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IL CASO BOLAGSUPPLYSNINGEN OÜ E INGRID ILSJAN CONTRO SVENSK HANDEL AB.

2.5. I L BILANCIAMENTO DEI DIRITTI E LE SUE APPLICAZIONI IN CASI RECENTI

2.5.2. IL CASO BOLAGSUPPLYSNINGEN OÜ E INGRID ILSJAN CONTRO SVENSK HANDEL AB.

Il 17 ottobre 2017 la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sulla competenza giurisdizionale in relazione alle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno cagionato alle persone giuridiche per effetto della pubblicazione attraverso la Rete di dati o informazioni inesatti.

Il principio generale secondo l’articolo 4 del Regolamento n.1215/12/CE, stabilisce che la competenza giurisdizionale debba essere esercitata dal Paese dell’UE in cui il convenuto è domiciliato, non tenendo conto della sua nazionalità. Tuttavia, in alcune circostanze, il convenuto potrà essere citato davanti al tribunale di un altro Paese dell’UE.

Specificatamente per quanto riguarda la competenza giurisdizionale in materia di illecito extra-contrattuale l’articolo 7 comma 2 del predetto Regolamento stabilisce che nei casi di illecito la giurisdizione sarà del giudice del luogo in cui l’evento dannoso si è verificato.

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Sul tema, la Corte di Giustizia Europea era già intervenuta più volte per precisare che ai fini della giurisdizione potrà aver rilevanza sia il luogo dove è insorto il danno, sia dove si è verificato il fatto generatore (cfr. CGEU, C-68/93 e C-161/10).

La Corte di giustizia è ritornata sulla questione della localizzazione del centro degli interessi del soggetto che abbia subito una lesione dei propri diritti della personalità per effetto di informazioni pubblicate tramite Internet, nella sentenza Bolagsupplysningen, nella quale ha analizzato ed esaminato le problematiche poste dall’applicazione di tale criterio con riferimento a una persona giuridica.

La sentenza scaturisce da una richiesta di pronuncia pregiudiziale da parte della Corte suprema di Estonia, Riigikohus, nell’ambito di una controversia tra la Bolagsupplysningen, società estone e la sig.ra Ilsjan, sua dipendente, da una parte, e la Svensk Handel, società svedese che riunisce datori di lavoro del settore commerciale, dall’altra.

Le parti hanno chiesto al giudice di imporre alla società convenuta l’obbligo di modificare alcuni dati inesatti pubblicati sul proprio sito Internet, che indicava la società estone come responsabile di truffe e frodi ed inserita in una black list, e di rimuovere i commenti pubblicati dagli utenti all’interno del forum di discussione di detto sito, alcuni dei quali commenti inneggiavano alla violenza contro la dipendente. L’azione principale aveva al centro il risarcimento dei danni richiesto dall’azienda estone per la diffamazione subita.

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Il Tribunale di primo grado di Harju ritenne il ricorso irricevibile. Secondo tale giudice, non fu possibile applicare l’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012, in quanto dal ricorso non risultava provato che il danno si fosse verificato in Estonia, anzi, l’indicazione del fatturato in corone svedesi lasciava intendere che tale danno fosse stato causato solo in Svezia. Concludeva, pertanto, che il fatto che il sito Internet controverso fosse accessibile in Estonia non poteva automaticamente giustificare l’obbligo di sottoporre la causa civile a un giudice estone.

Contro tale decisione le parti ricorrenti hanno proposto ricorso dinanzi alla Corte d’appello di Tallinn che ha respinto tale impugnazione e confermato l’ordinanza del Tribunale di primo grado. Nel procedimento principale hanno chiesto al giudice del rinvio di annullare l’ordinanza della Tallinna Ringkonnakohus (Corte d’appello di Tallinn) e di pronunciarsi sul ricorso, domande alle quali la Svensk Handel si è fermamente opposta.

