali a livello europeo e confinando la collaborazione con le autorità locali solo in caso di attuazione pratica e concreta dei vari strumenti adottati.

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1

Capitolo I

Storia delle crisi bancarie

1. Lo sviluppo dell’attività bancaria in Italia

Il nostro Paese vede uno sviluppo piuttosto tardivo del sistema bancario e finanziario, a differenza del resto d’Europa. Inizialmente manca del tutto una disciplina speciale per la materia bancaria. Le operazioni vengono sommariamente regolate dal codice di commercio del 1882 che si limita ad introdurre per le imprese esercenti il credito, un generico obbligo di trasparenza, consistente nel deposito mensile di una situazione patrimoniale1.

Nella seconda metà dell’Ottocento inizia a imporsi un certo pluralismo bancario con la creazione di nuove forme operative e organizzative degli intermediari2: nascono le Casse di Risparmio, le Casse rurali e le Banche popolari. I decenni postunitari sono appunto caratterizzati dall’affermazione di una serie di organismi a carattere locale3. Si iniziano a costituire gli assetti proprietari pubblici che rimarranno una costante del sistema bancario italiano. In questo periodo, per ovviare alla scarsità di regole generali,

1 A. Antonucci, Diritto delle banche, Milano, Giuffrè Editore, 2012, p. 1-34.

2 Cfr. G.Conti, A. Cova, S. La Francesca, Lezioni sulla formazione del sistema bancario

italiano, Quaderno n.258, Università Cattolica del Sacro Cuore.

3 G. Maifreda, Banche e società civile (1861-1914), in L. Conte (a cura di), Le banche e

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2 vengono adottate discipline speciali per alcuni settori dell’intermediazione bancaria. Alcuni interventi normativi creano istituti di credito di diritto pubblico, altri provvedimenti regolano il credito fondiario. Sono di questi anni vari studi volti a formalizzare i principi di buona condotta bancaria la cui funzione sarebbe quella di ovviare al silenzio prolungato del legislatore.

E’ del 1874 una delle prime leggi bancarie4 che crea un consorzio tra la Banca Nazionale, il Banco di Napoli, la Banca Nazionale Toscana, il Banco di Sicilia, la Banca Toscana di Credito e la Banca Romana. Viene loro conferito il potere di emissione di moneta con la previsione di un certo limite da non superare in capo ad ognuna5. La pluralità degli enti con facoltà di emissione non rappresenta di per sé un ostacolo a un corretto e ordinato svolgimento del sistema monetario e creditizio. Le condizioni perché questo venga ad esistenza e si mantenga sono infatti l’appropriatezza della normativa adottata, un sistema di controlli rigoroso e la sanzione di comportamenti illegali6. Vengono emanate

4 L. 30 aprile 1874 n. 1920 detta legge Minghetti – Finali.

5 P. Dacrema, L’evoluzione della banca in Italia. Profili storici e tecnici, Milano, EGEA, 1997,

p. 26 ss.

6 A. Cova, Difficoltà dell’economia e fallimenti di banche nell’Italia agricola di fini Ottocento,

in Le crisi bancarie in Italia nell’Ottocento e nel Novecento: cause e svolgimenti, Testi delle relazioni tenute nel ciclo di conferenze su “Storia di banche e banchieri”.

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3 misure contro il fenomeno della circolazione abusiva e nel gennaio del 1875 viene redatto un regolamento in merito alla vigilanza sulle banche di emissione. Si introduce l’obbligo della “riscontrata” che, imponendo agli istituti di emissione la conversione dei propri biglietti in quelli di uno qualunque degli altri istituti, costituisce uno strumento di verifica sistematico della mole dei biglietti effettivamente circolanti.

Purtroppo questo sistema perfetto viene costantemente smentito: le trasgressioni alle norme previste diventano la prassi e si assiste al quasi totale fallimento dei provvedimenti volti a controllare la circolazione illegale ad opera delle banche di emissione, a causa soprattutto dell’incapacità e superficialità della classe dirigente.

Sono queste le maggiori cause della crisi che esploderà nel 1892, quando il noto economista Maffeo Pantaleoni decide di diffondere i dati delle ispezioni compiute nei confronti delle banche di emissione tra i parlamentari dell’opposizione. Vengono chieste la promulgazione di una nuova legge sugli istituti di emissione, un’inchiesta parlamentare che però non viene concessa e un’inchiesta amministrativa che viene invece avviata e dalla quale

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4 emergono illeciti così gravi a carico della Banca Romana da far arrestare il suo governatore nel 1893.

In questo frangente, viene portata alla luce la situazione generale di tutti gli istituti di emissione che risulta essere piuttosto pregiudicata, caratterizzata da diffuse immobilizzazioni e acute sofferenze. Il momento più drammatico della crisi si ha nel marzo del 1893 con le dimissioni di Giolitti e del suo governo che vanno ad incidere pesantemente sul tasso di cambio della lira.

Il 10 agosto 1893 entra in vigore la legge n. 449 con la quale nasce la Banca d’Italia mediante fusione della banca Nazionale con le due banche toscane. La Banca Romana scompare, così da ridurre gli istituti di emissione da sei a tre. Il nuovo dispositivo prevede il tasso di sconto ufficiale, uniforme per tutti gli enti e sottoposto al controllo costante del governo. Le banche di emissione potranno procedere allo sconto di cambiali entro quattro mesi e concedere anticipazioni di massimo sei mesi7. Sono stabiliti anche i limiti entro i quali tali istituti possono raccogliere depositi in conti correnti fruttiferi, superati i quali si avrà una riduzione della circolazione del 75% dell’eccedenza verificatasi. Memore della

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5 precedente esperienza maturata con la Banca Romana, la norma vieta ai parlamentari di assumere un ruolo di qualsiasi genere all’interno degli enti. Il testo di legge si occupa poi della legalizzazione della circolazione illegale creata dall’istituto fallito e introduce un meccanismo di contenimento per riportare, entro un certo arco di tempo, la circolazione pari a tre volte il capitale versato da ciascuna banca. Rimane fermo il divieto di credito fondiario, si concedono dieci anni per un completo risanamento dei bilanci e si stabilisce l’obbligo di conversione dei biglietti in metallo.

All’indomani della pubblicazione, la nuova normativa è fatta oggetto di critiche e opinioni negative8, soprattutto perché neanche in questa occasione si è giunti al monopolio dell’emissione. Traguardo fortemente auspicato dal momento che esercitare una penetrante ed efficace azione di controllo su una molteplicità di istituti presenta molti ostacoli, difficili da superare. E’ quindi con un certo scetticismo che si guarda anche al nuovo sistema di vigilanza e si nutrono forti dubbi sul suo essere in grado di prevenire il crearsi di nuovi schemi collusivi tra interessi politici e

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6 finanziari. Un ulteriore motivo di giudizi negativi trova fondamento sul fatto che non vengono dettate indicazioni precise sulle modalità che le banche devono seguire per bonificare i loro conti. Si capisce quindi come l’opinione maggioritaria dell’epoca veda in questa nuova legge l’ennesimo provvedimento di legalizzazione a posteriori di circolazione illegale.

