1856-1858
“È partito da Torino, per la Senna arzillo e gaio, ser Camillo il gran mugnaio, per trar l’acqua al suo mulino”90
.
La sera del 13 febbraio 1856, il conte Camillo Benso di Cavour partiva per Parigi con l’ardua missione - che al ritorno gli sarebbe valso l’inizio del suo mito- di rappresentare il Regno di Sardegna nel congresso di pace che, pochi giorni dopo, si sarebbe aperto nella capitale francese. Ad accompagnarlo vi erano il marchese Lorenzo Centurioni, già addetto alla legazione sarda a Vienna, Costantino Nigra, giovane impiegato del ministero degli Esteri, e il nipote Ainardo di Cavour91.
L’attività di Cavour durante il congresso di Parigi è stata oggetto di moltissimi studi92
. Tra tutte le considerazioni fattibili, quella che qui importa sottolineare è che il
90
“Gazzetta del popolo”, 16 febbraio 1856, p. 2.
91
A. VIARENGO, Cavour, cit., p. 319.
92
Tra gli altri si ricordano: R. ROMEO, Cavour e il suo tempo, cit., vol. III, pp. 214-242; A.
VIARENGO, Cavour, cit. pp. 319-323; U. MARCELLI, La questione d’oriente e la questione
italiana al Congresso di Parigi, in Atti del XXXV Congresso di storia del Risorgimento italiano (Torino 1-4 settembre 1956), Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1959, pp. 260-
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congresso segnò pure un cambiamento nella percezione della figura di Cavour da parte dell’opinione pubblica, non solo piemontese.
L’immagine del primo ministro era indubbiamente già centrale nelle vicende politiche precedenti, ma da questo momento – ed è qui il fatto davvero rilevante - essa assunse una dimensione molto più ampia nella considerazione dei liberali italiani. Tale evoluzione non avvenne nel momento della partenza del conte per Parigi, che anzi fu avvertita con scetticismo. Basti ricordare le molte caricature assai esplicite che segnalavano la marginalità del ruolo del primo ministro piemontese nelle riunioni parigine93. Ma è da collocarsi, come trapela da una lettera inviata da Cavour a Rattazzi in data 12 aprile, a congresso in conclusione e dopo l’incontro con il ministro degli esteri inglese Clarendon e il ministro degli esteri francese Walewski.
269;F. VALSECCHI, Il risorgimento e l’Europa, cit. pp. 497-498; F.VALSECCHI, Il problema
italiano nella politica europea (1849-1856), in Atti del XXXV Congresso di storia del Risorgimento italiano (Torino 1-4 settembre 1956), cit., p. 44; E.DI NOLFO, Europa e Italia nel 1855-1856, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1967, pp. 263-271; A. M. GHISALBERTI, Il Congresso di Parigi e l’opinione pubblica, Famija Piemonteisa, Roma 1956, pp. 18-29; U.LEVRA, Cavour dalla nazione piemontese alla nazione italiana, in Cavour l’Italia e
l’Europa, Il Mulino, Bologna 2011, p.158. 93
Per esempio “Il Fischietto”, 1 marzo 1856, p. 1, I due inutili a Parigi; “Il Fischietto”, 4 marzo
1856, p. 1. Anche altri giornali erano scettici sui risultati del congresso. Tra questi si segnalano: “Il Diritto”, 29 gennaio 1856, p. 1: “(…) se il Piemonte avesse partecipato al futuro congresso, gli sarebbe toccato soltanto il doloroso privilegio di sottoscrivere il proprio danno e la propria vergogna: - il danno e la vergogna di tutta l’Italia”; “L’Unione”, 13 febbraio 1856, p. 3: “(…) il conte Cavour va a Parigi. Egli vi va sfiduciato, avvilito. Eppure è adesso che dovrebbe dar prova del suo coraggio; e sì che lo potrebbe, se conoscesse la forza morale del suo paese (…) se i ministri di Vittorio Emanuele si risolvessero una volta a non accettare più umiliazioni, a far sentire che anche essi hanno una dignità da sostenere e diritti da difendere, e un potere morale che li afforza”; “Gazzetta del Popolo”, 1 aprile 1856, p. 1: “(…) nessuna delle cause che hanno messo sossopra a più riprese l’Europa dal 1814 in poi è stata risolta quindi quale nuova creazione, qual memorabile risultato esce ora dal trattato del 1856? Nulla. L’unico conforto è il fatto che una pace sterile che succede ad una guerra immensa non può