La Corte Suprema estone aveva sollevato dei dubbi sull’interpretazione dell’articolo 7 punto 2 del Regolamento (UE) n. 1215/2012 (denominato “Regolamento Bruxelles I-bis”), il quale stabilisce un’eccezione alla regola della competenza del foro dello Stato membro di residenza abituale del convenuto:” in materia di illeciti civili dolosi o colposi, una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto”.

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Il giudice del rinvio dubitava che il principio di diritto potesse essere applicato anche nel caso di lesioni alla reputazione di persone giuridiche compiute mediante la diffusione di informazioni attraverso Internet. Infatti, poiché i siti web non hanno confini territoriali, le informazioni pubblicate su Internet sono accessibili da qualunque parte del pianeta; con la conseguenza che se l’illecito si verificasse nei luoghi in cui i dati diffamanti o inesatti sono consultati da parte degli utenti di un determinato sito web, sussisterebbe in astratto una pluralità di “loci commissi delicti” potenzialmente illimitata.

Di fronte a tali problematiche,la Corte suprema di Estonia, aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

1) Se l’articolo 7, punto 2, del [regolamento n. 1215/2012] debba essere interpretato nel senso che una persona i cui diritti risultino violati dalla pubblicazione su Internet di indicazioni errate che la riguardino e dall’omessa rimozione di commenti sul proprio conto possa agire dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio siano o siano state accessibili le informazioni pubblicate su Internet con riferimento al danno avvenuto in detto Stato membro, al fine di ottenere la rettifica delle indicazioni errate nonché la rimozione dei commenti lesivi dei propri diritti.

2) Se l’articolo 7, punto 2, del [regolamento n. 1215/2012] debba essere interpretato nel senso che una persona giuridica i cui diritti risultino

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violati dalla pubblicazione su Internet di indicazioni errate sul proprio conto e dall’omessa rimozione di commenti che la riguardino, possa far valere il diritto alla rettifica delle indicazioni, all’imposizione dell’obbligo di rimozione dei commenti e al risarcimento dell’intero danno materiale subito per effetto della pubblicazione di indicazioni errate in Internet, dinanzi ai giudici dello Stato in cui si trovi il centro dei propri interessi.

3) In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se l’articolo 7, punto 2, del [regolamento n. 1215/2012] debba essere interpretato nel senso che:

– si debba ritenere che il centro degli interessi di una persona giuridica e quindi il luogo in cui si è concretizzato il danno a suo carico si trovi nello Stato membro in cui essa abbia sede ovvero

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– nell’accertamento del centro degli interessi della persona giuridica e, quindi, del luogo in cui si è concretizzato il danno a suo carico occorra tener conto del complesso delle circostanze della specie, ad esempio della sede e del luogo di attività della persona giuridica, della sede dei suoi clienti e delle modalità di conclusione delle sue operazioni».

In realtà, la CGUE già in precedenza era stata investita della questione, con riferimento alle sole persone fisiche (sentenza eDate Advertising 25 ottobre 2011, cause riunite C-509/09 e C-161/10) e, in quel caso, aveva affermato che la persona che si ritiene lesa da contenuti pubblicati in un sito Internet è tenuta ad esperire un’azione di risarcimento del danno dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio centro d’interessi, in quanto coincidente con il luogo in cui il soggetto leso gode di una certa reputazione

Nelle sue conclusioni, presentate il 13 luglio 2017, l’avvocato generale Michal Bobek ha sostenuto che una persona giuridica che lamenta la violazione dei propri diritti della personalità a causa della pubblicazione d’informazioni su Internet possa agire in giudizio nello Stato membro in cui si trova il centro dei suoi interessi per il risarcimento della totalità del danno subito. Di conseguenza, tenendo conto dei danni alla reputazione che una persona giuridica può avere via Internet, talvolta anche di portata maggiore rispetto a quelli che colpiscono le persone fisiche, non ci sono più validi motivi per

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applicare le regole di competenza giurisdizionale fissate dal Regolamento 1215/2012 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in modo diverso a seconda che sia colpita dalla diffamazione una persona fisica o giuridica.

