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3.1 La Storia di Pirelli

Il 30 Novembre 1991 il sistema industriale italiano stava perdendo, forse in modo definitivo, una delle imprese della storia della moderna industria italiana.

Il tentativo di Pirelli di acquisire Continental non solo si era rivelato un fallimento in sé ma stava portando la stessa Pirelli verso il fallimento. Al di là dell’evidenza economica e finanziaria del risultato dell’operazione, Pirelli iniziò a percorrere un periodo obiettivamente drammatico e una profonda crisi d’identità, di fiducia, di idee e di prospettive.

Pirelli è una delle prime industrie italiane. Venne fondata nel 1872, quando il patrimonio industriale del nostro Paese era praticamente inesistente, e fin da subito iniziò a operare nei due settori che la vedono ancora tutt’oggi protagonista: il settore dei cavi e quello dei pneumatici.

Immediatamente venne avviata la costruzione del primo opificio, nell'area adiacente via Ponte Seveso, poi rinominata via Fabio Filzi, ove oggi sorge il Grattacielo Pirelli, soprannominato "Pirellone". La struttura era costituita da due fabbricati a due piani di diversa dimensione: quello più grande adibito alla lavorazione e l'altro per negozio, uffici e servizi. L'originaria dotazione di macchinari consisteva in depuratore, masticatore, mescolatore e calandra, costruiti in Francia, oltre a caldaie di vulcanizzazione di costruzione italiana. La produzione ebbe inizio nel giugno 1873. Nei primi anni ‘90 del 19° secolo, Pirelli sfrutta il know-how tecnologico per sviluppare assieme a Bianchi il primo pneumatico commerciale per biciclette tipo “Flexus” che viene brevettato nel 1897. Due anni dopo la Pirelli pose in vendita i suoi primi pneumatici per veicoli a motore, in questo caso per motocicletta, seguiti nel 1901 da quelli per autovettura. Il primo treno di pneumatici sperimentali per automobile fu realizzato dalla Pirelli nel 1900, su commissione della Prinetti & Stucchi, per equipaggiare un loro prototipo di quadriciclo quadrimotore, progettato da Ettore Bugatti.

A partire dal 1899, tutti gli pneumatici Pirelli furono contrassegnati con il logo in rilievo, rappresentante una stella a cinque punte iscritta in un cerchio e, per questo motivo, furono a lungo popolarmente chiamati "pneumatici marca stella".

La produzione di questi articoli, per l'epoca tecnologicamente avanzatissimi, riscosse un grande successo di vendite, tanto da costringere l'azienda a costruire un nuovo stabilimento in zona Bicocca e trasferirvi, nel 1906, buona parte della produzione. Nel

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1918 viene acquistato anche il villino della Bicocca degli Arcimboldi, utilizzata dapprima come sede del museo della gomma e scuola materna, successivamente come sede di rappresentanza dell'azienda stessa.

Negli anni venti ha inizio la presenza nelle gare automobilistiche, che è proseguita fino ai giorni nostri e che ha visto numerose vittorie di gran premi di Formula 1, Rally, Superbike e nella Mille Miglia.

Parallelamente si sviluppa anche l’attività nel settore dei cablaggi con la produzione nel 1927 del primo cavo con isolamento in olio (Pirelli Cavi).

A distanza di più di 140 anni, alcune delle sue competenze distintive non sono andate perdute: infatti Pirelli è una delle pochissime imprese al mondo in grado di competere da protagonista in due business globali che ormai non hanno più niente in comune tra loro131.

Partendo infatti dal business della gomma, ampliò le proprie attività attraverso un processo di diversificazione concentrica, avendo come fulcro tecnologico e produttivo la materia prima gomma e i processi produttivi che ne consentono la trasformazione. Non esistono tuttavia particolari sinergie nelle logiche competitive e dei bisogni della domanda tra pneumatici e cavi; il fatto che la gomma venga ancora utilizzata nei processi di produzione dei cavi giustifica in modo assai marginale le logiche concorrenziali di questi due settori.132 Lo sviluppo delle tecnologie, l’evoluzione dei mercati di riferimento e non solo, i cambiamenti nei bisogni dei clienti, la nascita di alleanze globali e così via, hanno reso da tempo i due settori sostanzialmente diversi da un punto di vista strutturale e competitivo.