Anche i mercati finanziari risentono di queste impressioni sfavorevoli, avvertendo un grave rischio per il sistema monetario e l’incapacità delle autorità di intervenire adeguatamente. Il paese continua a subire un forte deflusso di capitali verso l’estero, si registrano un allarmante ritiro dei depositi e la scomparsa di alcuni importanti istituti di credito mobiliare, tra i quali la Società di Credito Mobiliare e la Banca Generale, travolti dalla impossibilità di reperire credito all’estero e dal venir meno del rapporto fiduciario. Al verificarsi di questi crolli, Maffeo Pantaleoni9 traccia un’accurata analisi in merito a questa grande crisi di fine secolo e ne ricerca le cause spaziando attraverso tutte le componenti della realtà sociale ed economica del tempo10. Lo studioso evidenzia

9 M. Pantaleoni, La caduta della Società Generale di Credito Mobiliare Italiana, Milano, rist.

1977.

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7 come l’assoluta stazionarietà del reddito nazionale, della produzione del settore agricolo e di quello industriale11 abbiano rappresentato il terreno fertile sul quale la crisi ha potuto attecchire. Il gravissimo crollo economico e sociale inerente al settore primario, all’epoca fonte principale della nostra economia, il contrarsi improvviso del comparto delle costruzioni12 e il deteriorarsi dei rapporti con la Francia sono stati la spinta ulteriore che ha portato allo sgretolamento delle due grandi banche.

Nonostante queste vicende, il 1893 per l’evoluzione bancaria del nostro Paese segna l’inizio di un momento di particolare significato. Oltre alla costituzione della Banca d’Italia, che rimane un evento epocale, è a questo periodo che si fa risalire la nascita del modello della banca mista di matrice tedesca13. Dopo la dissoluzione dei due grandi enti di credito mobiliare, questo vuoto viene rapidamente colmato dalla rapida costituzione di due nuovi grandi istituti, la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano. Tra la fine del 1894 e il 1895 questi enti ereditano parte della

11 A. Cova, Difficoltà dell’economia e fallimenti di banche nell’Italia agricola di fini

Ottocento, in Le crisi bancarie in Italia nell’Ottocento e nel Novecento: cause e svolgimenti,

Testi delle relazioni tenute nel ciclo di conferenze su Storia di banche e banchieri.

12 C. Brambilla, Banche ed economia nazionale in L. Conte (a cura di), Le banche e l’Italia.

Crescita economica e società civile. 1861-2011, Roma, Bancaria Editrice, 2011, p. 89 ss.

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8 clientela e del personale delle banche fallite e beneficiano dell’afflusso di capitali freschi forniti in particolar modo da banchieri tedeschi. Queste relazioni sono ben viste e agevolate dal nuovo governo Crispi, anche in seguito alle tensioni con la Francia e ai rapporti più stretti con le potenze dell'Europa centrale a seguito della firma della Triplice Alleanza14. Sempre in questo periodo si assiste allo sviluppo di altri due organismi: la Società Bancaria Italiana e il Banco di Roma. Quello che si viene a creare in Italia con l’inizio del ‘900 è un panorama bancario estremamente composito, connotato dalla presenza, accanto alle quattro grandi banche prima menzionate, di tanti istituti piccoli e sottocapitalizzati15.

Su questo sistema si abbatte la prima guerra mondiale, che si rivela un episodio distruttivo, smentendo le previsioni di una rapida risoluzione del conflitto. L’Italia viene duramente colpita da un fenomeno di crescita generalizzata dei prezzi e della spesa pubblica. Lo Stato ha bisogno di avere a disposizione ingenti risorse finanziarie, ma appare chiaro fin da subito come il meccanismo tributario sia inadeguato allo scopo. Si ricorre allora all’aumento

14 C. Brambilla, op. cit. 15 A. Antonucci, op. cit.

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9 della circolazione come unico strumento in grado di far fronte a questa situazione. Si utilizza l’emissione di biglietti come mezzo di pagamento delle spese belliche, per gli approvvigionamenti alimentari e industriali. La rapida ascesa dei prezzi è una conseguenza di questa decisione e interessa tutti i generi necessari per la sopravvivenza, facendo precipitare la popolazione in condizioni critiche.

Per quanto riguarda il mondo bancario, proprio in questi anni la Banca Commerciale, il Credito Italiano, la Banca Italiana di Sconto e il Banco di Roma consolidano il loro potere16 sovvenzionando lo sforzo bellico dei grandi gruppi industriali. Hanno un giro d’affari che si ingigantisce, espandendosi in ogni direzione e incrementano la loro influenza economica e politica, svincolandosi dai sistemi di indirizzo e controllo.

16 F. Dandolo, Le banche dall’autocrazia al controllo politico (1915-1945), L. Conte (a cura

di), Le banche e l’Italia. Crescita economica e società civile. 1861-2011, Roma, Bancaria Editrice, 2011, p. 105 ss.

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1.2 La vicenda della Banca Italiana di Sconto

Un brusco capovolgimento della realtà si registra nell’immediato dopoguerra: per il mondo industriale infatti quello che si profila è un momento di grandi difficoltà dovute alla necessità di riconvertire la produzione. A causa dell’intrecciarsi degli interessi, anche il settore bancario viene trascinato nella spirale della crisi.

L’evento emblematico e più clamoroso di questo periodo è quello riguardante la Banca Italiana di Sconto, fondata alla fine del 1914 su iniziativa di un gruppo di banchieri italiani e francesi. Il suo sviluppo durante la guerra è rapido ed enorme: vengono aperte numerose filiali e assorbite molte banche locali. La maggiore attività in cui è impegnata è quella della concessione di credito industriale. In questo modo la banca si lega ad aziende fortemente impegnate nella produzione bellica, in particolar modo all'Ansaldo di Genova17. La società cresce durante il conflitto, ampliando anche i settori di sua pertinenza e per farlo assorbe quasi del tutto le risorse della banca. I rapporti tra i due organismi si fanno sempre

17 S. La Francesca, Le crisi bancarie prima e dopo la guerra europea e la grande depressione,

in Le crisi bancarie in Italia nell’Ottocento e nel Novecento: cause e svolgimenti, Testi delle relazioni tenute nel ciclo di conferenze su Storia di banche e banchieri.