Quindi, prima di tutto, l’Avvocato generale respinse il principio di una diversità di trattamento a seconda dei casi in cui la diffamazione sia subita da un individuo o da una persona giuridica.” Internet – osserva Bobek – ha cambiato completamente le regole del gioco, in meglio o in peggio, democratizzando la pubblicazione. Nell’era dei siti Internet privati, del self-posting, dei blog e dei social network, le persone fisiche possono diffondere molto facilmente informazioni relative a qualunque altra persona, fisica o giuridica, o ad autorità pubbliche. In tale contesto tecnico, viene completamente meno l’idea iniziale che potrebbe avere ispirato le prime regole sui danni provocati da pubblicazioni diffamatorie, secondo la quale l’attore è presumibilmente un soggetto debole, mentre il convenuto è un editore (professionale). con le stesse persone fisiche che possono diffondere facilmente informazioni”. (Par. 67)

Questa situazione ha portato conseguentemente, a un cambiamento delle regole sulla diffamazione perché va accantonato il principio secondo cui “l’attore è presumibilmente un soggetto debole, mentre il convenuto è un editore professionale”. Pertanto, l’azienda, titolare

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del diritto fondamentale alla reputazione, deve poter agire in giudizio secondo gli stessi parametri fissati per le persone fisiche nella sentenza eDate112 e, di conseguenza, scegliere il giudice dello Stato membro in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire (articolo 7 sulle competenze speciali), che coincide o con il luogo in cui si è concretizzato il danno o il luogo dell’evento generatore del danno.

Ciò vuol dire che, nei casi di diffamazione via web, il luogo in cui è avvenuto il danno è, almeno come presunzione generale, quello in cui la reputazione della persona è stata maggiormente lesa e, quindi, dove l’azienda ha il proprio centro degli interessi.

Al fine di stabilire il centro degli interessi delle persone giuridiche, l’Avvocato generale considerava che i fattori rilevanti sono presumibilmente le principali attività commerciali o professionali di altro tipo, che saranno determinate in modo più preciso sulla base del fatturato o del numero di clienti. L’Avvocato generale ritenne che la sede della persona giuridica possa essere presa in considerazione, ma se in tale Stato membro non vengono svolte attività professionali e la persona giuridica non vi realizza alcun fatturato, il centro degli interessi non può essere individuato in tale luogo. Bobek riconobbe che per le persone fisiche e giuridiche può esistere più di un centro degli interessi, ma in tal caso spetterà all’attore scegliere lo Stato

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membro in cui agire in giudizio. Una volta operata tale scelta non potrà agire in giudizio altrove.

Infine, l’Avvocato generale considerava che il giudice pertinente avrà competenza piena a pronunciarsi sulla totalità del presunto danno e a decidere quali provvedimenti concedere, compresa, come nel caso affrontato, una misura inibitoria volta alla correzione e all’eliminazione delle informazioni controverse.

L’Avvocato generale propose, quindi, alla Corte di rispondere alla seconda e terza questione pregiudiziale dichiarando che:

“ L’articolo 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione), deve essere interpretato nel senso che una persona giuridica la quale lamenti una violazione dei propri diritti della personalità cagionata dalla pubblicazione di informazioni su Internet può adire, con riferimento alla totalità del danno subito, i giudici dello Stato membro in cui si trova il centro dei suoi interessi. – Il centro degli interessi di una persona giuridica si trova nello Stato membro in cui essa esercita le sue principali attività professionali, purché le informazioni asseritamente lesive siano

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idonee a pregiudicare le sue attività professionali in detto Stato membro”.