Ciò che rende particolarmente interessante la posizione di Pirelli è il suo rapporto con i concorrenti133. Pirelli infatti si può affermare che ha un a posizione competitiva “ibrida”134, dove ibrida sta a significare che Pirelli può essere considerata indifferentemente la più piccola delle grandi o la più grande delle piccole. In particolare nel settore dei pneumatici Pirelli occupa, per quota di mercato a livello mondiale, la quarta/quinta posizione ed è in concorrenza con imprese quali Michelin, Goodyear, Bridgestone, Yokohama, ecc., mentre nel settore dei cavi, pur essendo seconda sola ad

131Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997

132Sicca L., Izzo F., La gestione dei processi di Turnaround: un caso esemplare: la Pirelli Spa, ESI, Napoli, 1995

133Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997 134Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997

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Alcatel, compete con imprese globali quali BICC, Siemens, ecc.135 Quello che ci preme ricordare però è che nessuno dei competitors di Pirelli, né grande né piccolo, è presente in entrambi i settori. La capacità di Pirelli di competere da protagonista in due settori così fortemente diversi fra loro è ascrivibile all’esistenza di due fattori:

1- Un brand molto forte tanto in termini di notorietà quanto di immagine, testimoniato dal fatto che fino al 1993 fa Pirelli era la marca italiana più conosciuta al mondo136.

2- Un know-how tecnologico eccellente, da non pochi invidiato, tanto nei cavi quanto nei pneumatici.

Non è un caso che il pneumatico radiale, cosi come il pneumatico verde, sia stato inventato da Pirelli, mentre nel settore dei cavi, l’amplificatore ottico rappresenta un’innovazione radicale di notevole portata137.

3.2 La vocazione internazionale di Pirelli

Trascorsi i primi trent’anni contraddistinti da un orientamento nazionale e da un’attività a metà strada tra l’artigianato e l’industria moderna, Pirelli divenne un’impresa industriale fortemente orientata ai mercati internazionali.138Due elementi sono alla base del processo

di internazionalizzazione di Pirelli:

1- Le dimensioni del mercato italiano non erano tali da garantire uno sviluppo dimensionale sufficiente a mettere a frutto gli ingenti investimenti in tecnologia. 2- Sulla scelta della delocalizzazione produttiva hanno inciso tanto la non

convenienza all’esportazione diretta, motivata dagli elevati costi e dall’inaffidabilità dei sistemi di trasporto, quanto il fatto che i cavi e i pneumatici erano considerati dai governi nazionali prodotti strategici per i quali era quindi largamente sostenuta una produzione locale.

Nel 1902 Pirelli aprì il primo stabilimento all’estero a Vilanueva y Geltrù in Spagna e, nel giro di pochi anni, consolidò la sua presenza produttiva e commerciali in Gran Bretagna, Francia, Argentina e Brasile.

Il primo ciclo evolutivo di Pirelli si conclude intorno agli anni ’20 dove l’assetto produttivo e commerciale era già stato stabilito e la scelta di essere una multinazionale

135Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997 136Cfr. <<Financial World>>, 1 Settembre 1993.

137 Sicca L., Izzo F., La gestione dei processi di Turnaround: un caso esemplare: la Pirelli Spa, ESI, Napoli, 1995

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si colse fina dalle prime mosse sui mercati stranieri. Quello che ancora non era stato adeguato era la struttura societaria: venne istituita la CIP (Compagnie International Pirelli) con sede a Bruxelles, per la convenienza finanziaria della legislazione belga, anche se il centro delle attività finanziarie in senso stretto rimase in Svizzera139.

Parallelamente fu istituita la SIP (Società Italiana Pirelli) alla quale corrispondevano tutte le attività produttive e commerciali localizzate in Italia. Sip svolgeva una chiara attività di coordinamento produttivo e commerciale, mentre Cip operava più nella logica della holding finanziaria di controllo. Alla Pirelli & CO perciò era affidato un compito di pura holding finanziaria140.

Le vere innovazioni in campo internazionale avvennero però dopo il secondo conflitto mondiale. E’ infatti del 1948 il brevetto del pneumatico radiale tessile (cd. Cinturato) che venne lanciato nel 1951141. Questa innovazione consentì a Pirelli di competere ad armi pari con Michelin e di erigere barriere sui propri mercati in difesa dei neo entranti produttori americani. Alla fine degli anni ’60 si giunse a un ulteriore fase del processo

139Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997

140 Sicca L., Izzo F., La gestione dei processi di Turnaround: un caso esemplare: la Pirelli Spa, ESI, Napoli, 1995

141Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997

Pirelli & CO.