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11 più stretti e sbilanciati a favore dell’azienda genovese che può contare su uomini di sua fiducia al vertice dell’istituto creditizio. Nel 1921, nonostante le condizioni poco brillanti, l’Ansaldo ottiene nuovi finanziamenti dalla Banca di Sconto che per farlo è costretta a raccogliere nuovi depositi e a riscontare i suoi effetti presso le banche di emissione che alla fine dell’anno risultano sue creditrici per un importo molto elevato. Nello stesso momento, iniziano a diffondersi voci allarmanti tra i depositanti sulla situazione della banca, scatenando la corsa agli sportelli e determinando l’inizio di una crisi irreversibile. Il governo Bonomi si rifiuta di effettuare salvataggi bancari nella convinzione che lo Stato abbia il solo compito di agevolare il superamento di eventuali difficoltà e non possa invece compromettere l’esistenza degli istituti di emissione né scaricare le perdite sui contribuenti18. Anche il tentativo delle banche di emissione di evitare il dissesto, organizzando un consorzio con grandi banche private, fallisce miseramente e la Banca di Sconto viene abbandonata al suo destino. Il crollo viene quindi considerato come un fatto di natura privata ma la reazione che ne consegue è letteralmente opposta a quella ipotizzata. Vi sono

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12 severe ripercussioni su tutto il sistema economico, in quanto le aziende che si appoggiavano finanziariamente alla banca si trovano sprovviste di sostegno e impossibilitate ad utilizzare i loro stessi depositi. La crisi dilaga rapidamente, causando la fine di alcune aziende di credito minori e arrivando a contagiare anche il Banco di Roma, di cui però si riesce a impedire il fallimento.

La vicenda della Banca di Sconto rappresenta chiaramente la situazione di pericolo creatasi nel sistema bancario italiano, che ha fatto del finanziamento all’industria il centro nevralgico della sua attività. Gli istituti di credito italiani erogano finanziamenti a breve e a protratta scadenza alle aziende industriali e spesso acquisiscono partecipazioni rilevanti di capitale che poi cercano di collocare sul mercato nel momento più opportuno19. E’ palese che in questa tipologia di finanziamento sia insito il pericolo di una possibile degenerazione dei rapporti tra banca e industria. Si corre il rischio che una banca che abbia investito una parte ragguardevole delle proprie risorse in un'impresa, diventandone creditrice e azionista, voglia intervenire nella sua gestione per influenzarne le sorti. A ciò si aggiunge un’ulteriore possibilità di alterazione della fisiologia dei

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13 rapporti, cioè che i gruppi industriali tentino una scalata alle banche per impadronirsi del loro controllo e garantirsi tutto l’appoggio finanziario necessario.

1.3 La legge bancaria del 1926

Sulla base di queste considerazioni, all’indomani della disfatta della Banca di Sconto, si apre un acceso dibattito sulla situazione del mondo bancario, rendendo evidente soprattutto la mancanza di regole sulla concorrenza e di forme di tutela del risparmio. Su questa scia affiora la classica domanda se l’esercizio del credito debba essere lasciato libero oppure se i pubblici poteri debbano adottare strumenti di vigilanza con apposite leggi20. Mentre appare ineluttabile l’elaborazione di alcune forme di controllo, il vero punto focale della discussione è trovare un’intesa sulle modalità attraverso le quali questo potere debba essere esercitato. Soprattutto la classe dirigente liberale teme che si possa arrivare a una lesione del principio di autonomia degli istituti di credito.

Con l’avvento del fascismo, le priorità cambiano e Mussolini stesso esprime la propria determinazione nell’attuare ogni possibile

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14 sforzo per prevenire altri dissesti bancari. Si evince chiaramente dalla relazione dell’assemblea generale dell’Associazione Bancaria Italiana del 192421, che riporta l’intervento dell’allora Ministro Alberto De’ Stefani, come il tema della tutela del risparmio acquisti sempre più centralità, diventando un obiettivo di rilievo per il regime. Nella prospettiva fascista, il risparmio diviene un valore etico, morale e sociale, da proteggere non solo per difendere gli interessi del piccolo risparmiatore, ma anche per tutelare la stabilità dell’economia nazionale. Inizia così l’elaborazione di progetti per creare uno statuto speciale dell’impresa bancaria, che arriva a maturazione nel 1926.

Con la promulgazione del r.d.l. 6 maggio 1926, n. 812 si ottiene in primo luogo l’unificazione dell’emissione dei biglietti di banca, attribuendo tale facoltà esclusivamente alla Banca d’Italia. Pochi mesi dopo vengono adottati ulteriori provvedimenti, in particolare il r.d.l. n. 1511, volti alla tutela del risparmio. La disciplina che viene alla luce è orientata a regolamentare gli intermediari finanziari che esercitano il credito raccogliendo depositi. Si ha la costruzione di un apparato di controllo

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15 amministrativo che vigila sull’accesso al mercato bancario, sul comportamento degli intermediari e sulla gestione delle crisi che non si riescano a prevenire. Al vertice di questo sistema è posto il Ministro delle Finanze, mentre alla Banca d’Italia sono attribuite funzioni istruttorie e consultive e una più generale di vigilanza. L’istituto di emissione ha anche il diritto di ricevere relazioni periodiche e i bilanci delle imprese bancarie e di ordinare ispezioni. La finalità generale è quello di risanare il mercato bancario, troppo affollato e soggetto a crisi frequenti, e la disciplina in esame sembra piuttosto efficace e capace di concretizzare gli obiettivi preposti. Nonostante gli sforzi del legislatore, questo momento storico rimane molto impegnativo per le grandi banche, soprattutto perché su di esse continua a gravare il peso del mondo industriale italiano.

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16 2. La crisi bancaria italiana degli anni ‘30

Dopo una fase di relativa vitalità dell’economia, corrispondente all’inizio del periodo fascista, alla fine del 1929 si verifica un momento di difficoltà per il sistema creditizio italiano, nonostante le misure adottate nei tre anni precedenti22. Le fusioni e le liquidazioni resesi necessarie dopo l’emanazione dei provvedimenti legislativi tra il 1926 e il 1927 non hanno infatti del tutto risolto il problema dell’esubero degli istituti bancari rispetto ala potenzialità produttiva limitata del paese. In questo frangente si rafforza ulteriormente il ruolo dello Stato che viene visto come l’unico soggetto capace di salvare il Paese da una crisi imminente.

Su questo quadro già di per sé precario, influisce la grande depressione americana che arriva ad interessare anche l’Europa. Ancora oggi non è facile indicare con certezza i fattori scatenanti di un fenomeno di così vasta portata, ma sicuramente la crescita abnorme del mercato azionario dovuta alle massicce speculazioni finanziarie e la caduta dei prezzi agricoli dei prodotti americani, provocata dalla ripresa del settore primario in Europa, hanno esercitato un peso non secondario. Un’altra causa è da ricercare

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17 nella ristrutturazione del mercato internazionale dei capitali e delle merci all’indomani della prima guerra mondiale. Infine, non vanno sottovalutate alcune caratteristiche proprie delle economie dei paesi capitalisti, come una ridotta attitudine agli investimenti in settori produttivi diversi, una politica di bassi salari, una persistente disoccupazione e una diffusa inadeguatezza di un sistema di controlli sulle banche.