essere che una tregua”; “Gazzetta del Popolo”, 5 aprile 1856, p. 1, La pace armata: “(…) ad una guerra sbagliata di luogo, succedeva una pace armata, foriera d’altre complicazioni”; “L’Opinione”, 3 aprile 1856, p. 2, Le illusioni della pace: “(…) se le cose dovessero proseguire come al presente niuno potrebbe garantire all’indomani”; “L’Opinione”, 2 aprile 1856, p. 2: “(…) la pace può essere una aspirazione ma non sarà mai una realtà. (…) Si potrà dire che la guerra è cessata, che il suolo della Crimea non sarà più turbato e sconvolto, ma niuno vorrà sostenere che l’Europa non abbia a stare in guardia, o che sia contenta della presente situazione”; “L’Armonia”, 27 marzo 1856, p. 1: “(…) noi non sappiamo con quale fronte il Conte di Cavour possa presentarsi al congresso di Parigi chiedendo compensi per la guerra d’oriente, mentre Inghilterra e Francia, a petto delle quali il Piemonte non fece nulla in quella guerra, rinunziarono. (…) Il congresso di Parigi non è la Camera o il Senato di Torino, che s’inginocchiano davanti all’idolo del Piemonte (…)”.
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“Vengo ora al secondo argomento della mia lettera, ed è il più importante. Convinto che l’impotenza della diplomazia e del congresso produrrà funeste conseguenze in Italia, e collocherà il Piemonte in condizioni difficili e pericolose, ho creduto bene di vedere se non vi fosse mezzo di arrivare ad una soluzione compiuta con mezzi eroici: le armi. Epperciò ieri mattina feci da Lord Clarendon la seguente conversazione : Mylord, ce qui s’est pass èau congrés prouve deux choses: 1 Que l’Austriche est décidée à persister dans son système d’oppression et violence envers l’Italie; 2 Que les efforts de la diplomatie sont impuìssants à modifier son système. Il en resulte pour le Piémont des consèquences excessivement facheuses. (…) Lord Clarendon sans montrer ni etonnement, ni desapprobation, dit allors: Je crois que vous avez raison, votre position devient bien difficile, je concois qu’un éclat devienne inevitable, seulement le moment d’en parler tout haut n’est pas venu.
Je répliquais: Je vous ai donné des preuves de ma moderation et de ma prudence, je crois qu’en politique il faut etre excessivement reserve en paroles, et excessivement decide quant aux actions. Il y a des positions où il y a moins de danger dans un parti audacieux, que dans un excès de prudence. Avec Lamarmora je suis persuade que nous sommes en etat de commencer la guerre, et pour peu qu’elle dure, vous serez bien forces de nous aider. Lord Clarendon repliqua avec une grande vivacité: Oh certaiment, si vous etes dans l’embarass vous pouvez compter sur nous, et vous verrez avec quelle energie nous viendrons à votre aide.
Dopo ciò non spinsi più oltre l’argomento (…). Ella giudicherà quale sia l’importanza delle parole dette da un ministro che ha fama di essere riservatissimo e prudente.
L’Inghilterra, dolente alla pace, vedrebbe, ne sono certo, con piacere sorgere l’opportunità di una nuova guerra, e di una guerra cotanto
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popolare come sarebbe quella che avesse per iscopo la liberazione d’Italia. (…).
L’imperatore non può essere contrario a questa guerra; la desidera nell’intimo del cuore. Ci aiuterà di certo, se vede l’Inghilterra decisa ad entrare in lizza. (…)”94
..
Dalla lettera si evinceva che il conte stesso, sopravvalutando forse intenzionalmente le parole di appoggio alla causa italiana, fornì a Rattazzi e ai suoi corrispondenti di quei giorni una chiave di lettura positiva sulle nuove speranze aperte dal congresso, nella prospettiva di un serio appoggio delle due potenze in una futura guerra che “avesse per iscopo la liberazione dell’Italia”95
. Era una convinzione riservata, che però non tardò a filtrare all’esterno nei suoi aspetti essenziali.
94
C. CAVOUR, Epistolario, a cura di C. PISCHEDDA, M. L. SARCINELLI, R. ROCCIA, Olschki, Firenze, 1992, vol. XIII, pp. 393-396 C. Cavour a U. Rattazzi, 12 aprile 1856.
