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Il caso dei Comizi dei Veterani delle patrie battaglie di Torino e di Milano

Progressivamente dagli anni Settanta in avanti, a seconda dei differenti orientamenti ideali e culturali delle forze politiche e delle correnti d’opinione, si differenziarono anche i modi di richiamarsi al Risorgimento e di confrontarsi con esso: un Risorgimento molto vicino, visto non come un’età storica conclusa o riservata ormai alla serena riflessione storiografica, ma come un complesso di esperienze e di tradizioni ancora attuali e vive, alle quali riferirsi – in positivo e in negativo – per trarne indirizzi di azione e per incidere nella realtà del presente412.

Come già ricordato, in quel clima ideale in cui si andavano lentamente delineando gli schieramenti e i partiti politici della nuova Italia, stava prendendo corpo e si stava consolidando, per opera dei vincitori – i liberali della Destra –, un mito del Risorgimento che vedeva in Vittorio Emanuele la figura principale. Dall’altra parte vi era soprattutto l’altro padre della patria ancora in vita, Garibaldi, che progressivamente e nonostante le delusioni del 1862 e del 1867, assumeva la funzione di simbolo e rappresentante di un ampio ventaglio di correnti politiche magari divise su tutto, ma aventi in comune l’ostilità ai moderati e alla prevalenza piemontese.

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F. DELLA PERUTA, Il mito del Risorgimento e l’estrema sinistra dall’Unità al 1914, in “Il

Risorgimento”, 1995, vol. 1, pp. 32- 55; G. L. MOSSE, La nazionalizzazione delle masse.

Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), cit. p. 138; S.LANARO,

L’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, cit., pp. 106-127; I.PORCIANI, Stato e nazione:

l’immagine debole dell’Italia, in Fare gli italiani, cit., pp. 385-428; R.ROMANELLI, Il comando

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Diviene perciò necessario concentrarsi ora sul conflitto che sorgeva nel mondo della memoria.

Un caso interessante che, tra tanti, ben documenta tale contrapposizione fu la diatriba che si era creata tra il 1875 e il 1876 intorno alle associazioni di veterani della guerra del 1848-1849. Essa si svolse tra due poli, il capoluogo piemontese – che proponeva una lettura degli eventi impostata sul ruolo determinante della casa regnante e dell’esercito - e quello lombardo – che metteva al centro il ruolo del popolo e dei volontari garibaldini.

A Torino all’inizio del 1875 era sorto il Comizio generale dei veterani, creato per iniziativa degli ex combattenti piemontesi delle campagne militari del 1848-1849 e che contava quasi 5.000 iscritti. Il significato politico del circolo era molto chiaro. Era infatti presieduto da una personalità di prestigio e di chiara ascendenza politica: il generale e senatore Salvatore Pes di Villamarina, figlio del segretario di stato della Guerra e della Marina di Carlo Alberto, ex diplomatico sardo ed ex prefetto di Milano413. Subalpino per genesi e ispirazione, non meno che per la sottolineatura del ruolo nazionale trainante del Piemonte, che si coniugava con l’esaltazione delle figure di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele, il Comizio non nascondeva l’ambizione di porsi al di là dei confini regionali come il motore primo di una trama associativa più larga.

La presidenza onoraria era stata affidata allo stesso Vittorio Emanuele II e questo garantiva i legami alla corona e al Piemonte di tale organizzazione. Di più, richiamandosi al contributo che la monarchia piemontese aveva dato al Risorgimento, i veterani di Torino attribuivano alla loro associazione un ruolo guida e una funzione di coordinamento sul piano nazionale (“il nostro Comizio non è piemontese ma eminentemente italiano”), propugnando la formazione, nelle altre province d’Italia, di

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Con la guerra nella memoria: reduci. superstiti, veterani nell’Italia unita, a cura di A.PRETI e F.