La combinazione dei problemi nazionali con quelli derivanti dalla grande depressione spinge inevitabilmente l’Italia verso la crisi, andando a coinvolgere anche il sistema bancario. Comincia l’esodo dei depositi, la diminuzione del lavoro e l’aumento delle spese che fanno vacillare la rete di medie e piccole banche che si è creata nel primo dopo guerra. Anche le grandi banche miste vengono colpite e precipitano in una situazione di forte immobilizzazione causata dallo stato del settore industriale23.

Un esempio concreto può essere fatto descrivendo la vicenda del Credito Italiano. Dopo un periodo di sostanziale equilibrio, tra 1928 e il 1929 si comincia ad avvertire all’interno della banca una sensazione di malessere. I dirigenti sono infatti consapevoli del

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18 fatto che, al contrario di quanto emerge dal bilancio ufficiale, il conto economico è in perdita. Verso la metà del ’29 ci si pone il problema dello smobilizzo delle partecipazioni industriali: il consiglio di amministrazione vuole infatti costituire una società finanziaria nella quale fare confluire quelle più sane e interessanti. Il fine è quello di collocare sul mercato titoli azionari e obbligazionari sicuri, tali da rappresentare un’ampia gamma di opportunità di investimento nelle migliori aziende industriali. Il Credito Italiano matura prima delle altre banche la felice intuizione di darsi un assetto organizzativo diverso, così da distinguere le occupazioni ordinarie della banca da quelle di un’istituzione finanziaria specializzata nel credito mobiliare destinato all’industria24. Assistiamo dunque alla nascita della banca come

holding, in virtù della quantità e qualità delle partecipazioni

detenute. Nel marzo del 1930, l’istituto in esame incorpora la Banca Nazionale di Credito, realizzando un ragguardevole aumento delle proprie dimensioni e organizzazioni anche internazionale. Vengono intraprese operazioni poco prudenti che consentono la formazione di un portafogli azionario ancora più cospicuo ma anche

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19 incongruente con gli orientamenti dell’istituto. La situazione si incrina e la banca viene minacciata dalla crisi in seguito al crollo dei profitti industriali e dei valori azionari.

2.1 La creazione dell’IMI e dell’IRI

La soluzione italiana per fronteggiare la crisi del Credito Italiano, allargatasi poi alla Banca Commerciale e al Banco di Roma, segue lo stesso schema. Inizialmente, tra il 1931 e il 1934, vengono stipulate convenzioni tra il governo, la Banca d’Italia e le banche appena citate25. Si trasferiscono le partecipazioni industriali a società finanziarie che a loro volta le dislocano all’Istituto di Liquidazioni che, su finanziamento della Banca d’Italia, fornisce liquidità alle banche che ne hanno bisogno così da mantenere i rapporti fisiologici di mercato26. Questi accordi predispongono anche i limiti entro i quali si svolgerà l’attività di queste aziende di credito, che non potranno più assumere partecipazioni e si dovranno dedicare solo alle operazioni di credito commerciale. In seguito a

25 G. Conti, Economia e banche tra le due guerre (1915-1945), in L. Conte (a cura di), Le

banche e l’Italia. Crescita economica e società civile. 1861-2011, Roma, Bancaria Editrice,

2011, p. 146 ss.

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20 questa decisione, si pone il problema di trovare nuove fonti di finanziamento per il mondo industriale.

E’ per rispondere a questa esigenza che nel 1931, con il r.d.l. n. 1398, viene costituito l’IMI, l’Istituto Mobiliare Italiano. E’ un ente di diritto pubblico che secondo l’intento del legislatore dovrebbe perseguire l’interesse pubblico sostenendo il fabbisogno finanziario delle imprese a lunga scadenza. L’istituto è destinato ad esercitare il credito mobiliare andando a colmare un settore dell’intermediazione sprovvisto di aziende bancarie idonee. In virtù dello scopo da raggiungere, l’IMI viene abilitato all’emissione di obbligazioni decennali e in misura dieci volte superiore al suo capitale. Si decide di strutturarlo come un organismo imprenditoriale piuttosto che come un meccanismo di salvataggio. Questa scelta però si rileva controproducente perché spinge l’ente ad adottare un comportamento molto prudente, basato su una politica di investimento improntata ad una accurata selezione del rischio. L’IMI dunque non realizza la funzione per la quale è stato creato, non interviene a sostegno del Credito Italiano e non concede finanziamenti indiscriminati.

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21 Ulteriori partecipazioni vengono trasferite dalle banche presso l’Istituto di Liquidazioni che ha però limitate capacità di smobilizzo e un debito nei confronti della Banca d’Italia che continua a crescere. Si decide quindi di costituire un nuovo organismo che offra una sistemazione razionale delle partecipazioni delle banche miste, riesca a sostenere finanziariamente le imprese industriali e alleggerisca la posizione della Banca d’Italia27. Nel 1933 con queste finalità nasce appunto l’IRI, Istituto per la Ricostruzione, organizzato con due Sezioni specializzate, una per i finanziamenti e un’altra per gli smobilizzi industriali. Le funzioni della prima ricordano quelle dell’IMI: è strutturata come un intermediario che si finanzia sul mercato obbligazionario e destina poi il capitale raccolto all’industria. La seconda eredita le mansioni dell’Istituto di Liquidazioni, che viene soppresso. Procede alla definitiva soluzione del problema degli immobilizzi delle banche miste attraverso l’eliminazione delle residue partecipazioni azionarie dai loro portafogli. Si accolla i debiti a lunga scadenza del Credito Italiano, Comit e Banco di Roma ma, allo stesso tempo, assume anche il controllo del loro capitale, attirandole così nell’area pubblica, pur

27 A. De Benedetti, La via dell’industria. L’IRI e lo sviluppo del Mezzogiorno 1933-1946,

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22 conservando la loro struttura di organismi privati. Si vuole precludere a queste banche la possibilità di esercitare il credito mobiliare, limitandole a quello commerciale. Riflettendo a posteriori su queste decisioni, si evince come questa modifica nel modo di fare banca abbia prodotto una conseguenza importante, che grava ancora oggi sul nostro Paese. Viene preclusa infatti l’occasione di sviluppare un tipo di banca in grado di assistere l’impresa nelle sue necessità di finanziamento, sia reperendo direttamente i fondi tramite erogazioni sia aiutandola ad accedere a quelli che si trovano sul mercato mobiliare28.

Per quanto riguarda le partecipazioni acquisite, la Sezione smobilizzi non riesce a ricollocarle sul mercato, nonostante questa fosse una delle sue principali funzioni. E’ così che si fa strada l’idea di mantenere un gruppo di imprese nella pertinenza pubblica e l’IRI viene trasformato in un organismo volto alla gestione permanente di un insieme di partecipazioni statali29, sollevandolo quindi nel 1937 dal compito specifico di erogare finanziamenti alle imprese. Non si sbaglia dunque affermando che l’introduzione dell’IRI non è stato un mero salvataggio, ma ha costituito una grande riforma con la

28 A. Antonucci, op. cit. 29 P. Dacrema, op. cit., p. 100.

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23 quale si è stata affidata una parte vitale del sistema bancario e industriale ad un organismo con grande valenza strategica e di natura pubblica, dotato di autonomia finanziaria ed organizzativa così da realizzare sia l’interesse pubblico sia la collocazione delle sue imprese sul mercato30.