Compagnie Internationale Pirelli Società Italiana Pirelli U.O. Internazionali - Productors Pirelli SA(E) - Pirelli Limited (GB) - Societe Francaise Pirelli (F)

- Pirelli General Cables Works Ltd (GB) - Pirelli Platense SA (A)

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di internazionalizzazione: da un punto di vista societario e organizzativo non si trattava più di contrapporre l’Italia al resto del mondo ma l’Europa alle attività extra europee. Questo sviluppo, seppur positivo cominciava a manifestare alcune debolezze che si sarebbero evidenziate in modo economicamente tangibile nel bilancio del 1969, dove per la prima volta nella storia Pirelli chiuse il bilancio con una perdita di 2,3 miliardi di lire.

In quegli anni Pirelli decise di costruire il famoso grattacielo (Pirellone, che ha detenuto il record di edificio più alto dell'Unione europea dal 1958 al 1966 e ancora oggi il più alto del mondo in cemento armato) dove vennero concentrati tutti gli uffici, mentre l’attività industriale rimase localizzata nel quartiere milanese Bicocca.

3.3 I due settori all’alba della crisi 3.3.1 Il settore pneumatici

I problemi nel settore di pneumatici nel decennio 70-80 erano riconducibili a tre motivi: 1- La posizione competitiva di Pirelli si presentava inadeguata sia per competere tra

i leader di volume sia per competere nelle nicchie di mercato della high performance. In altre parole Pirelli ondeggiava tra economie di scala e vantaggi di costo da un lato e continue innovazioni tecnologiche dall’altro.

2- La strategia del settore penumatici era quasi esclusivamente di tipo tecnologico- produttivo con uno scarsissimo orientamento al mercato. Il problema veniva ancora di più ingigantito dal fatto che non si era mai scelto se orientare gli investimenti in tecnologia alla ricerca di dimensioni economicamente più convenienti ovvero verso la continua innovazione di prodotto. Anche le decisioni di investimento sui prodotti e sui processi produttivi evidenziavano un continuo altalenare tra ricerca delle dimensioni più convenienti e ricerca dei prodotti migliori. Di per sé questo comportamento non può essere giudicato in termini negativi, ciò che è certamente mancato in Pirelli è sicuramente la coerenza tra questi due elementi: i processi venivano pensati nella logica delle economie di scala mentre i prodotti in quella della differenziazione competitiva.

3- Assenza di un collegamento con i mercati. La cultura Pirelli è sempre stata fortemente orientata al prodotto e i risultati dei primi 100 anni della sua storia non possono darle torto. Tuttavia ciò che non si realizzò con prontezza in Pirelli fu la percezione dei profondi cambiamenti che stavano intervenendo nel settore delle automobili e più in generale nei mezzi di trasporto su gomma. Le ricorrenti crisi

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petrolifere, la nascita di competitor nel lontano oriente, la crisi profonda del settore automobilistico degli anni ’70 ed il progressivo spostamento di enfasi dal primo equipaggiamento al mercato dei ricambi avrebbero dovuto far riflettere sull’indispensabilità di un riorientamento del mercato. Ma nella logica di Pirelli di quegli anni, il mercato non era che un punto d’arrivo dei prodotti.

La crisi della domanda dei pneumatici determinò una forte concorrenza sui prezzi che nella logica Pirelli venne tradotta in una continua ricerca di minor costi di prodotto produzione. Pirelli si mise quindi alla ricerca di impresa da acquisire per aumentare la propria capacità produttiva e per ottenere, in breve tempo, una maggiore efficienza nei processi. La strategia di Pirelli fu sostanzialmente la stessa seguita dai maggiori concorrenti. Ciò che rese differente però la strategia di Pirelli è il fatto che queste acquisizioni si inserirono in un tessuto produttivo assai diversificato. E’ chiaro quindi che queste nuove acquisizioni non ottennero il risultato desiderato (migliorare l’efficienza produttiva) ma presumibilmente l’effetto opposto.

D’altra parte le due acquisizioni (CEAT e Armstrong) non brillavano per efficienza produttiva perciò non potevano essere giudicate secondo la logica di un incremento di efficienza. L’inserimento delle capacità produttive di CEAT e Armstrong avrebbe dovuto suggerire una ristrutturazione complessiva delle attività produttive del settore dei pneumatici. Si sarebbero dovuti concentrare le produzioni di fascia bassa – medio/bassa in alcuni stabilimenti, mentre le unità produttive più moderne e tecnologicamente più avanzate avrebbero dovuto essere dedicate ai prodotti high- performance. Questa decisione non venne presa e come risultato l’efficienza complessiva del sistema produttivo Pirelli Pneumatici rimase piuttosto scarsa.