95
Testimonianze sulle aspettative suscitate dalla lettera in:C.CAVOUR, Epistolario, vol. XIII, p.
401, C. Cavour a A. La Marmora, 13 aprile 1856: “(…) è un gran fatto che la Francia e l’Inghilterra abbiano in modo esplicito riconosciuto essere le condizioni d’Italia pessime; e l’interesse europeo richiedere che fossero migliorate (…) se non mercé l’ingrandimento del Piemonte”; Ivi, p. 414, C. Cavour a G. Lanza, 17 aprile 1856: ”(…) Lord Clarendon si portò così bene con me, dimostrò tanta simpatia per l’Italia, ed una così sincera antipatia per gli Austriaci, ch’io mi credo in debito di andare ringraziare la Regina”; Ivi, p. 405, C. Cavour a U. Rattazzi, 14 aprile 1856 “(…) la condotta dell’Austria collocava il Piemonte in una condizione talmente difficile, che era una necessità l’aiutarlo ad uscire”. Anche l’opinione pubblica venne influenzata
dalle aspettative suscitate dalla lettera. G.MASSARI, Il Conte di Cavour. Ricordi biografici, Tip.
Eredi Botta, Torino 1873, pp. 135-136; “L’Unione”, 15 aprile 1856, p. 1;Il Conte di Cavour a
Parigi: “(…) qualunque fosse l’esito finale, il rappresentante del Piemonte ha tenuto il nobile, il
sublime, l’elevato linguaggio del rappresentante d’Italia ed ha potuto combattere paro a paro, anzi da su in giù, col conte Buol per mostrare che la dignità dell’oppresso e più santa e più rispettabile dell’insulto dell’oppressore (…). Dopo il Congresso di Parigi la questione italiana non è più concetto di divina poesia, quale potea concepirla Dante nel 300 (…) la questione italiana si presenta ora avvalorata al congresso delle grandi potenze”; “L’Unione” 23 aprile 1856, p. 2, Intervento, “Il Piemonte ora (…) si alza a pubblico ministero, chiama alla barra il dispotismo dei signorotti d’Italia, né risparmia l’antinazionale, barbaro patronato dell’Austria”; “L’Unione”, 15 aprile 1856, p. 1, Il Piemonte alle conferenze: “Cavour ha rivelato in questa sua missione il tatto superiore del pubblicista (…) lode a lui se riesce; lode ove anche non abbia a riuscire”, “L’Opinione”, 16 aprile 1856, p. 2, Il jornal des debats e la questione italiana: “(…) sta sempre il fatto che a Parigi si è trattato degli affari d’Italia, e ciò in modi e in sensi di cui la diplomazia europea non ebbe mai l’esempio dal 1815 in poi (…)”; “L’Opinione”, 18 aprile 1856, p.1, L’Italia e la conferenza di Parigi: “(…) le conversazioni dei diplomatici a Parigi intorno all’Italia devono avere conseguenze politiche di altissima importanza”; “Il Risorgimento”, 19 aprile 1856, p.1: “è molto probabile che si trattino sin d’ora accordi molto intimi fra l’Inghilterra, il Piemonte e la Francia, onde parare alle nuove evenienze, che, appena composta la lite
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Così, anche se Cavour capì durante il successivo viaggio a Londra che l’appoggio inglese alla causa italiana era solo strumentale alla propaganda politica britannica, e costatò che il congresso non aveva portato alcun risultato pratico, egli percepì, non appena rientrato a Torino, che le ricadute della sua partecipazione avevano avuto un forte ritorno sull’opinione pubblica liberale italiana96. D’altra parte i due piani, quello
della effettiva realtà dei rapporti internazionali e quello dell’opinione pubblica, non erano allineati e neppure sovrapponibili. Dalle approvazioni e dagli apprezzamenti positivi che arrivarono a Cavour sia dalla stampa sia dalle varie parti d’Italia e dal mondo dell’emigrazione politica, fu chiaro che la partecipazione del conte al congresso lo aveva fatto balzare in una posizione di grande rilevanza sulla scena politica peninsulare97. Cominciò allora a muovere i primi passi l’immagine, che era un po’ anche il mito, dell’uomo geniale, attivissimo, “tessitore” instancabile della tela destinata a cacciare l’Austria dall’Italia, il quale da Torino lavorava assiduamente a realizzare le aspirazioni all’indipendenza degli italiani. Lo si presentava come uomo
d’Oriente, paiono dall’Austria minacciate all’occidente”; “Il Risorgimento”, 22 aprile 1856, p. 2: “(…) da queste discussioni risultò all’evidenza non solo la buona armonia, ma l’intimità fra l’Inghilterra e il Piemonte”.