2.2 La redazione della legge bancaria

Quella che noi chiamiamo “legge bancaria” e che per cinquant’anni ha rappresentato il quadro di riferimento normativo dell’attività bancaria in Italia, è composta da un decreto del marzo 1936, dalle modificazioni con cui viene convertito in legge e da un nuovo decreto dell’anno successivo convertito in legge nel 193831. E’ il frutto del contesto economico e politico del tempo: nella formulazione della disposizione si riflette il modello di organizzazione sociale tipico del fascismo, che attribuisce una posizione preminente al ruolo dello Stato. Ne discende una nozione di impresa bancaria soggetta all’autorità del governo che ha il diritto-dovere di imprimerle un indirizzo e un fine da perseguire,

30 S. La Francesca, op. cit.

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24 che in questo caso risulta essere l’interesse collettivo. La stampa fascista si sofferma ad evidenziare le differenze intercorrenti tra i provvedimenti adottati nel 1926 e la nuova normativa. La prima si occupa principalmente della tutela del risparmio, prevedendo interventi statuali volti ad evitare scosse o danni ai cittadini. Con la legge bancaria invece lo Stato interviene direttamente sul credito nel suo complesso32, dettando un sistema di controllo sulle banche e sul mercato creditizio. La struttura dell’apparato di verifica si articola in due organi, il Comitato dei ministri,definito in seguito CICR, e l’Ispettorato. Mentre il primo ha funzioni di indirizzo generale, il secondo, che è alle sue dipendenze, ha funzioni di vigilanza ed esecutive delle deliberazioni del CICR. Sulla carta, l’attività di vigilanza viene sottratta quindi alla Banca d’Italia, cui era stata attribuita dalla legge del 1926, ma in concreto, dal momento che l’Ispettorato è guidato dal Governatore e a causa delle carenze organizzative, rimane comunque nelle sue mani.

Il punto centrale della normativa è rivolto ai soggetti del mercato: viene infatti operata una distinzione tra le aziende di credito e gli istituti di credito, a seconda dei modi di raccolta del

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25 risparmio, che può essere nel breve o nel medio e lungo periodo. Viene quindi applicato il principio della specializzazione temporale come criterio per approdare finalmente a una gestione ordinata e sana della banca33. Come abbiamo già evidenziato, una delle caratteristiche principali che emerge subito dall’esame della nuova disciplina sta nell’ampiezza dei poteri attribuiti agli organi pubblici che vigilano su questo settore. Vi è un incisivo consolidamento della Banca d’Italia: l’articolo 28 l.b. spiega infatti come l’ingresso sul mercato delle aziende di credito debba essere rimesso alla valutazione discrezionale della Banca d’Italia. Sono sottoposti ad approvazione anche l’articolazione territoriale, gli statuti dei soggetti che accedono al mercato e la successiva apertura di sportelli. Vi è quindi un controllo sia quantitativo sia qualitativo sull’accesso al sistema bancario.

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26 3. La situazione economica italiana degli anni ‘70 e le ripercussioni sul sistema bancario

Gli anni Settanta rappresentano un periodo di cruciale importanza nella storia, toccando e in alcuni casi stravolgendo tutti gli aspetti della vita del nostro Paese. Da un punto di vista legislativo, sono segnati da norme innovative, soprattutto sul piano dei diritti civili: per fare degli esempi si possono citare l’adozione dello Statuto dei lavoratori, la conquista della legge sul divorzio e sulla depenalizzazione dell’aborto, l’adozione della legge c.d. Basaglia che impone un approccio diverso nei confronti di pazienti affetti da malattie mentali. Nello stesso momento, l’assetto istituzionale è sottoposto a una fortissima pressione ed è retto da un precario equilibrio politico: sono infatti anche gli anni dove imperversa la tristemente nota strategia della tensione e ai quali si può accostare anche la locuzione di “anni di piombo”. Esplode infatti nel Paese una spietata offensiva terroristica, riconducibile a gruppi sovversivi di diversa matrice ideologica ed estremista. Da un punto di vista economico, si nota poi come dagli anni Settanta a seguire, l’economia nazionale abbia intrapreso in diverse occasioni percorsi pericolosi e devianti rispetto alle maggiori economie

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27 mondiali34. Anche la finanza pubblica attraversa un periodo non facile, dal momento che si ha un indebitamento dello Stato sempre crescente. Queste situazioni già precarie si aggravano anche in seguito a politiche rischiose che espongono l’economia nazionale a situazioni di fragilità e ritardo rispetto al resto dell’Europa. Ciò che accade nel settore economico e finanziario altro non è che il riflesso di ciò che la vita sociale del Paese sta affrontando: conflitti interni, collusioni mai chiarite tra apparati statali, criminalità organizzata e gruppi eversivi, tensioni provocate dalla strategia stragista e una corruzione dilagante. Ad aggravare una situazione già desolante, intervengono gli shock petroliferi che non fanno altro che aumentare lo scostamento dagli altri paesi europei35.

Per quanto riguarda il sistema bancario, per un considerevole periodo successivo alla riforma del ’36, è stato caratterizzato da una sostanziale solidità. Le situazioni di dissesto che si sono osservate in questo periodo hanno interessato quasi unicamente organismi bancari di piccole dimensioni e hanno avuto una portata

34 Conti G., Squilibri e crisi di governo dell’economia nell’Italia dagli anni Settanta ad oggi, in

Le crisi bancarie in Italia nell’Ottocento e nel Novecento: cause e svolgimenti, Testi delle

relazioni tenute nel ciclo di conferenze su Storia di banche e banchieri.

35 F. Lavista, Programmazione economica e banca pubblica(1946- 1990), in L. Conte (a cura

di), Le banche e l’Italia. Crescita economica e società civile. 1861-2011, Roma, Bancaria Editrice, 2011, p. 194 ss.

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28 complessiva limitata36. I fattori che hanno contribuito al perdurare di questa fase sono stati, per citarne alcuni, l’esistenza di un mercato chiuso, protetto e con connotazioni oligopolistiche, una struttura proprietaria bancaria avente forte matrice pubblica e una regolamentazione improntata al controllo degli intermediari bancari. In tale contesto, le crisi che sono avvenute, tutto sommato trascurabili, costituiscono l’esito di errori, carenze o comportamenti fraudolenti verificatisi nella gestione dell’impresa. Possiamo dunque osservare come siano state le cause endogene a rappresentare il fattore predominante delle crisi. In questi anni gli eventi patologici che si sono verificati sono rimasti circoscritti ad aziende caratterizzate da fragilità strutturali e da dimensioni contenute, come le casse rurali e artigiane e le banche popolari e sono stati risolti adottando soluzioni di liquidità coatta amministrativa. Non si riscontrano casi di scomparse drammatiche di aziende di credito dal mercato finanziario per merito dell’operato degli organi di vigilanza37.