TAROZZI, in “Bollettino del Museo del Risorgimento”, 1994, pp. 124-168; G.ISOLA, Un luogo di

incontro fra esercito e paese: le associazioni dei veterani del Risorgimento (1861-1911), in Esercito e città. Dall’Unità agli anni Trenta, Atti del convegno nazionale di studi (Spoleto, 11-14 maggio 1988), s.n., Perugia 1989, pp. 506-507.

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semplici sottocomitati su base cittadina, che avrebbero dovuto fare capo e dipendere da Torino414.

Il successo dell’iniziativa torinese faceva percepire una spinta diffusa un po’ ovunque a stringersi nel vincolo dei ricordi e delle comuni esperienze. Tuttavia questa condivisione della memoria nel caso torinese doveva essere fatta nel senso di un ricordo comune di quella spinta nazionale che ebbe nell’Italia monarchica la sua piena realizzazione415. Se a Torino questa cosa era ovvia, così non era a 130 chilometri dal capoluogo piemontese.

A Milano nell’agosto 1875 fu creato il Comizio centrale lombardo dei veterani delle guerre del 1848-1849416, con il fine di “stringere e consolidare i vincoli di fratellanza fra i suoi membri mediante reciproco appoggio ed assistenza morale e materiale” e di “onorarne la memoria in caso di morte”417

. Benchè il Comizio lombardo si dichiarasse “alieno da ogni spirito partigiano, e da ogni concetto politico” e affermasse di ispirarsi “unicamente al gran concetto di patria intesa lealmente, paternamente, degnissimamente”418, esso appariva tutt’altro che apolitico. Già la presenza nel nome

414

Comizio Generale dei Veterani delle guerre combattute negli anni 1848-1849 per l’indipendenza e l’unità d’Italia sedente in Torino, sotto la Presidenza Onoraria di S.M. il Re Vittorio Emanuele II, Paravia, Torino 1876, p. 7: “Sarà accordata la formazione di sotto-comitati, costituiti in Città

capoluogo di Provincia, regione o zona italiana, che si trovano a grande distanza dalla sede del Comizio. (…) A questi sotto-Comitati principali faranno capo gli altri Sotto-Comitati secondari della Provincia (…)”

415

L.DONI, Memorie del Risorgimento e politica a Milano: le associazioni dei reduci e dei veterani,

in Rileggere l’Ottocento, Risorgimento e nazione, a cura di M.L.BETRI, Comitato di Torino dell’Istituto per la storia del Risorgimento- Carocci Editore, Torino-Roma 2010, pp. 295-296; U.

LEVRA, Vittorio Emanuele II, in I luoghi della memoria. Personaggi e date dell’Italia unita, cit.

pp. 47-64; S.LANARO, L’Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, cit., pp. 109-112;

416

F. CATALANO, Vita politica e questioni sociali (1859-1900), in Storia di Milano, vol. 15,

Fondazione Treccani degli Alfieri, Milano 1962, pp. 128-130.

417

Statuto del Comizio centrale lombardo dei veterani delle guerre 1848-1849 approvato dall’Assemblea generale dei soci tenutasi il 25 febbraio 1877, Zanaboni, Milano 1877, p. 6. 418

Museo del Risorgimento di Milano (MRM), Fondo veterani, c. 10 Statuto organico, 24 agosto

1875. Anche su “Il Pungolo” 23 agosto 1875, p.2, Cronaca cittadina erano espressi gli intenti con cui nasceva “Il Comizio”: “1- Di consolidare e stringere via maggiormente i vincoli di fratellanza ed amicizia fra i superstiti di coloro che, siano ancora sotto le armi od alle case loro prime iniziarono sui campi di battaglia l’unità e l’indipendenza della patria, 2- Di appoggiare moralmente e aiutare materialmente quei commilitoni ascritti al Comizio, o loro famiglia, che per cause indipendenti dalla loro volontà, versassero in istrettezze domestiche, o fossero colpiti da grave sventura, 3- Di onorare la memoria dei commilitoni che si rendessero estinti”.