3.3.2 Il settore cavi

Mentre la divisione pneumatici si era organizzata per funzioni, la divisione cavi, fin dagli anni ’70 si organizzò per business unit142. Perciò mentre i pneumatici erano considerati

dal punto di vista produttivo un business unitario, i cavi si differenziavano in modo assai intenso in funzione del settore di applicazione: pochissime erano le similitudini tra i cavi applicati nell’alta e nella medio-bassa tensione elettrica e quelli applicati nelle

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telecomunicazioni143. In quel periodo iniziavano ad accentuarsi le differenziazioni nelle logiche competitive tra il settore energia ed il settore telecomunicazioni. Per assurdo il problema principale di Pirelli Cavi poteva essere rintracciato in uno dei suoi punti di forza: il rapporto con le utilities144. Esse infatti tendevano a non trasferire ai fornitori le

esigenze di dinamismo tecnologico-commerciale che da lì a pochi anni sarebbero divenute elemento normale nel comportamento d’acquisto di questi clienti. In realtà le strutture di acquisto delle principali utilities con le quali Pirelli intratteneva relazioni d’affari tendevano a trasferire una sorta di immobilismo tecnologico. Poiché Pirelli vantava importanti relazioni soprattutto con le utilities italiane e sudamericane (assai arretrate in termini di privatizzazione e scarsamente orientate allo sviluppo della competitività tra fornitori), ad essa giunsero solo con notevole ritardo i sintomi di un’evoluzione che sarebbe diventata negli anni successivi norma di comportamento. Anche per questo motivo Pirelli Cavi si allontanò progressivamente dal mercato, con tutte le conseguenze che questo fatto comportò a livello di sviluppo delle nuove tecnologie e delle nuove relazioni con clienti più evoluti e più esigenti di quelli con i quali era abituata a confrontarsi.

Un ultimo elemento di cambiamento particolarmente intenso e portatore di importanti modifiche strutturali e competitive nel settore dei cavi è connesso con l’evoluzione del cavo da “prodotto” a “sistema”. Ad iniziare dai primi anni ottanta, tanto il settore delle telecomunicazioni quanto il settore energia iniziarono a manifestare una richiesta sempre più accentuata di arricchimento del prodotto. Ci si stava progressivamente spostando dalla vendita del “cavo” alla vendita di “sistemi” di energia. Col passare del tempo apparve sempre più chiaro che il gioco concorrenziale si stava modificando: dalla capacità di produrre “ottimi cavi ad un prezzo competitivo” alla capacità di “problem solving” articolato. Pur avendo un potenziale tecnologico e commerciale notevole, Pirelli Cavi, come d’altra parte Pirelli Pneumatici, si presentò all’inizio degli anni ’90 fortemente indebolita.

3.4 La storia del Turnaround

Un esempio significativo di turnaround è quello interessante il gruppo Pirelli, tra il 1991 e il 1994. La significatività discende, oltre che dall’importanza del gruppo e dai

143Sicca L., Izzo F., La gestione dei processi di Turnaround: un caso esemplare: la Pirelli Spa, ESI, Napoli, 1995

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risultati ottenuti, anche dalla razionalità e dalle modalità avanzate con cui il problema è stato affrontato, adottando per la prima volta in Italia il Value Based Management, cioè l’approccio basato sul controllo e sulla creazione di valore.145

La storia del turnaround di Pirelli è relativamente breve e intensa, ed è scomponibile principalmente in due fasi: la prima di ristrutturazione, durante la quale vennero rivitalizzati gli assets di fondo di Pirelli e si procedette secondo una duplice logica, finanziaria e industriale, a rendere nuovamente economica la gestione. Questa fase è durata circa diciotto mesi, dal Gennaio 1992 al Giugno 1993. Ad essa ha fatto seguito la fase di rilancio internazionale che ha avuto inizio nel 1994.146Il punto di avvio formale della fase di ristrutturazione del gruppo è stato l’approvazione del Piano di Ristrutturazione avvenuta il 20 Gennaio 1992 durante l’assemblea straordinaria di Pirelli S.p.A.147. Tre emergenze dovevano essere affrontate con particolare attenzione:

1- Una crisi particolarmente intensa nel mercato dei pneumatici a livello mondiale, dovuta ai primi effetti della recessione dei primi anni ’90 e che aveva coinvolto tanto le imprese automobilistiche quanto, di conseguenza, tutti i loro fornitori. 2- Un forte deterioramento del reddito dell’esercizio 1991 con perdite pari a 673

miliardi di lire.