L’Autorità di vigilanza vede il suo ruolo accrescersi e i suoi poteri ampliarsi, affina gli strumenti e le tecniche di intervento

36 G. Boccuzzi, La crisi dell’impresa bancaria, Milano, Giuffrè, 1998, p. 73 ss. 37 P. Dacrema, op. cit., p. 247 ss.

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29 riuscendo a realizzare una sempre più efficace azione di moral

suasion. Un altro elemento che contribuisce a questo successo è la

disciplina dettata per la tutela dei depositanti e per la salvaguardia di un normale funzionamento del mercato del credito, che si è raggiunto anche attraverso l’esercizio prolungato negli anni di un’azione di contenimento degli stimoli concorrenziali.

Sulla base di queste condizioni, le crisi avvenute sono state risolte tramite processi di risanamento in via autonoma, considerati la soluzione migliore per favorire la conservazione dell’impresa e della sua identità. Nei casi di insolvenza non si è mai giunti alla disgregazione, ma si è privilegiata la preservazione attraverso il trasferimento dell’azienda ad altre imprese bancarie più stabili38.

3.1 Il caso della Banca Privata Italiana

Il punto di rottura si registra nel 1974, quando il mondo bancario italiano viene squassato dalla vicenda della Banca Privata Italiana, posta in liquidazione coatta amministrativa nel settembre di quell’anno39. Tale dissesto viene ricondotto ad indirizzi gestionali

38 G. Boccuzzi, op. cit. p. 90 ss. 39 G. Boccuzzi, op. cit., p. 74 ss.

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30 fraudolenti, agevolati dal fatto che tutti i poteri direzionali e l’assetto proprietario fanno capo ad un unico soggetto, Michele Sindona. Considerato dai contemporanei un “mago” della finanza40, il finanziere per anni opera nell’ombra e nella discrezione, trasformando aziende talvolta malandate in fiorenti attività. Quella di Sindona è un’ascesa rapida e per alcuni aspetti sbalorditiva. Nel 1961 diviene socio di maggioranza della Banca Privata Finanziaria, sviluppa contatti con il mondo politico che non mancherà di assecondarlo in diverse occasioni e stringe un solido rapporto con l’Istituto per le Opere di Religione. Sul finire degli anni Sessanta infatti lo IOR decide di modificare la propria strategia finanziaria, liquidando in Italia e investendo all’estero e Sindona riveste ad un tempo la figura di consulente e di partner in alcune operazioni. Nel 1967 il banchiere riesce ad acquisire il controllo anche di un altro istituto di credito milanese, la Banca Unione dove lo IOR detiene il 16%. Attraverso le sue banche, Sindona si occupa di operazioni di speculazioni di valuta e intesse rapporti di stretta collaborazione con istituti finanziari internazionali, spostando dunque il fulcro dei

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31 suoi interessi all’estero41. L’articolazione extranazionale del gruppo rende difficile lo svolgersi di attività di verifica da parte delle autorità preposte ma a cavallo tra il 1971-72 l’allora Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, invia gli ispettori della vigilanza presso Banca Unione e la Privata Finanziaria. Questa decisione si basa sui dubbi nutriti in merito alle effettive disponibilità economiche e sulle modalità di condotta dei due enti milanesi. Vengono così alla luce moltissime irregolarità e per due volte in Banca d’Italia si riunisce la commissione incaricata di consigliare al Governatore le misure da adottare. E’ in questo momento che si evince quanto la rete di agganci e sostegni politici intessuta negli anni dal banchiere siciliano sia resistente. Dal mondo politico e dallo IOR si levano voci in difesa di Sindona, attaccando Carli che a quel punto si limita a segnalare le irregolarità agli inquirenti42. A questo punto, il finanziere decide di organizzare le proprie partecipazioni in un’unica società, la Finambro, e per farlo chiede l’autorizzazione al ministero del Tesoro ad un aumento di capitale fino a 160 miliardi di lire, che gli viene però negata nel luglio del 1973 da Ugo La Malfa. Per Sindona la situazione precipita

41 Gracchus, op. cit.

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32 vertiginosamente: a questo fallimento si aggiungono le perdite create da altre operazioni finanziarie. L’aver speculato su tutto per almeno un decennio porta le sue banche all’insolvenza e lo costringe a chiedere al Tesoro le autorizzazioni per l’aumento di capitale di Banca Unione e per incorporarvi la Privata Finanziaria. Nello stesso momento chiede al Banco di Roma un prestito di 100 milioni di dollari, che verrà versato, anche se è proprio di quei giorni la scoperta di perdite catastrofiche che intaccano le società sindoniane, relative a operazioni mai registrate nella contabilità ufficiale. A questo punto l’unica alternativa al fallimento è l’acquisizione da parte di un grande gruppo di credito. Il 1 agosto 1974 nasce tramite fusione la Banca Privata Italiana, con un patrimonio inesistente43. Nonostante gli sforzi perpetrati, nessun piano di salvataggio decolla perché nessuno vuole accollarsi il rischio insito in questa operazione. Il 24 settembre la Banca d’Italia decide che l’unica soluzione possibile è porre l’istituto in liquidazione coatta, che viene disposta appena tre giorni dopo con decreto del Ministro del Tesoro.

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33 Il dissesto ha una portata così ingente da rendere inadatti gli strumenti di intervento pubblico normalmente utilizzati e rende necessario approntarne uno specifico per tutelare i depositanti. Il Ministro del Tesoro stabilisce con decreto del 27 settembre 1974 che la Banca d’Italia possa concedere anticipazioni all’1% sui buoni del Tesoro a lunga scadenza a favore di banche che si trovino nella situazione di ammortizzare le perdite, surrogandosi ai depositanti di aziende poste in liquidazione coatta44. Queste anticipazioni speciali in concreto sono state poi utilizzate non solo per favorire le operazioni di rimborso dei depositanti, ma anche in agevolazione della cessione di attività e passività di banche in liquidazione ad altre aziende. Questo strumento di ristoro ha trovato applicazione in tutti i casi di banche poste in liquidazione coatta sino al 1986, anno al quale risale la costituzione del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.

La vicenda della banca Privata Italiana costituisce un primo importante esempio dei pericoli ai quali il connubio tra economia e criminalità può dare luogo. Oltre all’impatto sulla stabilità bancaria, possono venire coinvolti interessi di ancora maggiore portata, anche

44 P. Schwizer, R. Tasca, Le crisi bancarie in Italia, in R. Ruozi (a cura di), Le crisi bancarie,

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34 a livello internazionale, a causa degli intrecci di società e connessioni preordinati allo svolgimento occulto di operazioni illegali.