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della parola “lombardo” evidenziava la distanza dal Comizio generale di Torino419

. Inoltre nel Verbale di Costituzione del Comizio era espressa chiaramente la distanza che si voleva assumere rispetto al’iniziativa torinese, accusata di non tenere conto “dei differenti fatti d’armi avvenuti in Lombardia e in varie province italiane” e di avere perciò una natura troppo parziale420. Innegabilmente poi il gruppo dirigente milanese era espressione della Sinistra, Cairoli ne era il presidente, e la presidenza onoraria, che a Torino era stata data a Vittorio Emanuele, a Milano fu attribuita a Garibaldi. In pratica lo spirito più ufficiale e moderato del Risorgimento che il Comizio torinese sosteneva e di cui era espressione a Milano non era rappresentato. Mostrando di fare propria l’iniziativa dei torinesi, e in parte riprendendone il modello statutario e le finalità, la nascente associazione milanese non mancava di porsi però in diretta competizione con essa421. E non solo per patriottismo di campanile o per l’ormai annoso spirito di emulazione o per le rivalità esistenti fra i due capoluoghi422.

In polemica con la natura accentratrice del Comitato torinese, il Comizio dei veterani lombardi sceglieva di operare entro un raggio d’azione regionale, puntando con ciò a mettere in discussione il primato dei torinesi, e ad imporsi come realtà autonoma. Di fatto il Comizio milanese era una chiara testimonianza della distanza da quella ricostruzione storica che vedeva l’ex Regno di Sardegna e casa Savoia come protagonisti indiscussi del Risorgimento. Alla visione di Torino “culla del Risorgimento”, veniva contrapposta la peculiarità e l’importanza del Risorgimento

419

“Il Pungolo”, 7 novembre 1875, Cronaca cittadina, p. 3: “Sapevasi che il Comizio stabiliva in

Milano e nelle principali città del Regno dei sotto comitati. Quand’ecco con non lieve meraviglia dei soci di questo Comizio, ed appunto si vide sorgere un altro Comizio che si appellò Lombardo”.

420

MRM, Fondo veterani, c. 10 Verbale di costituzione del Comizio, 24 agosto 1875., p. 2.

421

Sul conflitto si rimanda ad una lettera di S. Pes di Villamarina in “Il Pungolo”, 1 novembre 1875,

p. 2, con replica dei milanesi in “Il Pungolo”, 7 novembre 1875, p. 2..

422

ACS, Comizio romano dei veterani delle battaglie 1848-49, b.1, A. Clemente a C- Ravioli, 3

gennaio 1876. Tale rivalità, accuratamente sfumata nei documenti ufficiali destinati a circolare sulla stampa, emergeva invece con evidenza nella corrispondenza riservata: i torinesi, ad esempio, insorgevano contro la denominazione di “lombardo” che i “fratelli di Milano, sobillati da tribuni” avevano attribuito al loro comizio, “come se la Lombardia, i fem de nun – si ironizzava – non siano italiani”.

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lombardo, popolare e garibaldino423. Se infatti il Comizio torinese, con la sua azione “ampia e generale”, si rivolgeva ai veterani di tutte le località italiane che avevano combattuto nel biennio, il Comizio lombardo batteva l’accento “sui fatti d’arme” di differente carattere, ossia sui moti insurrezionali avvenuti specialmente in Lombardia e che avevano visto come protagonista non l’esercito del re ma Garibaldi e il popolo424

. In tale opposizione tra veterani torinesi e milanesi venivano richiamati e utilizzati come simboli di un differente modello di lettura del passato Vittorio Emanuele e Garibaldi. I piemontesi accusavano i “sobillatori Milanesi e affiliati” di servirsi, per i loro fini, “del venerato nome dell’eroe Garibaldi che spudoratamente frustano e gettano ovunque”425

, mentre i milanesi criticavano quell’attaccamento “esclusivo e ristretto” a casa Savoia426

.