Per quanto riguarda, poi, la prima questione pregiudiziale, l’Avvocato generale propose per evitare l’approccio “a mosaico” che è stata definito, per esempio, nella sentenza Shevill 113in

specifico riferimento ai danni derivanti dalla diffusione di informazioni diffamatorie attraverso la carta stampata, e la moltiplicazione dei giudici competenti, che la persona giuridica potrebbe agire per l’intero danno subito dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il centro dei suoi interessi ossia il luogo in cui esercita le principali attività professionali se le informazioni lesive possono pregiudicare la situazione professionale.

La Corte di Giustizia in merito alla seconda e alla terza questione pregiudiziale si pronuncia in linea con la tesi dell’Avvocato generale dichiarando che: “l’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012 deve essere interpretato nel senso che una persona giuridica la quale lamenti che, con la pubblicazione su Internet di dati inesatti che la riguardano e l’omessa rimozione di commenti sul proprio conto, sono stati violati i suoi diritti della personalità, può proporre un ricorso diretto alla rettifica di tali dati, alla rimozione di detti commenti e al risarcimento della totalità del danno subito

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dinanzi ai giudici dello Stato membro nel quale si trova il centro dei propri interessi”.

Quando la persona giuridica interessata esercita la maggior parte delle sue attività in uno Stato membro diverso da quello della sua sede statutaria, tale persona può citare l’autore presunto della violazione sulla base del luogo in cui il danno si è concretizzato in quest’altro Stato membro.

La Corte di Giustizia, quindi, affrontò diverse questioni e puntualizzò che:

“In materia di illeciti civili dolosi o colposi, infatti, il giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire è generalmente il più idoneo a pronunciarsi, in particolare per ragioni di prossimità alla controversia e di facilità di assunzione delle prove “(par. 27) e che, “ …secondo la giurisprudenza costante della Corte, l’espressione «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire» si riferisce sia al luogo del fatto generatore del danno sia a quello in cui il danno si è concretizzato, dato che ciascuno di tali luoghi può, a seconda delle circostanze, fornire un’indicazione particolarmente utile dal punto di vista della prova e dello svolgimento del processo”. (Par.29)

Inoltre, nell’inquadrare il contesto normativo per risolvere la questione, la Corte si richiama al considerando 16 del Regolamento

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citato, secondo cui il criterio del foro del domicilio del convenuto dovrebbe essere completato attraverso la previsione di fori alternativi basati sul collegamento stretto tra il giudice e la controversia e ciò al fine di garantire la certezza del diritto ed evitare la possibilità che il convenuto sia citato davanti ad un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro che non sia per questi ragionevolmente prevedibile. Tale aspetto risulta importante soprattutto nelle controversie in materia di obbligazioni extracontrattuali derivanti da violazioni della privacy e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione. Quindi la Corte opera una distinzione tra le azioni dirette al risarcimento di un danno immateriale causato da un articolo diffamatorio pubblicato nella stampa scritta, rispetto a quelli pubblicati su internet.

Rispettivamente al paragrafo 31 la Corte ha dichiarato che,..” per quanto attiene ad azioni dirette al risarcimento di un danno immateriale asseritamente causato da un articolo diffamatorio pubblicato nella stampa scritta, che la vittima può esperire nei confronti dell’editore un’azione risarcitoria dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro in cui la pubblicazione è stata diffusa e in cui la vittima sostiene di aver subito una lesione della sua reputazione, i quali sono competenti a conoscere dei soli danni

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cagionati nello Stato membro del giudice adito114 ed al par. 32 “nel contesto specifico di Internet, la Corte ha tuttavia dichiarato, in un procedimento riguardante una persona fisica, che, in caso di asserita violazione dei diritti della personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un sito Internet, la persona che si ritiene lesa deve avere la facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il centro dei propri interessi115.

E conseguentemente, “per quanto riguarda una persona giuridica che persegue un’attività economica, come la ricorrente nel procedimento principale, il centro dei suoi interessi deve rispecchiare il luogo in cui la sua reputazione commerciale è la più solida e deve, quindi essere determinato in funzione del luogo in cui essa esercita la parte essenziale della sua attività economica.”