3.2 Il caso del Banco Ambrosiano

Alla dissoluzione della Privata, nel periodo a cavallo tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta, le situazioni patologiche che si sono potute osservate hanno colpito banche di dimensioni molto ridotte in tutto il territorio nazionale. Il caso più significativo, con maggior peso e rilievo anche internazionali, è quello riguardante il Banco Ambrosiano, all’epoca la più grande banca privata italiana e verificatosi nel 1982. Se si vuole mettere a paragone questa vicenda con quella delle banche di Michele Sindona, si assiste a una quasi integrale ripetizione degli eventi, soprattutto in relazione ai fattori determinanti. Anche in questo caso sono le condotte fraudolente a spingere inesorabilmente l’istituto verso il dissesto. Il ragguardevole deficit patrimoniale è stato causato dall’accentramento della gestione nelle mani di una sola persona, dall’inerzia degli organi amministrativi e di controllo e

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35 dalla complessa articolazione estera con la quale vengono finanziate società di comodo di pertinenza dello I.O.R., i cui fallimenti travolgono le consociate estere della banca in esame45. Sotto il controllo del presidente Roberto Calvi, si può ritenere che il Banco Ambrosiano rappresenti un prosieguo della strategia finanziaria di Sindona, arrivando ad assumere il controllo della Centrale, della casa editrice Rizzoli e di solide banche locali utilizzate come fonti sicure di finanziamento,tra le quali il Credito Varesino. La principale attività alla quale Calvi appare interessato è la speculazione, in particolare se orientata all’esportazione di capitali attraverso l’acquisto di aziende italiane da parte di società controllate dall’Ambrosiano e poi cedute alla banca stessa a un prezzo maggiorato, così da creare somme custodite all’estero ma pur sempre nella disponibilità del gruppo46. Nel 1982, dopo l’arresto e la morte di Calvi avvenuta in circostanze inquietanti e misteriose, si ha una accelerazione irreversibile della crisi del Banco, arrivando all’emanazione del decreto di amministrazione coatta. Dopo l’intervento di un gruppo di banche, si perviene alla

45 Le crisi bancarie: il caso del Banco Ambrosiano, a cura di F. Belli, S. Maccarone, Milano,

1985.

46 P. Dacrema, L’evoluzione della banca in Italia. Profili storici e tecnici, Milano, EGEA,1997,

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36 costituzione del Nuovo Banco Ambrosiano che verrà poi fuso con la Banca Cattolica del Veneto, dando così vita al Banco Ambroveneto. In questa occasione, si palesa chiaramente l’inadeguatezza degli strumenti normativi, non più idonei ad esercitare un pieno controllo nei confronti di intermediari con una decisa operatività multinazionale e complesse articolazioni all’estero. Il sistema bancario italiano risulta in entrambe le vicende ricordate facilmente penetrabile da soggetti ai limiti della delinquenza.

Analizzando questa ricostruzione, notiamo come le crisi di questo periodo non siano attribuibili al rischio fisiologico insito nell’attività di intermediazione bancaria, bensì all’abuso di potere degli esponenti aziendali, agevolato dalle carenze che emergono chiaramente nello svolgimento dei compiti di amministrazione e controllo e dalle mancanze negli assetti organizzativi interni47. I deterioramenti della qualità dei crediti verso la clientela sono la più importante e immediata forma di manifestazione delle situazioni patologiche causate da conduzioni aziendali spericolate e irregolari. Un’altra ragione di degrado si ha nelle situazioni di gravi conflitti

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37 all’interno degli organi collegiali che portano ad acute stasi gestionali. Quindi in questa fase, l’Autorità di vigilanza addotta una energica opera di sensibilizzazione nei confronti delle banche che attraversano momenti di tensione, cercando di influenzarle a modificare gli indirizzi gestionali, con ricambi negli assetti amministrativi e di controllo. Nei casi di mancato adeguamento, l’Autorità ha dovuto ricorrere a provvedimenti di amministrazione straordinaria per impedire danni agli assetti patrimoniali ed economici48.

4. Le crisi bancarie degli anni Ottanta e Novanta

Sappiamo che i fenomeni di crisi bancarie possono verificarsi anche in presenza di andamenti gestionali sani e prudenti, derivando quindi da situazioni che dall’esterno esercitano la loro influenza, andando a modificare la compagine in cui opera l’impresa bancaria. Alle cause di instabilità interna infatti si possono sommare fattori esterni, i cosiddetti rischi esogeni, derivanti da mutamenti del

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38 quadro competitivo e congiunturale oppure da modificazioni di norme giuridiche e amministrative relative al settore49.

Se, come abbiamo osservato, è vero che nel decennio precedente le motivazioni dei fallimenti vanno ricercate in errori, incapacità amministrative e comportamenti illeciti di vario segno, dalla seconda metà degli anni Ottanta si nota come alle cause di instabilità interna, si vadano ad aggiungere fattori esterni. L’apertura di nuovi mercati, i processi di despecializzazione operativa, la nascita di nuovi operatori finanziari e il venire meno dei sistemi di vigilanza strutturale, pur non avendo forse rilevanza autonoma, sono tutti elementi che vanno a concorrere al verificarsi delle maggiori crisi di questo periodo50.

In questo nuovo contesto, il mercato si uniforma ad un assetto più competitivo e le banche che non riescono ad adeguarsi velocemente vengono marginalizzate. Si accentua il divario tra le aziende solide, che riescono a fronteggiare una concorrenza più aggressiva, e quelle mal gestite. Insieme al fatto di non riuscire a conformarsi a standard più stringenti, sono le anomalie nella

49 C. Cacciamani, Identificazione e determinanti delle crisi bancarie in Roberto Ruozi (a cura

di), Le crisi bancarie, Milano, EGEA, 1995, p. 27 ss.

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39 gestione, negli assetti proprietari e la qualità degli azionisti a costituire alcune delle principali cause di crisi di questi anni.

Da un punto di vista macroeconomico, si può affermare che gli episodi di sofferenza, dalla metà degli anni Ottanta in poi, si sono mantenuti circoscritti e non hanno mai dato preoccupazioni a livello sistemico.

Il fenomeno patologico di maggiore interesse che si registra è rappresentato dalla crisi delle banche meridionali che proprio nel periodo considerato subisce un considerevole aggravamento51. La riprova si può avere osservando l’incremento dei provvedimenti di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta emanati52.

Anche in questo caso, alle cause si possono ascrivere sia fattori endogeni che esogeni molto complessi, che si concretizzano nei più accentuati costi operativi rispetto al resto del Paese e in inefficienze strutturali e operative.

Già nel 1987, l’Autorità di Vigilanza sottolinea con un certo allarme il significativo divario intercorrente tra le banche del Mezzogiorno e quelle del centro-nord: sono maggiori i crediti in sofferenza e la redditività è minore. Con il proseguire degli anni, la

51 G. Boccuzzi, op. cit., p. 84.

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40 situazione non fa che peggiorare: tra il 1991 e il 1995, a fronte di una elevata crescita del PIL, si registra invece una perdurante congiuntura economica sfavorevole nei confronti delle imprese del sud, soprattutto nei settori dell’edilizia e delle opere pubbliche.