L’impostazione di un Risorgimento lontano da casa Savoia ritornava in molte attività del Comizio milanese.

In particolare è opportuno soffermarsi su quanto avvenne in concomitanza con la solenne traslazione delle ossa dei militari dell’esercito piemontese caduti il 4 agosto 1848 per la difesa di Milano427 e osservare come le due città presentavano in maniera differente, attraverso i giornali ispirati dai rispettivi Comizi, il significato di questa celebrazione pubblica.

423

L.DONI, Memorie del Risorgimento e politica a Milano: le associazioni dei reduci e dei veterani,

cit., p. 297.

424

MRM, Fondo veterani, c. 10 Verbale di costituzione del Comizio, 24 agosto 1875., p. 2. “Libertà,

unità e patria indipendenza, fratellanza e amore sono i vincoli nostri che ci richiamano con orgoglio ai ricordi del 1848-1849, culla, per così dire del nostro falò risorgimentale”; oppure “Sono veterani del 1848.49 tutti coloro che hanno combattuto per la Libertà, l’Indipendenza e l’Unità della patria nel santo nome d’Italia, sia affrontassero il nemico in lotta di popolo, sia muovessero sui campi nelle gloriose schiere dell’Esercito Liberatore. Per lo che, se la battaglia di Goito 8 aprile 1848, fu gioia e orgoglio d’Italia affermando la prima fortuna e il valore tradizionale delle redentrici armi sorelle, non sarebbe né decoroso né giusto obbliare o dissimulare le Cinque giornate di Milano vere iniziatrici della Lotta, di cui era impresa primissima la cacciata dello straniero”..

425

ACS, Comizio romano dei veterani delle battaglie 1848/49, b.1, A. Clemente al cav. Camillo

Ravioli, 1 dicembre 1875.

426

MRM, Fondo veterani c. 10 Verbale di costituzione del Comizio, 24 agosto 1875., p. 3.

427

B.TOBIA, Le Cinque Giornate di Milano, in I luoghi della memoria, strutture ed eventi dell’Italia

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Alla fine di agosto 1875 era infatti prevista a Milano una solenne cerimonia in cui la cassa contenete i resti dei piemontesi caduti in difesa della città doveva essere spostata dal Cimitero di Porta Vittoria al Cimitero monumentale428. I giornali torinesi descrissero minuziosamente l’evento e si soffermarono sullo svolgimento dell’ imponente manifestazione a cui avevano partecipato il principe Umberto, le più importanti cariche pubbliche e una folla enorme. In particolare la “Gazzetta del Popolo” raccontò i festeggiamenti riservati al comitato direttivo del Comizio dei veterani torinese con alla testa il marchese Villamarina429 e fornì una lettura del tentativo di difesa della città puntando esclusivamente sull’eroismo dei piemontesi. Nell’articolo in prima pagina del 26 agosto ad esempio fu scritto a chiare lettere che mentre “i milanesi fuggivano dalla città inseguiti dagli austriaci, che volevano col sangue e col ferro vendicarsi dello smacco terribile delle cinque giornate”, l’esercito piemontese ingaggiò “una lotta titanica, corpo a corpo, in cui rifulse tutta la bravura dei bravi campioni piemontesi, ma che a nulla valse perché il numero la vinse sul coraggio disperato”. Anche il significato attribuito alla celebrazione era improntato solamente sullo sforzo valoroso, seppur inutile, dato dalle truppe di sua maestà, arrivando addirittura a scrivere che il principe Umberto fosse a Milano non per

428

Per la descrizione approfondita del programma della celebrazione si rimanda a “Il Pungolo 22

agosto 1875” Cronaca cittadina, p. 2.