96
U. MARCELLI, Cavour diplomatico. Dal Congresso di Parigi a Villafranca, Forni Editore,
Bologna 1961, p 233; A.OMODEO, L’opera politica del conte di Cavour , cit., vol. I (1848-1857),
p. 332; R.UGOLINI,Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il caso di Perugia, Istituto per la
storia del Risorgimento italiano, Roma 1973, pp. 36-37; D. MACK SMITH, Cavour and
Clarendon. English documents on the Italian Question at the Congress of Paris, inAtti del XXXV Congresso di storia del Risorgimento italiano (Torino 1-4 settembre 1956), Roma 1959, pp. 243-
245; E.DI NOLFO,Europa e Italia nel 1855-1856, cit., pp. 263-271; F.VALSECCHI, Il problema
italiano nella politica europea (1849-1856),in Atti del XXXV Congresso di storia del Risorgimento italiano (Torino 1-4 settembre 1956),cit., p. 44.
97
Alcuni esempi delle manifestazioni di gratitudine provenienti da varie parti d’Italia erano le
medaglie fatte coniare per la circostanza del ritorno del conte da Parigi. Fra quelle conservate presso il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino si segnalano: medaglia in bronzo di G. Galeazzi, diam. 5 cm. Sul dritto effige di Cavour di profilo, con l’iscrizione “A C. di Cavour propugnatore animoso dell’indipendenza d’Italia i napoletani riconoscenti”. Sul rovescio “VII aprile MDCCCLVI”. Medaglia in bronzo di G. Galeazzi, diam. 6 cm. Sul dritto effige di Cavour di profilo, con l’iscrizione “Camillo Benso di Cavour”, sul rovescio: “Per la difesa dei popoli italiani oppressi assunta nel congresso di Parigi MDCCCLVI Roma riconoscente”. Medaglia in argento di G. Ferraris, diam 5 cm. Sul dritto effige di Cavour di profilo, con l’iscrizione “Che fan qui tante peregrine spade? 1856”, sul rovescio: “A Camillo Cavour degno oratore di Vittorio Emanuele specchio dei re che nel congresso di Parigi propugnò i diritti d’Italia conculcati le Legazioni e le Marche con riconoscenza e con fede”.; Medaglia in bronzo di P. Thermignon, diam 5 cm. Sul dritto effige di Cavour di profilo, con l’iscrizione “A Camillo Cavour”, sul rovescio iscrizione “Al propugnatore della causa d’Italia Como 1856”.
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ricco di cordiale umanità, fervido di espedienti, fecondo di inesauribili risorse, amico della libertà e scudo della monarchia98. Costanza D’Azeglio registrava immediatamente la coesione dell’opinione pubblica piemontese intorno al conte: “ici, Camille s’est bien consolidé, il est le drapeau maintenant”99
.
Ovviamente gli elogi che da più parti d’Italia arrivarono a Torino non passarono inosservati a Mazzini. Il capo repubblicano sapeva bene che ogni idea di mutamenti territoriali era stata solennemente, unanimemente respinta a Parigi; dove, addirittura si era tentato di deviare l’aspirazione degli italiani a costituirsi in nazione verso riforme parziali e miglioramenti amministrativi. Ma coglieva che gli anni dopo il 1853 erano contraddistinti da una situazione di mobilità ideologica e da processi di ridislocazione delle varie componenti del movimento nazionale. Una parte rilevante dei quadri militari delle rivoluzioni quarantottesche, che avevano sin lì oscillato tra gli opposti poli d’attrazione della forza rappresentata dall’esercito sabaudo e dell’ideale di rivoluzione popolare mazziniana, si andavano spostando sempre più decisamente verso il Piemonte; il “partito d’azione” si andava così lentamente dissanguando di adepti. Davanti a tale situazione Mazzini fu costretto a rivedere le sue posizioni100. Nelle settimane successive alla fine del congresso egli cominciò a riporre le armi e a ipotizzare con sempre maggiore larghezza l’idea di una coalizione di tutte le forze nazionali intorno all’obiettivo dell’insurrezione immediata: “conciliazione dunque con tutti coloro, quali essi siano, e quantunque ostile sia la condotta fino ad oggi”, a patto che essi dicano lealmente di aver “creduto debito nostro d’esaurire altre vie che ci sembravano meno difficili della vostra: quelle vie, non per colpa nostra, guidano dietro a fantasmi: torniamo dunque alla bandiera: colla Nazione per la Nazione”. Mazzini si dichiarava adesso pronto ad allearsi “fraternamente con chichessia per liberare l’Italia
98
A.OMODEO, L’opera politica del conte di Cavour, cit., vol. I (1848-1857), pp. 314-334; R.