La Corte ha ripreso in questo caso, la Sentenza eDate Advertising , con la quale era stata già data un’interpretazione della regola sulla giurisdizione in materia di illeciti civili commessi attraverso la rete, affermando la competenza, in alternativa al foro dello Stato dove il danneggiante risiede, anche del giudice del luogo ove il danneggiato ha il centro dei propri interessi oppure del giudice di ciascuno Stato

114 Sentenza del 7 marzo 1995, Shevill e a., C 68/93, EU:C:1995:61, punto 33. 115 Sentenza del 25 ottobre 2011, eDate Advertising e a., C 509/09 e C 161/10, EU:C:2011:685, punto 52.

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nel quale le informazioni sono state diffuse, ma limitatamente al danno verificatosi in quello Stato. La sentenza eDate Advertising era però stata decisa in un caso relativo alla violazione dei diritti di una persona fisica per effetto della diffusione in rete di dati ed immagini personali. Il giudice del rinvio dubitava che il principio di diritto potesse essere applicato anche nel caso di lesioni alla reputazione di persone giuridiche compiute mediante la diffusione di informazioni attraverso Internet. Poiché il giudice del rinvio aveva sollevato la questione relativamente ai criteri da applicare per identificare il centro degli interessi di una persona giuridica, la Corte ha ritenuto assimilabili le due fattispecie, precisando che “la facoltà per la persona che si ritiene lesa di agire dinanzi ai giudici dello Stato membro nel quale si trova il centro dei propri interessi per la totalità del danno lamentato si giustifica nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia e non al fine di tutelare specificamente l’attore, la circostanza che quest’ultimo sia una persona fisica o giuridica non è neanch’essa determinante”. Trova dunque applicazione, anche per le persone giuridiche, la regola affermata nel caso eDate, e dunque “in caso di asserita violazione dei diritti della personalità per mezzo di contenuti messi in rete, la persona che si ritiene lesa ha facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che ha

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emesso tali contenuti o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio centro di interessi”. La Corte ha ripreso argomentazioni riguardanti il buon funzionamento della giustizia, rilevando che il giudice del luogo in cui la presunta vittima della diffamazione o di altra violazione dei diritti della personalità ha il proprio centro d’interessi si trova in una posizione di particolare vicinanza rispetto alla sfera giuridica del danneggiato, per cui tale criterio si rivela idoneo ad assicurare la prevedibilità, da parte del convenuto, quindi del presunto responsabile , del foro innanzi al quale egli potrà essere citato, sul presupposto che l’autore della pubblicazione diffamatoria debba normalmente conoscere il luogo in cui la persona oggetto della pubblicazione stessa ha il proprio centro di interessi.

Per quanto riguarda l’individuazione del “centro degli interessi” del danneggiato, la Corte distinse la posizione delle persone fisiche da quella delle persone giuridiche.

La Corte ritenne che, per le persone fisiche, il centro degli interessi della persona offesa corrisponde generalmente allo Stato membro della loro residenza abituale, e che solo eccezionalmente siffatta persona può avere il centro dei propri interessi anche in uno Stato membro in cui non risiede abitualmente, ove altri indizi, quali l’esercizio di un’attività professionale, possano dimostrare

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l’esistenza di un collegamento particolarmente stretto con un altro Stato (punto 39).

Per quanto riguarda le persone giuridiche, invece, la Corte ha ritenuto che esso deve rispecchiare il luogo in cui la sua reputazione commerciale è la più solida e deve quindi essere determinato in funzione del luogo in cui essa esercita la parte essenziale della propria attività economica (punto 40). Il centro degli interessi della persona giuridica coincide soltanto eventualmente con la propria sede statutaria.

Pertanto, la Corte, rispose alla seconda e alla terza questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 7, punto 2, del Regolamento n. 1215/2012 deve essere interpretato nel senso che una persona

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