429

“Gazzetta del Popolo” 27 agosto 1875, Onori all’esercito piemontese in Milano, p. 1. Ecco alcuni

passaggi del discorso di Villamarina: “Questi ricordi, o Signori, sono oggi molto opportuni, perché mentre servono a mostrare ai nostri figli, non che alle generazioni future i vantaggi conseguiti dalla libertà e dal progresso contribuiscono potentemente e efficacemente a rinvigorire le forze di tutti i liberali sinceri, nella gran lotta contro il secolare nemico che non combatte già in campo aperto, ma occultamente nel buio delle coscienze, mercè la superstizione, i pellegrinaggi, le false dottrine e le idolatrie; nemico che in oggi sembra si senta più forte di alcun tempo addietro, e che minaccia per un momento di sopraffarci… (…) Impertanto procuriamo di stare uniti, fortemente uniti, manteniamoci compatti, pensando come alla generazione che seppe soffrire e morire per conquistare la libertà, l’unità, l’indipendenza, debbono succedere generazioni che sappiano vivere operose nel fecondo accordo di una mutua fiducia, di scambievole amore, di generosa solidarietà congiunti all’ordine e alla libertà. Epperò inspiriamoci a queste ceneri, e come quei prodi seppero combattere da valorosi sul campo di battaglia, combattiamo anche noi uniti sul campo civile e morale politico, al santo fine di consolidare sopra basi durature l’opera gigantesca che abbiamo innalzata col glorioso nostro risorgimento, che ci costò tanto sangue, immensi sacrifizi e la perdita di molti amici e congiunti”.

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l’evento in generale, ma esclusivamente perché volesse “prendere parte alla funzione e onorare colla sua presenza il valore e l’eroismo dei bravi soldati piemontesi”430

.

I giornali milanesi ebbero un’impostazione ben diversa. Anche qui le colonne erano piene della descrizione della celebrazione ma, a differenza dei fogli piemontesi, il carattere dominante degli articoli fu il fatto che Milano aveva reso “una grande giustizia al prode esercito piemontese onorando in modo degno d’una grande città e d’una generosa popolazione le ceneri di prodi fratelli che morirono”. E infatti insieme al sacrificio piemontese si rimandava la memoria all’impegno della città nelle gloriose Cinque giornate431. Addirittura “Il Secolo”, giornale radicale vicino al vicepresidente del Comizio milanese Zafferoni, andava oltre e proponeva una lettura dei fatti in cui si contrapponeva all’ eroismo dei milanesi insorti l’inefficacia dell’esercito dei Savoia accorso in città432. In particolare definiva come “breve e infruttuosa” la difesa piemontese e sottolineava il pessimo risultato delle scelte del re “supremo duce dell’armata”, di aver “già deciso prima della caduta di abbandonare la città”433

. Poche secche parole per evocare un evento ancora bruciante nella coscienza di molti e che di fatto serviva a suscitare e attizzare memorie non pacificate434.

Questa lontananza dalla monarchia era ancora più evidente in altre iniziative appoggiate dal Comizio milanese.

Ad esempio ad inizio 1876 il Comizio promosse la commemorazione del moto insurrezionale mazziniano di Milano del 6 febbraio 1853, una pagina controversa e non ancora riconosciuta come parte della memoria collettiva e facente parte della

430

“Gazzetta del Popolo” 26 agosto 1875, Onori all’esercito piemontese, p. 1.

431

Si rimanda alla “Gazzetta di Milano” 22,23,24 agosto 1875 e a il “Pungolo” 22,23,24 agosto

1875.

432

“Il Secolo”, 19 20 agosto 1875, Cronaca, Nel ricordo del 1848, p. 2: “E’ storia recente, ma alla

nuova generazione poco o mal nota: è uno degli ultimi lampi del valore italiano che dobbiamo oggi narrare. La rivoluzione cominciata con tanta gloria e colle Cinque Giornate, dopo quattro mesi finiva sciaguratamente, per colpa di chi non è permesso oggi dire; e i cittadini il giorno 4 agosto si affrettavano a mettere in salvo le donne e i fanciulli, perché quegli austriaci ch’essi colle armi della disperazione avevano cacciati dalle loro mura, non si era saputo tenere lontani dai generali che disponevano di eserciti”.