ROMEO,Cavour e il suo tempo, cit., vol. III, pp. 249-263; R.ROMEO,Dal Piemonte sabaudo
all’Italia liberale, Einaudi, Torino, 1963, pp. 163-165; U.LEVRA, Costantino Nigra 1828-1907, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano,Torino 2008, p. 43.
99
C.D’AZEGLIO Lettere al figlio, cit., vol. II, p. 1525, C. D’ Azeglio a E. D’Azeglio, 7 maggio 1856.
100
F. DELLA PERUTA, Giuseppe Mazzini e i democratici, in Scrittori politici dell’Ottocento,
Ricciardi, Milano 1969, vol. I, pp. 254–255; G.BELARDELLI,Mazzini, cit. pp. 180-181; R.SARTI,
Giuseppe Mazzini, cit. p. 220; G.CANDELORO,Storia dell’Italia moderna, cit., 1979, vol. III, p.
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da questa vergogna che le sta sopra” e questo orientamento si incontrava, almeno in certa misura, con esigenze essenziali ed urgenti anche nella politica di Cavour101. Un grande problema che Cavour aveva di fronte, nella seconda metà di quel 1856 che stava scorrendo lungo una china favorevole, era quello di non far calare la positiva tensione maturata intorno a lui. Convinto che la carta della diplomazia avesse ormai dato tutti i suoi frutti – peraltro scarsi –, il primo ministro piemontese guardò allora al mondo dell’agitazione cospirativa. Un mondo vivo, ma fortemente indebolito, che il conte poteva sorvegliare per portare il “chaos pour amener la lumiére” e “gettar in aria il Bomba”. In fondo l’aveva pur detto chiaro nel suo discorso alla Camera del 6 maggio: “le grandi rivoluzioni non si operano, o signori, con la penna”102
; e quindi a partire dal maggio 1856 si ebbe un moltiplicarsi di contatti e di intese, più o meno aperte e sincere, fra uomini del governo di Torino ed esponenti del movimento nazionale103.
Cavour voleva sfruttare la fama di agitatore e di suscitatore di rivolte dell’esule genovese per arrivare a qualcosa di pratico in Italia che rilanciasse ulteriormente la sua politica nazionale. D’altra parte anche Mazzini voleva approfittare dell’alone positivo di cui il congresso di Parigi aveva circondato la figura del primo ministro piemontese agli occhi degli italiani, per utilizzarlo a proprio vantaggio. A giustificazione della parziale convergenza con i moderati, Mazzini, nei chiarimenti confidenziali ai suoi seguaci e in documenti resi pubblici sull’”Italia e Popolo”, lanciò la formula dal significato controverso di “bandiera neutra”. L’esigenza dei fatti era l’elemento
101
Le citazioni sono tratte da: G.MAZZINI, A Daniele Manin, in, Scritti editi ed inediti, cit., vol. LV,
pp. 165-173; Ivi, vol. LVI, p. 101, G. Mazzini a L. Pianciani, febbraio 1856; Ivi, p. 112, G. Mazzini a F. Foresti, 10 febbraio 1856; Ivi, p. 119, G. Mazzini a M Biggs, 23 febbraio 1856; Ivi, p. 149, G. Mazzini a F. Pigozzi, 27 marzo 1856; Ivi, p. 162, G. Mazzini a G. Cuneo, 8 aprile 1856; Ivi, pp. 166-167, G. Mazzini a N. Fabrizi, 9 aprile 1856; Ivi, pp. 182-183, G. Mazzini a N. Fabrizi, 21 aprile 1856; Ivi, p. 196, G. Mazzini a F. Dall’Ongaro, 22 aprile 1856; Ivi, p. 218-219 G. Mazzini ad A. Mordini, 7 maggio 1856; Ivi, pp. 265-266, G. Mazzini a C. Taylor, maggio 1856; Ivi, p. 312, G. Mazzini a G. Fanelli, 29 luglio 1856.