Vi è un radicale mutamento anche per quanto riguarda il mondo bancario in cui le banche meridionali si trovano a lavorare: c’è un’espansione da parte degli istituti finanziari del centro-nord, realizzata sia attraverso l’apertura di nuovi sportelli sia mediante l’acquisizione di banche locali, che fa aumentare i livelli concorrenziali. L’arrivo di competitori più efficienti e in grado di offrire prodotti e servizi di migliore qualità ha portato alla luce le carenze e le difficoltà di queste banche che hanno invece sempre operato in posizione predominante in un mercato protetto.

Questi cambiamenti hanno influito anche sulle modalità di soluzione delle crisi, avendo reso più difficile l’attuazione dei piani di risanamento in via autonoma, adottati fino ad allora nella maggioranza dei casi. Si assiste a un completo ribaltamento del fattore temporale, che da essere un alleato nella sistemazione delle situazioni patologiche, favorendone l’assorbimento, le acuisce.

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41 L’Autorità di Vigilanza più volte interviene per sollecitare la ricerca di soluzioni nuove ed è la modalità della concentrazione, realizzata tramite fusioni, cessioni, rilievi di pacchetti azionari e accordi operativi, a rappresentare la strategia più vantaggiosa. Il fenomeno delle concentrazioni bancarie assume così ampia applicazione, anche in virtù delle ridotte dimensioni del sistema bancario italiano.

Il suo scopo non è ascrivibile solo a quello di misura anticrisi, ma è anche uno strumento di rafforzamento degli istituti di credito, mediante il quale si ridisegna il panorama finanziario italiano53.

4.1 Il caso del Banco di Napoli

Una pecca di questo meccanismo si ha in relazione a banche di grandi dimensioni: in questi casi, il processo di concentrazione da solo non può costituire una soluzione e viene quindi accompagnato da interventi di ristrutturazione.

Se si vuole portare un esempio, si può citare il caso del Banco di Napoli, che ha necessitato dell’attuazione di un piano di risanamento e ristrutturazione per via legislativa, date le sue

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42 dimensioni considerevoli e la rilevanza internazionale. Si ritiene che i fattori responsabili di questa crisi siano stati una gestione carente e un contesto particolarmente difficoltoso54.

Già dal 1989, infatti, questa banca presenta problemi e squilibri che vanno ad acuirsi durante gli anni Novanta, portando ad un peggioramento della qualità degli impieghi con la conseguente crescita di sofferenze patrimoniali. Nel 1996 il Ministero del Tesoro, proprietario dell’istituto, interviene con un finanziamento di 2.000 miliardi di lire per salvarlo dal fallimento55. L’intervento di ricapitalizzazione è subordinato al realizzarsi di determinate condizioni, come la predisposizione di un piano di ristrutturazione, la riduzione del costo del lavoro e la successiva privatizzazione del Banco56. Nel 1997 è la Banca d’Italia ad essere costretta ad intervenire come ultimo baluardo prima del collasso totale. La soluzione adottata prevede l’acquisto del 60% del Banco di Napoli da parte di una cordata costituita da INA-BNL. Si ha quindi una fusione che comporta una totale ristrutturazione e ricapitalizzazione dell’istituto.

54 P. Dacrema, op. cit., p. 257 ss.

55 Decreto legge 24 settembre 1996, n. 497 convertito in legge 19 novembre 1996, n. 588. 56 G. Boccuzzi, op. cit., p. 97 ss.

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43 Gli elementi che emergono come preoccupanti da questa vicenda sono almeno due: in primo luogo, la lentezza con cui sono state riconosciute la vastità e la gravità del problema. Per almeno un decennio il Banco di Napoli ha continuato a svolgere la sua attività pur in presenza di condizioni critiche tali da renderlo un ente traballante. Ciò ha comportato di riflesso ritardi anche nella scelta delle misure da adottare, con un forte aggravio degli oneri del risanamento.

In secondo luogo, un altro elemento che colpisce è la quasi totale mancanza di reazioni da parte del pubblico. Se ci fossero state corse agli sportelli e panico dilagante sicuramente la situazione si sarebbe esasperata, ma il fatto che i depositanti siano così assuefatti all’idea di essere sempre tutelati e protetti desta qualche perplessità57.

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4.2 Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD)

Dal finire degli anni Ottanta e per tutto il decennio seguente, uno strumento utilizzato nella soluzione delle crisi bancarie è stato il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD)58.

Tale organismo viene costituito nel 1987 nella forma di consorzio volontario tra banche, operando nell’interesse di queste ultime in qualità di mandatario con obbligo di rendiconto. Il suo scopo è assicurare la protezione dei depositi della clientela, svolgendo un’azione di monitoraggio basata sull’analisi dei rapporti di bilancio trasmessi dalle banche. Opera di concerto con la Banca d’Italia, la quale, in virtù del suo ruolo di Autorità di Vigilanza, ha la capacità di autorizzare gli interventi a favore delle banche, di approvare le modifiche dello Statuto, di far partecipare un suo delegato alle riunioni del Consiglio e di convocare il Comitato di Gestione. Il Fondo ha potere di intervento nei confronti di istituti posti in liquidazione coatta e in amministrazione straordinaria. Le banche consorziate corrispondono annualmente le somme necessarie per l’ordinario funzionamento dell’organismo, mentre le

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45 risorse per effettuare gli interventi in caso di crisi vengono fornite al momento, su richiesta del Fondo stesso. Il limite massimo, fissato nello Statuto, si attesta all’1% della massa fiduciaria di tutte le aderenti, non oltre comunque una somma pari ai 4.000 miliardi di lire. Per fare degli esempi concreti delle modalità di azione di tale organismo, si possono citare i casi della Cassa di Risparmi e Depositi di Prato, del Banco di Tricesimo e della Banca di Girgenti.

Il primo intervento del FITD si ha in occasione della crisi della Cassa di Risparmi e Depositi di Prato59. La banca è reduce da un periodo positivo, di intenso sviluppo dovuto al fiorire dell’economia locale, con la quale è bene integrata. Una delle cause che portano la Cassa all’insolvenza nel 1988 è da ascrivere alla crisi del settore tessile, che infetta numerosi investimenti. Un altro fattore rilevante è da rintracciare nell’imprudente politica dei prestiti adottata dai vertici della banca, basata sull’erogazione di grandi quantità di credito senza verificare la presenza di adeguate garanzie. Al fine di mascherare gli insuccessi di queste scelte strategiche, gli amministratori, che verranno infatti accusati di frode

59 P. Schwizer, R. Tasca, Le crisi bancarie in Italia, in R. Ruozi (a cura di), Le crisi bancarie,

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