3- Una situazione estremamente critica nella struttura finanziaria del gruppo, a causa degli ingenti investimenti degli anni precedenti e degli oneri straordinari dovuti alla ristrutturazione a all’assorbimento della tentata acquisizione Continental.

Per effetto di ciò, da 103 miliardi di lire di utile del 1990, si passò ad una perdita consolidata nel 1991 di 729 miliardi, imputabile:148

- Per L. 152 miliardi alla gestione ordinaria (in peggioramento perciò di L. 255 miliardi rispetto all’esercizio precedente): perdita sostanzialmente imputabile al settore pneumatici, la cui modesta negatività del 1990 si era drammaticamente appesantita;

- Per L. 377 miliardi alle svalutazioni ed agli oneri dell’operazione Continental;

145 Guatri L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al volere, EGEA, Milano, 1995

146Sicca L., Izzo F., La gestione dei processi di Turnaround: un caso esemplare: la Pirelli Spa, ESI, Napoli, 1995

147Salvemini S., Gestire la crisi partendo dal futuro, EGEA, Milano, 1997 148 Guatri L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al volere, EGEA, Milano, 1995

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- Per L. 240 miliardi a stanziamenti per oneri di ristrutturazione interessanti prevalentemente il settore pneumatici (in buona parte corrispondenti a costi il cui sostenimento era previsto per l’anno successivo).

Anche a seguito di ciò, il rapporto tra indebitamento e patrimonio netto contabile risultava a fine 1991 di 1,60, contro lo 0,85 di fine 1990. Per altro <<già negli esercizi precedenti la gestione aveva registrato un crescente ed eccessivo assorbimento di cassa: l’autofinanziamento non era stato sufficiente a far fronte all’espansione autogena e alle acquisizioni fatte dal gruppo in ciascuno dei tre settori>>.149

Le linee guida che vennero seguite nel Piano combinavano l’urgenza con l’importanza: vi era innanzitutto da ricercare un riequilibrio finanziario, ma subito dopo, ci si concentrò sugli aspetti di costo, di produttività e di selezione dei prodotti, allo scopo di far ripartire la spirale positiva ricerca-innovazione-prodotti-mercati150. I punti principali di questa prima fase del turnaround furono i seguenti:

- Riequilibrio della situazione finanziaria (rapporto debiti/mezzi propri) - Riduzione dei costi di struttura

- Specializzazione delle fabbriche e miglioramenti della produttività

- Selezione del portafoglio prodotti e concentrazione su quelli a più alto valore aggiunto

- Incremento degli investimenti in R&S e Qualità

- Mantenimento/aumento dei volumi globali di produzione e di vendita - Dismissione del settore non strategico dei Prodotti Diversificati

Ogni processo di turnaround deve presentare i componenti reattive e strategiche. Le prime sono la conseguenza di una crisi profonda, che spesso si manifesta in modo improvviso, oltre che dell’esistenza di un orizzonte temporale “possibile” assai limitato. La componente strategica dipende invece dal del fatto che il turnaround non è limitato ad un’unità organizzativa specifica (un business, una funzione, un paese, ecc.), ma si estende all’intero sistema d’impresa. Riguarda quindi contemporaneamente i valori di fondo, che spesso vengono messi in discussione, le strutture produttive, commerciali e organizzative che, molto frequentemente, vengono ridefinite in modo sostanziale, i processi ed i sistemi operativi che, in conseguenza delle modifiche strutturali, subiscono

149 Relazione del Consiglio di Amministrazione Pirelli, 1992

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profondi ripensamenti ed infine, ma non certo perché meno importanti, le persone e in particolare i ruoli direzionali.

Il turnaround Pirelli presenta tanto componenti reattive quanto componenti strategiche. I momenti di crisi che ha vissuto Pirelli tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90 furono certamente numerosi e riguardano sia l’assetto industriale, sia i business, principalmente i cavi e pneumatici (mentre i prodotti diversificati si auto sostenevano senza grandi difficoltà) sia, come logica conseguenza, l’equilibrio economico e finanziario.

L’urgenza di tempo era determinata dalla necessità di fornire dei segnali chiari agli stakeholder e, in modo particolare, dal fatto che i clienti, tanto le imprese automobilistiche per i pneumatici, quanto le public utilities per i cavi, stavano

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