433

“Il Secolo”, 18,19 agosto 1875. Ai caduti per la patria.

434

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tradizione repubblicana, mazziniana e antisabauda435. Inoltre l’esigenza di differenziarsi dalla linea torinese ritornava prepotentemente e lo stesso Garibaldi fu uno dei maggiori sostenitori delle varie proposte volte a togliere poteri al Comizio torinese. Infatti alla fine del 1875 i membri del Comizio milanese avevano manifestato la volontà di dare vita a un nuovo raggruppamento con sede a Roma, un “fascio” nazionale o comizio centrale italiano dei veterani che doveva unire e collegare tutte le associazioni di ex combattenti del periodo 1821-1870436. Così nel gennaio del 1876 si era costituita la Società generale dei superstiti delle patrie battaglie437, e nel corso del primo raduno in Campidoglio Garibaldi pronunciò un discorso nel quale ribadiva l’importanza della formazione di un Comizio centrale “fascio di tutti” e lontano da Torino438.

Insomma, stavano traducendosi anche sul piano dell’associazionismo, dopo che già lo avevano fatto su quello della memoria da celebrare, i precedenti orientamenti contrapposti. E’ evidente che anche i nostri protagonisti entrassero spesso in gioco in tale diatriba. Se nel periodo 1848-1861 la conflittualità tra le varie figure analizzata era diretta e basata sulla situazione politica del presente, nel periodo 1861-1876 tale

435

“Il Secolo”, 6-7 febbraio 1876, Cronaca, pp. 2-3: “Ricordiamo invece con pio senso di affetto gli

sventurati e coraggiosi martiri ei quella sommossa, i quali piuttosto che ascoltare la fredda voce della riflessione, si abbandonarono al più generoso degli entusiasmi e si slanciarono contro lo straniero che li vinse col tradimento e colla forza. (…) Onorare i caduti per la causa della libertà è un dovere; ricordarne le virtù può essere un insegnamento. Così Milano liberale commemora il martirio di quel pugno di prodi, che senza badare al numero, ne alle immense difficoltà dell’impresa scesero nelle vie quel pomeriggio del 6 gennaio 1853”.

436

MRM, Fondo veterani, c.10, seduta 2 gennaio 1876: “Lo Statuto organico Lombardo e differenza

di quello di Torino è più conforme ai doveri Nazionali ed alieno da ogni principio politico, si aspira unicamente al gran concetto di patria e si augura di veder formare il gran fascio in Roma e riaffermare con il fatto del diritto unitario; mentre invece il Consiglio di Torino, (…) invitava il Sindaco di Roma a cooperare per la formazione di un Comizio Romano che doveva funzionare come Sotto Comizio di Torino. (…) Solo in quella Roma ora ridonata alla antica indipendenza, dover sorgere il Comizio Centrale Italiano, dal quale dovrebbero dipendere i vari Comizi fondati nelle province”.

437

E. CECCHINATO, I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, cit., pp. 56-58; F. BONINI,

Francesco Crispi e l’unità. Da un progetto di governo un ambiguo mito politico, Bulzoni, Roma

1997, pp. 25-27; G. SAVO, Menotti Garibaldi deputato (1876-1897) in “Rassegna storica del

Risorgimento”, suppl. al fasc. IV, Giuseppe Garibaldi. Nuovi documenti e nuove interpretazioni, 2007, p. 210.

438

G.GARIBALDI, Scritti e discorsi politivi e militari, cit., vol. VI (1868-1882) pp. 222-223, G. Garibaldi ai superstiti delle guerre nazionali, 28 gennaio 1876.

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conflittualità era ancora troppo recente per non rimanere viva, ma si posizionò sul piano della memoria, e altresì del reducismo.

Parte III

La triade paradossale o la paradossale triade?