102
Le citazioni sono prese da:C. CAVOUR, Discorsi parlamentari, a cura di ARMANDO SAITTA,
Firenze, La Nuova Italia, 1955, vol XII (1855-1856), p. 357; C.CAVOUR, Epistolario, cit., vol.
XVIII, p. 371, E. Azeglio a C. Cavour, 24 marzo 1856; Ivi, p. 398, C. Cavour a U. Rattazzi, 12 aprile 1856.
103
R.ROMEO,Cavour e il suo tempo, cit., vol. III, p. 280-287; AVIARENGO, Cavour, cit., p 337; R.
GREW, A sterner plan for Italian unity: the Italian National Society in the Risorgimento,
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comune, sia pure in una prospettiva del tutto dissimile, tanto al governo piemontese che a Mazzini: e fu su questa base, nelle settimane successive alla conclusione del congresso, che si stabilirono contatti fra esponenti delle due forze opposte104.
Non è indispensabile in questa sede ricostruire in modo analitico cosa avvenne. L’aspetto significativo è che le concessioni che la politica di Cavour stava facendo
104
F.DELLA PERUTA, Il Mazzini di Emilia Morelli, in “Rassegna storica del Risorgimento”, gennaio
marzo 1995, p. 516; F. DELLA PERUTA, Giuseppe Mazzini e i democratici, cit., p. 256; G.
CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, cit., 1979, vol. III, pp. 251-254; G. BELARDELLI,
Mazzini, cit. p. 185. Testimonianze sul pensiero di Mazzini tra la primavera e l’estate del 1856 in: Situazione in Italia e Popolo, 20 luglio 1856; G.MAZZINI, Scritti editi ed inediti, cit., vol. LVI, p. 218, G. Mazzini ad A. Mordini, 7 maggio 1856: “La Nazione salvi la Nazione, la Nazione decida poi de’ suoi fatti – se c’è chi dica: ci uniamo per sormontare gli ostacoli al fare e cogliere il primo momento per iniziare la lotta, io son con lui, e pronto a riceverne consigli ad averlo vicino ad accettarne sindacati ed ogni cosa. (…) Unirci per fare, per organizzare la battaglia; assumerci di dire con tutti i mezzi possibili agli’italiani che siamo uniti per fare e che crediamo il momento venuto (…)Lavora dunque all’unione e Dio ti benedirà se riesci pel bene che avrai fatto al paese e se non riesci per le intenzioni. (…)”; Ivi, pp. 193-195, G. Mazzini a F. Dall’Ongaro, 22 aprile 1856: “(…) Questa propaganda italo- europea, questo insistere sulla necessità di fare – di scegliere quindi un punto d’appoggio – e di concentrare tutti gli sforzi e tutti i mezzi – sia pur sempre la vostra guida. (…); Ivi, pp. 236-237, G. Mazzini a F. Pignozzi, 23 maggio 1856: “Muto negli intervalli, ricompaio nelle epoche critiche. Forse ci accostiamo ad una di quest. Lascerò presto Londra per avvicinarmi altrove”; Ivi, p. 302, G. Mazzini a E. Hawkes, 12 luglio 1856: “(…) Scrivo o scriverò assai poco: dato che il governo conosce perfettamente che sono stato a
Torino e ora sono altrove. (…)”;G. Mazzini a A. Mordini, 1 agosto 1856, in G.MAZZINI, Scritti
editi ed inediti, cit., vol. LVI, pp. 328-329: “Da Torino dopo il tentativo, mi vennero lettere
inaspettatamente rosee: ci trattano da potenza a potenza. (…)”. Testimonianze sul pensiero di Cavour tra la primavera e l’estate del 1856 in: C.CAVOUR, Epistolario, cit., vol. XIII, p. 513, Cavour a S. Pes di Villamarina, 2 giugno 1856: “A genes meme Mazzini a perdu tout son